domenica 16 ottobre 2011

Il Papa indice l'Anno della Fede

"Il dono della fede non è un privilegio ma un impegno; il battesimo non è un facile biglietto d'ingresso in paradiso ma è un talento da trafficare, è un seme che deve portare i suoi frutti". (Anonimo)

SANTA MESSA
PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 16 ottobre 2011

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!


Con gioia celebro oggi la Santa Messa per voi, che siete impegnati in molte parti del mondo sulle frontiere della nuova evangelizzazione. Questa Liturgia è la conclusione dell’incontro che ieri vi ha chiamato a confrontarvi sugli ambiti di tale missione e ad ascoltare alcune significative testimonianze. Io stesso ho voluto presentarvi alcuni pensieri, mentre oggi spezzo per voi il pane della Parola e dell’Eucaristia, nella certezza –condivisa da tutti noi – che senza Cristo, Parola e Pane di vita, non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5). Sono lieto che questo convegno si collochi nel contesto del mese di ottobre, proprio una settimana prima della Giornata Missionaria Mondiale: ciò richiama la giusta dimensione universale della nuova evangelizzazione, in armonia con quella della missione ad gentes.

Rivolgo un saluto cordiale a tutti voi, che avete accolto l’invito del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. In particolare saluto e ringrazio il Presidente di questo Dicastero di recente istituzione, Mons. Salvatore Fisichella, e i suoi collaboratori.

Veniamo ora alle Letture bibliche, nelle quali oggi il Signore ci parla. La prima, tratta dal Libro di Isaia, ci dice che Dio è uno, è unico; non ci sono altri dèi all’infuori del Signore, e anche il potente Ciro, imperatore dei persiani, fa parte di un disegno più grande, che solo Dio conosce e porta avanti. Questa Lettura ci dà il senso teologico della storia: i rivolgimenti epocali, il succedersi delle grandi potenze stanno sotto il supremo dominio di Dio; nessun potere terreno può mettersi al suo posto. La teologia della storia è un aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero, pacifico, quello sguardo che il Concilio Vaticano II ha trasmesso nei suoi Documenti, e che i miei Predecessori, il Servo di Dio Paolo VI e il Beato Giovanni Paolo II, hanno illustrato con il loro Magistero.

La seconda Lettura è l’inizio della Prima Lettera ai Tessalonicesi, e già questo è molto suggestivo, perché si tratta della lettera più antica a noi pervenuta del più grande evangelizzatore di tutti i tempi, l’apostolo Paolo. Egli ci dice anzitutto che non si evangelizza in maniera isolata: anche lui infatti aveva come collaboratori Silvano e Timoteo (cfr 1 Ts 1,1), e molti altri. E subito aggiunge un’altra cosa molto importante: che l’annuncio dev’essere sempre preceduto, accompagnato e seguito dalla preghiera. Scrive infatti: “Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere” (v. 2). L’Apostolo si dice poi ben consapevole del fatto che i membri della comunità non li ha scelti lui, ma Dio: “siete stati scelti da lui” – afferma (v. 4). Ogni missionario del Vangelo deve sempre tenere presente questa verità: è il Signore che tocca i cuori con la sua Parola e il suo Spirito, chiamando le persone alla fede e alla comunione nella Chiesa. Infine, Paolo ci lascia un insegnamento molto prezioso, tratto dalla sua esperienza. Egli scrive: “Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse tra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con piena certezza” (v. 5). L’evangelizzazione, per essere efficace, ha bisogno della forza dello Spirito, che animi l’annuncio e infonda in chi lo porta quella “piena certezza” di cui parla l’Apostolo. Questo termine “certezza”, “piena certezza”, nell’originale greco, è pleroforìa: un vocabolo che non esprime tanto l’aspetto soggettivo, psicologico, quanto piuttosto la pienezza, la fedeltà, la completezza – in questo caso dell’annuncio di Cristo. Annuncio che, per essere compiuto e fedele, chiede di venire accompagnato da segni, da gesti, come la predicazione di Gesù. Parola, Spirito e certezza – così intesa – sono dunque inseparabili e concorrono a far sì che il messaggio evangelico si diffonda con efficacia.

Ci soffermiamo ora sul brano del Vangelo. Si tratta del testo sulla legittimità del tributo da pagare a Cesare, che contiene la celebre risposta di Gesù: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Ma, prima di giungere a questo punto, c’è un passaggio che si può riferire a quanti hanno la missione di evangelizzare. Infatti, gli interlocutori di Gesù – discepoli dei farisei ed erodiani – si rivolgono a Lui con un apprezzamento, dicendo: “Sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno” (v. 16). E’ proprio questa affermazione, seppure mossa da ipocrisia, che deve attirare la nostra attenzione. I discepoli dei farisei e gli erodiani non credono in ciò che dicono. Lo affermano solo come una captatio benevolentiae per farsi ascoltare, ma il loro cuore è ben lontano da quella verità; anzi, essi vogliono attirare Gesù in una trappola per poterlo accusare. Per noi, invece, quell’espressione è preziosa e vera: Gesù, in effetti, è veritiero e insegna la via di Dio secondo verità, e non ha soggezione di alcuno. Egli stesso è questa “via di Dio”, che noi siamo chiamati a percorrere. Possiamo richiamare qui le parole di Gesù stesso, nel Vangelo di Giovanni: “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6). E’ illuminante in proposito il commento di sant’Agostino: “Era necessario che Gesù dicesse: «Io sono la via, la verità e la vita», perché, una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta. La via conduceva alla verità, conduceva alla vita ... E noi dove andiamo, se non a Lui? e per quale via camminiamo, se non attraverso di Lui?” (In Ioh 69, 2). I nuovi evangelizzatori sono chiamati a camminare per primi in questa Via che è Cristo, per far conoscere agli altri la bellezza del Vangelo che dona la vita. E su questa Via non si cammina mai soli, ma in compagnia: un’esperienza di comunione e di fraternità che viene offerta a quanti incontriamo, per partecipare loro la nostra esperienza di Cristo e della sua Chiesa. Così, la testimonianza unita all’annuncio può aprire il cuore di quanti sono in ricerca della verità, affinché possano approdare al senso della propria vita.

Una breve riflessione anche sulla questione centrale del tributo a Cesare. Gesù risponde con un sorprendente realismo politico, collegato con il teocentrismo della tradizione profetica. Il tributo a Cesare va pagato, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma l’uomo, ogni uomo, porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza. I Padri della Chiesa, prendendo spunto dal fatto che Gesù fa riferimento all’immagine dell’Imperatore impressa sulla moneta del tributo, hanno interpretato questo passo alla luce del concetto fondamentale di uomo immagine di Dio, contenuto nel primo capitolo del Libro della Genesi. Un Autore anonimo scrive: “L’immagine di Dio non è impressa sull’oro, ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità … Pertanto da’ la tua ricchezza materiale a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato … Cesare, infatti, ha richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo, che egli ha creato, per riflettere la sua gloria” (Anonimo, Opera incompleta su Matteo, Omelia 42). E Sant’Agostino ha utilizzato più volte questo riferimento nelle sue omelie: “Se Cesare reclama la propria immagine impressa sulla moneta - afferma -, non esigerà Dio dall’uomo l’immagine divina scolpita in lui?” (En. in Ps., Salmo 94, 2). E ancora: “Come si ridà a Cesare la moneta, così si ridà a Dio l’anima illuminata e impressa dalla luce del suo volto … Cristo infatti abita nell’uomo interiore” (Ivi, Salmo 4, 8).

Questa parola di Gesù è ricca di contenuto antropologico, e non la si può ridurre al solo ambito politico. La Chiesa, pertanto, non si limita a ricordare agli uomini la giusta distinzione tra la sfera di autorità di Cesare e quella di Dio, tra l’ambito politico e quello religioso. La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita.

Proprio per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza, vorrei annunciare in questa Celebrazione eucaristica che ho deciso di indire un “Anno della Fede”, che avrò modo di illustrare con un’apposita Lettera apostolica. Questo “Anno della Fede” inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo del nostro tempo.

Cari fratelli e sorelle, voi siete tra i protagonisti dell’evangelizzazione nuova che la Chiesa ha intrapreso e porta avanti, non senza difficoltà, ma con lo stesso entusiasmo dei primi cristiani. In conclusione, faccio mie le espressioni dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato: ringrazio Dio per tutti voi, e vi assicuro che vi porto nelle mie preghiere, memore del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. La Vergine Maria, che non ebbe paura di rispondere “sì” alla Parola del Signore e, dopo averla concepita nel grembo, si mise in cammino piena di gioia e di speranza, sia sempre il vostro modello e la vostra guida. Imparate dalla Madre del Signore e Madre nostra ad essere umili e al tempo stesso coraggiosi; semplici e prudenti; miti e forti, non con la forza del mondo, ma con quella della verità.

* * *

Al termine della Messa a conclusione del primo incontro internazionale dei Nuovi Evangelizzatori, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Ieri e oggi ha avuto luogo in Vaticano un importante incontro sul tema della nuova evangelizzazione, incontro che si è concluso questa mattina con la Celebrazione eucaristica da me presieduta nella Basilica di San Pietro. L’iniziativa, organizzata dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, aveva lo scopo principale di approfondire gli ambiti di un rinnovato annuncio del Vangelo nei Paesi di antica tradizione cristiana, e al tempo stesso ha proposto alcune testimonianze ed esperienze significative. All’invito hanno risposto numerose persone di ogni parte del mondo, impegnate in questa missione, che già il Beato Giovanni Paolo II aveva chiaramente indicato alla Chiesa come sfida urgente e appassionante. Egli, nella scia del Concilio Vaticano II e di colui che ne ha avviato l’attuazione - il Papa Paolo VI - è stato infatti sia uno strenuo sostenitore della missione ad gentes, cioè ai popoli e ai territori dove il Vangelo non ha ancora posto radici, sia un araldo della nuova evangelizzazione. Sono, questi, aspetti dell’unica missione della Chiesa, ed è pertanto significativo considerarli insieme in questo mese di ottobre, caratterizzato dalla celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, proprio domenica prossima.

Come già ho fatto poc’anzi durante l’omelia della Messa, approfitto volentieri di questa occasione per annunciare che ho deciso di indire uno speciale Anno della Fede, che avrà inizio l’11 ottobre 2012 – 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II – e si concluderà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’universo.

Le motivazioni, le finalità e le linee direttrici di questo "Anno", le ho esposte in una Lettera Apostolica che verrà pubblicata nei prossimi giorni. Il Servo di Dio Paolo VI indisse un analogo "Anno della fede" nel 1967, in occasione del diciannovesimo centenario del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo, e in un periodo di grandi rivolgimenti culturali. Ritengo che, trascorso mezzo secolo dall’apertura del Concilio, legata alla felice memoria del Beato Giovanni XXIII, sia opportuno richiamare la bellezza e la centralità della fede, l’esigenza di rafforzarla e approfondirla a livello personale e comunitario, e farlo in prospettiva non tanto celebrativa, ma piuttosto missionaria, nella prospettiva, appunto, della missione ad gentes e della nuova evangelizzazione.

Cari amici, nella Liturgia di questa domenica si legge ciò che san Paolo scrisse ai Tessalonicesi: "Il nostro Vangelo non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione". Questa parola dell’Apostolo delle genti sia auspicio e programma per i missionari di oggi – sacerdoti, religiosi e laici – impegnati ad annunciare Cristo a chi non lo conosce, oppure lo ha ridotto a semplice personaggio storico. La Vergine Maria aiuti ogni cristiano ad essere valido testimone del Vangelo.





Di seguito il testo del Motu proprio:

LA PORTA DELLA FEDE



Lettera Apostolica in forma di Motu proprio

PORTA FIDEI

del Sommo Pontefice Benedetto XVI
con la quale si indice l’Anno della fede


1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio
e permette
l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia
quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma.
Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia
con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre,
e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del
Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria
quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito
Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza
del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua
morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i
secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore.

2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di
riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed
il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio del
pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi
in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia
con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” (1). Capita ormai non di
rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e
politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del
vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino
negato (2). Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente
accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più
essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato
molte persone.

3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-
16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo
per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di
acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa
dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli
(cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza:
“Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv
6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa
dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù:
“Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù
Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza.

4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre
2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella
solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data
dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della
Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II3, allo
scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento, autentico
frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come
strumento al servizio della catechesi (4) e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto
l’Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è
stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per
la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera
compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede. Non è la
prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della fede. Il mio venerato
Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del
martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza
suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un'autentica e
sincera professione della medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in
maniera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca” (5).
Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede, per
ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla” (6). I grandi sconvolgimenti che si
verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione.
Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio (7), per attestare quanto i contenuti
essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere
confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza
coerente in condizioni storiche diverse dal passato.

5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una “conseguenza
ed esigenza postconciliare” (8), ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo
alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno
della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano
II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri
conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro
smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e
assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della
Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la
Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel
cammino del secolo che si apre” (9). Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare
a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo
e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una
grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” (10).

6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei
credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere
la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione
dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb
7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del
popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e
insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della
penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del
mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli
venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza
e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare
in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine
dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” (11).
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione
al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha
rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la
remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una
nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come
Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo
camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta
l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera
disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono
lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita.
La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di
intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29;
2Cor 5,17).

7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci
spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare
il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a
sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio
del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più
convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel
credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo
amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno.
La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene
comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella
speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la
mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per
diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino, “si fortificano credendo” (12). Il santo
Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua
vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo
in Dio (13). I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la verità
della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e
consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla
“porta della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere
certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore
che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.

8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si
uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare
memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e
feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a
rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento
di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di
confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo;
nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere
meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come
quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo
Anno, per rendere pubblica professione del Credo.

9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in
pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche
per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è
“il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua
energia” (14). Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua
credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata (15), e riflettere
sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto
in questo Anno.
Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo
serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo.
Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia sulla redditio
symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti
insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede
della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete
ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere
nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite
con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore” (16).

10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo
non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci
totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e
i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di
questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la professione di
fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e
azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo.
L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo,
mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse
vi era Lidia e il “Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Il senso
racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da
credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla
grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato
annunciato è la Parola di Dio.
Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un
impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è
decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla
comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige
anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con
tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria
fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra
testimonianza, rendendola franca e coraggiosa.
La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E’ la Chiesa,
infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il
Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come
attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa professata
personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede
della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea
liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua
fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»” (17).
Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio
assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla
Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio.
L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il
mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di
conoscere il suo mistero di amore (18).
D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur
non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo
e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico
“preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La
stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre” (19).
Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a
mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto
incontro (20). Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.

11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel
Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno
dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fidei depositum,
non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio
Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un contributo
molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale… Io lo riconosco
come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma
sicura per l’insegnamento della fede” (21).
E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per
la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della
Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di
insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla
Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i
secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato
sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede.
Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della
fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto
viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla
professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è
presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la
professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la
testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale
acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera.

12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero
strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani,
così determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per
la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una
Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della
fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.
La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi
che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle
certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha
mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun
conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità (22).

13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede
il mistero insondabile dell’intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande
apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la
testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente
opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro.
In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e
la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore
umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del
perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova
compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la
debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto
per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila
anni della nostra storia di salvezza.
Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta
Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il
suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc
1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la
verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo
dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua
predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti
della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise
ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).
Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero
alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr
Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento,
lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi
discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo
il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore,
annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.
Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli
Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto
possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47).
Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva
trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri
persecutori.
Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per
vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del
Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della
giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione
dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19).
Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro
della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove
venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione,
nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati.
Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella
nostra esistenza e nella storia.

14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della
carità. Ricorda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità.
Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti - che da sempre
impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava: “A che serve, fratelli miei, se uno dice
di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella
sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace,
riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche
la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai
la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò
la mia fede»” (Gc 2,14-18).
La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in
balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di
attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo,
emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da
sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo
riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che
avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste sue
parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui
Egli si prende cura di noi. E’ la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore
che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti
dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una
terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap 21,1).

15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di
“cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15).
Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa
è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio
compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno
di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha
particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore
dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e
della vita vera, quella che non ha fine.
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede
rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per
guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo Pietro
gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete
essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova,
molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra
lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e
ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre
raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani
conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la
solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre
vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di
comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono
preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono
forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male
e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il
potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane
in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.
Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo
tempo di grazia.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.

BENEDICTUS PP XVI

______________________
1 Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): AAS 97(2005), 710.
2 Cfr BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço,Lisbona (11 maggio 2010): Insegnamenti
VI,1(2010), 673.
3 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 113-118.
4 Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: in
Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.
5 PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli
Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196.
6 Ibid., 198.
7 PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX centenario del martirio
dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’ “Anno della fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968),
433-445.
8 ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801.
9 GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS 93(2001), 308.
10 Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52.
11 CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.
12De utilitate credendi, 1,2.
13 Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1.
14 CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.
15 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 116.
16 Sermo 215,1.
17 Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.
18 Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS 3008-3009;
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.
19 BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008): AAS 100(2008),
722.
20 Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1.
21 GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 115 e 117.
22 Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32, 86-87.