sabato 15 ottobre 2011

Teresa d'Avila - Cammino di Perfezione (capp. 21-42)



CAPITOLO 21

Dice quanto sia importante cominciare a praticare l’orazione con grande risolutezza e non badare agli ostacoli che il demonio frappone.

1. Non vi spaventate, figlie mie, se bisogna badare a molte cose, per cominciare questo viaggio divino, che è la strada maestra per il cielo. Percorrendolo, si guadagna un gran tesoro e non fa meraviglia che ci sembri costare ben caro. Verrà un tempo in cui si capirà quanto sia un nulla qualunque fatica di fronte a un tanto prezioso premio.

2. Ora, ritornando a parlare di coloro che vogliono percorrere questa strada senza fermarsi fino al termine di essa, cioè fino a giungere a bere di quest’acqua di vita, è cosa – ripeto – di grande importanza come debbano cominciare: devono cioè prendere una risoluzione ferma e decisa di non arrestarsi prima di raggiungere quella fonte, avvenga quel che avvenga, succeda quel che succeda, si fatichi quanto bisogna faticare, mormori chi vuol mormorare; bisogna tendere sempre alla meta, a costo di morire durante il cammino se il cuore non regge agli ostacoli che vi s’incontrano; sprofondi pure il mondo, visto che accade spesso di sentirsi dire: «ci sono pericoli», «la tale per questa strada si è perduta», «un’altra persona si è ingannata», «un’altra, che pregava troppo, è caduta», «fate torto alla virtù», «ciò non è cosa per donne, che possono essere soggette alle illusioni», «sarà meglio che se ne stiano a filare, non hanno bisogno di tali finezze, bastano il Pater noster e l’Ave Maria».

3. Questo lo dico anch’io, sorelle, e come se basta! È sempre un gran bene prendere come base della nostra orazione le preghiere pronunziate da una tal bocca qual è quella del Signore. In questo hanno ragione, perché se la nostra debolezza non fosse così grande e la nostra devozione così tiepida, non ci sarebbe bisogno di altri procedimenti, né di alcun libro di preghiere. Per questo mi è sembrato ora opportuno (poiché, come ho detto, parlo ad anime che non possono raccogliersi nella meditazione di misteri, per i quali sembra loro necessario far ricorso a mezzi speciali, e ci sono alcuni spiriti così esigenti che niente li contenta) stabilire, servendomi del Pater noster, alcune regole sul principio, il progresso e i fini dell’orazione, anche se non indugerò in considerazioni elevate. E non vi si potranno togliere libri perché, applicandovi con fervore alla recita del Pater noster e mantenendovi nell’umiltà, non avete bisogno d’altro.

4. Io ho amato sempre molto le parole del Vangelo che mi hanno procurato in ogni circostanza più raccoglimento di libri scritti assai bene; se, poi, l’autore non era di riconosciuto valore, non ho mai avuto voglia di leggerli. Ora, avvicinandomi a questo Maestro della sapienza, ne avrò forse suggerimenti per qualche considerazione che vi soddisfi.

Non dico che vi esporrò una spiegazione di queste orazioni divine (non oserei farlo, a parte il fatto che ne sono state scritte molte, e quand’anche così non fosse, sarebbe una stoltezza che lo facessi io), ma solo qualche considerazione sulle parole del Pater noster, perché talvolta sembra che con tanti libri si perda la devozione proprio di quelle cose di cui è assai importante averla. È evidente che quando un maestro insegna una cosa prende anche amore al suo discepolo, gode che il suo insegnamento lo soddisfi e l’aiuta molto nell’apprendimento di esso: lo stesso farà questo Maestro divino con noi.

5. Non fate pertanto alcun caso dei timori che cercheranno d’ispirarvi, né dei pericoli che vi prospetteranno. Sarebbe ben strano voler andare senza pericoli a impadronirsi di un gran tesoro per una strada che è piena di ladri. Forse che il mondo è divenuto migliore, oggi, per lasciarvelo prendere in pace?! Per il guadagno di un maravedi c’è gente capace di non dormire notti e notti e di tormentarvi nel corpo e nell’anima. Se, dunque, quando voi andate alla conquista di questo tesoro o a rapirlo – poiché, come dice il Signore, sono i violenti ad appropriarsene – per una strada maestra, per una strada sicura, per quella stessa strada percorsa dal nostro Re e da tutti i suoi eletti e i suoi santi, vi dicono che ci sono tanti pericoli e vi suscitano tanti timori, a quali pericoli non si esporranno coloro che credono di poter riuscire a guadagnare questo tesoro senza seguire una strada?

6. Oh, figlie mie, quanti di più senza confronto ne incontreranno, ma non se ne rendono conto fino a quando non cadono nel vero pericolo, e non c’è alcuno che dia loro una mano; perdono, così, del tutto l’acqua, di cui non possono bere poco né molto, né di pozzo né di ruscello. Vedete ora, dunque, come potranno, senza una goccia di quest’acqua, percorrere un cammino dove ci sono tanti nemici da combattere? È evidente che moriranno di sete nel momento che doveva essere per loro il migliore. E, che lo si voglia o no, tutti, figlie mie, camminiamo verso questa fonte, sebbene in diverse maniere. Credetemi, pertanto, e non lasciatevi ingannare da nessuno che voglia indicarvi altro cammino che non sia quello dell’orazione.

7. Io non entro ora in merito al fatto che debba essere mentale o vocale per tutti, ma dico che voi avete bisogno dell’una e dell’altra. Questo è il dovere dei religiosi. Se qualcuno vi dicesse che ciò rappresenta un pericolo, ritenete lui stesso un pericolo e fuggitelo: non dimenticatevi mai di questo consiglio, che forse vi sarà necessario. Un pericolo sarà non avere umiltà né altre virtù, ma che il cammino dell’orazione sia cammino di pericoli, Dio non lo vorrà mai. Sembra che il demonio abbia inventato questo spauracchio, e con tale artifizio è riuscito a far cadere alcuni che sembravano incamminati per la via dell’orazione.

8. Guardate un po’ quanto è cieco il mondo a non far caso delle molte migliaia di anime che sono cadute nell’eresia e in altri gravi mali, per non aver praticato l’orazione e aver seguito distrazioni mondane. Se, poi, nel gran numero di esse, il demonio, per meglio svolgere la sua trama, ha incluso alcune che praticavano l’orazione, ciò gli è servito per incutere gran paura ad altre e allontanarle dalla virtù. Chi si appiglia a questa difesa di fuggire dall’orazione per evitarne i pericoli, stia bene in guardia, perché fugge il bene per salvarsi dal male. Non ho mai visto un espediente così perfido: è chiaro che è opera del demonio. Oh, mio Signore, prendete le difese della vostra causa! Vedete come s’intendono al rovescio le vostre parole. Non permettete che i vostri servi cadano in simili debolezze.

9. C’è questo di buono: che voi avrete sempre qualche persona che vi aiuterà, perché il vero servo di Dio, al quale Sua Maestà ha dato la luce per scorgere il vero cammino, ha questo vantaggio: che fra tali terrori gli cresce il desiderio di non fermarsi. Vede chiaramente dove il demonio si prepara a colpirlo e non solo si sottrae all’urto, ma gli rompe la testa. Il maligno si affligge di questa sconfitta più di quanto possa godere di tutti i piaceri che gli arrecano le sue vittime. In tempi di disordini e di zizzanie da lui suscitate – in cui sembra che si trascini dietro tutti, quasi accecati dalle apparenze di santo zelo –, Dio fa intervenire qualcuno che apra loro gli occhi, esortandoli a rendersi conto che il demonio, per impedire che vedessero il cammino, glielo ha avvolto di nebbia. Grandezza di Dio! Uno o due che dicano la verità hanno, a volte, più potere di molti riuniti insieme! A poco a poco tornano a far scoprire il cammino, perché Dio infonde loro coraggio. Se si dice che l’orazione presenta pericoli, essi si adoperano a far capire quanto sia utile, se non con le parole, almeno con le opere. Se si dice che non è conveniente fare molto spesso la comunione, allora essi la fanno con maggior frequenza. Pertanto, non appena ci siano una o due persone che senza alcun timore seguono la via migliore, il Signore torna gradatamente a riconquistare ciò che aveva perduto.

10. Lasciate, dunque, sorelle mie, tutte queste paure; non fate alcun caso, in questioni del genere, dell’opinione della gente. Badate che non sono, questi, tempi di credere a chiunque, ma solo a coloro di cui vedrete la vita conforme a quella di Cristo. Cercate di avere coscienza pura, umiltà, disprezzo di tutte le cose del mondo, di credere fermamente a ciò che insegna la santa madre Chiesa, e non c’è dubbio che andrete per la strada buona. Lasciate perdere – ripeto – i timori dove non c’è di che temere. Se qualcuno tenta di suscitarveli, esponetegli con umiltà il cammino che seguite. Ditegli che la vostra Regola v’impone di pregare incessantemente – com’è vero – e che dovete osservarla. Qualora vi replicasse che ciò va riferito alla preghiera vocale, chiedetegli un po’ se la mente e il cuore non devono accompagnare le parole. Se vi risponderà di sì – perché non potrà certo dire altrimenti – vedrete la sua implicita confessione che dovete necessariamente fare l’orazione mentale e anche giungere alla contemplazione, se Dio ve la concede in quella circostanza.

CAPITOLO 22

Spiega cosa sia l’orazione mentale.

1. Sappiate, figlie mie, che la differenza tra l’orazione mentale e vocale non consiste nel tener la bocca chiusa o no. Se, pregando vocalmente, sono del tutto consapevole e persuasa di parlare con Dio, più attenta a lui che alle parole che dico, l’orazione mentale e vocale sono unite. Se poi mi si viene a dire che state parlando con Dio quando, recitando il Pater noster, avete il pensiero alle cose del mondo, non posso che tacere. Ma se starete attente a lui, com’è giusto fare parlando con un tale Signore, è bene che consideriate chi è colui con il quale parlate e chi siete voi, non foss’altro che per rispettare la convenienza dovuta. Come potete infatti chiamare il re Altezza, e osservare il cerimoniale di prammatica per parlare a un grande, se non vi rendete conto della sua condizione e della vostra? Il rispetto da testimoniargli formalmente deve conformarsi alla sua dignità e alle regole d’uso, che dovrete pur conoscere, altrimenti sarete mandate via come persone grossolane, e non tratterete alcun affare.

Ma è possibile, mio Signore? È possibile, mio sovrano? Come si può sopportarlo? Voi siete, Dio mio, il Re eterno, perché il regno che avete non vi è stato dato in prestito. Quando nel Credo si dice che il vostro regno non avrà fine, è raro che io non ne provi una gioia particolare. Vi lodo, Signore, e vi benedico per sempre: infine, il vostro regno durerà eternamente. Non permettete dunque mai, Signore, che chi parla con voi ritenga sufficiente farlo soltanto con la bocca.

2. Com’è possibile, cristiani, che vi mettiate a dire che non c’è bisogno di orazione mentale? Ma capite quel che dite? Io son certa di no, e per questo volete metterci tutti fuor di strada! Voi non sapete neanche che cosa sia l’orazione mentale né come bisogna fare quella vocale né che cosa s’intenda per contemplazione, perché se lo sapeste non condannereste da un lato quel che lodate dall’altro.

3. Io vi dirò sempre, sorelle, ogni volta che me ne ricorderò, di unire l’orazione mentale a quella vocale, e vi raccomando di non intimorirvi a questo riguardo; io so come vanno a finire certi timori, perché in questo ho sofferto non poco, pertanto non vorrei che alcuno vi procurasse qualche turbamento, essendo di gran danno procedere per questo cammino con paura. È molto importante rendersi conto che si è sulla buona strada. Infatti, se si dice a un viandante che ha sbagliato, che ha smarrito la strada, lo si costringe ad andare da una parte all’altra stancandosi nella ricerca del cammino che deve percorrere: perde tempo e arriva più tardi.

Chi può dire che fate male se, cominciando a recitare le Ore o il rosario, cominciate anche a pensare con chi state per parlare e chi siete voi che parlate, per vedere come dovrete trattare con lui? Ora io vi dico, sorelle, che se la profonda riflessione richiesta da questi due punti si facesse come conviene, prima di cominciare l’orazione vocale che siete sul punto di recitare, avreste dedicato già molto tempo a quella mentale. Certamente, non dobbiamo parlare alla buona ad un principe, come si fa con un contadino o con una poveretta come noi, a cui in qualunque modo si parli, va bene.

4. È vero che l’umiltà del nostro Re è tale che, per quanto io, grossolana come sono, non sappia parlargli se non con rozzo linguaggio, non tralascia di aiutarmi né mi vieta di avvicinarmi a lui. Neppure le sue guardie mi respingono, perché gli angeli del cielo conoscono bene la natura del loro Re, il quale si compiace maggiormente della rozzezza di un umile pastorello, vedendo che se più sapesse più direbbe, che di quanti bei ragionamenti gli facciano grandi sapienti e letterati, i quali manchino di umiltà. Non, però, perché egli è buono noi dobbiamo essere irriverenti. Non foss’altro per ringraziarlo di sopportare la vicinanza di esseri ripugnanti, come, ad esempio, son io, è bene che si cerchi di conoscere la sua purezza e la sua maestà. È vero che lo si capisce subito quando ci si avvicina a lui, mentre per i grandi della terra basta che ci dicano chi furono i loro antenati, i milioni di rendita, il titolo di nobiltà e non c’è da sapere altro, perché nel mondo, per onorare qualcuno, non si tiene conto dei meriti personali, per grandi ch’essi siano, ma delle ricchezze.

5. Oh, mondo miserabile! Figlie mie, rendete gran lode a Dio per avervi concesso di lasciare cosa tanto vile, dove non si fa stima delle persone per i loro pregi intrinseci, ma per quello che possiedono i loro affittuari e i loro vassalli; e se cessano di averne, il mondo cessa subito di onorarli. È questo davvero un buon motivo di divertimento per voi quando vi prendete insieme un po’ di ricreazione, perché costituisce un gradevole svago rendersi conto dell’accecamento in cui passano il loro tempo quelli che vivono nel mondo.

6. Oh, nostro Sovrano, voi che siete la potenza infinita, la bontà suprema, la sapienza stessa, che non avete principio né fine, le cui opere non hanno limite, infinite come sono e incomprensibili, voi che siete un oceano senza fondo di meraviglie, una bellezza che in sé racchiude ogni bellezza, voi, la forza stessa! Oh, mio Dio, se in questo momento potessi avere unite insieme tutta l’eloquenza e tutta la sapienza degli uomini per riuscire a spiegare bene – come si può farlo quaggiù, dove tutta la nostra scienza è ignoranza assoluta a questo riguardo – qualcuna delle molte perfezioni che possiamo considerare per farci un’idea di quello che è questo nostro Signore e nostro bene!

7. Sì, avvicinandovi a lui cercate di pensare e di capire chi sia colui con il quale vi disponete a parlare o al quale state già parlando. Neppure con mille vite delle nostre arriveremo a comprendere come meriti di essere trattato questo Signore, di fronte al quale gli angeli tremano. Egli impera su tutto, può tutto: volere, per lui, è agire. Sarà dunque giusto, figlie mie, che ci adoperiamo a godere di tali grandezze del nostro Sposo e che comprendiamo con chi siamo sposate e quale vita dev’essere la nostra. Oh, mio Dio! Quaggiù, quando ci si sposa, anzitutto si conosce la persona, con le sue qualità e le sue sostanze, e noi, già promesse in matrimonio, non potremo pensare al nostro Sposo prima del giorno delle nozze, in cui ci farà entrare nella sua casa? Visto che qui non proibiscono di farlo a quelle che sono promesse agli uomini, , perché devono impedire a noi di cercare di sapere chi sia il nostro Sposo, chi sia suo Padre, quale il paese dove ci condurrà, quali le ricchezze che ci promette, quale il suo carattere, come potremo meglio contentarlo, in che cosa compiacerlo e studiare il modo di conformare il nostro temperamento al suo? Perché infatti una donna sia una buona sposa, non le danno altro consiglio che questo, anche se il marito è un uomo di condizioni molto umili.

8. O mio Sposo, dunque, si dovrà proprio in tutto far meno apprezzamento di voi che degli uomini? Se ad essi ciò non sembra giusto, lascino in pace le vostre spose, che devono trascorrere la vita con voi. E che vita felice! Se uno sposo è tanto geloso da non volere che la sua sposa tratti con alcuno, non sarà certo una bella cosa non cercare di compiacerlo e non capire come sia giusto adeguarsi a tale desiderio, e non voler trattare con altri, poiché in lui si ha tutto ciò che si può desiderare!

Comprendere queste verità, figlie mie, è fare orazione mentale. Se a tali considerazioni volete aggiungere qualche preghiera vocale, va benissimo. Ma non vogliate, vi scongiuro, parlare con Dio e pensare ad altre cose, perché questo significherebbe non capire che cosa sia l’orazione mentale. Credo di avervelo spiegato abbastanza. Piaccia al Signore che riusciamo a metterlo in pratica! Amen.

CAPITOLO 23

Tratta di quanto sia necessario, per chi ha cominciato il cammino dell’orazione, non tornare indietro, e insiste sull’importanza di procedere in esso con salda determinazione.

1. Dico, dunque, che è molto importante cominciare con ferma determinazione, per tante ragioni che, a dirle tutte, ci sarebbe da dilungarsi molto. Ve ne voglio dire, sorelle, solo due o tre. La prima è che, quando ci determiniamo a dedicare un po’ del nostro tempo (non certo senza interesse, ma con enorme guadagno) a chi tanto ci ha dato e ci dà di continuo, non è giusto non darglielo con assoluta generosità, ma solo come chi fa un prestito per riprendersi quello che ha dato. Questo a me non sembra un dono. Inoltre, colui al quale si è prestato qualcosa resta sempre un po’ dispiaciuto quando essa gli viene ripresa, specialmente se ne ha bisogno e se la riteneva già come sua, o se i due sono amici e se quello che gliel’ha prestata gli deve molte cose dategli senza alcun interesse. A ragione, ciò gli sembrerà una grettezza e un segno di ben scarso affetto, se non vuol lasciargli in dono nemmeno una piccola cosa sua, non foss’altro come testimonianza d’amicizia.

2. Qual’è la sposa che, avendo ricevuto dal suo sposo molte gioie di valore, non gli dia almeno un anello, non per quel che vale, perché ormai tutto ciò che possiede gli appartiene, ma come pegno ch’ella sarà sua fino alla morte? E merita forse meno questo nostro Signore perché ci prendiamo gioco di lui, prima dandogli e poi riprendendoci subito quel niente che gli abbiamo dato? Almeno questo po’ di tempo che ci risolviamo a dedicargli – di tutto quello che sciupiamo per noi stesse o per chi non ce ne sarà grato –, visto che vogliamo darglielo, diamoglielo libere da ogni altro pensiero, staccate da preoccupazioni terrene, e con ferma decisione di non riprenderglielo mai più, nonostante le difficoltà, i contrasti o le aridità. Consideriamo quel tempo come cosa non più nostra e pensiamo che ci può essere richiesto a buon diritto, se non vogliamo consacrarglielo interamente.

3. Dico interamente non nel senso che sia un riprendersi quanto abbiamo dato se tralasciamo l’orazione un giorno o anche più, a causa di legittime occupazioni o di una qualsiasi indisposizione. Sia ben salda la volontà, perché il nostro Dio non è meticoloso, non bada a piccolezze. Pertanto avrà di che esservi grato: qualcosa gli avete dato. L’altro modo di agire va bene per chi non è generoso, anzi così avaro che non ha il coraggio di donare; è già molto che presti. Comunque, faccia qualcosa, perché il Signore tiene conto di tutto e in tutto si adegua a ciò che desideriamo. Nel tener conto di quel che facciamo non è affatto esigente, ma generoso: per quanto grande sia il nostro passivo, egli non esita a condonarlo. È così attento a ricompensarci, che non abbiate a temere che un semplice levar d’occhi nel ricordo di lui resti senza premio.

4. Il secondo motivo è dato dal fatto che il demonio non ha mano libera di tentarci; teme molto le anime ben decise, perché sa per esperienza che lo pregiudicano moltissimo e che quanto egli ordisce a loro danno si converte a profitto di esse e d’altri, e ch’egli ne esce con perdita. Ma non dobbiamo mai cessare di stare in guardia né fidarci troppo di questo, perché siamo in lotta con una genia di traditori che non osano, in generale, attaccare chi è vigilante, essendo assai vili; ma se si accorgono della nostra distrazione, possono recarci un gran danno. E se vedono che qualcuno è incostante e non persevera nel bene, né ha la ferma decisione di farlo, non lo lasceranno in pace né giorno né notte; gli frapporranno paure e ostacoli a non finire. Io lo so molto bene per esperienza; per questo ve ne posso parlare e vi dico che non c’è nessuno che sappia quanto ciò sia importante.

5. Il terzo motivo – di gran peso per l’argomento che trattiamo – è che allora si combatte con più coraggio. Si sa ormai che qualunque cosa avvenga non si deve tornare indietro. È come chi, impegnato in una battaglia, se sa che, una volta vinto, non gli sarà risparmiata la vita e che, se non muore nella mischia, dovrà morire subito dopo, combatte con maggiore accanimento e vuol vendere cara la pelle – come si dice – né teme troppo i colpi avversi, avendo presente l’importanza che ha per lui la vittoria, perché vincere equivale nel suo caso a vivere. È, altresì, necessario cominciare con la sicurezza che, se non vogliamo lasciarci vincere, riusciremo vittoriosi; su questo non c’è il minimo dubbio: per quanto piccolo sia il guadagno che ne potremo ricavare, ci ritroveremo molto ricchi. Non temete che il Signore, dopo averci chiamato a bere a questa fonte, ci lasci morire di sete. Ve l’ho già detto e vorrei ripetervelo mille volte, perché il non conoscere bene la bontà del Signore per esperienza personale, anche se la si conosce per fede, rende le anime molto pavide. È davvero un gran vantaggio aver fatto esperienza dell’amicizia e della dolcezza con cui tratta coloro che vanno per questo cammino, di cui paga, per così dire, tutte le spese.

6. Non mi meraviglio che coloro i quali non l’hanno provato esigano la sicurezza di un qualche interesse. Ma voi già sapete che quest’interesse e del cento per uno fin da questa vita e che il Signore dice: Chiedete e vi sarà dato. Se non credete a Sua Maestà, che ce lo assicura in vari passi del Vangelo, serve a poco, sorelle, che io mi rompa la testa a ripetervelo. Dico, tuttavia, a chi avesse qualche dubbio, che non si perde nulla a farne la prova, perché ha questo di buono un tale viaggio: frutta più di quel che si chiede o che riusciremmo a desiderare. Non c’è dubbio di sorta, io lo so, e posso portare la testimonianza di quelle fra voi che, per la bontà di Dio, ne hanno fatto esperienza.

CAPITOLO 24

Dice in che modo si debba fare con perfezione l’orazione vocale e come sia unita a quella mentale.

1. Ora, dunque, torniamo a parlare delle anime delle quali ho detto che non possono raccogliersi né costringere l’intelletto a un’orazione mentale, né fare alcuna meditazione. Non voglio qui neanche pronunciare il nome di queste due cose, non essendo alla loro portata. Vi sono, in realtà, molte persone alle quali solo il nome di orazione mentale o di contemplazione sembra sia causa di spavento.

2. E siccome, ripeto, non tutte vanno per la stessa strada, può darsi che qualcuna di esse venga in questa casa. Ciò che io ora, dunque, voglio consigliarvi (e anche potrei dire insegnarvi, perché come vostra madre, avendo l’ufficio di priora, mi è lecito farlo) è il modo in cui dovete pregare vocalmente, in quanto è giusto che comprendiate quello che dite. E siccome chi è incapace di pensare a Dio può darsi che si stanchi anche di lunghe preghiere, non voglio affatto parlarvi di esse, ma solo di quelle che, come ogni cristiano, dobbiamo necessariamente recitare, cioè il Pater noster e l’Ave Maria, sì che non possano dire di noi che parliamo senza sapere quello che diciamo, salvo che basti, a nostro avviso, seguire l’abitudine, contentandoci solo di pronunciare le parole. Se basti o no, non è affar mio; lo diranno i dotti. Ciò che io vorrei che noi facessimo, figlie mie, è non contentarci solo di questo. Quando, infatti dico «credo», mi sembra giusto che capisca e sappia ciò che credo; e quando dico «Padre nostro», l’amore esige che io comprenda chi sia questo Padre nostro e chi sia il Maestro che ci ha insegnato tale preghiera.

3. Se volete obiettarmi che già lo sapete e che non c’è motivo di ricordarvelo, avete torto. Vi è molta differenza fra maestro e maestro. E se anche per quelli che ci danno insegnamenti quaggiù è molto grave non ricordarcene, a maggior ragione si deve dire dei santi e maestri dell’anima, dei quali, se siamo dei buoni discepoli, non dobbiamo dimenticarci. Come allora dimenticarsi di un tale Maestro qual è colui che ci ha insegnato questa preghiera e con tanto amore e desiderio di giovarci? Dio non voglia che non ci ricordiamo di lui recitandola, anche se non sempre, a causa della nostra debolezza, almeno spesso.

4. In primo luogo, voi sapete che Sua Maestà c’insegna a pregare in solitudine, come faceva sempre lui quando pregava, e non perché ne avesse bisogno, ma per servire d’insegnamento a noi. Già si è detto che non si può parlare nello stesso tempo con Dio e con il mondo, mentre altro non fanno quelli che recitano preghiere e al tempo stesso ascoltano quanto si dice intorno, o si soffermano a pensare a ciò che viene loro in mente, senza preoccuparsi d’altro. Ciò può passare quando si è indisposti, specialmente se si è portati alla malinconia o si soffre di mal di testa, perché allora, anche se si cerca di raccogliersi nella preghiera, non si può farlo. Passi pure quando Dio permette che, per il maggior bene dei suoi servi, questi trascorrano giorni assai tempestosi. Allora, benché nella loro afflizione cerchino di calmarsi, per quanto facciano, non possono riuscire a concentrarsi nelle preghiere che dicono, né l’intelletto è capace di tendere a nulla, ma sembra in preda a frenesia, talmente risulta turbato.

5. Ma della pena che procura a chi ne è vittima questi vedrà che non è per colpa sua. Non si tormenti, dunque, perché sarebbe peggio, né si affanni a rimettere in sesto l’intelletto, che allora è privo d’ordine, ma preghi come può; o anche, non preghi, ma cerchi solo di dar sollievo alla sua anima, malata com’è, e attenda a qualche altra opera di virtù.

Questo riguarda le persone che hanno a cuore la propria santificazione e che sono convinte di non poter parlare a Dio e al mondo nello stesso tempo.

Ciò che noi possiamo fare è cercare la solitudine. Piaccia a Dio che ciò basti – ripeto – per comprendere con chi stiamo e quali siano le risposte del Signore alle nostre domande. Credete forse che egli taccia? Anche se non lo udiamo, parla chiaramente al cuore, quando è il cuore a pregarlo.

È bene, inoltre, considerare che a ciascuna di noi il Signore ha insegnato e continua a insegnare quest’orazione, e il Maestro non è mai così lontano dal discepolo da aver bisogno d’alzare la voce, anzi gli è molto vicino. Io vorrei che voi foste convinte di questa verità, che per ben recitare il Pater noster dovete restare presso il Maestro che ve l’ha insegnato.

6. Direte che già questo è meditare e che voi non potete né volete fare altro che pregare vocalmente. Ci sono infatti persone poco pazienti, amanti del proprio comodo, così da non volersi dare alcuna pena, perché non avendone l’abitudine, costa loro fatica all’inizio raccogliersi e meditare. E per non volersi stancare un po’, di cono che non possono né sanno fare di più che pregare vocalmente.

Avete ragione di dire che già esercitarvi in suddette riflessioni è orazione mentale. Ma io vi dichiaro, in verità, che non so come si possa separare l’orazione mentale da quella vocale, se si vuol fare bene quella vocale, sapendo chi sia colui al quale parliamo. Ed è anche un dovere cercare di pregare con attenzione. Piaccia a Dio che con questi mezzi si riesca a recitare bene il Pater noster e che non si finisca, nel dirlo, col pensare a cose del tutto fuori luogo. Io l’ho provato varie volte: e il miglior rimedio che trovo di fronte alla distrazione è tener fisso il pensiero su colui al quale rivolgo le parole. Pertanto, abbiate pazienza e cercate di acquistare l’abitudine a una pratica così necessaria.

CAPITOLO 25

Dice quanto bene riceva un’anima che fa con perfezione la preghiera vocale, e come avvenga talvolta che Dio la elevi da questa preghiera a favori soprannaturali.

1. E perché non crediate che si tragga poco profitto dal pregare vocalmente con perfezione, vi dico che, mentre state recitando il Pater noster o un’altra preghiera vocale, può darsi benissimo che il Signore vi elevi a contemplazione perfetta. Sua Maestà fa vedere così che ascolta chi gli parla e gli rivela la sua grandezza sospendendogli l’intelletto, arrestandogli l’immaginazione, fermandogli – come si dice – le parole in bocca in modo che, anche se vuole, non può parlare se non a prezzo di grandi sforzi.

2. L’anima capisce che questo divino Maestro la sta istruendo senza rumore di parole, nella sospensione delle potenze che, altrimenti, se operassero, le sarebbero di danno piuttosto che di vantaggio; tali potenze godono senza sapere come godano. L’anima va bruciando d’amore e non sa come ami; sa che gode di ciò che ama e non sa come ne goda. Capisce chiaramente che non è un godimento di cui l’intelletto sarebbe mai riuscito ad avere il desiderio; la volontà l’accoglie senza sapere in che modo. Quando arriva a capire qualcosa, vede che non è un bene da potersi meritare con tutte le sofferenze della terra. È un dono del Signore della terra e del cielo che dona da par suo. Questa, figlie mie, è contemplazione perfetta.

3. Da ciò capirete la differenza che c’è fra la contemplazione e l’orazione mentale, perché la seconda, ripeto, consiste nel pensare e intendere di che cosa parliamo, con chi parliamo e chi siamo noi che osiamo rivolgere la parola a un così gran Signore. Considerare tutto questo e altre cose del genere, come, ad esempio, il poco che abbiamo fatto per lui e il molto che siamo obbligate a servirlo, è orazione mentale. Non pensate ad astruserie di altro genere, né vi spaventi il suo nome. Recitare il Pater noster, l’Ave Maria o ciò che vorrete, è orazione vocale. Ma considerate un po’ che musica stonata sarà senza quella mentale: perfino le parole avranno spesso un suono discordante. In queste due specie di orazione noi possiamo far qualcosa, con l’aiuto di Dio; nella contemplazione di cui ho parlato or ora, nulla; è Sua Maestà a far tutto; si tratta di opera sua che supera le nostre umane possibilità.

4. Siccome ho trattato della contemplazione a lungo, quanto meglio mi è stato possibile, nella relazione della mia vita che ho detto d’aver scritto per farla vedere ai miei confessori – i quali me l’avevano comandato –, non ne parlo qui se non sfiorando l’argomento. Quelle tra voi che avranno la grazia di essere elevate dal Signore allo stato di contemplazione vi troveranno alcuni argomenti e consigli che il Signore mi ha concesso di riuscire a esporre, dai quali potranno ricevere conforto e profitto. Questo è il mio parere e anche quello di alcune persone che hanno visto questo libro e che lo stimano degno di attenzione. Che vergogna per me esortarvi a tenere in considerazione una cosa di cui io sono l’autrice! Il Signore sa con quale confusione scrivo gran parte di queste pagine. Sia egli benedetto, per il fatto di sopportarmi tanto! Quelle che – ripeto – sperimentassero l’orazione soprannaturale, cerchino di avere quel libro dopo la mia morte; le altre non hanno motivo di leggerlo. Si sforzino solo di mettere in pratica ciò che ho detto in questo. Lascino fare al Signore, che è colui al quale spetta concedere un simile dono. Egli non ve lo negherà se non vi arrestate nel cammino, ma vi sforzate di arrivare alla fine.

CAPITOLO 26

Indica come raccogliere il pensiero e parla dei mezzi per riuscirvi. È un capitolo assai utile per coloro che cominciano a praticare l’orazione.

1. Ora, ritornando alla nostra orazione vocale, bisogna pregare in modo che senza rendercene conto, Dio ci conceda insieme l’altra, ma per questo – ripeto – occorre pregare come si deve.

L’esame di coscienza, il recitare il Confiteor e il farsi il segno della croce, si sa bene che devono essere la prima cosa. Subito dopo, figlie mie, poiché siete sole, cercate di trovare una compagnia. E quale compagnia migliore di quella dello stesso Maestro che ci ha insegnato la preghiera che state recitando? Immaginatevi questo nostro Signore vicino a voi e considerate con quale amore e con quanta umiltà vi istruisce; credetemi, fate il possibile per non privarvi di un così buon amico. Se vi abituerete a tenervelo vicino, se egli vedrà che lo fate con amore e che vi adoperate a contentarlo, non potrete, come suol dirsi, togliervelo d’attorno; vi assisterà sempre; vi aiuterà in tutte le vostre difficoltà; l’avrete con voi dappertutto. Credete che sia poca cosa aver sempre al fianco un tale amico?

2. Oh, sorelle mie, voi che non potete discorrere molto con l’intelletto, né potete concentrare il vostro pensiero senza cadere in distrazioni, abituatevi a ciò che vi suggerisco, abituatevi! Badate che io so che potete farlo, perché ho trascorso molti anni in questo tormento, di non poter fermare il pensiero su un unico soggetto, ed è un grandissimo tormento, ma so che il Signore non ci lascia mai così sole da non tenerci compagnia se riusciamo a chiederglielo con umiltà; e se non l’otteniamo in un anno, impieghiamocene pure molti! Non rimpiangiamo un tempo così ben speso: chi ci corre dietro? Ripeto che potete acquistarne l’abitudine e adoperarvi a stare in compagnia di questo vero Maestro.

3. Non vi chiedo ora di concentrare il vostro pensiero su di lui, né di fare molti ragionamenti né profonde e sublimi considerazioni con la vostra mente: vi chiedo solo di guardarlo. E chi può impedirvi di volgere gli occhi della vostra anima, anche solo per un attimo, se non potete di più, a questo Signore? Se potete guardare cose ripugnanti, non potrete guardare la cosa più bella che si possa immaginare? Eppure, figlie mie, il vostro Sposo non distoglie mai gli occhi da voi; ha sopportato da voi mille cattiverie e offese, senza che ciò sia bastato perché lasciasse di guardarvi. Sicché è troppo per voi, tolti gli occhi dalle cose esteriori di quaggiù, rivolgerli qualche volta a lui? Badate che egli, come dice alla sposa, non aspetta altro se non un nostro sguardo. Lo troverete sotto l’aspetto in cui lo avrete desiderato. Stima tanto questo sguardo che, per averlo, non trascurerà nulla.

4. Così dicono che si debba comportare una donna con il marito, per essere una buona sposa: mostrarsi triste, se egli è triste, se allegro, allegra, anche quando non lo sia affatto (considerate, sorelle, da quale soggezione vi siete liberate). Ebbene, questo sinceramente, senza alcuna finzione, fa il Signore con noi: si fa vostro servo e vuole che voi siate le padrone, uniformandosi ai vostri desideri. Se vi sentite disposte alla gioia, contemplatelo risuscitato. E solo immaginare come uscì vittorioso dal sepolcro vi riempirà di allegrezza. In effetti, che splendore, che bellezza, quale maestà, quale trionfo e quale giubilo! Quelli che convengono a chi è uscito con gloria dalla battaglia dove ha conquistato un così gran regno che vuole tutto per voi, insieme con lui. È dunque molto che volgiate una volta gli occhi a colui che vi offre tanto bene?

5. Se siete afflitti o tristi, pensate a quando si reca per l’orazione nell’Orto degli ulivi: che profonda afflizione doveva avere nel cuore se, pur essendo il Servo sofferente, manifesta la sua sofferenza e se ne lamenta! O anche pensatelo legato alla colonna, spasimante di dolori, con tutte le carni a brandelli per il grande amore che vi porta! Quanti patimenti! Perseguitato dagli uni e coperto di sputi dagli altri, rinnegato e abbandonato dai suoi amici, senza che alcuno prenda le sue difese, morto di freddo e ridotto in tale solitudine che voi potete, accanto a lui, ben consolarvi a vicenda; o quando, sotto il peso della croce, non gli era concessa una tregua per respirare. Egli vi guarderà con quei suoi occhi tanto belli, compassionevoli, pieni di lacrime, e dimenticherà i suoi dolori per consolare i vostri, solo perché vi rivolgete a lui per essere consolati e volgete la testa dalla sua parte per guardarlo.

6. «Oh, Signore del mondo, vero Sposo mio», potete dirgli, se il vederlo in tale stato vi ha intenerito il cuore al punto che non solo desiderate guardarlo, ma che sentiate la gioia di parlare con lui, non con preghiere studiate, ma con la pena del vostro cuore, di cui egli fa grandissimo conto, «siete giunto a tali estremi, mio Signore e mio Bene, che vi degnate accettare una povera compagnia come la mia, e vedo dal vostro aspetto che vi sentite consolato nel sentirmi vicina a voi. Ma com’è possibile, Signore, che gli angeli vi lascino solo e che vostro Padre non vi consoli? Se, Signore, è perché voi volete sopportare tutto per me, cosa mai è questo che io soffro per voi? Di che mi lamento? Mi vergogno tanto di avervi visto in tale stato che voglio sopportare tutte le sofferenze che mi possano sopravvenire e stimarle come un grande bene per imitarvi in qualche cosa. Camminiamo insieme, Signore; io devo andare dove andrete voi; dovunque passerete, passerò anch’io».

7. Prendete, figlie, su di voi parte del peso di quella croce; non curatevi di poter essere insultate dai giudei, purché il fardello, che tanto l’aggrava, sia più leggero; non badate a quello che vi diranno; fingetevi sorde alle mormorazioni, inciampando e cadendo con il vostro Sposo, non separatevi mai dalla croce, né abbandonatela. Considerate con quanta stanchezza si trascini e quanto il suo tormento superi i vostri patimenti. Per gravi che voi immaginiate che siano, e per quanto vi facciano soffrire, ne uscirete consolate, vedendo che sono uno scherzo in confronto a quelli del Signore.

8. Mi chiederete, sorelle, come ciò possa essere in pratica, perché lo avreste fatto ben volentieri e non avreste mai distolto lo sguardo da lui, se aveste potuto vederlo con gli occhi del corpo nel tempo in cui Sua Maestà era sulla terra. Non credetelo; chi infatti ora non può imporsi un po’ di forza per raccogliersi a contemplare il Signore nell’interno della sua anima (cosa che può fare senza alcun pericolo, ma solo con un po’ di diligenza), molto meno si sarebbe posto ai piedi della croce con la Maddalena, che vedeva la morte a faccia a faccia. Quanto hanno dovuto soffrire la gloriosa Vergine e questa santa benedetta! Quante minacce, quante parole ingiuriose, quanti maltrattamenti e villanie! Con che tipo di cortigiani riguardosi avevano a che fare! Sì, cortigiani dell’inferno, ministri del demonio. Certamente fu terribile quel che dovettero subire, ma di fronte a un dolore ben più grande non sentivano il proprio. Pertanto, sorelle, non credete che sareste state capaci di sopportare così grandi sofferenze, se non siete capaci di affrontare così piccole cose; esercitandovi in esse, riuscirete a conseguirne di più grandi.

9. Ciò che in questo potrà esservi di aiuto è avere un’immagine o un ritratto di questo Signore, che vi piaccia; non per recarlo sul seno e non guardarlo mai, ma per parlare spesso con lui, il quale vi suggerirà quello che gli dovrete dire. Come parlate con le creature umane, perché vi dovrebbero mancare le parole per parlare con Dio? Non temetelo, almeno io non credo che ciò possa accadere, se vi esercitate a farlo. Diversamente sì, perché la mancanza di rapporti con una persona causa un certo imbarazzo alla sua presenza e ci rende incapaci di parlare con lei, come se non la conoscessimo, anche se si tratta di un parente, in quanto parentela e amicizia si perdono con la mancanza di relazione.

10. È pur un grande aiuto prendere un buon libro, in volgare, anche per concentrare il pensiero e pregare bene vocalmente: a poco a poco, con queste attrattive e con questi espedienti, abituerete la vostra anima alla meditazione, senza spaventarla. È come se una sposa da molti anni si sia separata dal suo sposo: perché ritorni alla sua dimora occorre far ricorso a molta diplomazia. Così è di noi peccatori: la nostra anima e la nostra mente sono talmente abituate a seguire il proprio piacere o, meglio, la propria afflizione, che la povera anima non si comprende più, e perché torni a nutrire l’amore di stare nella sua casa, è necessario servirsi di molta diplomazia; se non si fa così e non si procede per gradi non si riuscirà a nulla. Torno a garantirvi che, abituandovi con ogni cura a fare ciò che dico, ne trarrete un tale profitto quale a me non riesce spiegarvi, pur volendolo. Avvicinatevi, dunque, a questo buon Maestro, con la ferma risoluzione d’imparare ciò che egli vi insegnerà. E Sua Maestà farà sì che non manchiate di divenire sue buone discepole, né vi verrà meno se voi non venite meno a lui. Meditate le parole che pronunzia quella bocca divina, e fin dalla prima comprenderete subito l’amore che ha per voi. Non è certo piccolo conforto né dono da poco per un discepolo vedersi amato dal proprio Maestro.

CAPITOLO 27

Tratta del grande amore che il Signore ci ha dimostrato con le prime parole del Pater noster e di quanto importi non fare alcun conto della propria discendenza, se vogliamo essere vere figlie di Dio.

1. Padre nostro che sei nei cieli. Oh mio Signore, come si vede bene che siete Padre di un tal Figlio e che vostro Figlio è Figlio di un tal Padre! Siate benedetto per sempre nei secoli! Non bastava, Signore, che ci accordaste di chiamarvi nostro Padre alla fine della preghiera? Ma voi fin dal principio ci riempite le mani, concedendoci un tale dono, per il quale il nostro intelletto dovrebbe sentirsi così colmo di grazia e la nostra volontà così impegnata da renderci impossibile pronunciare parola. Oh, figlie mie, come verrebbe bene qui trattare della contemplazione perfetta! Oh, come sarebbe conveniente che l’anima si raccogliesse in sé per meglio elevarsi al di sopra di se stessa, affinché questo santo Figlio le spiegasse cosa sia il luogo dove dice abita suo Padre, che è nei cieli! Liberiamoci dalla terra, figlie mie, perché, dopo aver conosciuto l’eccellenza di un tale dono, non è giusto tenerlo in così poco conto da restare ancora in questo mondo.

2. Oh, Figlio di Dio e mio Signore, come potete darci, sin dalla prima parola, tanto bene? Dopo esservi umiliato a tal punto di unirvi a noi nelle nostre richieste e farvi fratello di creature così povere e miserabili, come ci date in nome di vostro Padre tutto ciò che si può dare, volendo che ci abbia per figli? E siccome la vostra parola non può venire meno, voi lo obbligate ad adempierla, il che non è cosa di poco peso, perché, essendo Padre, ci deve sopportare, per quanto gravi siano le nostre offese; perdonarci quando ritorniamo a lui, come il figliuol prodigo; consolarci nelle nostre sofferenze; procurarci di che vivere come si conviene a tal Padre, che è necessariamente migliore di tutti i padri del mondo, perché in lui non può esserci se non l’assoluta perfezione; e, infine, renderci partecipi e coeredi con voi.

3. O Signore, se voi, per l’amore che ci portate e per la vostra umiltà, non indietreggiate di fronte a nessun ostacolo…, quanto più, Signore, se, essendo disceso sulla terra ed essendovi rivestito della nostra carne, con l’assumere la nostra natura, sembra che in un certo qual modo siate obbligato a soccorrerci. È giusto, poi, che vi prendiate cura dell’onore di vostro Padre, che, come voi dite, abita nei cieli. Se voi vi siete votato a subire il disonore per amor nostro, lasciate libero vostro Padre: non lo obbligate a tanto per gente così miserabile come me, che gliene sarà ben poco riconoscente.

4. Oh, buon Gesù! Come avete chiaramente dimostrato che siete una cosa sola con lui e che la vostra volontà è la sua, e la sua è la vostra! Quale chiara testimonianza! Quanto è grande l’amore che nutrite per noi! Avete fatto ricorso a ogni raggiro per nascondere al demonio di essere Figlio di Dio e, animato come siete dall’immenso desiderio del nostro bene, non c’è ostacolo che non superiate per farci intendere una verità così grande. Chi poteva far questo se non voi, Signore? Io non so come, con questa parola, il demonio non abbia compreso chi eravate, senza il minimo dubbio. Almeno io vedo chiaramente, Gesù mio, che voi avete parlato, come Figlio prediletto, per voi e per noi e che avete la potenza di ottenere che si faccia in cielo quanto avete detto sulla terra. Siate benedetto per sempre, Signor mio, così amante di dare, che nessun ostacolo può esservi d’impedimento.

5. Ebbene, figlie mie, non vi sembra un buon Maestro chi, per impegnarci a ad apprendere ciò che c’insegna, comincia col farci un così gran dono? Vi sembra ora, dunque, che sia giusto, pronunciando con le labbra questa parola, non tralasciare di applicarvi anche la mente, tanto che il nostro cuore [non] si spezzi nel vedere un tale amore? Qual è, infatti, in questo mondo il figlio che non cerchi di conoscere suo padre, quando sa che è buono, pieno di tanta maestà e di potenza? Se non fosse così, non mi stupirei che non volessimo riconoscerci per figli suoi, perché il mondo è tale che, se il padre si trova in uno stato inferiore a quello del figlio, a lui sembra un disonore riconoscerlo per padre.

6. Questo no succede qui. Dio voglia che nella nostra casa non ci siano mai simili sentimenti: sarebbe un inferno. Al contrario, quella che è di più nobile famiglia abbia meno di ogni altra il nome di suo padre sulla bocca, perché tutte qui devono essere uguali.

Oh, collegio di Cristo, in cui, per volontà del Signore, aveva più autorità san Pietro, pur essendo un pescatore, che san Bartolomeo, che era figlio di re; Sua Maestà sapeva ciò che doveva accadere nel mondo, dove non si fa altro che discutere chi sia di miglior pasta, e se servirà per far mattoni o muri. Dio mio, quanto ci diamo da fare! Dio vi liberi, sorelle, da discussioni di tal genere, anche se fatte per scherzo; io spero che Sua Maestà vi concederà questa grazia. Se qualcosa di simile si notasse in qualcuna di voi, vi si ponga subito rimedio, ed ella tema di essere come Giuda fra gli Apostoli; le vengano imposte penitenze fino a che capisca che non meritava d’essere tra voi neppure come la terra più vile.

Avete un buon Padre, che vi è dato dal buon Gesù; non riconoscetene altro qui con il quale intrattenervi; procurate, piuttosto, figlie mie, di essere tali da meritare di godere di lui e di gettarvi nelle sue braccia. Ormai sapete che non vi allontanerà da sé se sarete buone figlie. Chi, dunque, non farà di tutto per non perdere un tal Padre?

7. Oh, mio Dio, quanti motivi di consolazione ci sarebbero qui da esporre! Ma per non dilungarmi troppo, voglio lasciare tali pensieri alla vostra intuizione. Per quanto bizzarra possa essere la vostra immaginazione, fra un tal Figlio e un tal Padre dev’esserci sempre lo Spirito santo. Che egli intervenga e infiammi i vostri cuori e li incateni col suo ardentissimo amore, se non basta a tal fine la considerazione di un così grande interesse!

CAPITOLO 28

Spiega cosa sia l’orazione di raccoglimento e indica alcuni mezzi per abituarsi a praticarla.

1. Ora considerate ciò che il vostro Maestro dice: Che stai nei cieli. Pensate che importi poco sapere che cosa sia il cielo e dove si debba cercare vostro Padre, infinitamente santo? Ebbene, io vi dico che, per anime distratte importa molto non solo credere questo ma procurare di capirlo per esperienza diretta, perché è una delle cose che più giovano a tenere a freno l’intelletto e a far raccogliere l’anima.

2. Voi già sapete che Dio è in ogni luogo. Ora, è chiaro che dove sta il re, come si dice, lì sta la sua corte; pertanto, dov’è Dio, lì è il cielo. Senza ombra di dubbio potete credere che dov’è Sua Maestà, là è anche tutta la gloria. Considerate, inoltre, quello che dice sant’Agostino, che lo cercava in molti luoghi e lo trovò finalmente in se stesso. Pensate che importi poco, per un’anima proiettata al di fuori, comprendere questa verità e sapere che non ha bisogno, per parlare con il suo eterno Padre e godere della sua compagnia, di salire al cielo, né ha bisogno di alzare la voce? Per quanto possa farlo sommessamente, egli le è così vicino che l’udrà. E non ha bisogno di ali per andare a cercarlo, ma solo di ritirarsi in solitudine, sentirlo dentro di sé e non meravigliarsi di ricevere un tale Ospite. Con grande umiltà l’anima gli parli come a un padre, gli esponga le proprie pene e gliene chieda il rimedio, consapevole, peraltro, di non meritare d’essere sua figlia.

3. Lasciate perdere certe timidezze che hanno alcune persone pensando che si tratti d’umiltà. L’umiltà non consiste certo nel rifiutare un dono che il re vi fa, ma nell’accettarlo, riconoscendo quanto ne siete immeritevoli, e gioirne. Bella umiltà sarebbe quella che io ospiti l’Imperatore del cielo e della terra in casa mia, dove egli viene per colmarmi delle sue grazie, per compiacersi con me, e per umiltà non voglia rispondergli né restare con lui, né accettare quello che mi dà e lo lasci solo, e quando mi esorta e mi prega di rivolgergli le mie suppliche, per umiltà voglia rimanere nella mia indigenza e perfino lo lasci andar via, dal momento che egli vede che io non riesco ad accettare le sue offerte!

Guardatevi, figlie mie, da queste forme di umiltà, e trattate invece con lui come con un padre, con un fratello, con un maestro, con uno sposo, a volte in un modo, a volte in un altro, perché egli v’insegnerà che cosa dobbiate fare per contentarlo. Smettete di essere sciocche! Chiedetegli di mantenere la sua parola; poiché è vostro Sposo, che vi tratti come tale.

4. Questo modo di pregare, sia pur fatto vocalmente, raccoglie lo spirito assai più rapidamente d’ogni altro e apporta molti vantaggi. Si chiama orazione di raccoglimento, perché l’anima raccoglie tutte le potenze e si ritira in se stessa con il suo Dio. Lì il suo Maestro divino viene e riesce più presto che in qualunque altro modo a istruirla e a concederle l’orazione di quiete. Raccolta, infatti, in se stessa, può meditare sulla passione, rappresentarsi il Figlio di Dio e offrirlo al Padre, senza stancare la mente alla ricerca di lui sul Calvario o nell’Orto degli ulivi o flagellato alla colonna.

5. Le persone che sapranno rinchiudersi in questo piccolo cielo della loro anima, dove abita colui che l’ha creata e che pure creò la terra, e abituarsi a non volgere lo sguardo né a soffermarsi su ciò che può distrarre i loro sensi esteriori, seguono, credano pure, un cammino sicuro: non mancheranno di giungere a bere l’acqua della fonte e faranno molta strada in poco tempo. È come chi, andando per nave, con un po’ di buon vento, giunge al termine del viaggio in pochi giorni, mentre quelli che vanno per terra impiegano molto di più.

6. Queste anime sono già, come suol dirsi, in mare aperto, e benché non abbiano lasciato del tutto la terra, durante l’orazione fanno quello che possono per liberarsi da essa, raccogliendo i loro sensi in se stesse. Se il raccoglimento è vero, lo si vede chiaramente per un certo effetto che produce. Io non so come farlo capire; chi l’avrà provato mi comprenderà: sembra che l’anima, nella consapevolezza che le cose del mondo sono un gioco, si alzi nel momento migliore e se ne vada come chi, per non dover temere gli attacchi del nemico, si rifugia in una fortezza. È un ritirarsi dei sensi dalle cose esteriori, un disprezzarle a tal punto che gli occhi si chiudono spontaneamente per non vederle, mentre lo sguardo dell’anima si acuisce sempre di più. Ecco perché chi va per questo cammino tiene quasi sempre gli occhi chiusi, ed è un’abitudine degna di ammirazione per molte ragioni, benché occorra farsi forza per non guardare le cose di quaggiù, ma questo solo al principio, in quanto poi non è più necessario; anzi, costerebbe di più in quel momento tenerli aperti. Sembra che l’anima comprenda di fortificarsi e di acquistar vigore a spese del corpo, lasciandolo solo e indebolito, e ricuperando nell’orazione nuove forze per combatterlo.

7. E quantunque all’inizio non ci si renda conto di tali effetti, non essendo ancora il raccoglimento tanto perfetto – perché ci sono diversi gradi –, se l’anima si abitua ad esso (pur con la fatica che costa l’inizio, reclamando il corpo i suoi diritti, senza capire che da sé si procura la sua rovina nel non darsi per vinto), se prosegue in tal modo per alcuni giorni e fa seri sforzi, ne vedrà chiaramente il vantaggio. Difatti, appena comincerà a pregare, i suoi sensi si raccoglieranno come quando le api, tornate all’alveare, vi entrano per fare il miele. E questo senza alcuno sforzo da parte sua, perché il Signore ha voluto che, per il tempo in cui ha atteso a ciò, l’anima abbia meritato un tale dominio sulla volontà che non appena fa capire di volersi raccogliere, i sensi le obbediscano e si raccolgano in essa. E, anche se dopo tornano a uscirne, è una gran cosa che si siano ormai assoggettati, perché ne vengono fuori come sudditi e schiavi e non fanno più il male di prima. Se la volontà li richiama, ritornano subito, finché, dopo molti di questi ritorni, il Signore si compiacerà di sospenderli ormai del tutto nella contemplazione perfetta.

8. Cercate di comprendere bene quanto vi ho detto: anche se sembra oscuro; lo capirete facilmente se lo metterete in pratica. Visto che tali anime vanno per mare con il vento in poppa e che è molto importante per noi evitare ogni lentezza, diciamo una parola su come possiamo abituarci a un così proficuo modo di procedere: seguendo questa strada si è più al sicuro da un gran numero di occasioni pericolose e il fuoco dell’amore divino si accende più facilmente; stando infatti proprio vicino al fuoco, basta un minimo soffio dell’intelletto perché tutto, alla minima scintilla, s’incendi. Non essendoci alcun impedimento esteriore e trovandosi l’anima sola con il suo Dio, c’è una straordinaria disposizione a prender fuoco.

9. Immaginiamo, dunque, che dentro di noi ci sia un palazzo di una enorme ricchezza, un edificio tutto d’oro e di pietre preziose, quale, infine, si conviene a un tale Signore; pensate che voi contribuite, com’è vero, al suo splendore, non essendoci alcun palazzo di tanta bellezza che regga il confronto con un’anima pura e piena di virtù. Più queste sono elevate, più le pietre preziose risplendono; pensate, inoltre, che in questo palazzo abita il gran Re che si è compiaciuto di essere vostro Padre e che siede su un trono di grande valore: il vostro cuore.

10. Dapprima ciò potrà sembrarvi fuor di luogo – cioè che io mi serva di tale immagine per farvi intendere quel che dico –, ma può darsi che sia molto proficuo, specialmente per voi, perché, essendo noi donne sprovviste di istruzione, tutto questo è necessario per capire bene come dentro di noi ci sia qualcosa d’incomparabilmente più prezioso di quello che vediamo al di fuori: non crediamoci vuote dentro. E piaccia a Dio che siano soltanto le donne ad essere così sprovvedute! Ritengo infatti impossibile che, se procurassimo di ricordare di avere un tale Ospite dentro di noi, potremmo dedicarci molto di più alle cose del mondo, perché vedremmo quanto sono spregevoli in confronto a quelle che possediamo in noi. E che cosa ci distingue da un animale, il quale, vedendo ciò che gli soddisfa la vista, sazia la sua fame con quella preda? Eppure, dovrebbe esserci una differenza tra gli animali e noi.

11. Forse si potrà ridere di me, dicendo che tutto ciò è ben chiaro, e a ragione, benché per me sia stato oscuro per qualche tempo. Sapevo benissimo di avere un’anima, ma quale fosse il suo valore e chi stesse dentro di essa non lo capivo perché avevo gli occhi bendati dalle vanità della vita per poterlo vedere. Infatti, se avessi capito, come ora, che in questo minuscolo palazzo dell’anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l’avrei lasciato tanto spesso solo; qualche volta, almeno, sarei stata con lui e soprattutto avrei procurato di non esser così piena di macchie. Ma che cosa c’è di più meraviglioso che vedere colui il quale può riempire della sua grandezza mille e mille mondi, rinchiudersi in una casa così piccola? In verità, essendo egli il Signore di tutto, può fare ciò che vuole, e siccome ci ama, si adatta alla nostra misura.

12. Quando un’anima comincia a seguire questa via, perché non abbia turbarsi di vedersi tanto piccola, destinata a racchiudere in sé un essere tanto grande, il Signore non le si rivela finché essa non ingrandisce a poco a poco la sua capacità, proporzionatamente ai doni che vuole accordarle. Per questo dico che può fare ciò che vuole, perché ha il potere d’ingrandire il palazzo dell’anima. Tutto sta nel fargliene dono con piena decisione e di sgombrarlo, affinché egli possa mettere o levare quel che vuole, disponendone come di cosa propria. E Sua Maestà ha ragione, non neghiamoci a lui. Egli non vuol forzare la nostra volontà, prende ciò che gli diamo, ma non si dà interamente a noi finché noi non ci diamo interamente a lui. Questo è fuor di dubbio, ed essendo di grande importanza, ve lo ricordo continuamente: il Signore non agisce nell’anima se non quando, del tutto sgombra da ostacoli, è sua; diversamente, non so come potrebbe agire, amante com’è dell’ordine. Se infatti riempiamo il palazzo di gente da poco e di cose inutili, come può trovarvi posto il Signore con la sua corte? È già molto se si trattiene un momento fra tanti impicci.

13. Credete, forse, figlie mie, che egli venga solo? Non vedete che suo Figlio dice: Che sei nei cieli? È mai possibile che i cortigiani di un tal re osino lasciarlo solo? No, essi stanno sempre con il re, ed essendo pieni di carità, lo pregano continuamente in nostro favore. Non pensate che avvenga come quaggiù, che se un signore o un prelato favorisce qualcuno per motivi determinati o perché così vuole, subito nascono invidie e quel poveretto è visto di mal occhio senza aver fatto nulla a nessuno.

CAPITOLO 29

Prosegue nel suggerire i mezzi adatti per arrivare a questa orazione di raccoglimento. Dice quanto poco dobbiamo preoccuparci di essere nelle grazie dei superiori.

1. Per amor di Dio, figlie mie, rifuggite dal preoccuparvi di avere le grazie dei superiori; ognuna cerchi di fare il proprio dovere e, se il superiore non se ne mostrerà soddisfatto, può essere sicura che lo sarà il Signore, il quale saprà ricompensarla. Non siamo certo venute qui a cercare un premio per questa vita; teniamo sempre fisso il pensiero su ciò che è eterno e non facciamo alcuna stima delle cose terrene, che non durano neanche quanto la vita. Oggi il favore del superiore sarà rivolto a una consorella, domani, se scorge in voi una virtù in più, sarà rivolto a voi, e se anche non fosse così, ha ben poca importanza. Non lasciate il passo a questi pensieri che a volte all’inizio sono cosa da poco, ma possono turbarvi molto; troncateli subito, considerando che il vostro regno non è quaggiù, ove tutto passa assai rapidamente.

2. Ma anche questo è un rimedio da poco, non molto perfetto. È meglio per voi, invece, che la prova duri, che voi restiate in quello stato di contraddizione e di umiliazione e che vogliate starvi per amore del Signore che è in voi. Volgete lo sguardo su voi stesse e guardatevi interiormente, come si è detto; vi troverete il vostro Maestro che non vi verrà mai meno, anzi, quanto minori saranno le consolazioni esterne, tanto più egli vi riempirà di gioia. È pieno di compassione e non abbandona mai le anime afflitte e disprezzate, che hanno fiducia in lui solo. Questo lo dice Davide, che il Signore è con gli afflitti; o ci credete o no; se ci credete, perché vi tormentate tanto?

3. Oh, Signore mio, se vi conoscessimo bene, non c’importerebbe nulla di nulla, perché voi siete molto generoso con chi veramente confida in voi! Credetemi, amiche, è una gran cosa capire tale verità per rendersi conto che i favori di quaggiù son tutti una menzogna quando allontanano anche un po’ l’anima dal raccogliersi in sé. Oh, mio Dio, chi potrebbe farvi capire questo? Non io, di certo; so che, pur essendovi tenuta più d’ogni altra, non riesco a capirlo come si deve.

4. Tornando ora a quello che dicevo, io vorrei sapervi spiegare come può questa santa compagnia, che circonda il Santo dei Santi che abita in noi, non impedire all’anima di ritrovarsi sola con il suo Sposo, quando ella, raccolta nel suo intimo, vuole entrare in questo paradiso con il suo Dio e chiude la porta dietro di sé a tutte le cose del mondo. Dico «vuole» perché sappiate che non si tratta qui di un fatto soprannaturale, ma dipendente dalla nostra volontà e che possiamo realizzare noi stesse con l’aiuto di Dio, senza il quale non si può far nulla; da soli non possiamo avere nemmeno un buon pensiero. Non si tratta, infatti, di un silenzio delle potenze, ma di una loro concentrazione nell’anima.

5. Ciò si ottiene in vari modi. Come è scritto in alcuni libri, dobbiamo distaccarci da tutto per avvicinarci interiormente a Dio e, pur svolgendo le nostre occupazioni, dobbiamo ritirarci in noi stesse; anche se duri un solo momento il ricordo di quella compagnia che abbiamo dentro di noi, è sempre di gran profitto. Infine, dobbiamo acquistare l’abitudine di prendere gusto a non sentire la necessità di gridare per parlargli, perché Sua Maestà ci farà sentire ch’egli è là, dentro di noi.

6. In tal modo pregheremo con molta quiete vocalmente ed eviteremo di avere noia, perché poco dopo esserci sforzati di stare accanto a nostro Signore, egli ci capirà per mezzo di segni. E se, precedentemente, per farci capire da lui, dovevamo recitare il Pater noster molte volte, ora egli ci capirà fin dalla prima. Egli è vivamente desideroso di risparmiarci ogni fatica; anche se in un’ora non lo recitiamo più di una volta, basta, purché comprendiate di essere con lui, siamo consapevoli delle nostre richieste, del vivo desiderio che egli ha di esaudirle e del piacere che prova nello stare con noi; egli non ama che ci rompiamo la testa a fargli lunghi discorsi.

7. Il Signore voglia insegnare questo tipo di orazione a quelle tra voi che non lo conoscono. Da parte mia, vi confesso che non ho mai saputo che cosa fosse pregare con soddisfazione, finché il Signore non me l’ha insegnato; ho sempre trovato tanti vantaggi in quest’abitudine di raccoglimento interiore, che per tal motivo mi sono così dilungata in proposito. Concludo dicendo che chi vorrà pervenire a questo stato – poiché, ripeto, ciò dipende da noi – non si stanchi di cercare di abituarsi a quanto si è detto, vale a dire diventare a poco a poco padrone di sé; lungi dal perdersi senza alcun costrutto, l’anima si guadagna davvero per se stessa, con l’asservire i propri sensi al raccoglimento interiore. Se deve parlare, cerchi di ricordarsi che c’è con chi parlare dentro di sé; se ascoltare, si ricordi di porger l’orecchio a chi le parla più da vicino. Infine consideri che, se vuole, può non separarsi mai da una così buona compagnia e rimpianga il lungo tempo in cui ha lasciato solo suo Padre, pur avendo tanto bisogno di lui. Se può, se ne ricordi molte volte al giorno, o almeno qualche volta. Dal momento in cui ne abbia acquistato l’abitudine, presto o tardi ne trarrà profitto. Dopo aver ottenuto questa grazia dal Signore, non vorrà cambiarla per nessun tesoro.

8. Poiché non s’impara nulla senza un po’ di fatica, per amor di Dio, sorelle, considerate per bene impiegati tutti gli sforzi che in ciò spenderete; io so che se voi ci mettete tutto l’impegno, in un anno, o forse in sei mesi, ne verrete a capo, con l’aiuto di Dio. Considerate quanto sia breve questo lasso di tempo per trarne così gran guadagno, com’è quello di porre una ben salda base mediante la quale il Signore, volendolo, potrà innalzarvi a grandi cose, giacché scoprirà in voi la disposizione adatta, trovandovi vicine a sé. Piaccia a Sua Maestà di non permettere che possiamo mai allontanarci dalla sua presenza! Amen.

CAPITOLO 30

Dice quanto importi capire ciò che si chiede nell’orazione. Tratta di queste parole del Pater noster: Sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum, che si applica all’orazione di quiete, di cui comincia a parlare.

1. Chi è colui, per quanto sconsiderato sia, che dovendo chiedere una grazia a una persona autorevole, non pensi anzitutto come chiedergliela, per riuscirle accetto e non sembrare scortese? Non deve forse sapere cosa chiedere e comprendere il bisogno che ne ha, specialmente se chiede una cosa importante, come quella che c’insegna a chiedere il nostro buon Gesù? Ma ecco quel che mi sembra degno di nota. Non potevate, Signor mio, concludere con una parola e dire: Dateci, Padre, quello che a noi conviene? Per chi conosce tutto così bene, mi sembra che non ci fosse bisogno d’altro.

2. Oh, eterna Sapienza, per voi e per vostro Padre ciò poteva bastare! Così, infatti, voi vi siete espresso nell’orazione dell’Orto degli ulivi; avete manifestato il vostro desiderio e il vostro timore e, poi, vi siete rimesso alla sua volontà. Ma, mio Signore, voi ci conoscete e, sapendo che non siamo così sottomessi alla vostra volontà come lo eravate voi a quella di vostro Padre, avete ritenuto necessario precisare bene le domande per farci considerare se ciò che gli chiediamo ci conviene e, in caso contrario, indurci a non chiederglielo. Siamo così fatti, in realtà, che se non ci viene dato quello che chiediamo, con questo libero arbitrio di cui disponiamo non accetteremo ciò che il Signore voglia darci. D’altronde, anche se è il meglio, non crediamo mai di essere ricchi se non quando abbiamo il denaro tra le mani.

3. Oh, mio Dio, com’è debole la nostra fede! Tanto debole che non riusciamo a capire né quanto sia certo il castigo né quanto lo sia il premio che avremo! Per questo è bene, figlie mie, che sappiate ciò che chiedete nel Pater noster affinché, se il Padre eterno ve lo concederà, non abbiate a rifiutarglielo; considerate assai attentamente se vi conviene; altrimenti non chiedeteglielo, ma pregate Sua Maestà di illuminarvi, perché siamo ciechi e proviamo ripugnanza per i cibi che devono darci la vita, mentre ricerchiamo quelli che ci condurranno alla morte. E che morte spaventosa ed eterna!

4. Il buon Gesù, dunque, ci invita a dire le seguenti parole con le quali chiediamo che venga in noi un tale regno divino: Sia santificato il tuo nome, venga a noi il tuo regno. Ma considerate, figlie mie, l’infinita sapienza del nostro Maestro. Considerate qui, con me, perché è bene rendersene conto, che cosa chiediamo con questo regno. Sua Maestà ha visto che non potevamo santificare, lodare, esaltare né glorificare degnamente questo santo nome dell’eterno Padre con le nostre scarse possibilità, se non provvedeva a darci quaggiù il suo regno, e per questo il buon Gesù pose queste due richieste l’una accanto all’altra. Voglio dirvi qui quello che ne penso, affinché possiamo comprendere non solo ciò che gli chiediamo, ma quanto importi insistere per ottenerlo e fare di tutto per piacere a colui che ci può esaudire. Nel caso che non vi soddisfi questa mia spiegazione, trovate voi altre considerazioni. Il nostro Maestro vi autorizzerà, purché vi sottomettiate in tutto a ciò che insegna la Chiesa, come faccio anch’io in questo stesso momento.

5. Ora, il gran bene che a me sembra vi sia nel regno dei cieli, insieme con molti altri, è non tenere più in alcun conto le cose della terra, ma sentire in sé un gran riposo e una piena felicità, gioire della gioia di tutti, godere di una pace continua e provare una profonda soddisfazione interiore nel vedere che tutti santificano e lodano il Signore, ne benedicono il nome e nessuno l’offende. Tutti lo amano e l’anima stessa non attende ad altro, se non ad amarlo, perché lo conosce. E così l’ameremmo quaggiù, conoscendolo, anche se non con questa perfezione e continuità, ma sempre molto diversamente da come lo amiamo.

6. A quanto dico, sembrerebbe che dobbiamo essere angeli per rivolgergli questa richiesta e pregare bene vocalmente. Ben lo desidererebbe il nostro divino Maestro, visto che ci prescrive di rivolgergli una richiesta così sublime, e si può essere certi che egli non ci suggerisce di chiedere cose impossibili. Sarebbe possibile pertanto, con l’aiuto di Dio, che un’anima vivente ancora in quest’esilio l’ottenesse, anche se non con la perfezione di quelle che son libere da questo carcere, perché dopo tutto si è ancora tra i flutti del mare e in viaggio. Ma vi sono momenti in cui il Signore, vedendoci stanchi del cammino, ci procura un riposo delle potenze e una serenità dell’anima tali da far chiaramente capire, per segni manifesti, quale sia il sapore di ciò che viene dato a coloro che egli introduce nel suo regno; e a quelli di cui esaudisce quaggiù la richiesta dà pegni capaci di alimentare la grande speranza di andare a godere eternamente ciò che qui ci viene dato a sorsi.

7. Se non doveste accusarmi di parlare di contemplazione, verrebbe a proposito, in questa richiesta del Pater, dire qualcosa sull’inizio della pura contemplazione, chiamata, da coloro che ne sono favoriti, orazione di quiete. Ma – ripeto – io tratto di orazione vocale, e a chi non ne abbia esperienza sembra che una cosa non vada bene con l’altra, mentre io so che si conciliano perfettamente. Perdonatemi se ve ne voglio parlare, perché conosco molte persone le quali, mentre pregano vocalmente – com’è stato detto – sono elevate da Dio, senza che esse sappiano come, a un alto grado di contemplazione. Ne conosco una, ad esempio, che non poté mai praticare se non l’orazione vocale e, attaccata ad essa, realizzava tutto. Se, invece, non pregava così, l’intelletto si smarriva talmente che diventava un supplizio. Magari avessimo tutte un’orazione mentale così perfetta com’era la sua vocale! In certi Pater noster che recitava in onore delle varie volte in cui il Signore sparse il suo sangue – e in poche altre preghiere – impiegava alcune ore. Una volta venne da me piena d’angoscia perché non sapeva elevarsi alla contemplazione, ma solo pregare vocalmente. Le chiesi cosa recitasse: vidi allora che, fedele al Pater noster, arrivava alla pura contemplazione e il Signore la elevava anche fino all’orazione di unione. Del resto, appariva chiaro dalle sue opere che doveva ricevere grazie assai sublimi, perché spendeva santamente la sua vita. Io ne lodai il Signore e invidiai la sua orazione vocale. Se questo è vero – com’è in realtà – non pensate, voi che siete nemici dei contemplativi, di non poter diventarlo anche voi, se recitate le orazioni vocali come devono essere recitate, con una coscienza pura.

CAPITOLO 31

Prosegue sullo stesso argomento. Spiega cosa sia l’orazione di quiete e dà alcuni consigli a coloro che la praticano. È un capitolo molto importante.

1. Voglio ora, figlie mie, continuare a spiegarvi – secondo quanto ho sentito dire da altri o il Signore ha voluto farmi capire, forse proprio perché ve ne parli – questa orazione di quiete. In questa preghiera a me sembra, come ho detto, che il Signore cominci a mostrarci che ascolta la nostra richiesta, dando inizio al possesso del suo regno quaggiù, affinché lo lodiamo sinceramente, santifichiamo il suo nome e procuriamo che lo facciano tutti.

2. Questa è già una cosa soprannaturale che non possiamo procurarci da noi, nonostante ogni nostra diligenza possibile. L’anima infatti entra ormai nella pace o, per meglio dire, ve la fa entrare il Signore con la sua divina presenza, come fece con il giusto Simeone. Allora tutte le potenze restano inattive e l’anima si rende conto, per virtù di una consapevolezza del tutto estranea a quella procurata dai sensi esterni, d’essere ormai assai vicina al suo Dio, tanto che, innalzandosi un po’ di più, diverrebbe una cosa sola con lui, mediante l’unione. Mi esprimo così non perché lo veda con gli occhi del corpo o con quelli dell’anima. Nemmeno il giusto Simeone, guardando il glorioso Gesù, vedeva più di un bambino poverissimo; dai panni che l’avvolgevano e dalle poche persone che l’accompagnavano nella processione, l’avrebbe piuttosto creduto figlio di povera gente che Figlio del Padre celeste, ma lo stesso infante divino glielo fece intendere. A questa medesima comprensione l’anima giunge qui, anche se non con uguale chiarezza, non sapendo ancora come riesca a capirlo; vede solo che è nel suo regno, o per lo meno vicino al Re che glielo deve dare, e si sente compresa di tale rispetto da non osare chiedere nulla. Si è come tramortiti, interiormente ed esteriormente, al punto che l’uomo esteriore (cioè il «corpo», perché m’intendiate meglio) non vorrebbe muoversi, allo stesso modo di chi, arrivato quasi al termine del cammino, si concede un po’ di riposo, per poi riprendere il viaggio, con forze rinnovate, perché in quella sosta gli si raddoppiano.

3. Si provano un grande benessere fisico e una profonda gioia spirituale. L’anima è così felice solo di vedersi vicino alla fonte, che anche prima di bere si sente già sazia. Le sembra che non ci sia altro da desiderare: le potenze sono talmente tranquille che non vorrebbero muoversi; tutto le appare d’impedimento ad amare, anche se le potenze non sono così assopite da non percepire chi sia colui presso il quale si trovano, perché due di esse restano libere. Solo la volontà è qui schiava, e se, in questo stato, può sentire qualche pena, è quella di sapere che deve riacquistare la libertà. L’intelletto non vorrebbe comprendere che una cosa, la memoria non ricordarne che una sola, perché vedono che la volontà sola è necessaria, mentre le altre due facoltà non fanno che turbare l’anima. Coloro che sono in questo stato non vorrebbero che il corpo si muovesse, nel timore di perdere quella pace, pertanto non osano muoversi. Dà loro pena il parlare: per dire un solo Pater noster possono impiegare anche un’ora. Sono così prossimi a Dio che s’intendono per segni. Stanno nel palazzo accanto al loro Re e capiscono che egli comincia a dar loro fin da questa vita «il suo regno»; non hanno l’impressione di stare nel mondo, né vorrebbero vederlo né udirlo, per vedere e udire soltanto il loro Dio; nulla dà loro pena e nulla sembra possa dargliene. Infine, per tutto il tempo in cui permangono in questo stato, con la soddisfazione e la gioia che hanno in sé, le anime sono talmente estasiate che non ricordano che ci sia altro da desiderare e direbbero volentieri con san Pietro: «Signore, facciamo qui tre tende».

4. Qualche volta, in questa orazione di quiete Dio concede un’altra grazia assai difficile da capire, se non se ne è fatta molta esperienza; ma per poco che tale esperienza esista, chi l’avesse fatta m’intenderà subito e sarà per lui una gioia grande sapere cosa sia. Io credo anche che Dio la conceda spesso insieme con la precedente. Quando lo stato di quiete è profondo e dura molto, mi sembra che, se la volontà non fosse attaccata a qualcosa, non potrebbe restare a lungo in quella pace. Accade infatti di sentirci per un giorno o due pieni di questa felicità, senza renderci conto di come ciò avvenga. Si vede bene – mi riferisco a quelli che godono di questo favore – che non si è tutti interi nell’applicarsi a qualcosa: manca il meglio, la volontà che, a mio parere, è unita a Dio e lascia le altre potenze libere, affinché si occupino di cose attinenti al suo servizio. E per questo esse hanno allora una capacità molto maggiore, mentre per trattare le cose del mondo sono inabili e, a volte, come inebetite.

5. È una grande grazia, questa, per chi la riceve dal Signore, in quanto unisce in sé la vita attiva e la vita contemplativa. Tutto serve, allora, in noi all’unisono il Signore, perché la volontà attende al suo lavoro, cioè alla sua contemplazione, senza sapere come lo compia; le altre due potenze fanno l’ufficio di Marta; pertanto Marta e Maria vanno insieme. Io so di una persona alla quale il Signore concedeva spesso questo stato. Non riuscendo a capirci nulla, ne chiese spiegazione a un grande contemplativo, il quale le disse che era una cosa possibile e che a lui accadeva spesso. Penso pertanto che, essendo l’anima così soddisfatta in questa orazione di quiete, la potenza della volontà sia quasi sempre unita a colui che solo può soddisfarla.

6. Mi sembra che sarà bene qui dare alcuni suggerimenti a quelle tra voi, sorelle, che il Signore, solamente per sua bontà, ha fatto giungere a questo stato, perché so che ve ne sono alcune. Il primo è che, vedendosi così piene di gioia senza sapere come tale gioia sia loro venuta, per lo meno rendendosi conto di non averla potuta raggiungere per se stesse, sono prese dalla tentazione di credere alla possibilità di trattenerla, così che non vorrebbero neppure respirare. Ed è una sciocchezza, perché allo stesso modo in cui non possiamo far spuntare il giorno, così non possiamo evitare che faccia notte: non è già tale grazia opera nostra, ma soprannaturale ed è assolutamente impossibile acquistarla con le nostre forze. Il modo migliore per conservarla è comprendere chiaramente che a questo riguardo noi non abbiamo voce in capitolo, che ne siamo in degnissimi e che dobbiamo riceverla con riconoscenza, senza servirci di molte parole, ma solo di un alzare gli occhi come il pubblicano.

7. È bene ricercare una maggiore solitudine per meglio facilitare l’azione del Signore e lasciare che Sua Maestà operi in noi come in casa propria. Tutt’al più, di quando in quando, pronunciare una parola dolce, come chi soffia leggermente sulla candela, quando la vede spegnersi, per ravvivarne la fiamma; ma, io credo, non servirebbe ad altro che a spegnerla se sta ardendo. Dico pertanto che il soffio dev’essere leggero, onde evitare che, per mettere insieme con l’intelletto molte parole, non si occupi la volontà.

8. Considerate attentamente, amiche mie, questo suggerimento che ora voglio darvi, perché vi vedrete molte volte nell’impossibilità di farcela con le altre due potenze. Accade, infatti, che l’anima sia immersa in una quiete profonda e che l’intelletto sia così distratto da non accorgersi che quanto avviene si svolge nella sua casa; gli sembra allora d’essere un ospite in casa altrui; va allora in cerca di altro alloggio dove stare, non essendo soddisfatto di quello, perché non gli piace stare fermo. Forse sarà così solo del mio, e diversamente degli altri. Parlo dunque di me stessa. Alcune volte desidero morire, incapace come sono di porre un rimedio a questa mobilità dell’intelletto. Altre volte questo sembra trovare stabilità in casa sua, accompagnandosi alla volontà, e quando tutt’e tre le potenze sono in buona armonia, è un paradiso, come avviene di due sposi: se si amano, ognuno vuole quel che vuole l’altro, mentre, se sono male accoppiati, si vede subito l’inquietudine che un marito può dare a sua moglie. La volontà pertanto, quando si trova in questa quiete non faccia caso dell’intelletto più che di un pazzo, perché se lo vuole trascinare con sé, forzatamente dovrà distrarsi e in parte turbarsi. Al grado di orazione a cui è giunta tutto ciò sarà affaticarsi per non guadagnare nulla, anzi, perdere quello che il Signore le concede senza alcuna fatica da parte sua.

9. Fate attenzione a questo paragone, che mi sembra cada a proposito qui: l’anima è come un bambino lattante attaccato al seno della madre, la quale, senza che egli faccia lo sforzo di succhiare, gli spreme il latte in bocca per tenerezza. Così avviene qui dove, senza alcun lavoro dell’intelletto, la volontà è intesa ad amare e comprende, senza pensarci, per volere di Dio, che sta con lui e che non deve far altro se non inghiottire il latte che Sua Maestà le pone in bocca e godere di quella dolcezza, riconoscendo che tale grazia le viene dal Signore; goda, quindi, di goderne, ma non cerchi di capire come ne goda e che cosa gode; si sforzi, anzi, di dimenticarsi, perché chi le sta accanto non mancherà di provvedere a ciò che le conviene. Al contrario, se si mette a lottare con l’intelletto per farlo partecipe del suo stato, trascinandolo con sé, non potrà arrivare a tutto e necessariamente si lascerà cadere il latte dalla bocca, perdendo così quel sostentamento divino.

10. La differenza tra questa orazione e quella in cui tutta l’anima è unita a Dio è che in quest’ultima non si ha neanche bisogno d’inghiottire il nutrimento; lo pone il Signore all’interno di noi stessi, senza che sappiamo come. Nell’altra, invece, sembra volere che si lavori un po’, anche se il lavoro si compie con tanta tranquillità che quasi non si avverte. Chi dà questo tormento all’anima è l’intelletto, il che non accade quando c’è l’unione di tutt’e tre le potenze, perché colui che le ha create ne sospende l’attività singola. Infatti, con la gioia di cui le inonda, sono tutte rapite in questo, senza sapere né intendere come. Ripeto, pertanto, quando l’anima si trova in questa orazione sperimenta una felicità dolce e profonda della volontà. Benché non possa precisare in cosa consista, vede tuttavia che è assai diversa da ogni soddisfazione terrena e che non basterebbe essere padroni del mondo con tutti i suoi piaceri per poter sentire in sé quella gioia. Questa è nell’intimo della volontà, mentre i piaceri della vita essa li gode, mi sembra, all’esterno della volontà, come, per così dire, nella superficie di essa. Quando, dunque, si vede elevato a un alto grado di orazione (che è, come ho già detto, evidentemente soprannaturale), non si preoccupi se l’intelletto o – per essere più chiara – il pensiero, si lasciasse andare alle maggiori insensatezze del mondo. Si rida di esso, lo consideri come un pazzo e se ne resti nella sua quiete, incurante del suo andirivieni. Qui la volontà è potente sovrana e lo richiamerà a sé senza che voi ve ne occupiate. Se, poi, l’anima vuol richiamarlo a viva forza, perde l’energia che ha contro di esso in virtù del nutrirsi e accogliere in sé quel divino sostentamento, sì che né l’uno né l’altro guadagneranno nulla, ma entrambi perderanno. Si dice che «chi troppo vuole nulla stringe», e così credo che avverrà qui. L’esperienza vi aiuterà a capirlo, perché non mi meraviglierebbe che tutto ciò possa sembrare molto oscuro e non necessario a chi non l’abbia provato. Ma, ripeto che per poco che se ne faccia esperienza, si capirà, se ne trarrà vantaggio e si loderà il Signore che mi ha concesso di riuscire a parlarvene qui.

11. Ora, dunque, concludiamo dicendo che l’anima, giunta a questa orazione, può già credere che l’eterno Padre abbia esaudito la sua richiesta di darle il suo regno quaggiù. Oh, benedetta richiesta che ci fa chiedere un così gran bene senza saperlo! Oh, benedetto modo di chiedere! Per questo, sorelle, vorrei che considerassimo bene come recitiamo quest’orazione del Pater noster e tutte le altre preghiere vocali. Una volta che Dio ci ha fatto questa grazia, non dobbiamo più preoccuparci delle cose del mondo, in quanto il Signore, arrivando nell’anima, la sgombra di ciò che la occupa. Non dico che tutti coloro che abbiano tale grazia debbano essere, per ciò stesso, staccati completamente dal mondo, ma desidero che almeno capiscano quello che loro manca, si umilino e si adoperino gradatamente a distaccarsi in modo assoluto, altrimenti resteranno fermi a questo punto. Quando un’anima riceve da Dio tali pegni è segno che è stata da lui eletta a grandi cose: se non è per sua colpa, andrà molto innanzi. Ma se Dio vede che, pur avendo egli posto il regno del cielo nella sua casa, se ne ritorna alla terra, non solo non gliene svelerà i segreti, ma le farà di rado questa grazia e per breve tempo.

12. Può anche essere che io m’inganni in proposito. Vedo, però, e so che le cose vanno così, anzi, sono convinta che sia questo il motivo per cui vi sono poche anime dedite alla vita spirituale. Siccome non rispondono con le opere a una tale grazia, non tornando a disporsi a riceverla, ma ritirando dalle mani del Signore la volontà che ormai riteneva come cosa sua, e collocandola in cose tanto vili, il Signore va in cerca di anime che lo amino davvero, per concedere loro favori più grandi. Tuttavia il Signore lascia alle prime quello che ha loro elargito, purché vivano con una coscienza pura. Ma vi sono persone, e io sono stata una di esse, alle quali il Signore dà sentimenti di devozione, sante ispirazioni, luce sulla vanità del tutto e, infine, il dono di quiete, mentre esse fanno le sorde. Questo perché sono talmente desiderose di parlare e di dire molte orazioni vocali in gran fretta, come chi vuole portare a termine presto il suo compito, nella misura in cui sono obbligate a recitarle ogni giorno. E sebbene – come ho detto – il Signore ponga loro nelle mani il suo regno, non lo accettano, perché pensano di far meglio con le loro preghiere, e così si distraggono dall’orazione di quiete.

13. Voi, sorelle, non fatelo, e state bene attente quando il Signore vi concederà questa grazia. Badate che, perdendola, perdereste un gran tesoro e che fate molto di più pronunciando di quando in quando una sola parola del Pater noster che recitandolo molte volte in fretta. Colui che voi pregate è così vicino che non mancherà di ascoltarvi. Credetemi, in questo consiste il lodare e santificare veramente il suo nome. Infatti voi allora glorificherete il Signore come persone della sua casa, lo loderete con maggiore affetto e fervore e, infine, vi sembrerà impossibile fare a meno di servirlo.

CAPITOLO 32

Tratta di queste parole del Pater noster: Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra, e dice quanto merito abbia chi le reciti con piena determinazione e quale splendida ricompensa ne riceva dal Signore.

1. Ora che il nostro buon Maestro ha chiesto per noi e ci ha insegnato a chiedere un bene di tale valore che racchiude in sé tutto ciò che noi quaggiù possiamo desiderare, e ci ha elargito una grazia così incomparabile qual è quella di farci suoi fratelli, vediamo cosa vuole che diamo a suo Padre, cosa gli offre in nome nostro e cosa esige da noi, perché è giusto che gli rendiamo qualche servigio in contraccambio di così grandi benefici. Oh, buon Gesù, com’è poco quello che gli offrite da parte nostra, in confronto a quello che chiedete per noi! Eppure, lasciando da parte che è in sé un puro niente di fronte al molto che dobbiamo, e a un così gran sovrano, è certo però che voi, Signore, non ci lasciate più nulla, perché diamo tutto ciò che possiamo, se ci atteniamo a quanto le parole promettono.

2. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Avete fatto bene, o nostro buon Maestro, a rivolgere al Padre la richiesta precedente per metterci in condizione di adempiere quello che gli offrite da parte nostra; altrimenti, mi sembra, ci sarebbe impossibile farlo. Ma, siccome vostro Padre esaudirà la vostra richiesta di darci quaggiù il suo regno, io so che comproveremo la verità della vostra promessa se offrite quel che offrite da parte nostra. Quando la terra della mia anima sarà cambiata in cielo, sarà più facile che si compia in me la vostra volontà. Senza questa trasformazione, però, e per giunta se si tratta di una terra così vile e sterile come la mia, io non so, Signore, come ciò sarebbe possibile. È gran cosa ciò che offrite da parte nostra.

3. Quando penso a questo, rido di certe persone che non osano chiedere sofferenze al Signore, temendo di essere subito esaudite. Non parlo di quelle che tralasciano di farlo per umiltà, non sembrando loro d’essere forti per sopportarle, anche se sono convinta che chi ispira in esse un tale desiderio da testimoniargli il proprio amore con i patimenti, gliene darà anche la forza per sopportarli. Ma vorrei domandare a quelli che non li chiedono nel timore d’essere subito esauditi, cosa intendono dire quando supplicano il Signore di adempiere in essi la sua volontà, ovvero se lo dicano per dire quel che dicono tutti, e non nell’intento di mettere in pratica le loro parole. Questo, sorelle, non sarebbe ben fatto. Considerate che qui il buon Gesù appare nostro ambasciatore, avendo voluto far da intermediario tra noi e suo Padre, e non gli è costato poco: non sarebbe quindi giusto che tralasciassimo di realizzare ciò che egli offre in nostro nome, oppure non dovremmo dirlo.

4. Ora voglio far ricorso a un altro motivo per convincervi. Considerate, figlie mie, che, volenti o nolenti, ciò accadrà, perché la sua volontà deve compiersi così in cielo come in terra; credetemi, ascoltate il mio consiglio e fate di necessità virtù. Oh, mio Signore, che gran favore è stato per me non lasciare alla mercé di una volontà così dappoco come la mia l’adempimento della vostra! Sia glorificato il vostro nome in eterno! Povera me, Signore, se fosse dipeso da me l’adempimento della vostra volontà! Ora io vi do liberamente la mia, anche se non esente da interesse, perché so di certo, e per lunga esperienza, il grande bene che si ricava nel rimettere liberamente la propria volontà nelle vostre mani. Oh, amiche mie, quale gran guadagno! E che gran perdita, se non adempiamo quanto diciamo al Signore nel Pater noster con l’offerta che gli facciamo!

5. Prima di esporvi quello che si guadagna, voglio spiegarvi l’importanza della vostra offerta, affinché non dobbiate addurre il pretesto di un errore dicendo che non l’avevate capito. Che non vi avvenga come ad alcune religiose, le quali non fanno altro se non promettere, e poiché non mantengono le promesse, trovano una scusa nel dire che non avevano capito quello che promettevano. E può anche essere, perché dire di rimettere la propria volontà in quella altrui sembra molto facile, fino a che, alla prova dei fatti, ci si rende conto che è la cosa più difficile da farsi, se si adempie come dev’essere adempiuta, tanto che i superiori, conoscendo la nostra debolezza, non sempre usano con noi il dovuto rigore e a volte trattano allo stesso modo i forti e i deboli. Qui non è così, perché il Signore conosce le possibilità di ognuno e quando vede che un’anima è forte non si trattiene dal compiere in essa la sua volontà.

6. Voglio ora chiarirvi e ricordarvi quale sia la sua volontà. Non abbiate paura che consista nel volervi donare ricchezze, piaceri, onori, né tutti gli altri beni di quaggiù. Vi ama troppo e stima molto ciò che gli offrite, per non volervelo pagare bene, visto che vi dà il suo regno fin da questa vita. Volete sapere come si comporta con quelli che gli fanno una sincera promessa? Chiedetelo al suo Figlio glorioso, che nell’orazione dell’Orto degli ulivi gli rivolse queste stesse parole. Poiché le disse con ferma risoluzione e di tutto cuore, guardate un po’ se ha ben compiuto in lui la sua volontà, con tutti i patimenti, i dolori, le ingiurie e le persecuzioni a cui lo sottopose, per farlo morire, alla fine, crocifisso.

7. Ciò è quanto, figlie mie, il Padre diede a chi amava di più; da qui potete capire quale sia la sua volontà. Ecco, quindi, quali sono i suoi doni in questo mondo. Ce li dà in conformità dell’amore che nutre per noi: a chi ama di più dà tali doni in maggior misura; a chi ama meno, in minor misura, tenendo anche conto del coraggio che vede in ciascuno e dell’amore che ognuno ha per Sua Maestà. Quando lo si ama molto, egli vede che si può patire molto per lui; quando poco, che si può patire poco. Io sono convinta che la misura per riuscire a sopportare una grande o una piccola croce è data dall’amore. Pertanto, sorelle, se avete quest’amore, fate sì che non siano parole di compiacimento quelle che rivolgete a così gran Signore, ma sforzatevi di sopportare quanto vorrà mandarvi Sua Maestà. Dargli la propria volontà in altro modo sarebbe come mostrare a qualcuno una pietra preziosa apprestandosi a dargliela e pregandolo di accettarla, e poi, quando l’altro tende la mano per prenderla, tornare a tenersela ben stretta.

8. Non son questi scherzi da farsi a chi ne ha sofferti troppi per noi; anche se non ci fosse altro motivo, non è giusto che ci prendiamo gioco di lui tante volte, perché non son poche quelle in cui gli rivolgiamo tale offerta nel Pater noster. Diamogli una buona volta questa pietra preziosa che gli offriamo da tanto tempo! È certo che se non è lui il primo a darci il suo dono, è perché noi, anzitutto, dobbiamo dargli la nostra volontà. Per le persone del mondo sarà già molto se sono fermamente decise a mantenere la loro promessa. Voi, figlie mie, dovete dire e fare, servirvi di parole e di opere, come in verità sembra che facciano tutti i religiosi. A volte, però, anche se non solo ci disponiamo a dargli la gioia, ma gliela mettiamo addirittura in mano, poi gliela riprendiamo. All’inizio siamo generosi e poi così avari che sarebbe stato forse meglio se fossimo stati più cauti nel dare.

9. Tutti i consigli che vi ho dato in questo libro hanno lo scopo d’indurvi a consacrarvi totalmente al Creatore, porre la vostra volontà nella sua e distaccarvi dalle creature. Avrete già capito quanto ciò sia importante e non insisto oltre; voglio soltanto dirvi perché il nostro buon Maestro ponga qui le suddette parole, come chi conosce il gran profitto che trarremo dal rendere questo servizio al suo eterno Padre. Infatti, per mezzo di esse, ci disponiamo ad arrivare rapidamente al termine del cammino e a bere l’acqua viva di quella fonte di cui ho parlato. Se, invece, non rimettiamo completamente la nostra volontà in quella del Signore perché operi in tutto quel che ci riguarda conformemente alla sua volontà, non ci lascerà mai bere l’acqua di tale fonte. L’acqua è la contemplazione di cui mi avete pregato di parlarvi.

10. In essa – come già vi ho detto – non facciamo nulla da parte nostra; nessun lavoro, nessuno sforzo; non c’è bisogno di altro (perché tutto il resto è d’impaccio e d’impedimento) se non dire: fiat voluntas tua: si compia, Signore, in me la vostra volontà in tutti i modi e con tutti i mezzi dei quali piacerà a voi, Signor mio, servirvi. Se vorrete che ciò sia mediante sofferenze, datemi la forza necessaria, e che vengano; se mediante persecuzioni, malattie, disonori e indigenze, ecco sono pronta: non volgerò la testa indietro, né sarebbe giusto che vi voltassi le spalle. Poiché vostro Figlio vi consegnò, in nome di tutti, anche la mia volontà, non è giusto che io, da parte mia, manchi a tale impegno. Ma perché lo possa fare, concedetemi la grazia di questo vostro regno, che egli vi ha chiesto per me e disponete di me come di cosa vostra, secondo la vostra volontà.

11. Oh, sorelle mie, che forza racchiude questo dono! Se esso è ispirato dalla determinazione che deve accompagnarlo, non può mancare di attirare l’Onnipotente a essere una cosa sola con la nostra pochezza, trasformarci in lui e operare l’unione del Creatore con la creatura. Guardate un po’ se sarete ben pagate e se avete un buon Maestro, il quale sapendo come deve conquistare il cuore di suo Padre, ci insegna in che modo e con quali mezzi dobbiamo servirlo.

12. E quanto più diventa palese dalle opere che le nostre non sono parole di convenienza, tanto più il Signore ci avvicina a sé ed eleva l’anima su tutte le cose di quaggiù e sopra se stessa per prepararla a ricevere grazie sublimi, giacché non finisce mai di pagare in questa vita tale dono. Lo stima tanto che noi non sappiamo più che cosa chiedergli, e Sua Maestà non si stanca mai di dare. Non contento infatti di aver fatto dell’anima una cosa sola con lui, per averla ormai unita a sé, comincia a compiacersene, a scoprirle segreti, godendo che capisca quanto ha guadagnato e che sappia qualcosa di quanto le ha riservato; infine, le fa perdere a poco a poco i sensi esterni, perché nulla le sia d’impedimento. Questo è il rapimento. E comincia allora a trattarla con tanta amicizia che non solo le restituisce la sua volontà, ma le dà, insieme, la propria, compiacendosi, ora che la tratta con tanta amicizia, di far sì che comandino a turno – come si dice – e di adempiere le sue richieste, come ella adempie ciò ch’egli le comanda di fare; solo ch’egli opera molto meglio perché, essendo onnipotente, può ciò che vuole e non smette mai di volere.

13. Invece l’anima, poveretta, qualunque cosa voglia, non può fare quel che vorrebbe, anzi, non può far nulla senza un dono di Dio. Questa è la sua maggior ricchezza: restare tanto più debitrice quanto più serve, e spesso tormentata dal vedersi soggetta a tanti inconvenienti, ostacoli e legami che comporta lo stare nel carcere di questo nostro corpo, perché vorrebbe pagare almeno qualcosa del suo debito. Ma è molto sciocca a tormentarsi; infatti, se anche facesse tutto quello che dipende da lei, che cosa possiamo pagare noi che – ripeto – non abbiamo nulla da dare se non lo abbiamo ricevuto? Non possiamo fare altro che riconoscerci incapaci e compiere perfettamente quanto possiamo con il dono della nostra volontà. Tutto il resto è d’intralcio per l’anima che il Signore ha elevato a questo stato; così, invece di giovarle, le nuoce, perché solo l’umiltà può essere di qualche vantaggio, non quella che si acquista con l’intelletto, bensì quella che deriva dall’evidenza della verità e fa capire in un momento ciò che in molto tempo non si riusciva a immaginare con faticose riflessioni circa la nullità assoluta del nostro essere e la grandezza di Dio.

14. Voglio darvi un consiglio: non pensate d’arrivare a questo stato in virtù dei vostri sforzi e del vostro zelo; sarebbe inutile: se prima avevate devozione, ora cadreste nella freddezza. Dovete solo, con la semplicità e l’umiltà che ottiene tutto, dire: fiat voluntas tua.

CAPITOLO 33

Indica quanto abbiamo bisogno che il Signore ci dia quello che gli chiediamo con queste parole del Pater noster: Panem nostrum quotidianum da nobis hodie.

1. Il buon Gesù si rendeva conto, dunque, di quanto fosse difficile quest’offerta fatta al Padre in nostro nome, conoscendo la nostra umana fragilità e sapendo che spesso fingiamo di non conoscere quale sia la volontà del Signore. Di fronte alla nostra debolezza, pietoso com’egli è, capì che occorreva trovare un mezzo per aiutarci, perché non adempiere quanto era stato promesso sarebbe stato contrario al nostro interesse, visto che in ciò sta tutto il nostro profitto. Si rese dunque conto della difficoltà di quest’adempimento. Infatti, se si dice a un ricco gaudente che la volontà di Dio comporta che egli faccia attenzione a moderarsi a tavola, affinché gli altri, che muoiono di fame, possano mangiare almeno il pane, tirerà fuori mille pretesti per non sentir ragioni che non rispondano a quello che gli fa comodo. Se si ricorda a un maldicente che la volontà di Dio comporta l’amare il prossimo come se stessi, non potrà sopportarlo, e nessuna ragione sarà sufficiente a convincerlo. Se poi direte a un religioso, amante della sua libertà e dei suoi comodi, che deve tener presente il suo obbligo di dare buon esempio e che deve badare a che non siano soltanto parole quelle che egli pronuncia, ma ricordarsi che ne ha promesso e giurato l’adempimento, che è volere di Dio che egli osservi i suoi voti, e che, dando scandalo, va decisamente contro di essi, anche se non li violi del tutto, che si è impegnato alla povertà e deve rispettarla senza giri viziosi, che tale è la volontà del Signore, vedrete che non c’è possibilità, ancora oggi, di essere ascoltati, per lo meno da alcuni. Che avrebbero essi fatto, dunque, se il Signore non avesse facilitato la maggior parte dell’impegno con il rimedio che ci ha dato? Non ce ne sarebbero che ben pochi ad adempiere queste parole, che egli rivolse al Padre in nostro nome: Fiat voluntas tua. Il buon Gesù, vista, dunque, la necessità del suo aiuto, ricorse a un mezzo ammirevole con il quale ci mostrò il grandissimo amore che ci portava, rivolgendo al Padre, a nome suo e dei suoi fratelli, questa preghiera: Dacci oggi, Signore, il nostro pane quotidiano. Per amor di Dio, sorelle, intendiamo bene quanto chiede per noi il nostro buon Maestro, perché ne va la vita della nostra anima a prenderlo alla leggera; e non fate gran conto di quel che avete dato al Signore, considerato il molto che dovrete ricevere da lui.

2. Ora, a me sembra, salvo un miglior parere, che il buon Gesù, considerato ciò che aveva promesso in nostro nome, quanto fosse importante per noi adempierlo e la grande difficoltà – come si è detto – di riuscirvi, deboli come siamo, così attaccate alle cose della terra e così poco dotate di amore di coraggio, visto che era necessario farci guardare al suo amore per risvegliarci, e non una volta sola, ma ogni giorno, prese la decisione di restare con noi. E poiché era cosa di assai grande importanza e gravità, volle che venisse dalle mani del suo eterno Padre. Ciò in quanto, pur essendo essi una stessa cosa e sapendo che quanto egli avesse fatto in terra Dio l’avrebbe confermato in cielo e l’avrebbe ritenuto valido, perché entrambi hanno una sola volontà, la sua umiltà era così grande che volle quasi chiedergliene il permesso, sicuro del suo amore e del suo compiacimento. Sapeva bene che in questa supplica gli chiedeva più di tutto quanto gli avesse già chiesto, conoscendo la morte che gli avrebbero dato e i disonori e gli oltraggi che avrebbe patito.

3. Oh, Signore, qual è il padre che dopo averci dato suo figlio, e un tal figlio, così perfetto, potrebbe consentire che restasse ogni giorno fra noi a patire? Certamente nessuno, Signore, fuorché il vostro: voi sapevate bene a chi rivolgevate la vostra preghiera. Oh, mio Dio, che grande amore quello del Figlio e che grande amore quello del Padre! Ancora non mi meraviglio tanto del buon Gesù, perché avendo ormai detto: fiat voluntas tua, doveva adempiere tale volontà da par suo. Egli non è certo come noi! E sapendo che la adempiva amandoci come se stesso, cercava di farlo con maggior perfezione, anche a prezzo del suo sacrificio. Ma voi, eterno Padre, come avete potuto consentirlo? Perché volete ogni giorno vostro Figlio in mani così indegne? Per una volta che l’avete permesso, acconsentendo alla sua richiesta, avete ben visto come lo trattarono. Come può la vostra pietà sopportare di vederlo ogni giorno, immancabilmente, fatto oggetto di offese? E quante credo che oggi se ne facciano a questo santissimo Sacramento! In quante mani nemiche il Padre è costretto a vederlo! Quante irriverenze da parte di questi eretici!

4. Oh, Signore eterno! Come potete accettare tale richiesta? Come potete acconsentirvi? Non badate al suo amore, perché egli, pur di adempiere scrupolosamente la vostra volontà e di operare per il nostro bene, si lascerà fare a pezzi ogni giorno. Spetta a voi prendervene cura, mio Signore, visto che vostro Figlio non conosce ostacoli, in quanto ogni nostro bene dev’essere a sue spese. Perché sopporta tutto in silenzio e non sa parlare per sé, ma solo in nostro favore? Possibile che non ci sia nessuno che prenda le difese di questo Agnello pieno di amore? Mi ha colpito come solo in questa richiesta ripeta le stesse parole, perché anzitutto prega che ci venga dato questo pane ogni giorno e torna poi a dire: Daccelo oggi, Signore, e ripete il nome di suo Padre. Questo è come dirgli che, avendocelo già dato una volta, perché morisse per noi, così che è ormai nostro, non ce lo levi più sino alla fine del mondo, ma ce lo lasci perché ci serva ogni giorno. Tale pensiero, figlie mie, vi riempia il cuore di tenerezza e lo infiammi d’amore per il vostro Sposo. Non c’è schiavo che riconosca volentieri di esserlo, mentre il buon Gesù sembra che ne sia onorato.

5. Oh, eterno Padre! Quanto è grande il merito dell’umiltà! Con quale tesoro abbiamo comprato vostro Figlio? Per venderlo, ben sappiamo che sono bastati trenta denari, ma per comprarlo non c’è prezzo che basti. Qui si fa tutt’uno con noi in quanto è partecipe della nostra natura, ma, in quanto padrone della sua volontà, fa presente a suo Padre che, poiché essa gli appartiene, ce la può dare, e per questo dice: il nostro pane. Non fa differenza tra lui e noi, ma la facciamo noi per il fatto di non donarci a Sua Maestà ogni giorno.

CAPITOLO 34

Prosegue sullo stesso argomento. Capitolo molto utile dopo aver ricevuto la comunione.

1. Sembra, dunque, che nella richiesta di avere il pane «ogni giorno» s’intenda averlo «per sempre». Se mi chiedo perché il Signore, dopo aver detto: «ogni giorno», soggiunse: «daccelo oggi, Signore», con «ogni giorno», credo, abbia voluto significare che lo possediamo qui, sulla terra, e che lo possederemo anche in cielo, se sapremo trarre profitto dalla sua compagnia. Egli infatti non rimane con noi per alcun altro motivo che non sia quello di aiutarci, incoraggiarci e sostenerci affinché si compia in noi questa volontà di cui abbiamo parlato.

2. Con «oggi», mi sembra che abbia voluto indicare «per un giorno», cioè finché durerà il mondo, non più. Ed è proprio un giorno! E lo dice anche per gli sventurati che si dannano, i quali non lo godranno nell’altra vita, e non è per colpa sua se si lasciano vincere, perché egli non cessa di incoraggiarli fino al termine della lotta. Non avranno di che scusarsi, né lamentarsi dell’eterno Padre di aver loro tolto suo Figlio nel momento in cui ne avevano maggiore bisogno. Pertanto il Signore gli dice che, non trattandosi di più di un giorno, glielo lasci passare in schiavitù. Se infatti Sua Maestà ce lo ha dato e lo ha mandato nel mondo solo per sua volontà, egli ora gli chiede, per la propria volontà, di non volerci abbandonare, ma di star qui con noi per maggior gloria dei suoi amici e castigo dei suoi nemici. Egli ripete questa richiesta solo per oggi, perché Sua Maestà – come ho detto – ci aveva già dato per sempre questo pane sacratissimo, questo alimento e questa manna dell’Umanità di Cristo, che possiamo trovare quando vogliamo; e se non è per colpa nostra, non moriremo di fame. Difatti, fra tutti i mezzi di cui l’anima vorrà usufruire per alimentarsi, solo nel santissimo Sacramento troverà piacere e consolazione. Non ci sono privazioni né sofferenze né persecuzioni che non sia facile superare dopo aver preso ad amare quelle del Salvatore.

3. Unitevi, figlie mie, a questo nostro Signore per chiedere al Padre che vi lasci «oggi» il vostro Sposo, e che non dobbiate vedervi senza di lui in questo mondo; che basti a temperare una gioia così grande il fatto di vederlo trasfigurato sotto le apparenze del pane e del vino, il che è un gran tormento per chi non ha altro da amare né altra consolazione. Supplicatelo che almeno non vi manchi mai e vi disponga a riceverlo degnamente.

4. Di altro pane non si devono preoccupare quelle tra voi che si siano abbandonate completamente alla volontà di Dio; voglio dire: non dovete darvene pensiero quando siete in orazione, e attendete a cose ben più importanti, perché ci sono altri momenti per lavorare e guadagnarvi da vivere. Ma non impegnate mai in tale preoccupazione lo spirito, lasciate solo che lavori il corpo, perché è giusto che lavoriate per mantenervi, ma l’anima riposi. Lasciatene la cura – come ampiamente è stato detto – al vostro Sposo, che non mancherà mai di averla.

5. È come quando, entrato un servo in una casa e adoperandosi a contentare in tutto il suo padrone, questi è obbligato a dargli da mangiare finché l’altro starà lì a suo servizio, a meno che sia tanto povero da non avere nulla né per sé né per il domestico. Ma qui non si tratta di questo, perché il padrone è e sarà sempre ricco e potente. Non sarebbe quindi ben fatto che il servo andasse a chiedergli da mangiare, sapendo che il suo padrone ha e avrà sempre cura di darglielo. Ben a ragione gli dirà di occuparsi di servirlo e del miglior modo per contentarlo, perché occupandosi di cose che non gli competono non farà nulla di buono. Pertanto, sorelle, si preoccupi chi vuole di chiedere questo pane; noi chiediamo all’eterno Padre di meritare di ricevere il nostro pane celeste in modo che, non potendo gli occhi del corpo dilettarsi di contemplarlo, nascosto com’è, si riveli a quelli dell’anima e le si dia a conoscere; è questo ben altro nutrimento, fatto di gioie e diletti, e sostenta la vita.

6. Potete forse pensare che questo santissimo cibo non sia un sostentamento anche per il corpo e una medicina perfino per i mali fisici? Io so che lo è, e conosco una persona soggetta a gravi malattie che, soffrendo spesso di atroci dolori, se risentiva togliere come con la mano, rimanendo completamente guarita. Ciò le accadeva assai di frequente, e si trattava di sofferenze così evidenti che, a mio giudizio, non si potevano simulare. Poiché sono assai note le meraviglie che questo santissimo pane opera in coloro che lo ricevono degnamente, non parlerò delle molte che potrei raccontare riguardanti la detta persona; ero in grado di conoscerle e so che non sono menzogne. Ma il Signore le aveva dato una fede così viva che quando udiva dire da alcuni che avrebbero voluto vivere al tempo in cui Cristo, nostro Bene, era in questo mondo, rideva dentro di sé, sembrandole che, se lo si possedeva nel santissimo Sacramento così realmente come allora, null’altro dovesse loro importare.

7. So inoltre di questa persona che per molti anni, anche se non era molto perfetta, quando prendeva la comunione, né più né meno che se avesse visto con gli occhi del corpo entrare il Signore nella dimora della sua anima, si adoperava a ravvivare la fede, per riuscire, credendo veramente che il Signore entrasse nella sua povera dimora, a distaccarsi, come le era possibile, da tutte le cose esteriori, e ad entrarvi con lui. Cercava di raccogliere i suoi sensi per far loro intendere un bene così grande; voglio dire che cercava di evitare che fossero d’impedimento all’anima per conoscerlo. Si considerava ai suoi piedi e piangeva con la Maddalena, né più né meno che se lo avesse visto con gli occhi del corpo in casa del fariseo, e benché allora non sentisse ancora devozione, la fede le diceva ch’era davvero lì.

8. Se infatti non vogliamo essere sciocchi e non vogliamo chiudere volontariamente gli occhi all’intelligenza, non c’è da avere alcun dubbio, perché non si tratta qui di frutto dell’immaginazione come quando consideriamo il Signore sulla croce o in un altro momento della passione. Questo accade ora, ed è assoluta verità e non c’è ragione di andarlo a cercare altrove, più lontano. Sappiamo, infatti, che, finché il calore naturale non abbia consumato gli accidenti del pane, il buon Gesù sta in noi: avviciniamoci, dunque, a lui! E se, quando era nel mondo, il solo tocco delle sue vesti sanava gli infermi, come si può dubitare, avendo fede, che non farà miracoli così intimamente unito a noi, e non ci darà quanto gli chiederemo, trovandosi nella nostra casa? Sua Maestà non ha certo l’abitudine di pagare male l’alloggio, se gli viene data confortevole ospitalità.

9. Se vi affligge non vederlo con gli occhi del corpo, pensate che ciò non è opportuno: è ben altra cosa vederlo glorificato che vederlo com’era nel mondo; a causa della nostra naturale debolezza, non ci sarebbe nessuno capace di sopportarne la vista, né ci sarebbe più il mondo, né chi volesse viverci, perché, contemplando questa eterna verità, risulterebbero burla e menzogna tutte le cose a cui quaggiù diamo importanza. E vedendo una tale Maestà, come oserebbe una povera peccatrice quale, ad esempio, sono io, che l’ha offeso tante volte, stargli così vicino? Sotto la specie di quel pane è accessibile, perché se il re si traveste, sembra che non si debba fare alcun caso di parlare con lui senza tanti riguardi e soggezioni; par quasi obbligato a sottostarvi, essendosi travestito. Altrimenti chi oserebbe avvicinarlo con la freddezza, l’indegnità, le imperfezioni di cui siamo pieni?

10. Oh, com’è vero che non sappiamo quel che gli chiediamo e come egli, nella sua sapienza, ha provveduto meglio a tutto! infatti, quando vede che le anime trarranno profitto dalla sua presenza, egli si manifesta ad esse. E se anche non lo vedono con gli occhi del corpo, egli dispone di molti mezzi per rivelarsi loro, sia mediante grandi sentimenti interiori, sia per altre vie. Statevene dunque con lui di buon animo; non perdete una così bella occasione per trattare dei vostri interessi, quella che si offre dopo la comunione. Se l’obbedienza v’impone, sorelle, di far altro, cercate di lasciar l’anima con il Signore, perché se subito portate il pensiero su cose esterne e non fate caso di lui, né considerate che egli sta dentro di voi, come potrà darvisi a conoscere? Questo è, dunque, un momento buono perché il nostro Maestro possa darci i suoi insegnamenti, perché lo ascoltiamo e gli baciamo i piedi in riconoscenza di quanto ha voluto insegnarci e lo supplichiamo di non andar via da noi.

11. Se doveste fare tali richieste davanti a un’immagine di Cristo, mi sembrerebbe una stoltezza lasciare Cristo in persona per contemplare il ritratto. Non sarebbe forse così se avessimo il ritratto di una persona che amiamo molto e, venendo ella a farci visita, noi lasciassimo di parlare con lei e svolgessimo tutta la nostra conversazione con il suo ritratto? Sapete quando è utile, invece, e quando a me è causa di gioia? Quando il Signore è assente, e ce lo fa capire con le molte aridità che sentiamo; allora, sì, è una grande gioia vedere un’immagine di colui che abbiamo tante ragioni d’amare. Da parte mia, da qualunque parte volgessi gli occhi, vorrei vederlo. In che cosa infatti di meglio e di più dilettevole possiamo impiegare lo sguardo che nella contemplazione di colui che tanto ci ama e che in sé racchiude ogni bene? Infelici gli eretici che, per loro colpa, hanno perduto questa consolazione, insieme a molte altre!

12. Appena dunque avete ricevuto nell’ostia il Signore, poiché vi trovate in presenza della sua persona, cercate di chiudere gli occhi del corpo e di aprire quelli dell’anima: fissateli in fondo al vostro cuore. Vi dico, torno a ripetervi, e vorrei dirvelo molte volte ancora che, se prendete l’abitudine di fare questo ogni volta che ricevete la comunione, e se cercate di avere la coscienza talmente pura da poter godere con frequenza di questo Bene, egli non si presenterà mai così trasfigurato che – come ho detto – non ci sia possibilità di riconoscerlo, in proporzione del desiderio che abbiamo di vederlo. Potrete anche desiderarlo con un ardore tale da spingerlo a manifestarsi completamente.

13. Ma se non ci curiamo di lui e, appena ricevutolo, l’abbandoniamo per correre dietro alle cose della terra, cosa deve fare? Deve forse trascinarci per forza a renderci conto che vuole rivelarsi a noi? No, certo, perché non fu trattato bene quando si fece vedere senza veli da tutti dicendo chiaramente chi era, e ben pochi furono a credergli. Sua Maestà pertanto ci usa una grande misericordia nel volere che ci rendiamo conto della sua presenza nel santissimo Sacramento. Ma farsi vedere apertamente, comunicare le sue grandezze e distribuire i suoi tesori, non vuol concederlo se non a coloro di cui scorge l’ardente desiderio che hanno di lui, perché questi sono i suoi veri amici. E io vi dico che chiunque non lo sia e non giunga a far tutto quello che può per riceverlo come tale, si risparmi d’importunarlo perché egli si dia a conoscere. Ha appena adempiuto al precetto della Chiesa, che lascia la sua casa e fa in modo di cacciarlo da sé. Costui pertanto, ingolfato negli affari, nelle occupazioni e nelle brighe del mondo, sembra che si dia fretta, il più possibile, a far sì che non gli occupi la casa chi ne è il padrone.

CAPITOLO 35

Conclude l’argomento trattato con un’esclamazione all’eterno Padre.

1. Mi sono assai dilungata su questo argomento, anche se già avevo parlato circa l’orazione di raccoglimento, della grande importanza di ritirarci nel nostro intimo per ritrovarci sole con Dio, essendo cosa assai importante. Anche quando non riceverete la comunione, ascoltando la Messa, potete comunicarvi spiritualmente e raccogliervi poi nel vostro intimo, il che è di grandissimo profitto; così, infatti, s’imprime nel cuore un profondo amore di nostro Signore. Dal momento in cui ci prepariamo a riceverlo egli non cessa mai di farci doni in molti modi che ci sono ignoti. È come avvicinarci al fuoco che, sia pur molto grande, se ne state lontano e nascondete le mani, non riuscirà a riscaldarvi molto, anche se vi darà sempre molto più caldo che non se foste dove esso manca. Ben diverso è volersi accostare al Signore, perché se l’anima è ben disposta – intendo dire se ha il desiderio di togliersi il freddo di dosso – e se resta lì un momento, di calore ne avrà per molte ore.

2. Badate inoltre, sorelle, che se al principio non vi trovaste tanto bene –, cosa probabile, perché il demonio, conoscendo il gran danno che gliene viene, vi darà strette e angosce di cuore, facendovi credere che troverete più devozione in altre pratiche che non in questa –, non abbandonate tale metodo: in esso il Signore metterà a prova l’amore che gli portate. Ricordatevi che vi sono poche anime che l’accompagnano e lo seguono nei patimenti; soffriamo qualcosa per lui ed egli ce lo pagherà. Ricordate anche che vi saranno perfino anime le quali non solo non vogliono stare con lui, ma lo cacciano scortesemente da sé. Dobbiamo dunque soffrire un po’ per dimostrargli il desiderio che abbiamo di vederlo. E poiché egli soffre e soffrirà sempre tutto, pur di trovare una sola anima che lo accolga e lo trattenga in sé con amore, fate che sia la vostra! Se infatti non ve ne fosse alcuna, a buon diritto l’eterno Padre non gli permetterebbe di restare con noi. Ma egli è così amico dei suoi amici e così buon padrone dei suoi servi che, vedendo il desiderio del suo Figlio divino, non lo distoglierà mai da un’opera così divina, nella quale dimostra con tanta perfezione l’amore che nutre per suo Padre.

3. Allora, Padre santo che siete nei cieli, poiché lo volete e l’accettate, essendo chiaro che non potete rifiutarvi di concedere un favore di così gran profitto per noi, ci dev’essere qualcuno – come ho detto all’inizio – che prende le difese di vostro Figlio, perché egli non le ha mai prese in suo favore. Ebbene, prendiamole noi, figlie mie, anche se è una temerità, essendo quelle che siamo, ma fiduciose che è il Signore a imporci di chiedere. Obbedienti al suo comando, in nome del buon Gesù, supplichiamo Sua Maestà che, non avendo suo Figlio tralasciato di far nulla per dare a noi, poveri peccatori, un così gran beneficio come questo, la sua pietà non voglia permettere che sia oltraggiato , ponendovi rimedio. E poiché il suo santo Figlio ce ne ha fornito uno così incomparabile che ci permette di offrirgli lui stesso in sacrificio di continuo, valga tale dono prezioso ad arrestare il corso di tanti gravi mali ed irriverenze come son quelli che si commettono nei luoghi ove stava questo santissimo Sacramento e dove i luterani hanno distrutto le chiese, cacciati tanti sacerdoti e soppressi i sacramenti.

4. Che è mai questo, mio Signore e mio Dio! O date fine al mondo o ponete rimedio a tanti terribili mali! Non c’è cuore, infatti, che lo sopporti, neanche i nostri, pur essendo noi tanto miserabili. Vi supplico, eterno Padre, di non sopportarlo voi oltre; arrestate questo fuoco, Signore, voi che, volendolo, lo potete. Considerate che vostro Figlio è ancora nel mondo; per rispetto a lui cessino tante cattiverie, orrori e sozzure: la sua bellezza e la sua purezza non meritano ch’egli stia dove si annidano simili cose. Non fatelo per noi, Signore, che non lo meritiamo; fatelo per vostro Figlio. Quanto a supplicarvi che egli non resti quaggiù, non osiamo chiedervelo: che ne sarebbe di noi? Se infatti c’è qualcosa con cui potervi placare è l’aver fra noi tale pegno. Ma ci dev’essere, mio Signore, qualche rimedio a tutto questo. Vostra Maestà vi faccia ricorso.

5. Oh, mio Dio! Potessi io importunarvi insistentemente e avervi reso molti servigi per chiedervi la grazia in ricompensa di essi, visto che non ne lasciate alcuno senza retribuzione. Ma non l’ho fatto, Signore, anzi forse proprio io ho provocato la vostra collera a causa dei miei peccati, da attirare tanti mali. Allora, che altro posso fare se non presentarvi questo Pane sacratissimo e, anche se ce l’avete dato, tornare a darvelo e supplicarvi, per i meriti di vostro Figlio, che mi facciate questa grazia ch’egli ha meritato in tanti modi? Oh, sì, Signore, fate che questo mare si calmi, che non proceda sempre in così gran tempesta la nave della Chiesa, e salvateci, Signore, perché siamo sul punto di perire.

CAPITOLO 36

Tratta di queste parole del Pater noster: Dimitte nobis debita nostra.

1. Il nostro buon Maestro vedendo, dunque, che con questo nutrimento celeste tutto ci è facile, purché non siamo noi a mancare, e che possiamo adempiere assai bene ciò che abbiamo detto al Padre circa il compimento in noi della sua volontà, lo prega ora di perdonarci i nostri debiti, perché noi perdoniamo a nostra volta. Pertanto, proseguendo nell’orazione che ci insegna, dice queste parole: Perdonaci, Signore, i nostri debiti, come noi li perdoniamo ai nostri debitori.

2. Consideriamo, sorelle, che non dice: «come perdoneremo», ma «come perdoniamo», per farci capire che chi chiede un dono così grande come il precedente e chi ha ormai rimesso la sua volontà in quella di Dio, debba aver già fatto questo. Chi avrà, pertanto, detto di tutto cuore al Signore: Fiat voluntas tua, deve aver già perdonato tutto, o almeno deve esserselo proposto. Considerate quindi, sorelle, perché i santi godevano di patire offese e persecuzioni: per aver qualcosa da offrire al Signore quando lo pregavano. Ma che farà mai una misera creatura come me, che ha avuto così poco da perdonare e alla quale c’è tanto da perdonare? Questa è una verità, sorelle, su cui dobbiamo molto riflettere. Una grazia così grande e tanto importante, come il perdono da parte di nostro Signore dei nostri peccati meritevoli del fuoco eterno, ci è concessa in cambio di una cosa di così poco prezzo com’è quella di perdonare anche noi. E io ho tanto poco da perdonare che voi, Signore, dovete perdonarmi gratuitamente! Questa è una bella occasione per l’attuazione della vostra misericordia. Siate benedetto perché mi sopportate, misera qual sono, accogliendo la preghiera che vostro Figlio fa in nome di tutti, ma in cui io non dovrei esser compresa per il fatto d’esser così povera e priva di risorse.

3. Ma, mio Signore, non ci saranno altre persone che mi rassomiglino e non abbiano inteso, come me, questa verità? Se ci sono, io le prego, in vostro nome, di pensarci e di non dare importanza a certe piccolezze che si chiamano offese: far caso a questi punti d’onore è come quando i bambini vogliono costruire casette con le pagliuzze. Oh, mio Dio, sorelle, se riuscissimo a capire che cos’è il vero onore e in cosa consiste il non perderlo! Con questo io non mi riferisco a voi, che commettereste un gran male se ancora non lo sapeste, ma parlo di me nel tempo in cui facevo caso dell’onore, senza sapere che cosa fosse. Seguivo l’opinione comune. Oh, di quante cose mi sentivo offesa, al punto da vergognarmene oggi! E pensare che non ero di quelle che badavano particolarmente a questi punti d’onore, ma non andavo al nocciolo della questione, perché non consideravo né davo importanza all’onore in cui è implicito un profitto, cioè quello che è utile all’anima. Come ha detto bene colui che ha affermato che onore e profitto non possono stare insieme! Io non so se lo ha detto a questo proposito, ma è esattamente così, perché il profitto dell’anima e quello che il mondo chiama onore non possono mai andare d’accordo. È spaventoso vedere come il mondo vada alla rovescia. Sia benedetto il Signore, per averci tirato fuori da esso!

4. Ma state attente, sorelle, che il demonio non si dimentica di noi; inventa punti d’onore anche nei monasteri e ne stabilisce le leggi, in base alle quali si sale o si scende di dignità, come nel mondo. I dotti devono regolarsi secondo il grado del loro sapere – benché io non sappia nulla di ciò – e, per esempio, colui che è giunto ad essere un professore di teologia non deve abbassarsi a insegnare filosofia, perché il punto d’onore vuole che si salga e non che si scenda. Se anche glielo imponesse l’obbedienza, la prenderebbe come un’offesa e troverebbe chi condivide il suo parere, ritenendolo un affronto. Il demonio, intanto, trova motivi in base ai quali sembra che abbia ragione anche secondo la legge di Dio. Fra noi monache, poi, quella che è stata priora, non è più utile per un altro ufficio inferiore; quella che è più anziana esige segni di rispetto, e di questo non ci dimentichiamo mai, anzi ci facciamo un merito dell’averlo presente, perché l’Ordine ce lo impone.

5. C’è proprio da ridere o forse, meglio, da piangere! Come se la Regola c’imponesse di non avere umiltà! Esige che vi sia un ordine, ma io non debbo essere così esigente dei riguardi dovutimi da preoccuparmi tanto di questo punto della Regola, come di altri, che forse potrò osservare in modo imperfetto. Tutta la nostra perfezione non sta nel rispettare la Regola solo a questo riguardo. Altre ci baderanno per me, se io la trascuro. Il fatto è che, essendo inclini a salire – anche se per questa strada non saliremo al cielo – non accettiamo di scendere. Oh, Signore, Signore! Non siete voi il nostro modello e il nostro Maestro? Sicuramente sì. Ebbene, in cosa avete posto il vostro onore, voi che siete il datore dell’onore nostro? Forse che l’avete perduto, umiliandovi fino alla morte? No, Signore, non l’avete perduto, ma l’avete guadagnato per tutti.

6. Oh, per amor di Dio, sorelle, guardiamoci dal perdere la strada perché si sbaglia fin dal principio! E piaccia a Dio che non si perda nessun’anima per osservare questi miserabili punti d’onore, senza comprendere in cosa consista il vero onore! Per giunta, arriveremo a pensare di aver fatto molto perdonando una miseria di tal genere, che non era offesa, né ingiuria, né niente, e come se avessimo fatto qualcosa, andremo a chiedere perdono al Signore perché abbiamo perdonato. Fateci capire, Dio mio, che non comprendiamo nulla, che ci presentiamo davanti a voi con le mani vuote e perdonateci per la vostra misericordia. In verità, Signore, non vedo, infatti, nulla (poiché tutte le cose hanno una fine quaggiù, mentre il castigo è eterno) che meriti di esservi presentato allo scopo di ottenere da voi una grazia così grande, se non è per colui che ve la chiede.

7. Ma quanto dev’essere stimato questo reciproco amore dal Signore! Il buon Gesù, infatti, avrebbe potuto presentargli altre ragioni e dire: «Perdonateci, Signore, poiché facciamo molta penitenza», o «perché preghiamo molto e digiuniamo», o «perché abbiamo abbandonato tutto per voi e vi amiamo moltissimo» e non ha neanche detto «perché siamo disposti a perdere la vita per voi», né – ripeto – altre cose che avrebbe potuto dire, ma solamente «perché noi perdoniamo». Forse, conoscendoci talmente attaccati a questo falso punto d’onore che ci resta assai difficile giungere noi a liberarcene e sapendo che a suo Padre è particolarmente gradito il sacrificio, dice e offre questo da parte nostra.

8. Considerate inoltre bene, sorelle, l’espressione «come noi perdoniamo»: cioè ne parla – ripeto – come di cosa già fatta. E fate molta attenzione a ciò: se dalla grazia che Dio concede all’anima nell’orazione che ho chiamato di contemplazione perfetta, essa non trae la ferma determinazione – e non sia pronta, all’occorrenza, a mantenerla – di perdonare qualunque offesa, per grave che sia, e non queste sciocchezze a cui si dà il nome di offese, non confidi molto nella propria orazione, perché l’anima che Dio avvicina a sé in così elevata orazione non dà importanza all’essere stimata o no. Non mi sono espressa bene: c’è, sì, qualcosa che le sta a cuore: le dà molto maggior pena l’onore del disonore, e una gran gioia goduta in tutto riposo la fa soffrire più delle pene. Quando infatti Dio le dato davvero qui il suo regno, essa non vuole più altro riposo in questo mondo: si rende conto che per regnare in modo più alto è questo il vero cammino, avendo visto per esperienza il gran profitto che trae e i progressi che compie nel soffrire per Dio, perché è raro che Sua Maestà giunga a concedere tali grandi favori se non si tratta di persone che hanno sopportato di buon animo molte sofferenze per amor suo. Infatti, come ho già detto in altro luogo di questo libro, sono grandi le tribolazioni dei contemplativi e il Signore non le manda se non ad anime sperimentate.

9. Potete dunque capire, sorelle, che tali anime, comprendendo il nulla di tutte le cose terrene, non indugiano molto su ciò che passa. Se, in un primo momento, una grave ingiuria o una dura prova le fa soffrire, non se ne rendono ancora ben conto. Subito sopravviene la ragione e sembra che innalzi la bandiera della vittoria quasi annullando del tutto quella pena, per la gioia che esse hanno di vedere come il Signore abbia fornito loro il mezzo con cui guadagnare in un giorno, di fronte a Sua Maestà, più grazie e favori eterni di quel che forse non avrebbero guadagnato in dieci anni di tribolazioni di loro scelta. Questo è assai frequente, per quel che ne so io che ho trattato con molti contemplativi, e sono sicura che succede proprio così. Come altri apprezzano l’oro e i gioielli, esse apprezzano le sofferenze e le desiderano, perché sanno che le faranno ricche.

10. Queste persone sono molto lontane dal tenersi in alcuna stima: hanno piacere che i loro peccati siano conosciuti e godono nel rivelarli quando si accorgono di essere stimate. Lo stesso accade loro per quanto riguarda la propria stirpe, poiché ormai sanno che nel regno eterno non guadagneranno nulla in considerazione di essa. Se godono d’essere di una stirpe illustre è quando ciò sia necessario per servire meglio Dio; altrimenti soffrono di essere stimate al di là dei loro meriti e non solo si adoperano a disingannare gli altri senza provarne alcuna pena, ma con gioia. È certo che le anime alle quali il Signore concede questa umiltà e un grande amore di Dio sono ormai così dimentiche di sé, quando si tratta di servirlo meglio, che non possono neanche credere che altre siano sensibili a certe cose né che le considerino ingiuria.

11. Questi effetti di cui ho parlato or ora sono propri di persone già pervenute a un alto grado di perfezione, e alle quali il Signore molto di frequente concede la grazia di avvicinarle a sé mediante la contemplazione perfetta. Ma i primi effetti, che consistono nell’essere decisi a patire ingiurie e sopportarle anche a costo della pena che se ne provi, ripeto che si hanno assai presto, quando si riceve dal Signore la grazia dell’orazione fino a giungere all’unione. Se l’anima non consegue questi effetti e non esce dall’orazione fermamente decisa a soffrire, deve ritenere che essa non le veniva da Dio, ma che si trattava di qualche illusione e attrattiva del demonio per farle credere di essere privilegiata d’un particolare onore.

12. Può darsi che, all’inizio, quando il Signore concede queste grazie, l’anima non abbia subito molta forza, ma sostengo che se continua a riceverne, in breve tempo l’acquisterà. E se non l’ha nei riguardi di altre virtù, l’avrà certamente nei confronti del perdono. Io non posso credere che un’anima pervenuta così vicino alla stessa misericordia, con l’aiuto della quale riconosce quello che è e quanto Dio le ha perdonato, tralasci di perdonare subito con la più grande facilità e non resti rasserenata dall’essere in buon accordo con chi l’ha offesa. Siccome ha presenti le grazie e i favori ricevuti, nei quali ha visto le testimonianze del grande amore di Dio, gioisce di avere anch’essa qualcosa per testimoniare l’amore che nutre per il Signore.

13. Ripeto, conosco molte persone che Dio ha favorito di grazie soprannaturali, accordando loro questa orazione o contemplazione di cui ho parlato. Anche se le vedo con molti difetti e imperfezioni, pure non ne ho visto né credo che ve ne sarà nessuna che lasci a desiderare su questo punto, purché le grazie vengano da Dio, come ho detto. Colui che ne riceverà di più grandi consideri se tali effetti vadano in lui aumentando, e se non ne scorgesse in sé alcuno, avrà molto di che temere ed essere certo che i favori non vengono da Dio, il quale – ripeto – arricchisce sempre l’anima alla quale si unisce. Questo è fuor di dubbio, perché anche se la grazia e il favore passano presto, se ne ha la consapevolezza a poco a poco, dal profitto che ne viene all’anima. E siccome il buon Gesù lo sa bene, con piena determinazione dice al suo divin Padre che perdoniamo ai nostri debitori.

CAPITOLO 37

Parla dell’eccellenza della preghiera del Pater noster e dei vari modi di trovare in essa consolazione.

1. C’è da lodare molto il Signore per la sublime perfezione di questa preghiera evangelica, che reca l’impronta di un così buon Maestro; pertanto, ognuna di noi, figlie mie, può servirsene a seconda delle sue necessità. Io sono meravigliata nel vedere che in così poche parole sono racchiuse tutta la contemplazione e tutta la perfezione, al punto che sembra non ci sia bisogno di studiare altro libro all’infuori di questo. Il Signore, infatti, fin qui ci ha insegnato tutti i gradi di orazione e di alta contemplazione, dalla preghiera dei principianti all’orazione mentale, a quella di quiete e di unione. Se fossi capace di esporre tutto questo, potrei comporre un gran libro di orazione, basandomi su così saldo fondamento. Ora egli già comincia a farci comprendere gli effetti che lasciano queste grazie, quando sono sue, come avete visto.

2. A volte, mi sono chiesta perché Sua Maestà non si sia spiegato più chiaramente circa cose tanto elevate e oscure, in modo che ogni persona le capisse. Mi è sembrato che, siccome quest’orazione era destinata a tutti in generale, il suo intento, nel lasciarla un po’ confusa, è stato che ciascuno potesse pregare secondi i suoi bisogni particolari e trovare nella preghiera motivo di consolazione, persuaso di interpretarla bene. Così, i contemplativi, che non hanno più desiderio di beni terreni, e le anime che si sono date profondamente a Dio chiedono quei favori celesti che per la bontà divina possono esser dati in questo mondo. Coloro invece che vivono ancora legati ad esso, e devono viverci in conformità del loro stato, chiedono anch’essi il loro pane, destinato al sostentamento proprio e delle proprie famiglie, richiesta ben giusta e santa, come quella di altre cose, in base alle loro necessità.

3. Ma state attente che queste due promesse, l’una del consegnare la nostra volontà nelle sue mani, l’altra del perdonare le offese, riguardano tutti. È vero che in ciò si può fare di più o di meno – come ho detto – : quelli che sono perfetti consegneranno la loro volontà in modo perfetto e perdoneranno con la perfezione di cui si è parlato; noi, sorelle, faremo quello che potremo: il Signore riceve tutto, perché sembra che il nostro Maestro abbia stabilito con suo Padre una specie di accordo in nostro nome, come chi dice: Voi fate questo, Signore, e i mie i fratelli faranno quest’altro. E si può essere certi che, da parte sua, non mancherà mai. Oh, egli è un ottimo retributore e paga sempre senza misura!

4. Ci potrà anche accadere un giorno di recitare questa preghiera in modo tale ch’egli, vedendo l’assenza in noi di infingimenti e il fermo proposito di fare quanto diciamo, ci arricchirà dei suoi doni. Egli ama molto che trattiamo con lui sinceramente, con semplicità e con chiarezza, senza dire una cosa con le labbra e averne un’altra in cuore, e quando lo facciamo, ci concede sempre più di quel che gli chiediamo. Il nostro buon Maestro conosceva tutto questo e sapeva che chi fosse arrivato davvero alla perfezione nel chiedere, sarebbe giunto a un grado molto elevato per le grazie che avrebbe ricevuto dal Padre. Egli sapeva che coloro che sono già perfetti, o che si avviano ad esserlo, non hanno alcuna paura, né devono averla, visto che, come si dice, tengono sotto i piedi il mondo. Il Signore del mondo è contento di loro, potendo, essi, invero, nutrire grande speranza che lo sia Sua Maestà per gli effetti da lui operati nelle loro anime. Sapeva infine che, assorti in quelle grazie, non avrebbero voluto più ricordare che c’è un altro mondo né che ci sono possibili nemici.

5. Oh, Sapienza eterna! Oh, buon Maestro! E che gran cosa è, figlie mie, un maestro saggio e prudente che previene i pericoli! E questo è il più grande bene che un’anima spirituale possa desiderare quaggiù: camminare con sicurezza. Non saprei trovare parole adeguate per esprimere l’importanza di tale grazia. Il Signore, vedendo infatti la necessità di svegliare queste anime, ricorda loro che hanno nemici. E sapendo quanto più pericoloso sarebbe per esse procedere distrattamente, perché hanno molto più bisogno dell’eterno Padre, cadendo più dall’alto, per impedire che, senza rendersene conto, restino ingannate, gli rivolge queste richieste così necessarie a tutti noi finché viviamo in quest’esilio: E non c’indurre, Signore, in tentazione, ma liberaci dal male.

CAPITOLO 38

Tratta della grande necessità in cui siamo di supplicare l’eterno Padre perché ci conceda ciò che chiediamo con queste parole: Et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo, e spiega alcune tentazioni. È un capitolo degno di nota.

1. Qui abbiamo, sorelle, grandi cose da meditare e da comprendere, poiché ci disponiamo a chiederle a Dio. Considerate, anzitutto, che io ritengo assolutamente certo che coloro i quali arrivano alla perfezione non chiedono a Dio di liberarli dai pericoli né dalle tentazioni né dalle persecuzioni né dalle lotte; è questo un altro indizio ben grande ed evidente che la contemplazione e le grazie ad essi concesse da Sua Maestà provengono dallo spirito del Signore e non sono frutto di illusione. Anzi, come ho detto poco fa, desiderano – piuttosto che temere – tali prove e le amano. Somigliano ai soldati che son più contenti quando hanno più occasioni di combattere, nella speranza di uscirne con maggior guadagno. Se infatti tali occasioni mancano, militando col soldo ordinario, vedono che non possono arricchirsi molto.

2. Credetemi, sorelle, che i soldati di Cristo, cioè quelli che sono elevati alla contemplazione e che praticano l’orazione, non vedono l’ora di combattere, né mai temono molto i nemici dichiarati; ormai li conoscono, sanno che, contro la forza che Dio pone in loro, sono impotenti, e che essi usciranno dalla lotta sempre vincitori e con gran bottino; pertanto, non volgono mai loro le spalle. I nemici che temono, ed è giusto che li temano, pregando Dio di esserne liberati, sono certi nemici traditori, cioè quei demoni che assumono l’aspetto di angeli di luce: si presentano sotto altra veste. Fin tanto che non abbiano fatto molto danno all’anima, non si lasciano conoscere, ma ci succhiano a poco a poco il sangue e ci distruggono le virtù, così da farci piombare nella tentazione senza che ce ne rendiamo conto. Da tali nemici, figlie mie, quando recitiamo il Pater noster, preghiamo e supplichiamo incessantemente il Signore di liberarci e di non permettere che, vittime di qualche inganno, cadiamo in tentazione ma di far sì che si scopra dove sta il veleno e non si nasconda ai nostri occhi la luce della verità. Oh, come ben a ragione il nostro Maestro c’insegna a chiedere questo, rivolgendosi al Padre in nostro nome!

3. Considerate, figlie mie, che i nostri nemici possono nuocerci in molti modi; non pensate che il danno sia solo quello di farci credere che le gioie e le grazie simulate in noi vengono da Dio, giacché questo mi sembra, in parte, il minor danno che essi possono arrecare. Anzi, può darsi che serva a farci camminare più in fretta perché, attirate dal quel diletto, restiamo più ore in orazione e, ignorando che è opera del demonio e vedendoci indegne di quei favori, non finiremo di render grazie a Dio. Così ci sentiremo più obbligate a servirlo e ci sforzeremo di raggiungere la disposizione adatta perché ci faccia altri doni nella convinzione che vengono da lui.

4. Procurate, sorelle, di esser sempre umili, di considerare che non siete degne di tali favori e di non cercarli. Se farete così, sono convinta che sarà un mezzo efficace perché il demonio si vede sfuggire molte anime che egli pensava si perdessero, e perché il Signore, dal male che il maligno voleva farci, tiri fuori il nostro bene. Egli, infatti, vede la nostra intenzione che è quella di contentarlo e di servirlo, stando con lui in orazione, e – come vi ho detto – il Signore è fedele. Dobbiamo, tuttavia, badare che non ci sia incrinatura nell’umiltà e che non si abbia a generare in noi alcuna vanagloria. Se supplicherete il Signore di liberarvi da ciò, non temete, figlie mie, che Sua Maestà non permetterà mai di ricevere altri doni se non da lui.

5. Dove il demonio può nuocere molto, senza che ce ne rendiamo conto, è facendoci credere che abbiamo delle virtù inesistenti, mentre di fatto ne siamo prive, il che è una vera peste. Infatti, se solitamente per le grazie e i favori di cui siamo oggetto ci par solo di ricevere e di restare pertanto più obbligati a servire, qui, invece ci sembra di dare e di servire e che il Signore sia quindi obbligato a pagarci. Così, a poco a poco, il demonio ci fa molto danno: da una parte indebolisce l’umiltà, dall’altra ci fa trascurare di acquistare quella virtù che crediamo di aver già acquisito. Allora, che rimedio abbiamo, sorelle? Quello che a me sembra il migliore è l’insegnamento del nostro Maestro: pregare e supplicare l’eterno Padre di non permettere che cadiamo in tentazione.

6. Ma voglio anche dirvene qualche altro. Se ci sembra che il Signore ci abbia già concesso una virtù, dobbiamo considerarla come un bene da lui ricevuto che egli può ritoglierci, come, in verità, spesso accade non senza che sia gran provvidenza di Dio. Non lo avete mai riscontrato in voi stesse, sorelle? Io, invece, sì: a volte mi sembra d’essere molto distaccata da tutto e, in verità, alla prova dei fatti lo sono; altre volte mi sento così attaccata anche a cose di cui forse il giorno prima avevo riso, che quasi non mi riconosco. A volte mi sembra di aver tanto coraggio da non volgere le spalle a nulla per servire Dio: cosa che in certe occasioni avevo anche provato con i fatti. Il giorno dopo sono così debole che non potrei trovare la forza neanche di uccidere una formica per amore di Dio, se dovessi incontrare in ciò la minima difficoltà. Parimenti, a volte mi sembra che non m’importi nulla di qualunque cosa possano mormorare o dire contro di me, e dimostro in varie occasioni che è così, anzi, ne ho perfino piacere. Ma poi arriva il giorno in cui anche una sola parola mi procura afflizione e vorrei morire, perché tutto in esso mi pesa. E non sono la sola soggetta a tali cambiamenti, perché l’ho notato in molte persone migliori di me, e so che questo può avvenire.

7. Stando così le cose, chi potrà dire di sé che ha virtù o è ricca, quando nel momento in cui sia necessaria la virtù si trova priva di essa? No, sorelle! Pensiamo sempre di essere povere, e non indebitiamoci senza avere di che pagare, perché il nostro tesoro ci deve venire da tutt’altra parte, e non sappiamo fino a quando il Signore vorrà lasciarci nella prigione della nostra miseria senza darci nulla; allora le persone che, ritenendoci virtuose, ci hanno dato tributo di stima e d’onore – che è il prestito di cui ho parlato – resteranno derise insieme con noi. È vero che se noi serviamo il Signore con umiltà, alla fine egli ci aiuterà in tutti i nostri bisogni, ma qualora in noi tale virtù non sia ben radicata, ci lascerà cadere – come si dice – ad ogni passo. Questa è una delle sue grazie più grandi, degna di molta stima, perché motivo per acquistare umiltà e intendere bene che noi non possediamo nulla che non ci venga da lui.

8. E ora state attente a un altro consiglio: il demonio ci fa credere di avere una virtù, per esempio quella della pazienza, perché prendiamo la risoluzione di soffrire per Dio, dandogliene con le nostre azioni continue testimonianze, e ci sembra di essere veramente pronte, di fatto, a patire. Ci sentiamo pertanto assai contente, perché il demonio fa sì che ne siamo convinte. Io vi avverto di non far caso di simili virtù e di non credere di conoscerle se non di nome, né che ve le abbia date il Signore, senza riscontrarlo alla prova dei fatti. Può accadere, in realtà, che di fronte a una parola detta da altri, che vi faccia dispiacere, la pazienza se ne vada in fumo. Quando avrete molto sofferto, allora lodate Dio che comincia a insegnarvi questa virtù e sforzatevi di patire sino in fondo, perché è segno che egli vuole che lo paghiate con la sofferenza: la pazienza che vi dà ne è una prova, ma consideratela solo un deposito, che vi può essere tolto, come già si è detto.

9. Un’altra tentazione è quella di crederci molto povere di spirito: abbiamo l’abitudine di dire che non vogliamo nulla, che non c’importa nulla di nulla, ma non appena ci si offre l’occasione di ricevere qualcosa – anche se non è necessaria – tutta la nostra povertà se ne va all’aria. Contribuisce molto a farci credere di possederla l’aver preso l’abitudine di dirlo. È molto utile, a questo proposito, essere sempre vigili per accorgersi della tentazione, sia nei riguardi delle virtù di cui ho parlato, sia nei riguardi di molte altre perché, quando il Signore ci dona davvero una di queste solide virtù, sembra che essa si trascini dietro tutte le altre: è un fatto assai noto. Ma torno ad avvertirvi che, anche se vi sembra d’averla, dovete temere d’ingannarvi, perché chi è veramente umile dubita sempre delle proprie virtù, e molto spesso gli appaiono più sicure e di maggior pregio quelle che vede nel suo prossimo.

CAPITOLO 39

Prosegue sul medesimo argomento; dà consigli su tentazioni di vario genere e indica due mezzi per potersene liberare.

1. Guardatevi inoltre, figlie mie, da certe umiltà ispirate dal demonio che destano grande inquietudine per la gravità dei nostri peccati. Egli suole opprimere con esse in vari modi, fino ad allontanare le anime dalla comunione e dal praticare l’orazione per conto proprio (non essendone degne, suggerisce loro il demonio). Pertanto, quando si apprestano a ricevere il santissimo Sacramento, il tempo in cui avrebbero dovuto giovarsi delle grazie se ne va nell’indagare se si sono preparate bene o no alla comunione. Lo scrupolo giunge a tali estremi che fa pensare all’anima di essere, a causa della sua indegnità, così abbandonata da Dio da mettere quasi in dubbio la sua misericordia. Tutto quello di cui si occupa le sembra un pericolo, come le sembra senza alcun frutto tutto ciò che compie per servire il Signore, per apprezzabile che sia. Le viene uno scoraggiamento da farle cadere le braccia, sentendosi impotente per qualunque opera buona, perché quel che è un bene in altri, le appare un male in se stessa.

2. State ora molto attente, figlie mie, a quello che vi dirò. Può infatti talvolta essere umiltà e virtù il ritenervi tanto misere, e altre volte una grave tentazione. Siccome io ci sono passata, la conosco. L’umiltà non inquieta né turba né agita l’anima, per quanto grande essa sia, ma è accompagnata da pace, gioia e serenità. Anche se, vedendo la propria miseria, l’anima intende chiaramente che merita di stare nell’inferno, se ne affligge, le sembra che a buon diritto tutti dovrebbero detestarla e non osa quasi invocare misericordia. Ma se è vera umiltà, questa pena è accompagnata da una dolcezza intima e da una gioia tale che non vorremmo vederci privi di essa. Non agita né opprime l’anima, anzi la dilata e la rende capace di servire meglio Dio. L’umiltà proveniente dal demonio, invece, turba, agita, sconvolge tutta l’anima ed è causa di molta amarezza. Credo che il demonio voglia farci credere di possedere l’umiltà per farci in cambio perdere, potendolo, la fiducia in Dio.

3. Quando vi troverete in questo stato, fate il possibile per distogliere il pensiero dalla vostra miseria e riponetelo nella misericordia di Dio, nel suo grande amore e in ciò che ha sofferto per noi. Se è tentazione, non potrete farlo, perché il demonio non lascerà riposare il vostro pensiero, né applicarlo se non a cose che vi daranno maggior tormento; sarà già molto se riconoscerete che si tratta d’una tentazione. Così è delle penitenze eccessive, di cui il demonio si serve per farci credere che siamo più penitenti di altre e che facciamo qualcosa di meritorio. Se vi applicherete ad esse all’insaputa del confessore o della priora o se, essendovi stato ordinato di non farle, non le abbandonerete, è un’evidente tentazione. Cercate – anche se debba procurarvi maggior pena – di ubbidire, perché in ciò vi è maggiore perfezione.

4. Un’altra tentazione assai pericolosa consiste in una certa sicurezza nel credere che in nessun modo potremo tornare agli stessi errori passati e ai piaceri del mondo e dire: «Ormai l’ho capito e so che tutto finisce e mi danno più piacere le cose di Dio». Questa tentazione, se si verifica al principio, è molto dannosa, perché con tale sicurezza non c’importa nulla esporci di nuovo a occasioni, ci cadiamo in pieno, e piaccia a Dio che la ricaduta non sia molto peggiore della caduta! Infatti il demonio, se vede che l’anima può nuocergli e giovare alle altre, mette in opera tutte le sue risorse perché non si rialzi. Così, per quante gioie e pegni d’amore il Signore vi dia, non sentitevi mai tanto sicure da non aver più paura di poter tornare a cadere e da non fuggirne le occasioni.

5. Procurate sempre di parlare di queste grazie e di queste gioie a chi vi può illuminare, senza nascondere nulla, e abbiate l’avvertenza, per quanto elevata sia la contemplazione, di cominciare e finire l’orazione con la conoscenza di voi stesse. E se l’orazione viene da Dio, vostro malgrado e senza bisogno di tale avviso, lo farete anche più volte perché, in questo caso, essa porta con sé l’umiltà e ci lascia sempre più aperte a capire il poco che noi siamo. Non voglio indugiarmi oltre, perché troverete molti libri su questi consigli. Se ne ho parlato, è perché ci sono passata anch’io e molte volte mi sono vista in difficoltà. Ma tutto quanto si può dire non serve a dare una completa sicurezza.

6. Allora, eterno Padre, che cosa dobbiamo fare se non ricorrere a voi e supplicarvi perché i nostri nemici non c’inducano in tentazione? Gli attacchi aperti vengano pure, perché con il vostro aiuto potremo liberarcene più facilmente, ma tali insidie chi potrà scoprirle, mio Dio? Abbiamo sempre bisogno d’invocare il vostro aiuto. Diteci, Signore, qualche parola che possa illuminarci e rassicurarci. Sapete bene che i più non seguono questo cammino e, se si deve percorrerlo con tante paure, saranno ancora meno quelli disposti ad intraprenderlo.

7. È una cosa strana, quasi che il demonio non tentasse anche coloro che non seguono il cammino dell’orazione, che tutti si meraviglino maggiormente nel vedere in inganno una sola anima di quelle che sono pervenute a un certo grado di perfezione, che non di centomila irretite pubblicamente in inganni e in peccati, e circa le quali non c’è da investigare se quel che fanno è buono o cattivo, perché si vede, mille miglia lontano, che sono in potere di Satana. In verità, il mondo ha ragione, essendo talmente pochi quelli che il demonio riesce ad ingannare fra coloro che recitano il Pater noster, nel modo in cui abbiamo detto, che il fatto desta meraviglia come cosa nuova e insolita. È infatti proprio di noi mortali passar sopra a ciò che si vede di continuo e meravigliarci molto di ciò che avviene raramente o quasi mai. E sono gli stessi demoni a suscitare tale meraviglia, indotti dal loro interesse, perché perdono molte anime, per una che pervenga alla perfezione.

CAPITOLO 40

Spiega come, cercando sempre di procedere nell’amore e nel timore di Dio, cammineremo con sicurezza fra tante tentazioni.

1. Dateci, dunque, nostro buon Maestro, qualche rimedio per poter vivere senza sussulti in una guerra così pericolosa. Quello a cui possiamo far ricorso, figlie mie, lasciatoci da Sua Maestà, è l’amore e il timore. L’amore ci farà accelerare il passo, il timore ci farà guardare dove mettiamo i piedi, per non cadere lungo un cammino percorrendo il quale tutti noi che viviamo quaggiù incontriamo tanti inciampi. Così facendo, sicuramente non saremo mai ingannate.

2. Forse mi chiederete da quali segni potrete accorgervi di possedere queste due grandi virtù, e avete ragione, perché una prova assolutamente certa e concreta non si può avere, in quanto se fossimo sicure di avere l’amore, lo saremmo anche di possedere uno stato di grazia. Ma sappiate, sorelle, che ci sono certi segni visibili, sembra, anche ai ciechi: non sono segreti e, anche se non volete accorgervene, parlano con tanta forza da far molto rumore perché, non essendo molti quelli che li possiedono in tutta perfezione, balzano agli occhi con maggiore evidenza. Par niente dire: amore e timore di Dio! Sono due castelli fortificati da dove si può far guerra al mondo e ai demoni.

3. Coloro che amano veramente Dio, amano tutto ciò che è buono, desiderano tutto ciò che è buono, lodano tutto ciò che è buono, si uniscono sempre ai buoni, li aiutano e li difendono; non amano che la verità e ciò che è degno d’essere amato. Pensate che sia possibile, per chi ama veramente Dio, amare cose vane? Su di lui non hanno alcun potere le ricchezze, i piaceri del mondo, gli onori. Non conosce né contese né invidie. Tutto perché non vuole altro se non accontentare l’Amato. Muore dal desiderio d’esserne riamato; pertanto fa consistere la sua vita nel cercare il modo di riuscirgli più gradito. Potrà mai nascondersi tale amore? Oh, l’amore di Dio – se è veramente amore – non si può nascondere! Se non mi credete, guardate san Paolo e la Maddalena: il primo, cioè san Paolo, in tre giorni cominciò a dimostrare d’essere malato d’amore; la Maddalena fin dal primo giorno. E com’era evidente il loro amore! È vero che può essere maggiore o minore, pertanto si rivela in proporzione della sua forza: molto, se è grande; poco, se è piccola, ma poco o molto, se è amore di Dio, si riconosce sempre.

4. Non è certo piccolo, però, quello dei contemplativi, di cui ora più ci occupiamo, essendo essi particolarmente esposti agli inganni e alle illusioni del demonio. Il loro amore è sempre grande – altrimenti non sarebbero veri contemplativi – pertanto si manifesta con evidenza e in molti modi. È un grande fuoco che non può non emettere un grande splendore. E se questo manca, l’anima deve diffidare molto di sé, reputare che c’è di che temere, cercarne la causa, fare orazione e supplicare il Signore di non indurla in tentazione, perché, certo, mancando questo segno, temo che vi sia già. Ma se procede con umiltà, cercando di conoscere la verità, obbedendo al confessore e parlando a lui con tutta franchezza e semplicità, il demonio – come si è detto – dove credeva di darle la morte, le darà la vita, per quante lusinghe e illusioni voglia insinuarle.

5. Se poi sentite quest’amore di Dio di cui ho parlato e il timore di cui ora parlerò, rallegratevi e tranquillizzatevi. Il demonio, per turbarvi l’anima in modo che non goda di così grandi beni, v’ispirerà mille falsi timori e farà sì che altri ve li ispirino. Non potendo, difatti, guadagnarvi a sé, cerca per lo meno di farvi perdere qualcosa e farla perdere a coloro che potrebbero avvantaggiarsi molto dal credere che provengono da Dio le grandi grazie che egli concede a una misera creatura e che è possibile, quindi, riceverle. Dico così perché a volte sembra che non ci ricordiamo più delle sue antiche misericordie.

6. Credete che importi poco al demonio ispirare tali paure? No, anzi molto, perché fa un duplice danno: uno, spaventare le anime che odono parlare di questi pericoli, distogliendole dall’orazione, nel timore che possano essere ingannate anch’esse; l’altro, impedire che se ne accostino a Dio molte di più, vedendo che egli, nella sua grande bontà, può – come ho detto – comunicarsi così intimamente a noi peccatori fin da ora. Ciò le accenderebbe – e con ragione – di un gran desiderio di lui. Difatti io conosco alcune persone che, incoraggiate da tale speranza, hanno cominciato a praticare l’orazione e in poco tempo ne sono uscite con perfezione, avendole il Signore favorite di grandi grazie.

7. Perciò, sorelle, quando vedrete che c’è qualcuna fra voi cui il Signore elargisca le sue grazie, lodatela molto a motivo di ciò, ma non pensate che per questo sia sicura, anzi aiutatela con molte preghiere, perché nessuno può essere sicuro, finché vive quaggiù ed è in mezzo ai pericoli di questo mare tempestoso. Non mancherete certo di riconoscere questo amore, quando c’è, né io so come potrebbe restare nascosto. Quello che portiamo alle creature dicono che non si può dissimulare e che quanto più si cerca di nasconderlo, tanto più esso si manifesta, pur essendo cosa tanto vile da non meritare neppure il nome d’amore, fondato com’è sul nulla. E si dovrebbe poter nascondere un amore così forte, così giusto, che va sempre aumentando, che nulla è capace di estinguere, che poggia su tal fondamento qual è la certezza di essere ricambiato da un altro amore di cui non si può dubitare, perché si è manifestato tanto chiaramente con tormenti e pene così grandi e con tanto spargimento di sangue, fino all’immolazione della vita, proprio perché non ci restasse alcun dubbio su di esso? Oh, mio Dio, che gran differenza dev’esserci fra l’uno e l’altro di questi amori per l’anima che ne ha fatto esperienza!

8. Piaccia a Sua Maestà concederci l’amore divino, prima di farci lasciare questa vita, perché sarà d’indicibile conforto nel momento della morte pensare di dover essere giudicate da chi abbiamo amato sopra ogni cosa. Potremo presentarci sicure circa l’esito del processo dei nostri debiti: non sarà andare in terra straniera, ma nella propria patria, poiché è quella di chi tanto amiamo e che a sua volta ci ama tanto. Considerate, a questo punto, figlie mie, il guadagno che tale amore comporta e la perdita di non averlo, essendo noi allora alla mercé del tentatore. In mani così crudeli, così nemiche di ogni bene e così amiche di ogni male.

9. Che sarà della povera anima che, appena uscita da tali dolori e da tali angosce quali sono quelli della morte, cade subito in quegli artigli? A quale orribile riposo va incontro! Come cadrà nell’inferno fatta a pezzi! Che moltitudine di serpenti d’ogni specie! Che luogo spaventevole! Che disgraziato soggiorno! Se per una sola notte sopporta male un cattivo alloggio chi è abituato a vivere negli agi (e son proprio quelli che in maggior numero devono andare lì), che cosa pensate che sentirà quell’infelice anima di un tale alloggio eterno, senza fine? Figlie mie, non ricerchiamo agi mondani; stiamo bene qui, non si tratta che di passare una notte in un cattivo albergo. Lodiamo Dio, sforziamoci di far penitenza in questa vita. Ma come sarà dolce, poi, la morte di chi avrà fatto penitenza di tutti i suoi peccati e non dovrà andare in purgatorio! Come fin da quaggiù potrà forse cominciare a godere della gloria del cielo! Non sentirà in sé alcun timore, ma solo una pace assoluta.

10. Se non giungeremo a questo , sorelle, supplichiamo Dio che, dovendo subire pene, sia in un luogo dove, con la speranza di liberarci un giorno di esse, possiamo sopportarle di buon animo, e dove non perderemo la sua amicizia e la sua grazia. Supplichiamolo, infine, di darci in questa vita quella di non cadere in tentazione senza rendercene conto.

CAPITOLO 41

Si parla del timore di Dio e di come preservarsi dai peccati veniali.

1. Come mi sono dilungata! Eppure non tanto come avrei voluto, perché è dolce cosa parlare di tale amore: che sarà mai l’averlo? Il Signore me lo conceda per quello che egli è! Passiamo ora a parlare del timore di Dio. È una virtù anch’essa facilmente riconoscibile sia da chi la possiede, sia da quelli che trattano con costui. Ma voglio che sappiate che, al principio, tale timore non è così sviluppato da manifestarsi esternamente, a meno che non si tratti di alcune persone che – come ho detto – il Signore favorisce di notevoli grazie e in breve tempo arricchisce di virtù. Pertanto non si avverte in tutti, ripeto, all’inizio; il suo valore va aumentando man mano che s’ingrandisce, anche se non si tarda a vederne la presenza, perché subito l’anima si allontana dal peccato, dalle occasioni pericolose e dalle cattive compagnie, per non parlare di altri segni. Ma quando è ormai giunta alla contemplazione – che è ciò di cui soprattutto trattiamo in questo libro – anche il timore di Dio si rivela in pieno, come l’amore; non si può dissimulare neanche esternamente. Infatti, pur osservando con molta attenzione queste persone, non si scoprirà mai che sono trascurate. Il Signore le sostiene in modo tale che per tutto l’oro del mondo non commetterebbero di proposito un peccato veniale; quelli mortali poi, li temono come il fuoco. È mio desiderio, sorelle, che temessimo soprattutto le illusioni; supplichiamo sempre Dio che la tentazione non sia mai così forte da indurci ad offenderlo, ma che ce la mandi in conformità della forza che ci darà per vincerla. Ciò è quanto importa, questo è il timore che desidero vedere sempre in voi, essendo la nostra difesa.

2. Oh, che gran cosa è non offendere mai il Signore, [per incatenare] i suoi servi e i suoi schiavi infernali! Perché infine tutti, volere o no, devono servirlo; solo che essi lo fanno per forza e noi con tutta la nostra volontà. Ora, più accontenteremo il Signore più terremo a distanza i demoni. Così, per quanto vogliano indurci in tentazione e tenderci occulte insidie, non faranno nulla che possa nuocerci.

3. Seguite questo consiglio: è cosa molto importante che vi sorvegliate attentamente fino a che non sentiate tale ferma risoluzione di non offendere il Signore, da essere disposte a perdere mille vite, piuttosto che commettere un peccato mortale. Quanto ai veniali, abbiate molta cura di non commetterli; intendo dire non commetterli di proposito, perché – involontariamente – chi potrà evitare di non commetterne molti? Vi è però un’avvertenza che si accompagna a molta riflessione, e un’altra così improvvisa che commettere il peccato veniale e rendersene conto è quasi tutt’uno, tanto da non potersene accorgere in tempo. Ma dal peccato fatto con piena determinazione, per piccolo che sia, Dio ci liberi! Tanto più che non è mai poco ciò che offende una così eccelsa Maestà, il cui sguardo sappiamo sempre fisso su di noi. Questa – a me sembra – è una colpa ben premeditata; è come dire: «Signore, anche se vi dispiace, lo farò; so che mi vedete e che non lo volete, me ne rendo perfettamente conto, ma preferisco seguire il mio capriccio e il mio desiderio che non la vostra volontà». E io non sono del parere che sia poca la colpa di un simile comportamento, per quanto il peccato possa essere di lieve entità, io lo trovo grave, anzi gravissimo.

4. Se volete acquistare questo timore di Dio, considerate, sorelle, per amore suo, la grande importanza di comprendere quanto sia grave offenderlo. Cercate di pensarci assai spesso, perché questa virtù si radichi bene nelle nostre anime: ne va molto più che della nostra vita. Finché non l’avremo, è necessario procedere sempre con moltissima attenzione e allontanarci da tutte le occasioni e compagnie che non ci siano d’aiuto ad avvicinarci di più a Dio; badare a tutto ciò che facciamo, per vincere la nostra volontà, e a quel che diciamo, perché sia sempre di edificazione; fuggire da qualsiasi conversazione ove non si parli di Dio.

Ci vuole molto perché resti in noi ben impresso questo timore di Dio, ma se c’è un vero amore si acquista presto. Tanto più se – come ho già detto – l’anima si sentirà fermamente risoluta a non recare, per nessuna cosa al mondo, offesa a Dio, anche se in seguito talvolta possa cadere, perché siamo deboli e non dobbiamo fidarci di noi stessi; anzi, quanto più grande è la nostra determinazione, tanto meno dobbiamo confidare in noi; la nostra fiducia dev’essere riposta solo in Dio. Quando riconosceremo di avere in noi la disposizione che ho detto, non ci sarà più bisogno di nutrire tanta timidezza e paura, perché il Signore ci assisterà e la buona abitudine, ormai contratta, ci sarà d’aiuto a non offenderlo. Allora potrete agire con una santa libertà nelle legittime relazioni con il prossimo, anche se tratterete con persone dedite a distrazioni mondane. Se infatti, prima che aveste questo vero timore di Dio, esse sarebbero state un veleno e un mezzo per procurare la morte della vostra anima, dopo invece vi saranno di aiuto ad amare e lodare di più Dio, per avervi liberato da quello che ora vedete chiaramente come un pericolo. Se prima potevate contribuire ad assecondare la loro debolezza, ora le aiuterete a dominarsi solo per il fatto di essere alla vostra presenza. E si domineranno veramente, anche se non mosse da alcun motivo di rispetto.

5. Lodo spesso il Signore considerando da dove provenga questa forza, senza pronunciare neppure una parola. Molte volte un servo di Dio impedisce che si facciano discorsi contro di lui. Dev’essere come accade nel mondo: se abbiamo un amico, lo si rispetta sempre; quando è assente, si bada a non dirne male davanti a noi per il fatto che gli siamo amici. Allo stesso modo avviene di colui che è in stato di grazia: la stessa grazia deve far sì che, sia pure egli della più bassa condizione, gli si porti rispetto e non lo si contristi in cosa di cui si sa che soffrirebbe molto, com’è il vedere offeso Dio. Non so quale ne sia la causa, ma il fatto è che generalmente avviene così. Evitate pertanto di avere troppe apprensioni perché, se l’anima comincia a vedere pericoli dappertutto, si rende inabile ad ogni bene; a volte, poi, finisce con il cadere negli scrupoli, ed eccola allora inutile a sé e agli altri. Ma anche se non cade negli scrupoli, potrà giovare a sé, non, però, condurre molte anime a Dio, una volta che vedano in essa tanta apprensione e avvilimento. La nostra natura è tale che dette anime ne restano spaventate e paralizzate. Fuggono così dal seguire la via che voi seguite, pur sapendo chiaramente che è un cammino di maggior virtù.

6. Da qui, ancora, nasce un altro danno, che è quello di giudicare gli altri: siccome non seguono la vostra strada (per giovare al prossimo trattano con libertà e senza tante soggezioni), subito vi sembreranno imperfette. Se manifestano una santa allegria vi sembreranno dissolute, specialmente se si tratta di noi che non siamo istruite e non sappiamo come si può trattare con il prossimo senza peccare. È, questa, una cosa assai pericolosa, essere soggette a una continua tentazione di grave danno, perché in pregiudizio del prossimo: credere che tutti quelli che non procedono come voi, con le vostre soggezioni, non seguano la strada giusta, è una pessima cosa. Vi è, poi, un altro inconveniente: che in alcune occasioni in cui dovrete parlare e in cui è giusto che parliate, per timore di eccedere in qualcosa, non oserete farlo tranne, forse, per approvare quello che sarebbe assai conveniente detestare.

7. Cercate, invece, sorelle, per quanto è possibile, senza offesa di Dio, di essere affabili e di comportarvi con tutte le persone che tratteranno con voi in modo tale che amino la vostra conversazione, invidino il vostro modo di vivere e di agire e non abbiano timore né si sgomentino della virtù. Questo è un consiglio molto importante per le religiose; più saranno sante e più dovranno essere socievoli con le loro sorelle; e, quand’anche voi abbiate a soffrire molto se non tutte le conversazioni delle vostre compagne saranno conformi a ciò che voi desiderereste udire da esse, non meravigliatevene mai, se volete aiutarle ed essere amate. Soprattutto, infatti, dobbiamo procurare di essere affabili, gradevoli e accondiscendenti con le persone con le quali trattiamo, specialmente con le nostre consorelle.

8. Per questo, figlie mie, cercate di capire bene che Dio non bada a tante piccolezze, come voi credete, e non permettete alla vostra anima di abbattersi né vi venga meno il coraggio, perché potranno andar perduti molti beni. Abbiate la retta intenzione, la ferma volontà, come ho detto, di non offendere Dio. Non lasciate che la vostra anima diventi gretta, perché tale atteggiamento, invece di procurarvi la santità, vi farà incorrere in molte imperfezioni causate dal demonio per diverse vie. E, ripeto, non sarete utili né a voi né alle altre, così come avreste potuto.

9. Da quanto vi ho detto, potete costatare come con queste due virtù – amore e timore di Dio – noi possiamo seguire il nostro cammino in pace e tranquille, anche se – poiché il timore deve avere la precedenza – non dobbiamo mai dimenticarci di stare in guardia, non potendo mai avere piena sicurezza finché viviamo: la piena sicurezza sarebbe, infatti, un grande pericolo. Ed è quello di cui il nostro Maestro si rende ben conto quando, al termine di questa orazione, dice a suo Padre queste parole come chi sapeva quanto fossero necessarie.

CAPITOLO 42

Tratta delle ultime parole del Pater noster: Sed libera nos a malo. Amen. Ma liberaci dal male. Amen.

1. Il buon Gesù aveva ben ragione, mi sembra, di chiedere questo anche per se stesso. Sì, perché noi vediamo quanto fosse stanco di questa vita quando disse ai suoi apostoli, nell’ultima cena: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi, che era l’ultima della sua vita. Da ciò si vede quanto dovesse essere ormai stanco di vivere; e oggi gli uomini anche quelli che hanno cento anni, non solo non si sentono stanchi, ma hanno sempre il desiderio di vivere più a lungo. In verità, la nostra esistenza non scorre così male, né con tante sofferenze e povertà come quella di Sua Maestà. Che cosa fu tutta la sua vita se non una morte continua per il fatto di avere sempre davanti agli occhi la fine crudele che gli avrebbero inflitto? E questo era ancora il meno, ma le tante offese che si facevano a suo Padre e le tante anime che si perdevano! Se questo, quaggiù, per un’anima che abbia carità è un grande tormento, che cosa sarà stato per la carità senza limiti e senza misura di nostro Signore? E come aveva ragione di supplicare il Padre di liberarlo da tanti mali e sofferenze e di introdurlo per sempre nella pace di quel regno di cui egli era il vero erede.

2. «Amen». Con la parola «Amen» credo che, siccome pone fine a tutte le richieste, il Signore chieda al Padre di liberare da ogni male per sempre anche noi. Così io supplico il Signore di liberarmi da ogni male per sempre, perché, lungi dall’estinguere i debiti che ho con lui, vado forse aumentandoli ogni giorno di più. E quel che io non posso sopportare, Signore, è non riuscire a sapere con certezza se vi amo e se i miei desideri vi sono accetti. Oh, mio Signore e mio Dio, liberatemi alfine da ogni male e compiacetevi di condurmi dove regna solo il bene! Cosa possono ormai sperare quaggiù coloro ai quali avete dato una qualche conoscenza di ciò che è il mondo e coloro che hanno una viva fede in ciò che l’eterno Padre ha loro riservato?

3. Chiedere questo con vivo desiderio e assoluta determinazione è un indizio sicuro, per i contemplativi, del fatto che le grazie da loro ricevute nell’orazione vengono da Dio; coloro ai quali il Signore lo concederà, pertanto, abbiano molta stima di tale desiderio. Se lo chiedo io, non è per questo motivo, voglio dire che non lo si attribuisca a questo motivo. La vera ragione è che, avendo vissuto così male, temo ormai di vivere più a lungo e sono stanca di tante sofferenze. Non è da stupirsi che coloro i quali partecipano dei doni di Dio desiderino stare dove non ne godano solo a sorsi, che non vogliano rimanere nella vita terrena, ove si frappongono tanti ostacoli al godimento di un tale bene e che aspirino a trovarsi dove non tramonti mai per essi il sole di giustizia. Dopo quelle grazie sembrerà loro tutto oscuro quanto vedono quaggiù e mi stupisco che possano continuare a vivere. Non vivrà certo con gioia chi ha cominciato a godere di esse ed ha ricevuto da Dio, già su questa terra, il suo regno. Se vive ancora quaggiù non è per sua volontà, ma per quella del suo Re.

4. Oh, come dovrebbe essere diversa questa vita, per non desiderare la morte! Come la nostra volontà ha inclinazioni diverse da quelle di Dio! La sua volontà divina esige che noi amiamo la verità e noi amiamo la menzogna; vuole che aspiriamo a ciò che è eterno, e noi, quaggiù, propendiamo a ciò che è transitorio; vuole che desideriamo cose grandi e sublimi e noi, qui, ci affezioniamo alle miserie della terra; vorrebbe che amassimo solo ciò che è sicuro e noi, qui, amiamo ciò che è incerto: davvero, figlie mie, non dobbiamo se non supplicare Dio che ci liberi da ogni pericolo per sempre e ci tolga da ogni male. E, per quanto imperfetto sia ancora il nostro desiderio, sforziamoci di insistere in questa richiesta. Che ci costa chiedere molto, visto che ci rivolgiamo all’Onnipotente? Ma, per riuscire meglio, lasciamo alla sua volontà di darci quel che vuole, avendogli già consegnato la nostra. Sia per sempre santificato il suo nome in cielo e in terra e si compia sempre in me la sua volontà! Amen.

5. Considerate ora, sorelle, come il Signore mi ha alleggerito la fatica, insegnando a voi e a me il cammino di cui avevo cominciato a parlarvi e facendomi capire quali grandi cose chiediamo quando recitiamo questa preghiera del Vangelo. Sia per sempre benedetto, perché certo non mi era mai passato per la mente che essa contenesse così grandi segreti. Avete, infatti, visto che racchiude in sé tutto il cammino spirituale, dal principio fino a quando l’anima si immerge in Dio, ed egli le dà abbondantemente da bere a quella fonte di acqua viva che, come ho detto, si trova al termine del cammino. Sembra che il Signore abbia voluto farci intendere, sorelle, il grande conforto in essa racchiuso e di quanto grande utilità sia per le persone che non sanno leggere. Se esse lo capissero bene, da questa preghiera potrebbero trarre parecchia dottrina e trovare in essa motivo di consolazione.

6. Infine, sorelle, dall’umiltà che c’insegna il nostro buon Maestro, impariamo ad esser umili. Supplicatelo anche di perdonarmi se ho osato parlare di cose tanto sublimi. Sua Maestà sa bene che se egli non mi avesse insegnato quello che ho detto, con la mia intelligenza ne sarei stata incapace. Perciò ringraziatelo voi, sorelle, giacché deve averlo fatto per l’umiltà che vi ha ispirato a chiedermi questo scritto e a voler essere istruite da una così miserabile creatura.

7. Se il padre Presentato fra Domingo Báñez, che è il mio confessore, al quale rimetterò il libro prima che lo vediate voi, reputando che serva al vostro profitto, ve lo darà in lettura, certo mi sarà di conforto che ne abbiate motivo di consolazione. Ma se fosse tale da non meritare di essere letto da alcuno, accettate la mia buona volontà, perché, scrivendo quest’opera, ho obbedito a ciò che mi avete chiesto. Con questo io mi reputo ben pagata della fatica sostenuta nello scriverla, perché quanto a pensare ciò che ho scritto, non ho affatto sofferto. Sia benedetto e lodato il Signore, dal quale ci viene tutto il bene che è nelle nostre parole, nei nostri pensieri e nelle nostre azioni! Amen.