martedì 18 ottobre 2011

La suora che ha rotto i protocolli...

Lo scorso fine settimana l'avrete notata senz'altro, prima in Aula Paolo VI (il sabato) e poi in Basilica per la Messa (la domenica), in occasione dell'incontro organizzato dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Si chiama suor Veronica, ha solo 45 anni, è spagnola, ha fondato una cosa che si chiama Jesu Communio e sembra proprio una che sa il fatto suo. Conosciamola un pò meglio.






Un miracolo sta avvenendo
nella Spagna laicista di Zapatero. Un fenomeno che nella Chiesa spagnola non si vedeva dal XVI secolo, dai tempi di Santa Teresa d’Avila, e in quella mondiale almeno da Madre Teresa di Calcutta. Ma la storia è sempre pronta a fare il bis, anche nella Chiesa. E quanto accadde con benedettini o cistercensi, clarisse o carmelitani, può ripetersi oggi: che qualcuno faccia rifiorire le vocazioni religiose. Un vero tsunami spirituale che si è scatenato dalle parti di Burgos, la cabeza de Castilla per cinque secoli capitale del regno, dove dozzine di ragazze fanno la fila per entrare nei conventi di Lerma e di La Aguilera. Molte sono laureate, in legge, economia, fisica, chimica, ingegneria, architettura, medicina, farmacia, biologia, pedagogia. C’è chi faceva la fotografa, chi studiava aeronautica e persino chi faceva la modella. Molte provengono dai movimenti laicali più cari a Wojtyla e a Ratzinger. Ad affascinarle è il carisma di una giovane badessa dagli occhi verdi e dalla parola che infiamma. La donna che sta inondando con un’alluvione di vocazioni la siccità spirituale iberica si chiama suor Verónica Maria, al secolo María José Berzosa Martinez, ha solo 45 anni e in lei c’è chi già vede la Teresa d’Avila del XXI secolo: anche la grande mistica cinquecentesca era un’appassionata riformatrice nata in terra di Castiglia…




Le "Hermanas de Iesu Communio", la nuova congregazione che sor Verónica ha fondato rinnovando il carisma francescano delle clarisse, si sono presentate in società a Burgos sabato 12 febbraio, con una celebrazione di ringraziamento nella bellissima cattedrale gotica di Santa Maria, stipata di tremila burgalés in fibrillazione: nessuno pareva avvertire il gelo che d’inverno prende possesso della Seo, il tempio gotico voluto nel 1221 dal re Fernando il Santo. E nessuno, per una volta, prestava attenzione al muro su cui è appeso il leggendario cofre del Cíd Campeador, il leggendario forziere del malinconico protagonista del Cantare del mio Cíd, l’eroe nazionale medievale le cui spoglie sono qui dal 1921. A fianco dell’arcivescovo locale Gíl Hellín, che presiedeva, c’erano il nunzio pontificio Renzo Fratini, l’arcivescovo di Madrid e presidente dei vescovi spagnoli Rouco Varela, e Raúl Berzosa, neovescovo di Ciudad Rodrigo nonché il maggiore dei quattro fratelli di suor Verónica. Finora sulla comunità di Lerma-La Aguilera era stato osservato un silenzio encomiabile. Il 4 dicembre, però, Hellín ha comunicato a suor Verónica che Benedetto XVI aveva accolto la richiesta che la sua comunità di clarisse si trasformasse in un nuovo istituto di diritto pontificio (l’approvazione ufficiale porta la data dell’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione). Così, il 12 febbraio, 186 monache (novizie, postulanti, professe temporanee e perpetue) sono uscite dal chiostro della Catedral formando una lunga colonna nella navata centrale. Giovanissime per la maggior parete, portavano un abito in tela vaquera (cioè tela di jeans) e una cappa blu, mentre erano azzurri il cordone alla cintura e, per le professe, anche il velo. Tutte si sono inginocchiate a una a una davanti all’arcivescovo, che poneva loro le tre domande di rito (atto solo simbolico, perché la professione già era stata fatta all’atto di diventare clarisse). Poi suor Verónica ha infilato al dito di ciascuna un anello bianco (simbolo della vittoria di Gesù risorto) sul quale erano incise le parole “Iesu Communio”, prima di abbracciarla con tenerezza materna e riservarle una carezza al viso o un bacio sulla guancia.

Vibranti le parole con cui suor Verónica ha iniziato la sua orazione: “Mi appassiona essere cristiana e appartenere a questa Chiesa. E mi appassiona vivere”. La superiora del nuovo Istituto ha spiegato che, quando s’è prostrata davanti all’altare, “in quel momento ho visto che questo era il posto mio. Sono stata cosciente del momento che viviamo e della nostra responsabilità”. E ammesso di avere “lo spavento in corpo” ma anche “molta gioia”. L’arcivescovo Gil Hellin nell’omelia le ha fatto eco: “Le vocazioni che stanno arrivando ci riempiono di allegria”.

Dicono che a suor Verónica i giornalisti facciano venire l’orticaria. Di sicuro, li ha sempre evitati, anche dopo la cerimonia in cattedrale. L’unica intervista vera la rilasciò il 14 maggio 2005, per l’ordinazione episcopale di suo fratello Raúl, a un noto giornalista cattolico, Javier Moran de La Nueva España. “Sono la donna più felice della terra. Gesù Cristo è stato il mio respiro, la mia vita, il mio palpitare, il mio sentire”, proclamò Verónica al giornalista, impressionato da questa “bella donna, dai grandi occhi verdi, che pare abitare in un’altra dimensione, mistica, come se ricevesse un’ispirazione superiore e rispondesse a una grande presenza nella sua vita”.

Più disponibile con i media è il prediletto fratello vescovo Raúl, spesso interpellato per sapere qualcosa della sorella. La premessa di solito è: “Per rispettare il suo silenzio devo rispondere con il mio”. Poi però qualcosa rivela: per esempio, che da ragazza Mayse (così la chiamavano i quattro fratelli maggiori) era un tipetto irrequieto e volubile, tanto che, quando lei compì 15 anni, Raúl, già seminarista, le regalò una farfalla di tela comprata dai cinesi, su cui aveva scritto: “Mayse, non essere come le farfalle, che hanno belle ali ma non mettono mai radici in nessun posto”. Lei continuò a fare teatro, a giocare a basket e a uscire con i ragazzi, però lo prese sul serio, come ha raccontato nel libro semi autobiografico Chiara ieri e oggi: “Qualcosa dentro di me mi spingeva a cercare senza sosta. Vedendo come la gente distruggeva la sua vita, desideravo trovar qualcosa che non si esaurisse, che fosse eterno”.

Raúl fu ordinato sacerdote nel novembre 1982 da Giovanni Paolo II, durante la visita papale a Valencia. Al ritorno, stremato, Raúl si addormentò sulla spalla della sorella: “Lei mi toccava i capelli e diceva: guarda, Signore, adesso che mio fratello è consacrato dammi un po’ del suo spirito. E mi toccava i capelli e si passava le mani sui suoi perché lo Spirito si infondesse in lei”. In 15 giorni, così, la ragazza decise: voleva farsi monja. Mayse, a differenza di Teresa d’Avila, non dovette fuggire di casa, però nella sua cattolicissima famiglia, ad Aranda del Duero, tutti erano scettici. Invece il 22 gennaio 1984, la ragazza smetteva di studiare medicina ed entrava come novizia fra le clarisse del monastero dell’Ascensione, a Lerma, cittadina di 2.500 abitanti vicino a Burgos: aveva 18 anni e da ora si sarebbe chiamata suor Verónica Maria. “Nessuno mi capiva”, ha scritto nel suo libro, “scommettevano che non sarebbe durata. Non sapevano dell’uragano che mi trascinava”. Suor Verónica in convento è rimasta (“Qui mi sento libera”, ha detto), e anzi, l’ha trasformato totalmente, a partire da quando, nel 1994, a soli 28 anni, le fu affidato l’incarico di maestra delle novizie. Nasceva così quello che è stato chiamato “el milagro de Lerma”: il numero delle vocazioni iniziò a crescere in modo impressionante. All’epoca del suo ingresso, Mayse nel vecchio convento fondato nel 1604 aveva trovato 23 monache, da 23 anni non entrava alcuna novizia e la più giovane di anni ne aveva 40. Nel 2000, le suore erano già in 50. E poi, 72 nel 2002, 92 nel 2004, 105 nel 2005, 134 nel 2009. Con l’età media scesa a 35 anni!

Nel piccolo monastero di Lerma, pensato per 32 suore al massimo, però non c’era posto per tutte. Né poteva bastare tirar su in sacrestia delle mini-celle prefabbricate. Il cardinal Rouco ebbe un’idea esagerata: un monastero modernissimo, progettato vicino a Madrid niente meno che dall’archistar Santiago Calatrava. I maligni insinuano che il convento europeo con il maggior numero di vocazioni farebbe gola a qualunque vescovo. Ma, comunque fosse, il progetto si scontrò contro due ostacoli insormontabili: il costo (12 milioni di euro), e l’opposizione di suor Verónica, che a spostarsi non ci pensava nemmeno. La soluzione la trovò la settantenne badessa suor Blanca Mateos: un enorme, fatiscente convento abitato solo da quattro frati a La Aguilera, a 40 chilometri da Lerma, presso il santuario e la tomba di san Pedro Regalado, grande asceta quattrocentesco e protettore dei toreri. La dinamica suor Blanca cionvinse i francescani a cederlo alle suore, mentre un potente manager-benefattore e un paio di fondazioni bancarie hanno finanziato i restauri. Così il 9 giugno 2009 cento suore si spostavano nelle cento celle nuove di zecca (dieci metri quadri ciascuna) di un convento modello, moderno, luminoso, illuminato da pannelli solari. Con tanto di attrezzato laboratorio di pasticceria da cui escono apprezzatissime pasteles y bombones. Senza grate divisorie, ma con una sorta di anfiteatro per 500 persone, dove nei weekend le suore accolgono i visitatori, cantando e ballando con loro. Da soli tre mesi (dal marzo 2009) il capitolo aveva eletto al primo turno di voto suor Verónica come nuova badessa. Con un problema: due sedi e un’unica superiora per una stessa comunità contemplativa claustrale non s’erano mai viste. Ma il Vaticano di fronte a tanta grazia ha capito che non era il caso di sottilizzare: il Vaticano ha concesso, inizialmente per tre anni, la facoltà speciale di costituire un solo monastero, “dell’Ascensione del Signore”, con due case, un unico governo, un solo noviziato e un Capitolo comune. Una situazione unica al mondo, sancita già da una lettera inviata il 27 giugno 2009 alla madre abadesa dal cardinal Franc Rodé, il prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata. Del resto, la benevolenza con cui il Papa guarda a questa eccezionale esperienza si riscontra anche nel fatto che, per dare inizio alla fase delle due sedi staccate, a predicare gli esercizi spirituali alle hermanas della comunità fu inviato il predicatore pontificio Raniero Cantalamessa. Che, fra l’altro, ne “approfittò” per registrare un breve servizio televisivo (andato in onda su Raiuno e cliccatissimo su Youtube), impressionante per la gioia di vivere comunicata dalle giovani veroniquesas: più che in clausura, sembra di trovarsi alle Giornate mondiali della gioventù o a un raduno di giovani di Taizè. O di kikos, i neocatecumenali dalle cui famiglie arrivano parecchie ragazze. Proprio in questo modo frizzante di vivere la spiritualità monastica sta la novità di Iesu Communio, che hanno ottenuto di passare dalla restrittiva “clausura papale” a una “clausura secondo le costituzioni dell’ordine”, che permette di sviluppare opere caritative e apostoliche. Ogni grande riforma monastica del resto ha sempre comportato un rinnovamento, pur nella fedeltà alla Chiesa. Giovanni Paolo II lo intuiva, quando nel 1982 esortò le suore del Carmelo di Avila: “Lasciate che i vostri monasteri si aprano a quelli che hanno sete. I vostri monasteri sono comunità di preghiera e potranno essere anche centri di accoglienza, soprattutto per giovani (…). Voi potrete dare la risposta evangelizzatrice ai giovani del nostro tempo”.

Se quella di Wojtyla era una provocazione, suor Verónica l’ha colta alla lettera. I suoi due conventi traboccano di allegria, affetto reciproco, fraternità reale. Oltre a lavorare e studiare, le suore pregano, ballano, recitano, giocano, scherzano, cantano (hanno anche inciso un cd con le loro canzoni originali, dal titolo Soy de Cristo), e accolgono i visitatori senza smettere mai di sorridere. Così Lerma e Las Aguilera oggi sono centri di spiritualità viva, contemporanea ma pienamente ortodossa, sviluppatisi secondo lo slogan “Todo por Cristo y para Cristo”. Ogni weekend vi arrivano, come ha raccontato la stessa suor Verónica, “due o trecento giovani, senza essere stati chiamati. Chiedono di venire, arrivano in autobus. Ci fanno domande sulla fede, su Dio”. A tutti, suor Verónica cerca di comunicare quanto capì il giorno della Prima comunione, quando il suo confessore le disse: “Se vuoi essere felice per un giorno, metti un paio di scarpe nuove. Per una settimana, ammazza un maiale. Per tutta la vita, monaca di clausura”. Questa coscienza, la madre badessa l’ha messa al servizio degli altri. Monsignor Raúl Berzosa ha spiegato che la sorella ha una grande capacità di discernimento, di conoscere le persone: “Ha un dono speciale per conoscere in profondità le persone con cui parla, nel positivo e nel negativo. Ed è altrettanto portata alla direzione spirituale, ma nonostante ciò vive nell’austerità e nel sacrificio: è una donna libera con un enorme istinto materno che ha indirizzato verso la maternità spirituale, perché generare una persona alla fede è tanto importante come darla alla luce fisicamente”. E un altro fratello, Jesus, medico, è convinto che Mayse sarebbe riuscita in qualunque cosa cui si fosse dedicata, perché “è intelligente, sensibile, ottimista, ha le idee molto chiare, un’enorme costanza, un gran temperamento, un genio che scatta quando occorre, forza interiore e voglia di vivere, ed è anche una esecutrice nata”.

Un fenomeno del genere, insomma, nella Chiesa non si vedeva da secoli. Chissà: se nell’alto Medioevo l’Europa fu salvata dai monaci benedettini, forse saranno le suore di clausura di Iesu Communio a salvare il mondo contemporaneo dalla nuova barbarie, a rispondere al bisogno di una nuova evangelizzazione. Sarà il tempo a dirlo. E a decidere se un giorno si parlerà della loro fondatrice come della Teresa d’Avila del XXI secolo.
Fonte: Nastia Filippi in "La Bussola Quotidiana" del 12.03.2011

Sotto, un video in cui il padre Raniero Cantalamessa ofmcapp., il predicatore della Casa Pontificia, visita la Comunità fondata da suor Veronica...