martedì 8 settembre 2015

Tutti pazzi per Elena


Famiglia Cristiana cinguetta con la Boschi gay friendly
di Rino Cammilleri

Non so in base a quali algoritmi Twitter mi fa pervenire cinguettii che, secondo tale ditta, dovrebbero interessarmi. Ma io appartengo alla generazione dei cosiddetti analfabeti digitali, perciò dovrò chiedere a qualche ragazzino delle elementari. Vengo al fatto. Ricevo un tweet di Famiglia Cristiana che recita: «Il Ministro Maria Elena Boschi alla festa dell’Unità di Milano». Penso: se il settimanale cattolico più letto d’Italia mi suggerisce di cliccare sopra ‘sta gran notizia, caverò molto frutto dall’informazione. Clicco e vedo le foto del ministro Boschi ridente alla Festa dell’Unità (si noti che io, più correttamente, metto ministro –termine generico- in  minuscolo e Festa –nome specifico- in maiuscolo). L’unica cosa “cattolica” è il taglio delle foto, accorciate in basso per non mostrare le mutande del soggetto ritratto. 
Lo so perché il Giornale aveva pubblicato le stesse foto ma senza la censura, maliziosamentericordando la famosa scena dell’accavallata di gambe nel film Basic Instinct (scena che lanciò Sharon Stone nell’empireo dello star system e lo fruttò perfino il Nastro Verde del Ministero della Cultura francese). Niente di che, dal momento che le gambe della Boschi sono alla vista di tutti quando ella va in spiaggia in Versilia o a Formentera. Ma la domanda è: perché l’autorevole Famiglia Cristiana ritiene che il suo pubblico debba essere interessato alle risate della Boschi alla Festa dell’Unità milanese? Forse perché le ha a suo tempo dedicato una copertina con intervista nella quale Maria Elena si dichiarava cattolica? O forse perché, come dice Dostojevskij, «saremo salvati dalla bellezza»? Ci sono certi cattolici, comunque, che allo scrittore russo credono poco. Forse saremo salvati dalla bellezza, ma non certo da quella bellezza lì. 
É vero, la ministra bellina si chiama Elena -la donna più bella di tutti i tempi secondo il Faust di Marlowe- ma è più probabile che il nome di battesimo provenga da uno slow popolarissimo negli anni Sessanta, suonato alla chitarra dal duo Los Indios Tabajaras. Tra parentesi, l’ultimo a illudersi che la salvezza viene dalla bellezza e a pompare quest’ultima anche nella liturgia fu Benedetto XVI, poi, visto il palese flop, si ricominciò a volare rasoterra: inutile insistere sulla bellezza se nessuno la capisce; Bertoldo, ormai assuefatto alle rape bollite, morì di mal di stomaco quando gli rifilarono un piatto gourmet. 
Torniamo alla ministra bellina. É cattolica, sì, ma come tutti i toscani che il cattolico Renzi si è portato dietro (e ha fatto bene: negli Usa si chiama spoiling system e al tempo dei Papi rinascimentali si chiamava nepotismo, perché un capo ha il diritto-dovere di circondarsi di gente di sua fiducia).Infatti, la ministra per le Riforme (togliete pure il prefisso ri-, tanto è lo stesso) subito dopo Milano si è precipitata al Pride Village di Padova (indovinate di che Pride si tratta), dove ha chiarito qual è l’unica riforma per la quale il governo di cui fa parte si batterà come un mastino: «Non possiamo più permetterci differenze tra le persone sulla base di stili di vita: questo governo vuole conquistare il segno “più” anche sui di diritti civili. La legge è in dirittura d’arrivo, compresa la step child adoption». 
Twittatelo a Famiglia Cristiana e, per conoscenza a papa Francesco, magari gli interessa. Val lapena di notare, di sfuggita, che il primo a introdurre una bella e giovane ministra fu Berlusconi, e la cosa finì con querele per diffamazione. Renzi, di belle e giovani ministre ne ha ben tre, però le sue sono benemerite Quote Rosa, omaggiate pure dai “catto” (perfino il direttore di «Chi» fu costretto a scusarsi per averne fotografata una intenta a leccare un gelato). Altra parentesi: immaginate che cosa sarebbe successo se sindaco di Roma fosse stato il Berlusca? Niente, tutto quanto detto conferma ancora una volta la lungimiranza di Togliatti, che mise le mani sulla cultura (cioè, propaganda) mentre i miopi democristiani si accontentavano dei ministeri-chiave. 
Morale: chi ha la vista lunga prende l’una adesso, perché gli altri gli cadranno in bocca a suo tempo. Lo stesso errore, sputato, lo commise il cosiddetto ventennio berlusconiano (durato in realtà molto meno). Nelle democrazie di massa chi ha in mano la propaganda ha tutto, e può perfino permettersi di sbeffeggiare il popolo. Come il Re del famoso sonetto del Belli: «Io so’ io, e voi…». Può anche cambiare nome alla propaganda e chiamarla comunicazione; tanto, abboccheranno anche i preti (che pur l’avevano inventata due millenni fa). Ma come dice Al Pacino a Johnny Depp nel film Donnie Brasco:  «che te lo dico a fare?».