sabato 15 ottobre 2011

Teresa d'Avila - Libro della Vita (capp. 26-40) e Lettera conclusiva


CAPITOLO 26

Prosegue nel medesimo argomento. Racconta e spiega cose che le sono accadute e che, facendole deporre ogni timore, l’hanno convinta che era lo spirito buono a parlarle.

1. Ritengo come una delle maggiori grazie che il Signore m’abbia fatto, questo coraggio che mi ha dato contro i demoni, essendo un grandissimo inconveniente che l’anima proceda smarrita, nel timore di qualcosa d’altro che non sia l’offendere Dio, quando abbiamo un re onnipotente, un così grande Signore che tutto può e tutti assoggetta a sé. E non c’è da temere nulla se – come ho detto – si cammina davanti a Sua Maestà con verità e coscienza pura. A questo scopo, ripeto, vorrei avere tutti i timori di questo mondo: per non offendere per un solo attimo colui che in quello stesso attimo ci può annientare, mentre se Sua Maestà è contento di noi, non v’è alcuno che ci possa osteggiare senza uscirne sconfitto. Si potrà dire che questo è vero, ma quale anima sarà così retta da contentare in tutto Dio e perciò da non dover temere? Non la mia, certamente, che è assai spregevole, inutile e piena di infinte miserie. Ma Dio non si comporta come gli uomini, perché comprende le nostre debolezze; l’anima, poi, da grandi indizi sente se lo ama davvero. L’amore di chi giunge a questo stato, infatti, non resta nascosto come agli inizi, ma erompe, con grande impeto e desiderio di vedere Dio, come dirò in seguito o come è già stato detto: tutto la stanca, tutto l’annoia, tutto la tormenta, tranne ciò che fa con Dio o per Dio. Non v’è riposo che la riposi, perché si vede priva del suo vero riposo; ed è cosa tanto chiara che, come dico, non le può passare inosservata.

2. Altre volte mi è accaduto di trovarmi in grandissime tribolazioni, essendo oggetto di gravi mormorazioni – per un certo affare di cui parlerò – da parte di quasi tutta la città in cui vivo e del mio Ordine, e afflitta da molte ragioni di inquietudine, e di udire il Signore dirmi «Di che temi? Non sai che io sono onnipotente? Io adempio quello che ho promesso» (e infatti poi tutto si è adempiuto perfettamente), rimanendo subito piena di una tale forza che mi sembrava d’essere nuovamente disposta a intraprendere altre opere, per servirlo, anche a prezzo di maggiori fatiche e di nuove sofferenze. Questo mi è accaduto tante volte che non potrei contarle; speso mi faceva rimproveri, come me ne fa ora quando commetto mancanze, e tali che bastano ad annientare un’anima, ma almeno comportano un emendamento, perché Sua Maestà – come ho detto – dà il consiglio e il rimedio. Altre volte mi ricordava i miei peccati di un tempo, specialmente quando voleva farmi qualche grazia particolare, e allora sembrava alla mia anima di trovarsi già al giudizio finale, venendole presentata la verità con così chiara rivelazione da non saper dove nascondersi. C’erano volte in cui mi avvisava di alcuni pericoli nei riguardi miei e di altre persone, cose che, spesso, dovevano avvenire tre o quattro anni dopo, e tutte si sono avverate. Potrà darsi che ne riferisca alcune. Perciò, sono tanti i segni per capire se c’è l’intervento di Dio che, a mio parere, è impossibile non accorgersene.

3. La via più sicura è quella (che seguo, senza la quale non avrei pace, com’è per tutte noi donne che non abbiamo istruzione), poiché in essa non può esservi alcun danno, bensì molto vantaggio, come mi ha detto più volte il Signore, e consiste nel non tralasciare di aprire tutta la mia anima e comunicare tutte le grazie che egli mi fa a un confessore che sia dotto, e poi obbedirgli ciecamente. Avevo un confessore che mi mortificava molto e alcune volte mi affliggeva e mi procurava grande sofferenza, per la viva inquietudine che destava in me; eppure fu quello, mi pare, che più mi giovò. Benché l’amassi molto, a volte ero tentata di lasciarlo, sembrandomi un impedimento all’orazione quelle pene ch’egli mi cagionava. Ma ogni volta che mi decidevo a far questo, udivo subito una voce che mi diceva di non farlo, con un rimprovero così acerbo che mi abbatteva più di quanto non facesse il confessore. Alcune volte ne ero stremata: tormenti da una parte e rimproveri dall’altra, e di tutto avevo bisogno, perché la mia volontà non era ancora domata. Una volta il Signore mi disse che non sarei riuscita ad obbedire se non ero disposta a patire, che guardassi a ciò che egli aveva patito e tutto mi sarebbe stato più facile.

4. Una volta un confessore, dal quale mi ero confessata in principio, mi consigliò, visto che si trattava dello spirito buono, di tacere e non farne parola con nessuno, essendo ormai meglio tacere. A me il consiglio non dispiacque, perché soffrivo tanto nel dire tali cose al confessore e ne provavo tale vergogna che a volte mi costava molto più che confessare peccati gravi, specialmente quando le grazie erano grandi e mi sembrava che non sarei stata creduta e sarei diventata oggetto di burla. Soffrivo tanto a questo pensiero, temendo fosse una mancanza di rispetto alle meravigliose grazie di Dio, che per questo volevo tacere. Ma poi capii che ero stata mal consigliata da quel confessore, che in nessun modo dovevo tacere nulla a chi mi confessava, essendo questa la via più sicura mentre, facendo il contrario, poteva darsi che a volte mi ingannassi.

5. Sempre, quando il Signore mi ordinava qualche cosa nell’orazione, se il confessore me ne imponeva un’altra, lo stesso Signore tornava a dirmi di ubbidire al confessore, poi Sua Maestà gli faceva cambiare parere, così che ci tornasse su, uniformando il comando al suo volere. Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: «Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente». Io non riuscivo a capire che cosa quelle parole potessero significare, non avendo ancora avuto visioni; in seguito, di lì a pochissimi giorni, lo capii molto bene, perché ebbi tanto da pensare e da raccogliermi in quello che vedevo, e il Signore mi ha dimostrato tanto amore nell’istruirmi in varie maniere, che ho avuto ben poca, anzi quasi nessuna necessità di libri. Sua Maestà è stato il solo libro dove ho letto le supreme verità. Benedetto sia tale libro che lascia impresso quello che si deve leggere e praticare, in modo che non si può dimenticare! Chi, vedendo il Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia le sue pene, non le ama e non le desidera? Chi, vedendo qualcosa della gloria che dà a coloro che lo servono, non riconosce che tutto quanto possiamo fare e patire è nulla, in attesa di tale premio? Chi, vedendo i tormenti che soffrono i dannati, non considera gioia, al loro confronto, i tormenti di questa terra e non riconosce il molto che deve al Signore per essere stato liberato tante volte da quella situazione?

6. Poiché, con la grazia di Dio, si parlerà più a lungo di queste cose, voglio andare avanti col racconto della mia vita. Piaccia al Signore che io abbia saputo spiegarmi in quello che ho detto! Sono certa che chi ne ha esperienza mi capirà e vedrà che in qualche cosa ho colto nel segno; a chi non l’ha, non mi meraviglio se tutto possa sembrare una pazzia; basta che l’abbia detto io perché ne resti scusato, né farò mai di questo colpa a nessuno. Il Signore mi consenta di riuscire a compiere la sua volontà! Amen.

CAPITOLO 27

Nel quale si parla di un altro modo con cui il Signore istruisce le anime e, senza parlare, fa loro intendere la sua volontà in modo meraviglioso. Cerca anche di spiegare una grazia insigne concessale dal Signore con una visione non immaginaria. È un capitolo molto degno di nota.

1. Tornando, dunque, al racconto della mia vita, ero immersa in quella penosa afflizione, mentre si pregava fervidamente, come ho detto, perché il Signore mi conducesse per un’altra via che fosse più sicura, essendo questa – dicevano – troppo sospetta. Io, però, benché ne supplicassi il Signore, per molto che mi sforzassi di desiderare un’altra strada, vedendo il grande miglioramento della mia anima, eccetto alcune volte in cui ero molto tormentata dalle cose che mi dicevano e dai timori che mi comunicavano, non riuscivo a desiderarlo, pur chiedendolo sempre. Mi sentivo del tutto trasformata e non potevo far altro se non rimettermi nelle mani di Dio, il quale sapeva ciò che mi conveniva, affinché compisse in me completamente la sua volontà. Vedevo che per questa via mi dirigevo al cielo, mentre prima me ne andavo all’inferno. Che dovessi desiderare di cambiarla o credere che fosse opera del demonio, non mi si poteva indurre a farlo, e anche se mi adoperavo nei limiti del possibile a crederlo e a desiderarlo, non ci riuscivo. Offrivo a questo scopo ciò che facevo, se era qualche opera buona; prendevo per protettori alcuni santi, perché mi liberassero dal demonio; facevo novene, mi raccomandavo a sant’Ilarione e a san Michele Arcangelo, che invocavo con rinnovata devozione, e importunavo molti altri santi perché il Signore mi mostrasse la verità, intendo dire perché ottenessero che Sua Maestà me la manifestasse.

2. Dopo due anni di continue preghiere mie e di altre persone per quanto si è detto, cioè perché il Signore mi conducesse per altra strada e mi mostrasse la verità, continuando egli a parlarmi assai spesso, mi accadde questo: mentre un giorno ero in orazione, per la festa del glorioso san Pietro, vidi o, per meglio dire, sentii, perché né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima vidi nulla, vicino a me Gesù Cristo. Mi sembrava molto vicino e capivo – così almeno mi parve – che era proprio lui a parlarmi; ignorando in modo assoluto che si potessero avere simili visioni, in principio fui presa da grande spavento e non facevo che piangere, anche se poi una sola sua rassicurante parola bastava a lasciarmi tranquilla e lieta come al solito, senza alcun timore. Mi sembrava che Gesù Cristo mi camminasse sempre a fianco e, poiché non era una visione immaginaria, non vedevo in che forma, ma sentivo ben chiaramente che stava sempre al mio lato destro e che era testimone di tutto quanto facevo; e mai, se mi raccoglievo un poco o non fossi molto distratta, potevo ignorare che mi era vicino.

3. Andai subito, molto turbata, a dirlo al mio confessore. Mi chiese in che forma lo vedessi; io gli risposi che non lo vedevo. Mi chiese allora come potessi sapere che era Cristo. Gli dissi che non sapevo come, ma che mi era impossibile non accorgermi che mi era vicino, che lo vedevo e lo sentivo chiaramente: il raccoglimento dell’anima era molto maggiore e più continuo che nell’orazione di quiete, gli effetti erano ben diversi dai soliti e la cosa era molto evidente. Non facevo che portare paragoni per farmi capire, ma certamente, per questo genere di visioni, a mio parere, non ce n’è alcuno che vada bene. Pertanto, essendo delle più sublimi (come mi disse poi un santo uomo, di spirito assai elevato, chiamato fra Pietro d’Alcántara, di cui in seguito parlerò più a lungo e anche altri grandi teologi), poiché fra tutte, è quella ove meno si può intromettere il demonio, non c’è modo per noi, qui, che sappiamo poco, di spiegarla, ma i dotti la sapranno spiegare meglio. Se dico, infatti, di non vederlo né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima, perché non è visione immaginaria, come posso capire e affermare che sta presso di me più chiaramente che se lo vedessi? Dire che è come se una persona sta al buio e non può vederne un’altra presso di sé, o che è cieca, non è esatto. Vi è qualche somiglianza, ma non molta, perché questa tale persona percepisce con i sensi e ode parlare o sente muovere l’altra, se la tocca. Qui non avviene nulla di tutto questo e neppure si è al buio, perché Dio si manifesta all’anima con una luce più chiara del sole; non dico che si vede il sole né alcun chiarore, ma una luce che, senza mostrarsi, illumina l’intelletto, affinché l’anima goda di un bene così grande e porta con sé molti altri vantaggi.

4. Non è come la presenza di Dio che si avverte molto spesso specialmente da chi attende all’orazione di unione o di quiete, allorché sembra, disponendosi a cominciare tale orazione, di trovare subito con chi parlare e di capire d’essere ascoltati per gli effetti spirituali e i sentimenti che proviamo di ardente amore, di fede e di altre risoluzioni piene di tenerezza. Questo è un grande dono di Dio, e lo stimi molto chi l’abbia ricevuto, perché si tratta di un’orazione assai elevata, ma non di una visione. In essa, infatti, si comprende che Dio è lì per gli effetti che – come dico – produce nell’anima, mediante i quali Sua Maestà vuol farsi sentire. Ma, qui si vede chiaramente che è presente Gesù Cristo, figlio della Vergine. Là sono evidenti soltanto alcuni effetti della divinità; qui, insieme con essi, si vede anche che ci accompagna e vuol farci grazie la sacratissima umanità di Cristo.

5. Mi domandò, dunque, il confessore: «Chi le ha detto che era Gesù Cristo?». «Egli stesso me l’ha detto, molte volte», risposi io, ma prima che me lo dicesse, avevo ben capito che era lui, anzi, me l’aveva detto prima ancora, quando io non lo vedevo. Se una persona che non avessi mai visto, ma di cui solo avessi avuto notizia, venisse a parlarmi mentre sono cieca o al buio, e mi dicesse chi è, io potrei crederlo, ma non potrei affermare con certezza che si tratti di quella persona, come se l’avessi vista, mentre qui sì, perché il Signore, pur senza che lo si veda, ci si imprime nell’anima con una conoscenza così chiara che sembra impossibile dubitarne. Egli, infatti, vuole restare scolpito nell’intelletto in modo che se ne abbia la certezza, come e più che se si vedesse con gli occhi, perché in questo caso, a volte, ci rimane il sospetto di aver visto con la fantasia, mentre qua, anche se lì per lì possa sorgere tale sospetto, la certezza è così soverchiante che il dubbio non ha forza.

6. Qui Dio istruisce l’anima anche in altro modo e le parla senza parlare, come ho detto. È un linguaggio così celestiale, che quaggiù non si può spiegare, per molto che vogliamo dire, se il Signore non ce lo insegna mediante l’esperienza. Egli pone nella parte più intima dell’anima ciò che vuole che essa intenda, presentandoglielo senza immagini né forme di parole, ma nel modo della visione di cui ho detto. Si noti bene questo modo con cui il Signore fa capire all’anima, insieme con ciò che egli vuole, grandi verità e misteri, perché molte volte è proprio così che io intendo, quando il Signore mi spiega qualche visione avuta, e mi sembra che qui il demonio possa intromettersi meno, per le ragioni che seguono; se esse non sono buone, vuol dire che m’inganno.

7. Questa specie di visione e di linguaggio è cosa tanto spirituale che nelle potenze e nei sensi non c’è nessun movimento, a mio parere, da cui il demonio possa spiare nulla. questo avviene, però, solo qualche volta e per breve tempo, mentre altre volte mi sembra che né le potenze siano sospese né i sensi sopiti, ma perfettamente in sé, il che nella contemplazione non avviene spesso, anzi assai di rado; ma quelle volte che avviene, noi non operiamo né facciamo nulla: sembra che tutto sia opera del Signore. È come se nello stomaco si trovasse un cibo che non abbiamo mangiato né sappiamo noi stessi come vi sia entrato, eppure siamo certi che c’è; ma mentre, per quanto riguarda il cibo, non si sa che cibo sia né chi ve l’abbia posto, qui invece lo sappiamo. Solo si ignora in che modo vi sia stato posto, perché non si vede né s’intende ciò che l’anima non si era mai indotta a desiderare, non sapendo neppure che una tale grazia fosse possibile.

8. Nelle parole che abbiamo detto prima, Dio fa in modo che l’intelletto stia attento, anche contro sua voglia, a intendere ciò che egli dice, perché in quello stato sembra che l’anima abbia nuove orecchie per udire e che Dio la costringa ad ascoltare e a non distrarsi. È come se a una persona di buon udito non si permettesse di tapparsi le orecchie e le si parlasse da vicino e a gran voce: anche se non volesse, deve udire e, infine, qualcosa fa, stando attenta a capire ciò che le viene detto. Qui l’anima non fa nulla, perché le viene tolto anche il poco che faceva in passato, ch’era solo l’ascoltare. Trova tutto bell’e pronto, come già cucinato e mangiato, né ha da fare altro che goderne, come uno che, senza aver appreso e nemmeno aver studiato mai nulla, né essersi mai affaticato per imparare a leggere, si scopra ormai dotto in ogni scienza, ignorando in che modo né da chi gli sia venuta, poiché non aveva fatto alcuno sforzo nemmeno per imparare l’abbiccì.

9. Quest’ultimo paragone mi sembra che spieghi qualcosa di tal dono celestiale, perché l’anima si ritrova in un attimo sapiente e vede con tanta chiarezza il mistero della santissima Trinità e altri misteri molto elevati, che non c’è teologo con il quale non ardirebbe discutere la verità di queste altissime rivelazioni. La riempie di meraviglia il fatto che basti una sola di queste grazie per mutare totalmente un’anima e non farle amare più nulla, se non colui il quale, senza alcuna fatica, vede che la rende capace di accogliere così grandi beni, le rivela i suoi segreti e la tratta con tali ineffabili prove d’amicizia e d’amore. Alcune di queste grazie generano perfino sospetto, per essere causa di così grande meraviglia e per essere fatte a chi le ha così poco meritate, che senza una fede assai viva non si potrebbe credere. Pertanto, mi propongo di parlare di poche fra quelle che il Signore ha concesso a me – se non mi verrà ordinato altrimenti – limitandomi ad alcune visioni che possono essere di vantaggio in qualche cosa, o perché non si spaventi chi ne sarà favorito dal Signore, sembrandogli cosa impossibile, come facevo io, o per indicargli il modo e il cammino attraverso cui mi ha condotto il Signore, che è appunto ciò che mi hanno comandato di scrivere.

10. Tornando, dunque, a questa maniera d’intendere, a me sembra che il Signore voglia in tutti i modi che l’anima abbia una qualche idea di ciò che avviene in cielo, e mi sembra anche che allo stesso modo in cui lassù si ha la facoltà d’intendere senza bisogno di parole (cosa che io non ho mai saputo con certezza fino a quando il Signore per sua bontà volle che ne avessi conoscenza e me la mostrò in un rapimento), così avviene qui, dove Dio e l’anima si comprendono, non appena Sua Maestà lo vuole, senza bisogno di alcun artifizio che serva alla manifestazione dell’amore vicendevole fra questi due amici. Come quaggiù, se due persone si amano molto e sono d’intelligenza sveglia, anche senza alcun segno sembra che si comprendano, solo col guardarsi, così dev’essere in tale circostanza in cui, senza che noi possiamo capire come, questi due amanti si guardano fissamente; al modo stesso in cui lo sposo parla alla sposa nel Cantico dei Cantici, a quanto mi sembra d’aver udito, è ciò che avviene qui.

11. Oh, mirabile benignità di Dio, che così vi lasciate guardare da occhi che hanno potuto finora guardare tanto male come quelli della mia anima! Questa vista, Signore, lasci in loro l’abitudine di non guardare più cose spregevoli, e di non essere contenti d’altro che di voi! Oh, ingratitudine dei mortali! Fino a che punto sarà capace di giungere? So per esperienza che è vero quanto dico e che quanto si può dire è la minima parte del bene che voi fate a un’anima, innalzandola a tali vette. O anime, che avete cominciato a praticare l’orazione e che avete una vera fede, quali beni potete cercare ancora in questa vita – lasciando da parte ciò che si acquista per l’eternità – che regga il confronto con il più piccolo di questi?

12. Siate certi che Dio dona se stesso a coloro che per lui abbandonano tutto. Non ha preferenza per questo o per quello, ama tutti indistintamente; nessuno, per cattivo che sia, può addurre scuse, dopo che egli ha avuto tanto amore per me da elevarmi a questo stato. Badate che ciò che dico non è che una minima parte di ciò che si può dire. Ho detto solo quanto è necessario per spiegare questa maniera di visione e questa grazia che Dio fa all’anima, ma non riesco a dire ciò che si sente quando il Signore le fa intendere i suoi segreti e le sue magnificenze. È una gioia tanto superiore a quelle che si possono provare quaggiù, che ben a ragione fa disprezzare tutti i piaceri della vita i quali, tutti insieme, non sono che immondizia. Dà disgusto prenderli qui come termine di confronto – anche se fosse dato di goderne eternamente – con quelli che il Signore concede, i quali non sono che una goccia del gran fiume ricco d’acqua che ha preparato per noi.

13. È proprio una vergogna, e io l’ho, certamente, di me; e se in cielo si potesse provare vergogna, io lassù dovrei a ragione provarne più di tutti! Perché pretendere tanti beni, diletti e gloria senza fine, unicamente a spese del buon Gesù? Non piangeremo almeno con le figlie di Gerusalemme, visto che non l’aiutiamo a portare la croce con il cireneo? O, forse, con i piaceri e i passatempi, dobbiamo godere di ciò che egli ci ha guadagnato a prezzo di tanto sangue? È impossibile. E con vani onori pensiamo di riparare al disprezzo da lui sofferto perché noi potessimo regnare eternamente? È assurdo; si sbaglia, si sbaglia strada; non arriveremo mai lassù. La signoria alzi la voce per proclamare queste verità, poiché a me Dio non ha concesso la facoltà di farlo. Io lo vorrei ripetere sempre a me stessa, ma ho cominciato così tardi ad ascoltare e intendere la voce di Dio – come si vede da questo scritto – che parlare di ciò mi procura gran vergogna, pertanto preferisco tacere; dirò solo una considerazione che faccio alcune vote. Piaccia al Signore di condurmi al punto che possa godere del bene a cui si riferisce!

14. Che gloria relativa e che gioia sarà per i beati che già godono di gaudi celesti il vedere che, sia pur tardi, non tralasciarono di far nulla di quanto fosse loro possibile, né di dargli, in tutti i modi alla loro portata, quanto poterono, secondo le proprie forze e la propria condizione, e di più chi poteva di più! Come si troverà ricco colui che ha lasciato tutte le ricchezze per Cristo, come si vedrà onorato colui che per suo amore non volle onori, godendo solo di vedersi molto umiliato, quanto sapiente colui che si compiacque di essere stimato pazzo, poiché tale fu il nome dato alla stessa Sapienza! Come sono pochi adesso tutti costoro, a causa dei nostri peccati! Sembra proprio che ora siano spariti quelli che la gente stimava pazzi vedendoli compiere azioni eroiche, da veri amanti di Cristo. Oh mondo, mondo, come vai guadagnando in onore, per essere pochi quelli che ti conoscono!

15. Arriviamo al punto di pensare che si serve maggiormente Dio se si è stimati saggi e prudenti. E si dice che si deve agire così perché così vuole la discrezione; ci sembra subito che sia poco edificante non comportarsi col decoro e l’autorità che il nostro stato richiede; perfino al frate, al prete e alla monaca sembra una cosa strana e un motivo di scandalo per i deboli il portare un abito vecchio e rammendato, come anche stare in grande raccoglimento e praticare l’orazione, tale è l’andazzo del mondo e tanto si sono dimenticati i grandi impeti di perfezione che avevano i santi. E penso che ciò sia il peggiore danno nel quadro delle sventure che si verificano ai nostri giorni, mentre non vi sarebbe scandalo per nessuno se i religiosi dimostrassero con le opere, come dicon a parole, il poco conto che si deve fare del mondo. Sono scandali, questi, da cui il Signore sa cavare grandi beni. E se alcuni si scandalizzano, altri si sentono pungere la coscienza. Se almeno vi fosse qualcuno che rendesse immagine della vita di Cristo e dei suoi apostoli, perché ora ve n’è più che mai bisogno!

16. Che bell’esempio di un tal genere di vita ci è offerto dal benedetto fra Pietro d’Alcántara che ora Dio ci ha tolto! Sembra che il mondo non sia più capace di sopportare tanta perfezione: si dice che le costituzioni fisiche sono più deboli e che i tempi sono cambiati. Eppure questo santo era un uomo del nostro tempo, ma il suo spirito era forte come nei tempi passati, perciò teneva il mondo sotto i piedi. Ed anche senz’andare scalzi né far così aspra penitenza come lui, vi sono molti modi – come ho detto altre volte – per calpestare il mondo, che il Signore ci insegna quando ci vede con coraggio. E quanto ne diede a questo santo di cui parlo, se per quarantasette anni poté fare quella così aspra penitenza che tutti sanno! Voglio dirne qualcosa che so rispondente del tutto a verità.

17. Ne parlò con me e con un’altra persona: con questa, perché per lei non aveva segreti, e con me, per l’affetto che mi portava, ispiratogli dal Signore, affinché potesse difendermi e incoraggiarmi in un momento in cui ne avevo tanto bisogno, come ho già detto e ancora dirò. Mi sembra che mi dicesse che da quarant’anni dormiva solo un’ora e mezzo tra notte e giorno, e che vincere il sonno era stata in principio la sua più faticosa penitenza; proprio a questo scopo stava sempre in ginocchio o in piedi. Per dormire si metteva a sedere, con la testa appoggiata a una piccola trave conficcata nella parete. Coricarsi non avrebbe potuto, anche volendolo, perché la sua cella, com’è noto, non era più lunga di quattro piedi e mezzo. In tutti questi anni non si mise mai il cappuccio, per quanto il sole ardesse o per quanta pioggia si rovesciasse, né calzatura ai piedi, né alcun indumento fuorché un abito di bigello, senz’altro che gli ricoprisse le carni, e questo di strettissima misura; sopra di esso portava un mantello della stessa stoffa. Mi diceva che nei grandi freddi se lo toglieva e lasciava aperta la porta e la finestrina della cella affinché, ponendosi poi di nuovo il mantello e chiudendo la porta, il corpo si riavesse un po’ e potesse riposare più riparato. Mangiare ogni tre giorni era per lui cosa ordinaria e, poiché io me ne stupivo, mi disse che era molto facile per chi ne avesse preso l’abitudine. Da un suo confratello seppi che gli accadeva di stare otto giorni senza mangiare, perché era soggetto a grandi rapimenti e impeti di amore di Dio, dei quali io, una volta, fui testimone.

18. La sua povertà era estrema e grande la sua mortificazione fin dalla giovinezza, in cui mi disse che gli era accaduto di stare tre anni in una casa del suo Ordine senza conoscere alcun frate se non dalla voce, perché non alzava mai gli occhi. Pertanto, ignorando i luoghi dove doveva necessariamente recarsi, lo faceva seguendo gli altri. E così faceva anche nelle strade. Da molti anni non guardava le donne; mi diceva che per lui vedere o non vedere era lo stesso. Ed essendo molto vecchio quando io lo conobbi, era di così estrema magrezza che sembrava fatto di radici d’albero. Nonostante questa sua assoluta santità, era molto affabile, anche se di poche parole, tranne quando veniva interrogato; e allora diceva cose molto acute, perché era dotato di un ingegno assai perspicace. Vorrei dire ancora di più, senonché ho paura che la signoria vostra mi chieda che c’entra tutto ciò, e con tale timore ne ho scritto. Pertanto, vi pongo fine dicendo che egli morì come era vissuto, istruendo e ammonendo i suoi frati. Quando vide di essere agli estremi, disse il salmo: Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto e, inginocchiatosi, morì.

19. In seguito, è piaciuto al Signore che io avessi da lui più aiuto di quando era in vita, ricevendone consiglio in molte circostanze. L’ho visto più volte circonfuso di eccelso splendore. La prima volta che mi apparve mi disse che era stata la sua una felice penitenza, avendogli meritato tale premio. Mi era anche apparso un anno prima di morire, quando era lontano alcune leghe da qui; avevo saputo che sarebbe morto e lo avvertii di ciò. Appena spirato, mi apparve e mi disse che andava a riposare. Io non gli credetti e ne parlai con alcune persone; dopo otto giorni giunse la notizia che era morto o, per meglio dire, che aveva cominciato a vivere per sempre.

20. Ecco, dunque, finite le aspre penitenze della sua vita in così grande gioia! Mi sembra che egli ora mi consoli molto di più di quando stava qui. Una volta il Signore mi disse che avrebbe sempre esaudito chi gli avesse chiesto qualcosa in suo nome. Infatti, ho visto sempre soddisfatte le richieste che gli ho raccomandato di porgere al Signore. Sia per sempre benedetto! Amen.

21. Ma quante chiacchiere ho fatto per indurre la signoria vostra a non tenere in alcun conto le cose si questa vita, come se non lo sapesse o non fosse già deciso a lasciare tutto e, anzi, non l’avesse già fatto! C’è tale perdizione nel mondo che, anche se tutto il vantaggio del dirlo sia solo la stanchezza, per me, di scriverne, tuttavia mi è di sollievo vedere che quanto dico è totalmente a mia condanna. Il Signore mi perdoni le offese che in tal senso gli ho recato, e la signoria vostra il fatto di annoiarla in modo inopportuno. Sembra che io voglia obbligarla a far penitenza per i peccati da me commessi a questo riguardo.

CAPITOLO 28

In cui tratta delle straordinarie grazie che il Signore le concesse e di come le apparve per la prima volta. Spiega cosa sia una visione immaginaria. Riferisce i grandi effetti che lascia quando proviene da Dio. è un capitolo molto utile e importante.

1. Tornando al nostro argomento, passai soltanto pochi giorni con questa persistente visione, ma con tale vantaggio che ero sempre in orazione. Procuravo anche, in tutte le mie azioni, di comportarmi in modo da non scontentare colui di cui vedevo chiaramente la presenza. E se pure, a volte, temevo ancora per tutto quello che mi dicevano, il timore mi durava poco, perché il Signore mi rassicurava. Un giorno, mentre stavo in orazione, egli volle mostrarmi solo le mani: erano di così straordinaria bellezza che non potrei descriverla. A tale vista rimasi molto sconvolta, come avviene sempre in principio, di fronte a qualsiasi nuova grazia soprannaturale concessami dal Signore. Dopo pochi giorni vidi anche quel suo divino volto e credo di esserne rimasta completamente rapita. Non potevo capire perché il Signore mi si mostrasse così, a poco a poco, mentre in seguito mi avrebbe fatto la grazia di vederlo interamente, finché poi mi resi conto che Sua Maestà mi andava guidando secondo quanto richiedeva la mia naturale debolezza. Sia per sempre benedetto, perché, non potendo una creatura così miserabile e vile, quale io sono, sopportare tanta gloria tutta in un colpo, egli, come chi ben lo sapeva, nella sua benignità mi andava gradatamente disponendo a riceverla.

2. Sembrerà alla signoria vostra che non ci volesse un grande sforzo per guardare mani e volto di tanta bellezza, ma i corpi glorificati sono talmente belli che la vista di una gloria di così trascendente splendore in essi rifulgente sconvolge la ragione. E io ne provavo tanto sbigottimento da restarne tutta turbata e alterata, anche se poi finivo con l’avere così chiara e sicura conoscenza e tali effetti, che presto ogni timore svaniva.

3. Un giorno che era la festa di san Paolo, mentre stavo a Messa, mi apparve tutta la sacratissima umanità di Cristo, in quell’aspetto sotto il quale lo si suole rappresentare risorto, con quella gran bellezza e maestà di cui ho scritto particolarmente alla signoria vostra quando me ne diede espresso ordine, e mi costò molta pena, perché non è cosa da dirsi senza sentirsi annientare; ma, l’ho detto nel miglior modo che mi fosse possibile, pertanto non c’è motivo di ripeterlo ora qui. Dirò soltanto che, quand’anche in cielo non vi fosse altra gioia per la vista, se non la grande bellezza dei corpi glorificati, se ne avrebbe già una immensa beatitudine, specialmente nel contemplare l’umanità di Gesù Cristo nostro Signore. Se infatti è così sulla terra dove Sua Maestà si mostra in conformità di quanto può sopportare la nostra miseria, che sarà dove si godrà pienamente di un tale bene?

4. La visione di cui parlo è immaginaria e non ho mai visto né questa né alcun’altra con gli occhi del corpo, ma con quelli dell’anima. Chi ne sa più di me dice che la visione precedente è più perfetta di questa, la quale, a sua volta, lo è molto più di quelle che si vedono con gli occhi corporali. Dicono che queste ultime sono di ordine inferiore ed è in esse dove il demonio può operare illusioni, anche se io allora, non potendo intendere ciò, desideravo, invece, giacché mi era concessa questa grazia, di poter vedere con gli occhi del corpo, affinché il confessore non mi dicesse che era un’illusione. E anche a me, passata la visione, accadeva – subito, subito dopo – di pensare d’essere vittima di un’illusione, tanto che mi affliggevo di averlo detto al confessore, temendo di averlo ingannato. E così scoppiavo in pianto e poi andavo a dirglielo. Egli mi chiedeva se mi era parso che fosse proprio così o se avessi voluto ingannarlo. Io gli rispondevo che era la verità, che a me non sembrava di mentire, né avevo avuto tale intenzione, né per nulla al mondo avrei detto una cosa per un’altra. Egli, che lo sapeva bene, faceva di tutto per calmarmi e io soffrivo tanto di andargli a dire queste cose, che non so come il demonio mi mettesse in testa che potessi fingere se non perché mi tormentassi da me stessa. Ma il Signore si diede tanta premura nel farmi questa grazia e chiarirmi questa verità, che ben presto scomparve da me il dubbio che si trattasse di un inganno. E dopo vidi ben chiaramente la mia balordaggine, perché neppure se fossi stata molti anni a sforzarmi d’immaginare uno spettacolo così bello avrei potuto né saputo figurarmelo, trattandosi di qualcosa che trascende ogni umana immaginazione, anche solo per il candore e lo splendore.

5. Non è uno splendore che abbaglia, ma una bianchezza soave e un infuso splendore, che dà molto godimento alla vista senza stancarla, come non la stanca la chiarezza che aiuta a vedere tale divina bellezza. È una luce così diversa dalla nostra che la luce del sole sembra offuscata, in confronto a quella chiarezza e a quello splendore che ci si presenta alla vista, tanto che dopo non si vorrebbe più aprire gli occhi. È come vedere un’acqua molto limpida scorrere sopra un cristallo che riverbera i raggi del sole, di fronte a un’acqua assai torbida che scorre alla superficie della terra sotto un cielo nuvoloso. Non già che si veda sole o luce paragonabili a quella del sole; sembra, insomma, una luce naturale, mentre la luce del sole appare una cosa artificiale. È una luce che non ha notte, ed essendo sempre luce, nulla può turbarla. Infine, è tale che, per quanto grande possa essere l’ingegno di una persona, nessuno riuscirebbe a immaginarsela, pur sforzandovisi tutta la vita. E Dio ce la mette innanzi così all’improvviso che non si avrebbe il tempo di aprire gli occhi se fosse necessario farlo, ma non importa che siano aperti o chiusi: quando il Signore vuole, si vede anche senza volerlo. Non vi è distrazione che valga, né possibilità di resistere, né diligenze né attenzioni sufficienti per opporvisi. Io l’ho ben sperimentato, come dirò.

6. Ciò che ora vorrei dire è il modo in cui il Signore si manifesta in queste visioni; non, però, che io voglia spiegare come sia possibile che questa luce potente penetri i nostri sensi interiori e s’imprima nella nostra intelligenza una così viva immagine di lui da farci sembrare che sia veramente lì presente, perché questa è impresa da dotti. Il Signore non ha voluto spiegarmi come ciò avvenga, ed io sono così ignorante e così lenta a comprendere che non sono riuscita ancora a capirlo, benché abbiano cercato in tutti i modi di spiegarmelo. Ed è fuori dubbio che, sebbene alla signoria vostra io sembri dotata di vivo ingegno, non l’ho affatto. In molte circostanze, invero, ho sperimentato che non capisco più di quello che mi viene dato da mangiare, come suol dirsi. A volte, il mio confessore si stupiva della mia ignoranza, ma io non riuscii mai a capire, e neanche lo desideravo, in che modo Dio potesse far questa cosa o potesse avvenire quest’altra, e non lo chiedevo, sebbene – come ho detto – già da molti anni trattassi con persone molto dotte. Se una cosa era peccato o no, questo sì m’interessava saperlo; quanto al resto, a me bastava pensare che tutto era opera di Dio, di fronte a cui non c’era motivo di meravigliarsi, ma solo di lodarlo. Le cose più difficili a comprendersi m’ispirano particolarmente devozione e tanto più quanto più sono difficili.

7. Dirò, dunque, quello che ho visto per esperienza. Il modo in cui opera il Signore, la signoria vostra lo dirà meglio, spiegando tutto ciò che vi sarà di oscuro e che io non saprò dire. Mi sembrava proprio, sotto certi aspetti, che quanto vedevo non fosse che un’immagine, ma sotto molti altri no, bensì lo stesso Cristo, dalla chiarezza con cui si era compiaciuto di mostrarmisi. Alcune volte, però, la visione si verificava in modo così confuso, che mi pareva un’immagine, ma ben diversa da quelle di quaggiù, per quanto perfette possano essere, come io ne ho viste alcune, davvero molto belle. Sarebbe un grosso sbaglio pensare che vi possa essere tra loro una qualche somiglianza; la somiglianza è né più né meno quella che passa tra una persona viva e il suo ritratto che, per quanto sia ben fatto, non può essere così naturale da non apparire, infine, una cosa morta. Ma fermiamoci a questo paragone che qui calza a proposito e rende esattamente il mio pensiero.

8. Non ho inteso, anzi, fare un paragone, perché i paragoni sono sempre imperfetti, ma dire la verità, essendovi qui la stessa differenza che passa tra una persona viva e il suo ritratto, né più né meno. Infatti, se è un’immagine, è un’immagine viva, non un uomo morto, ma Cristo vivo, il quale rivela che è uomo e Dio, facendosi vedere non come quando stava nel sepolcro, ma come quando ne uscì ormai risorto. E a volte ci viene davanti con tanta maestà da non far sorgere alcun dubbio che sia proprio il Signore, specialmente dopo la comunione nella quale già sappiamo che è lì presente, come ci insegna la fede. Si mostra allora così padrone di quella dimora che all’anima, tutta disfatta, sembra di sentirsi consumare in Cristo. Oh, Gesù mio, come far comprendere la maestà con cui vi manifestate! E come l’anima vi senta Signore della terra e del cielo, e di altre mille, infinite terre e cieli che potreste creare! Dalla maestà con cui vi presentate, l’anima intende che ciò non sarebbe nulla per voi, poiché siete il padrone di ogni cosa.

9. Qui si vede chiaramente, Gesù mio, quanto poco, dinanzi a voi, possano tutti i demoni e come chi vi soddisfa possa calpestare tutto l’inferno. Qui si vede perché i demoni abbiano dovuto tremare di spavento quando discendeste al limbo, desiderando mille altri più profondi inferni per sfuggire a una così grande maestà, ed io mi rendo conto che voi volete far capire all’anima quanto essa sia grande e quanto sia potente questa sacratissima umanità congiunta alla divinità. Da ciò è facile immaginare che cosa sarà, nel giorno del giudizio, vedere la maestà di questo Re e vederne l’inflessibilità verso i cattivi. Qui è il momento della vera umiltà, lasciata nell’anima dalla vista della sua miseria, che essa non può assolutamente ignorare; qui prova gran turbamento e sincero pentimento dei suoi peccati tanto che, anche vedendo che Dio le dimostra amore, non sa dove nascondersi, e si sente distruggere. Questa visione, quando il Signore vuole mostrare all’anima più largamente la sua grandezza e maestà, ritengo che abbia tanta forza che mi sembra impossibile da parte di alcuno sopportarla se non interviene il Signore ad aiutarlo in modo soprannaturale, facendolo entrare nel rapimento o nell’estasi, perché allora la gioia che prova gli fa perdere la visione di quella divina presenza. Ma è vero che poi ciò si dimentica? Impossibile, perché quella maestà e bellezza restano talmente impresse, che non si possono assolutamente dimenticare, eccetto quando il Signore vuole che l’anima soffra una grande aridità e solitudine, come dirò più innanzi, nel quale stato sembra dimenticarsi anche di Dio. L’anima è ormai un’altra: sempre assorta, sembra che cominci di nuovo ad amare Dio di un ardente amore di altissimo grado, a mio giudizio. Anche se, infatti, la visione precedente, in cui dissi che Dio si manifesta senza immagine, è più elevata, al fine che s’imprima nella memoria come richiede la nostra debolezza e che tenga bene occupato l’intelletto, è molto efficace il fatto che ci venga presentata e resa l’immagine di tale divina presenza. Del resto, queste due specie di visione vengono quasi sempre insieme: accade così perché con gli occhi dell’anima si vedono l’eccellenza, la bellezza e la gloria della sacratissima umanità di Cristo, e nell’altro modo di cui si è parlato si capisce che è Dio, che è potente, che tutto può, tutto ordina, tutto governa e tutto riempie del suo amore.

10. Bisogna apprezzare molto questa visione che, a mio parere, è scevra di pericoli, vedendosi dai suoi effetti che il demonio qui non ha alcuna forza. Mi sembra che tre o quattro volte abbia voluto presentarmi con una falsa immagine lo stesso Signore in siffatto modo, col prendere, cioè, apparenza di carne, ma non può, con questo, contraffare la gloria di quando appartiene a Dio. Ricorre a tali immagini per distruggere la vera visione vista dall’anima; così, cercando essa di resistere, si agita, si irrita e si angustia tanto da perdere la devozione e il diletto che prima aveva, restando incapace di fare orazione. Ciò mi accadde da principio, come ho detto, tre o quattro volte. È cosa talmente diversa che, anche chi avesse avuto soltanto l’orazione di quiete credo se accorgerebbe dagli effetti che sono stati detti a proposito delle voci soprannaturali. Ed è anche molto evidente che se l’anima non vuole lasciarsi ingannare, non credo che possa essere ingannata, purché proceda con umiltà e semplicità. Chi poi avesse avuto una vera visione di Dio, se ne accorgerebbe quasi subito poiché, anche se comincia con piacere e gioia, l’anima la rigetta. E anche, a mio parere, dev’essere diversa la gioia, senza alcuna parvenza di amore puro e casto, e così ben presto si fa conoscere per quello che è. Pertanto, dove c’è esperienza, credo che il demonio non possa fare alcun danno.

11. Ora, che tutto questo sia immaginazione, è assolutamente impossibile, non ha alcun fondamento, perché solo la bellezza e la bianchezza di una mano superano ogni nostra immaginazione; che si possa, inoltre, in un solo momento, senza averne alcun ricordo né aver mai pensato ad esse, vedere presenti cose che neppure in un lungo spazio di tempo si sarebbero potute mettere insieme con l’immaginazione, essendo di gran lunga superiori a ogni umano intendimento, è proprio un assurdo. Anche ammesso che in ciò avessimo qualche potere, si vede chiaramente il contrario per un’altra ragione di cui ora parlerò; infatti, se questa visione potesse esser creata dall’intelletto, certamente non si avrebbero gli effetti che essa produce, né alcun altro, perché sarebbe come chi volesse tentare di dormire e rimanesse invece sveglio, non venendogli sonno; egli, desiderandolo, perché ne ha bisogno o perché si sente la testa debole, procura con ogni sforzo di assopirsi e a volte gli pare di riuscirci, ma se non è vero sonno, non gli sarà di aiuto, non darà forza alla sua testa che, anzi, talora, resterà più svigorita. Così in parte avverrebbe qui; l’anima rimarrebbe fuori di sé, ma non con sostegno e forza, anzi stanca e inquieta. Nella vera visione non si può esaltare adeguatamente la ricchezza che lascia; perfino il corpo ne riceve salute e ne esce confortato.

12. Questa, con altre ragioni, io opponevo a coloro che mi dicevano trattarsi di opera del demonio o della mia fantasia – il che avvenne molte volte – e ricorrevo a paragoni, nei limiti delle mie possibilità e come il Signore me li ispirava. Ma tutto ciò giovava a poco perché, essendoci in città persone molto sante (al cui confronto io ero un’anima persa) che Dio non conduceva per questa via, sorgeva subito in esse una causa di timore, forse a causa dei miei peccati; le notizie giravano dall’una all’altra, in modo che molti conoscevano quanto mi accadeva senza che io ne parlassi con nessuno tranne che con il mio confessore e con coloro ai quali egli mi ordinava di parlare.

13. Io dissi una volta che se coloro i quali asserivano questo mi avessero detto che una persona da me ben conosciuta e con la quale avessi appena finito di parlare non era quella che io m’immaginavo, perché lo sapevano con certezza, senza dubbio io avrei creduto più ad essi che ai miei propri occhi, ma se questa persona mi avesse lasciato alcuni gioielli ed essi mi fossero rimasti nelle mani come pegni di molto amore, mentre prima non li avevo, vedendomi così ricca da povera che ero, non avrei potuto credere loro, neanche volendolo. E questi gioielli io li potevo mostrare, perché chiunque mi conoscesse vedeva chiaro che la mia anima era trasformata, come asseriva il mio confessore, essendo ben profondo il mutamento in ogni cosa, e non occulto, ma palese, sì che tutti potevano rendersene conto. Siccome prima ero tanto perversa, dicevo di non poter credere che se il demonio operava così per ingannarmi e condurmi all’inferno, ricorresse a un mezzo tanto contrario allo scopo, com’era quello di spogliarmi dei vizi e dotarmi di forza e di virtù, perché vedevo chiaramente che, mediante una sola di queste visioni, io restavo trasformata.

14. Il mio confessore che, come ho detto, era un padre veramente santo della Compagnia di Gesù, rispondeva con questi stessi argomenti, a quanto io seppi. Era assai discreto e di grande umiltà, e questa sua umiltà mi cagionò parecchie tribolazioni perché, pur essendo uomo di preghiera e di grande dottrina, non si fidava di sé, per il fatto che il Signore non lo guidava per questo cammino. Ebbe a soffrire molto e in vari modi per causa mia. Seppi che gli dicevano di guardarsi da me, per non lasciarsi ingannare dal demonio col credere qualcosa di ciò che gli dicevo, recandogli esempi di altre persone. Tutto questo mi affliggeva. Temevo di non poter trovare più alcuno da cui confessarmi e che, anzi, tutti dovessero fuggirmi, e non facevo che piangere.

15. Fu una provvidenza di Dio che egli abbia voluto continuare ad ascoltarmi, ma era così gran servo di Dio che, per amor suo, avrebbe affrontato ogni cosa. Pertanto mi diceva di non offendere Dio, di non allontanarmi da ciò che egli mi prescriveva e di non aver paura che avesse a mancarmi; sempre m’incoraggiava e mi rasserenava. Mi imponeva di continuo di non tacergli nulla e io gli obbedivo. Mi diceva che, così facendo, anche se si fosse trattato di cose del demonio, non mi avrebbe potuto danneggiare, anzi il Signore avrebbe tratto fuori un bene dal male che lui voleva arrecare all’anima mia, il cui perfezionamento egli procurava di farmi raggiungere in tutto ciò che poteva. Io, piena di paura com’ero, gli obbedivo ciecamente, anche se imperfettamente; per causa mia egli ebbe continue tribolazioni durante i tre anni e più in cui mi confessò, perché, permettendo il Signore che fossi oggetto di grandi persecuzioni e che fossi giudicata male in molte cose, anche in quelle delle quali ero innocente, se la prendevano con lui che veniva incolpato al posto mio, senza che avesse alcuna colpa.

16. Gli sarebbe stato impossibile, se non fosse stato uomo di così grande santità e se il Signore non gli avesse dato coraggio, sopportare tante pene perché, da una parte, doveva rispondere a quelli cui sembrava che andassi in perdizione e che non gli credevano, dall’altra, doveva tranquillizzare me e liberarmi dai timori che avevo, mentre li accresceva. D’altronde, mi doveva pur rassicurare, perché dopo ogni visione – trattandosi di cosa nuova – Dio permetteva che mi restassero grandi timori. Tutto dipendeva dal fatto di essere stata ed essere tanto peccatrice. Egli mi consolava con molta clemenza. E se si fosse fidato un po’ più di se stesso, io non avrei patito tanto, perché Dio gli faceva capire in tutto la verità, ricevendo egli luce, a quanto credo, dallo stesso sacramento.

17. Quei servi di Dio che sul mio conto non si sentivano sicuri erano in frequenti rapporti con me. Poiché io parlavo liberamente di alcune cose alle quali essi attribuivano una diversa intenzione (ne amavo molto uno, cui la mia anima doveva moltissimo e che era un gran santo e soffrivo infinitamente nel vedere che non mi capiva, mentre egli desiderava moltissimo il mio profitto, e che il Signore mi desse luce), tutto quanto dicevo – ripeto – senza badarci, sembrava loro segno di poca umiltà. Appena scorgevano in me qualche difetto – e c’era da vederne molti – subito condannavano tutto. Se mi chiedevano qualcosa, io rispondevo con franchezza, senza darmi eccessivo pensiero di quel che dicevo, e subito sembrava loro che volessi istruirli, ritenendomi sapiente. Tutto veniva riferito al mio confessore solo perché essi, certamente, desideravano il mio profitto; ed egli, giù, a rimproverarmi!

18. Trascorsi molto tempo in queste afflizioni che mi venivano da ogni parte, ma con la grazia che mi faceva il Signore riuscivo a sopportarle. Dico tutto ciò per far comprendere quanta fatica costi non avere, in questo cammino spirituale, una guida dotata di esperienza, perché se il Signore non mi avesse aiutato tanto, non so che cosa sarebbe stato di me. Ce n’era a sufficienza per farmi perdere la testa, e a volte mi vedevo ridotta a tali estremi da non saper far altro che alzare gli occhi al Signore, perché la contraddizione dei buoni, per una donnicciola vile, debole e timorosa come me, a dirsi, sembra cosa da nulla, ma io che nella vita ho sofferto grandissime pene, so che queste prove sono delle più terribili. Piaccia al Signore che con esse io abbia in parte servito alla sua gloria; che lo abbiano servito coloro i quali mi condannavano e mi contraddicevano ne sono ben certa, essendo tutto dovuto al desiderio del mio maggior bene.

CAPITOLO 29

Prosegue il tema iniziato e racconta alcune grandi grazie che il Signore le fece e le cose che le diceva per rassicurarla e insegnarle come rispondere a chi la contraddiceva.

1. Mi sono allontanata molto dall’argomento. Cercavo di dire quali ragioni ci siano per ritenere che le visioni non provengano dalla nostra immaginazione. Infatti, come potremmo raffigurarci di proposito l’umanità di Cristo, ritraendo con arte mediante l’immaginazione la sua grande bellezza? Non basterebbe poco tempo se si volesse creare un’immagine che le fosse alquanto somigliante. È ben vero che possiamo in certo modo rappresentarcela nella immaginazione e restare a contemplarne per un certo tempo le fattezze e la bianchezza, perfezionandola a poco a poco e imprimendocela nella memoria. Questo, chi può impedirlo, se ce la siamo potuta modellare con l’intelletto? Nella visione di cui parliamo, invece, non c’è ripiego possibile, perché dobbiamo contemplarla quando, come e quale il Signore vuole presentarcela e non possiamo aggiungere né togliere nulla; né, per quanto facciamo, è in nostro potere vederla o cessare di farlo quando vogliamo; volendo, poi, guardare qualcosa in particolare, si perde subito la visione di Cristo.

2. Per due anni e mezzo il Signore mi fece questa grazia molto frequentemente; ora, saranno più di tre anni che non me la concede più altrettanto spesso, avendola sostituita con un’altra più elevata, come forse dirò in seguito. Mentre egli mi parlava, ammiravo quella sua grandezza bellezza e la dolcezza con cui la sua divina, bellissima bocca pronunciava quelle parole che, a volte, peraltro, erano dette con severità. Estremamente desiderosa di conoscere il colore dei suoi occhi o la sua statura, per poterlo poi dire, non ci sono riuscita, né i miei sforzi a tal fine servono mai a nulla, anzi, mi tolgono la visione del tutto. anche se a volte vedo che mi guarda con affettuosa indulgenza, tuttavia il suo sguardo ha tanta forza che l’anima non può sopportarlo ed entra in così alto rapimento da perdere, per goderne in modo più completo, questa meravigliosa vista. Qui, dunque, non c’è da volere o non volere; si vede chiaramente che la volontà del Signore è che non ci sia altro in noi se non umiltà e contrizione, accettazione di quanto ci viene dato e lode per chi ce lo dà.

3. Questo accade in tute le visioni, nessuna esclusa; noi non possiamo far nulla e i nostri sforzi sono del tutto inutili, sia per vedere di meno, sia per vedere di più; il Signore vuol farci capire chiaramente che questa non è opera nostra, ma una grazia sua, così potremo avere molto minor superbia, anzi il fatto di considerare che come il Signore ci toglie la possibilità di vedere ciò che vogliamo, ci può togliere questi favori e questa sua grazia, lasciandoci completamente abbandonati, ci fa essere umili e pavidi e ci esorta a procedere con timore finché viviamo in questo esilio.

4. Quasi sempre il Signore mi si presentava come risorto, anche quando mi apparve nell’ostia, tranne alcune volte in cui, per incoraggiarmi, se mi trovavo in tribolazioni, mi mostrava le sue piaghe; talvolta mi appariva in croce, talvolta nell’orto, raramente con la corona di spine, e anche sotto il peso della croce, qualche volta, secondo le mie necessità – ripeto – o di altre persone, ma sempre la sua carne appariva glorificata. Raccontare tutto questo mi è costato molti oltraggi e sofferenze e molti timori e persecuzioni. Ad alcune persone sembrava così evidente che io fossi invasa dal demonio, che volevano esorcizzarmi. Di questo mi importava poco, ma soffrivo quando vedevo che i confessori avevano paura di confessarmi o quando sapevo che veniva loro detto qualcosa. Ciò nonostante, non poteva mai dispiacermi d’aver avuto quelle visioni celestiali e non avrei cambiato una sola di esse con tutti i beni e diletti del mondo. Le ho sempre ritenute una straordinaria grazia del Signore, sembrandomi esse un tesoro inestimabile, come lo stesso Signore molte volte mi assicurava. Io sentivo crescere il mio amore per lui di giorno in giorno; andavo a lamentarmi con lui di tutte le mie pene e uscivo sempre dalla preghiera consolata e con nuove forze. Non osavo contraddire coloro che mi avversavano, vedendo che era peggio perché lo ritenevano un segno di poca umiltà. Ne trattavo solo con il mio confessore il quale, quando mi vedeva afflitta, faceva di tutto per consolarmi.

5. Siccome le visioni andavano aumentando, un sacerdote che prima mi sosteneva – era quello da cui mi confessavo qualche volta, quando non poteva venire il padre ministro – cominciò a dire che erano evidentemente opera del demonio. Mi comandarono, visto che non c’era possibilità di sottrarvisi, di farmi sempre il segno della croce quando avessi qualche visione e di respingerla con un gesto di disprezzo, ritenendo per certo trattarsi del demonio, il quale così non sarebbe più venuto e di non aver paura, perché Dio avrebbe vegliato su di me, liberandomi da esso. Quest’ordine mi procurò gran pena, perché non potendo fare a meno di credere che si trattasse di Dio, era una cosa terribile per me sottostarvi. E nemmeno, come ho detto, potevo desiderare che quelle visioni mi fossero tolte; ma, infine, facevo quanto mi veniva comandato. Supplicavo ardentemente Dio di liberarmi dal pericolo d’essere ingannata; questo lo facevo sempre con molte lacrime. E così pure supplicavo san Pietro e san Paolo perché il Signore mi aveva detto – apparendomi la prima volta nel giorno della loro festa – che essi mi avrebbero protetta dall’essere ingannata; infatti, molte volte me li vedevo al lato sinistro molto chiaramente, anche se non in visione immaginaria. Questi gloriosi santi erano miei protettori particolari.

6. Il dover fare un gesto di disprezzo mi procurava un’enorme pena quando mi appariva la visione del Signore, perché nel vederlo lì, dinanzi a me, neanche se mi avessero fatta a pezzi, avrei potuto credere che fosse il demonio; era un genere di penitenza assai gravoso per me. Per non star di continuo a farmi il segno della croce, tenevo in mano una croce; questo lo facevo sempre, il gesto di disprezzo non tanto di frequente, perché ne soffrivo molto. Mi ricordavo degli oltraggi a lui recati dagli ebrei e lo supplicavo di perdonarmi perché lo facevo per obbedire a chi lo rappresentava, e di non attribuirmelo a colpa perché me lo comandavano i ministri da lui posti nella sua Chiesa. Mi rispondeva di non preoccuparmene, che facevo bene ad obbedire e che egli avrebbe fatto in modo che si conoscesse la verità. Quando mi tolsero l’orazione, mi parve che fosse sdegnato; mi ingiunse di dir loro che quella era una tirannia. Mi addiceva, inoltre, varie ragioni per farmi capire che non si trattava del demonio; ne dirò qualcuna in seguito.

7. Una volta, mentre tenevo in mano la croce che era attaccata al rosario, me la prese con la sua mano e, quando me la restituì, era fatta di quattro grandi pietre assai più preziose dei diamanti, senza paragone, non essendovi quasi possibilità di confronto tra le cose della terra e quelle viste spiritualmente, di fronte alle quali i diamanti sembrano falsi e difettosi. Vi erano le cinque piaghe di bellissima fattura; mi disse che da allora in poi l’avrei sempre vista così; infatti non vedevo più il legno di cui era fatta, ma solo queste pietre; tuttavia non le vedeva nessuno, tranne me. Appena cominciarono a impormi queste prove e a comandarmi di resistere, le grazie aumentarono sensibilmente. Pur cercando di distrarmi, non lasciavo più di stare in orazione, neanche dormendo, a quanto mi sembrava, perché in tale stato l’amore cresceva e aumentavano le pene che io raccontavo al Signore, dicendogli anche di non poterle più sopportare, e che mi era impossibile, sebbene lo volessi e mi sforzassi di farlo, tralasciare di pensare a lui. Ciò nonostante, obbedivo quanto potevo, ma potevo poco o nulla a questo riguardo. Il Signore, da parte sua, non mi dispensò mai dal farlo; anzi, mi esortava ad obbedire, rassicurandomi, peraltro, insegnandomi ciò che dovevo dire ai miei oppositori – come fa anche ora – e adducendomi così evidenti motivi da rendermi perfettamente sicura.

8. Dopo poco tempo Sua Maestà, come mi aveva promesso, cominciò a indicare più chiaramente che era lui, perché in me aumentava tanto l’amore di Dio da non sapere chi me lo infondesse, essendo del tutto soprannaturale e non essendo io a procurarmelo. Mi sentivo morire dal desiderio di vedere Dio e non sapevo dove avrei dovuto cercare la mia vera vita se non nella morte. Mi assalivano così grandi impeti d’amore divino che, sebbene non fossero insopportabili come quelli di cui ho già parlato altrove né tanto importanti, tuttavia erano tali che non sapevo che cosa fare; nulla più mi soddisfaceva, non capivo più cosa accadesse in me e mi sembrava proprio che mi strappassero l’anima. Oh, sovrano accorgimento del Signore, che arte delicata usavate con la vostra miserabile schiava! Vi nascondevate a me e al tempo stesso mi stringevate con il vostro amore, dandomi una morte così piacevole che l’anima mia non sarebbe voluta più uscirne.

9. Chi non ha provato questi slanci così veementi non può farsene un’idea, perché non si tratta di emozioni di cuore né di certe devozioni che sogliono dare molte volte tali impulsi da sembrare, nell’impossibilità di contenerli, che soffochino lo spirito; questo avviene in un’orazione di grado inferiore e bisogna evitarli procurando di reprimerli con dolcezza, acquietando l’anima. È come quando certi bambini sono presi da un pianto così convulso da sembrare che stiano per soffocare, e appena si dà loro da bere si calma quell’eccessivo accoramento. Così qui: la ragione corra, dunque, a stringere le briglie, perché potrebbe intervenire l’azione della stessa natura. Consideriamo che potrebbe non essere tanto perfetto, che potrebbero averci molta parte i sensi e calmiamo questo bambino con una carezza che lo muova ad amare Dio con tenerezza e non, come suol dirsi, a forza di pugni. Raccogliamo questo amore in noi stessi, sì che non faccia come la pentola che, bollendo troppo perché vien posta legna al fuoco senza discrezione, riversa tutto al di fuori. Moderiamo, invece, gli incentivi di tal fuoco e procuriamo di smorzare la fiamma con lacrime soavi e non angosciose, come lo sono quelle nate da tali sentimenti, che recano un gran danno. Io le ebbi, al principio, qualche volta, e mi lasciavano la testa così confusa e lo spirito così stanco, che il giorno seguente e anche per più giorni non mi sentivo di riprendere l’orazione. Pertanto, in principio, occorre gran discrezione perché tutto proceda con dolcezza e lo spirito si riveli operante interiormente; si procuri di evitare ogni manifestazione esterna.

10. Questi altri impulsi sono diversissimi. Non siamo noi a porre la legna, ma sembra che, acceso già il fuoco, subito vi siamo gettati dentro per bruciare. Non è l’anima a inasprire il dolore della piaga, per l’assenza del Signore, ma è una saetta che le si conficca a volte nelle viscere e nel cuore così al vivo da lasciarla incapace di capire cosa abbia o cosa voglia. Solo intende di volere Dio e che la saetta pare abbia la tempera di un’erba che l’induce ad odiare se stessa per amore del Signore, in servizio del quale rinunzierebbe volentieri alla vita. Non si può magnificare né dire il modo con cui Dio ferisce l’anima e l’enorme sofferenza che produce, perché la trae fuori di sé, ma questa pena è così piacevole che non c’è nessun godimento nella vita terrena capace di offrire maggior piacere. L’anima vorrebbe sempre, come ho detto, giungere a morire di un tal male.

11. Questa pena e questa gioia unite insieme mi facevano uscire di senno perché non riuscivo a capire come ciò potesse essere. Oh, che cos’è per l’anima vedersi ferita! Si sente, cioè, in modo tale da potersi dire ferita per così eccellente causa, e vede chiaramente di non aver fatto nulla per attirarsi questo amore, ma che dal sommo amore, di cui Dio la privilegia, sembra sia caduta a un tratto su di lei quella scintilla che la fa ardere tutta. Oh, quante volte ricordo, quando mi trovo in questo stato, quel verso di Davide: Come la cerva anela ai corsi d’acqua, che mi sembra di vedere realizzarsi testualmente in me.

12. Quando questi impeti non sono molto forti, sembra all’anima di potersi calmare un po’, per lo meno cerca qualche rimedio, non sapendo che cosa fare, con alcune penitenze, ma il corpo è ormai insensibile ad esse e non sente dolore nemmeno nel versare sangue, quasi fosse morto. Cerca allora altri espedienti e maniere che servano a procurarle qualche sofferenza per amor di Dio, ma quel primo dolore è così forte che non so quale tormento fisico glielo potrebbe togliere. Siccome il rimedio non è qui, queste nostre medicine sono di troppo basso livello per un male di così alto livello. Si calma un po’ e ha una qualche tregua, se chiede a Dio di darle un rimedio per il proprio male, ma non ne vede alcuno all’infuori della morte, perché con essa pensa di godere totalmente il suo bene. Altre volte l’impeto è così forte che non si può fare né questo né altro; il corpo resta come morto, non si possono muovere né piedi né mani, anzi, se si sta in piedi, si ricade su se stessi come una cosa inerte, senza poter neppure respirare; si emettono solo alcuni gemiti, non forti, perché non si ha più energia, ma intensi di sentimento.

13. Il Signore, mentre ero in tale stato, volle alcune volte favorirmi di questa visione: vedevo vicino a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea, cosa che non mi accade di vedere se non per caso raro. Benché, infatti, spesso mi si presentino angeli, non li vedo materialmente, ma come nella visione di cui ho parlato in precedenza. In questa visione piacque al Signore che lo vedessi così: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare che brucino tutti in ardore divino: credo che siano quelli chiamati cherubini, perché i nomi non me ridicono, ma ben vedo che nel cielo c’è tanta differenza tra angeli e angeli, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio cos’ soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che mento.

14. I giorni in cui durava questo stato ero come trasognata: non avrei voluto vedere né parlare con alcuno, ma tenermi stretta alla mia pena che per me era la beatitudine più grande di quante ve ne siano nel creato. Questo mi è accaduto alcune volte, allorché il Signore volle che io avessi quei rapimenti così grandi che, anche stando tra persone, non potevo opporre loro resistenza, pertanto con mio grande rammarico cominciarono a divulgarsi. Da quel momento sento meno questo tormento, bensì sento quello di cui ho parlato prima in altro luogo – non ricordo in quale capitolo – che è molto diverso per molti aspetti ed è di maggior valore. Infatti, quando ha inizio la pena di cui parlo, sembra che il Signore rapisca l’anima e l’immerga nell’estasi; non c’è tempo, pertanto, di sentir pena né di patire, perché subito sopraggiunge il godimento. Sia benedetto per sempre il Signore che fa tante grazie a chi risponde così male ai suoi immensi benefici!

CAPITOLO 30

Riprende la narrazione della sua vita e dice come il Signore la soccorse nelle sue molte tribolazioni col far venire nella città dov’ella si trovava fra Pietro d’Alcántara, santo religioso dell’Ordine del glorioso san Francesco. Tratta anche delle grandi tentazioni e delle pene di cui talvolta soffriva.

1. Vedendo, dunque, il poco o nulla che potevo fare per non avere così grandi impeti, cominciavo anche a temerli, perché non riuscivo a capire come dolore e gioia potessero stare insieme. Sapevo già che se si fosse trattato di dolore fisico e di gioia spirituale era ben possibile, ma che una così estrema pena spirituale fosse congiunta a una così straordinaria gioia mi disorientava. Ancora non cessavo di sforzarmi di resistere, ma riuscivo a tanto poco che a volte mi stancavo. Mi rifugiavo nella croce con la quale volevo difendermi da chi si era servito di essa per difendere tutti noi. Vedevo che nessuno mi capiva, rendendomi di ciò perfettamente conto, ma non osavo dirlo che al mio confessore perché altrimenti sarebbe stato evidente che non avevo umiltà.

2. Il Signore si compiacque di rimediare in gran parte alla mia pena – anzi, per allora, del tutto – facendo venire in questa città il benedetto fra Pietro d’Alcántara del quale ho già parlato e delle cui penitenze ho detto qualcosa; fra l’altro, mi fu assicurato che per venti anni continui aveva portato un cilicio fatto di lamine metalliche. È autore di alcuni piccoli libri di orazione, scritti in volgare, che ora sono molto diffusi, essendo molto utili per coloro la praticano, in quanto chi scrive è persona di notevole esperienza nell’orazione. Osservò con assoluto rigore la prima regola del beato san Francesco, oltre ad adempiere quelle pratiche di cui ho già detto qualcosa.

3. La vedova, serva di Dio e mia amica, di cui ho parlato, venne a sapere che quest’uomo straordinario si trovava qui; ella conosceva il bisogno che ne avevo perché sapeva delle mie afflizioni e si adoperava molto per alleviarle; era così grande la sua fede che non poteva fare a meno di credere che fosse spirito di Dio quelli che tutti ritenevano opera del demonio. siccome è persona molto intelligente e segreta, alla quale il Signore faceva parecchie grazie nell’orazione, Sua Maestà volle illuminarla su ciò che i dotti non sapevano. I mie confessori mi permettevano di sfogarmi con lei circa alcune cose, perché per molti motivi aveva la capacità d’intenderle, a volte partecipava alle grazie che il Signore mi faceva, in quanto le trasmettevo avvertimenti assai utili per la sua anima. Appena, dunque, lo seppe, affinché potessi trattare con lui con maggiore libertà, senza dirmi nulla, mi ottenne dal provinciale il permesso di stare otto giorni a casa sua. Sia qui, sia in alcune chiese, gli parlai spesso questa prima volta del suo soggiorno in città, e poi comunicai con lui molte volte in tempi diversi. Lo misi al corrente in breve della mia vita e del mio modo di procedere nell’orazione con la maggior chiarezza possibile (perché questo l’ho fatto sempre: parlare con assoluta chiarezza e semplicità a coloro cui apro la mia anima: perfino i primi moti di essa vorrei che fossero loro noti, e le cose più dubbie e sospette le mettevo in chiaro con ragioni che erano a mio danno); pertanto, senza doppiezze e infingimenti, gli aprii la mia anima.

4. Quasi subito vidi che mi capiva per esperienza, e ciò era proprio quello di cui io avevo bisogno, perché allora non potevo comprendere me stessa come ora, per potermi spiegare; solo più tardi Dio mi ha concesso di poter intendere e riferire le grazie che egli mi fa, ed era quindi necessario esser passati attraverso quell’esperienza per capirmi in pieno e per spiegarmi di che si trattava. Egli m’illuminò moltissimo perché, non foss’altro nelle visioni che non erano immaginarie, io non riuscivo a capire di che cosa si trattasse, ma mi sembrava che nemmeno in quelle che vedevo con gli occhi dell’anima capivo come avvenissero, perché, come ho detto, credevo che si dovesse dare importanza solo a quelle che si vedono con gli occhi del corpo, e di queste non ne avevo.

5. Questo sant’uomo mi illuminò e mi spiegò tutto, esortandomi a non affliggermi, ma a lodare Dio ed essere certa che era il suo spirito ad agire in me perché, a parte le verità della fede, non poteva esserci cosa più vera né più degna di essere creduta. Ero per lui motivo di grande consolazione e mi favoriva con la sua protezione e la sua bontà in ogni cosa; sempre, in seguito, ebbe frequenti rapporti con me, confidandomi i suoi progetti e le sue attività. E vedendomi animata dai desideri che egli aveva già realizzato – poiché il Signore me li infondeva fortissimi – e da tanto coraggio, godeva di trattare con me, perché per colui che Dio fa giungere a questo stato non v’è piacere né consolazione pari a quella di incontrarsi con persone a cui sembra che il Signore abbia dato l’avvio ad esso. Infatti allora, a quanto mi sembra, non dovevo essere più in là degli inizi, e piaccia a Dio che ora sia andata avanti!

6. Ebbe per me grandissima compassione. Mi disse che era uno dei più grandi tormenti di questa terra quello che avevo patito, cioè il contrasto dei buoni, e che mi restava ancora molto da soffrire perché avevo sempre bisogno di assistenza e in questa città non c’era alcuno che mi potesse capire, ma che egli ne avrebbe parlato con il mio confessore e con uno di quelli che più mi davano motivo di soffrire, cioè quel cavaliere ammogliato di cui ho già parlato. Quest’ultimo, proprio perché nutriva per me maggior affetto, mi faceva tanta guerra, ed è un’anima timorata e santa che, avendomi vista poco prima tanto colpevole, non riusciva a persuadersi di quanto mi accadeva. Quel sant’uomo mantenne la sua promessa, parlando con entrambi, e adducendo ragioni e argomenti perché si rassicurassero e mi lasciassero in pace. Il confessore ne aveva poco bisogno; il cavaliere, invece, tanto, che neppure questo bastò a rassicurarlo del tutto, ma giovò perché non mi spaventasse più come prima.

7. Rimanemmo d’accordo che d’allora in poi gli avrei scritto quello che ancora mi fosse accaduto e che ci saremmo raccomandati molto a Dio, poiché era così grande la sua umiltà da tenere in qualche considerazione le preghiere di questa miserabile, ed io ne ero piena di confusione. Mi lasciò del tutto consolata e soddisfatta. Mi disse di continuare nell’orazione con assoluta fiducia, sicura che era opera di Dio; se mi sorgesse qualche dubbio, per maggior tranquillità informassi sempre di tutto il confessore e così vivessi sicura. Ma neanche in questo modo io riuscivo ad avere una sicurezza completa, perché il Signore mi conduceva per la via del timore, come era il credere d’essere vittima del demonio quando mi dicevano che lo ero. In conclusione, nessuno poteva ispirarmi timore o sicurezza tali che io potessi prestare fede più ad essi che a quanto il Signore mi infondeva nell’anima. Così, anche se egli riuscì a confortarmi e a rasserenarmi, non gli diedi ascolto a tal punto da liberarmi del tutto dei miei timori, specialmente quando il Signore mi lasciava nelle sofferenze spirituali di cui ora parlerò. Ciò nonostante, ripeto, rimasi molto consolata. Non mi stancavo di ringraziare Dio e il mio glorioso padre san Giuseppe, perché mi sembrava fosse stato lui a condurmi quell’uomo che era commissario generale della Custodia di San Giuseppe, a cui io molto mi raccomandavo, come pure a Nostra Signora.

8. Mi accadeva alcune volte – e anche ora mi accade, sebbene non di frequente – di essere in grandissime pene spirituali insieme a tormenti e dolori fisici così intensi da non sapere come darmi aiuto. Altre volte avevo mali fisici ancor più gravi ma, poiché ero esente da quelli spirituali, li sopportavo allegramente. Quando, invece, venivano tutti insieme, la sofferenza era così atroce da opprimermi indicibilmente. Dimenticavo allora tutte le grazie che il Signore mi aveva fatto; me ne restava solo un ricordo come di cosa sognata, che serviva a darmi pena; l’intelligenza mi si offuscava tanto da farmi sorgere mille dubbi e sospetti: mi sembrava di non aver saputo comprendere quanto mi era accaduto, che forse era frutto della mia fantasia. E pensavo che bastava che mi fossi ingannata io, senza dover ingannare anche i buoni. Mi pareva d’esser così perversa che ritenevo dovuti ai miei peccati tutti i mali e le eresie da cui era invaso il mondo.

9. Questa era una falsa umiltà creata dal demonio per turbarmi e provare se gli riusciva di trascinare la mia anima alla disperazione. Ormai ho acquistato tale esperienza nel riconoscere l’opera del demonio che egli, accorgendosi che ne ho la consapevolezza, non mi tormenta più, in questa forma, così spesso come una volta. Che sia un’umiltà diabolica si vede chiaramente dall’inquietudine e dal turbamento con cui comincia, dal tumulto che produce nell’anima per tutto il tempo che dura, dall’oscurità e dall’afflizione in cui la immerge, dall’aridità e dall’incapacità di attendere alla preghiera e a ogni opera buona. Sembra che soffochi l’anima e immobilizzi il corpo perché non possa trar vantaggio da nulla. Invece la vera umiltà – benché l’anima si riconosca spregevole e soffra di vedere cosa siamo ed esageri molto la propria perversità, nella stessa misura di cui si è detto nel caso precedente con assoluta convinzione – non è accompagnata da inquietudine, né turba l’anima né la getta nelle tenebre né l’inaridisce, anzi la solleva e, al contrario dell’altra, comporta quiete, soavità, luce. È una pena che, tuttavia, conforta l’anima per la costatazione di quale grande favore le faccia Dio nel dargliela e come sia giusta. Si rammarica di aver offeso Dio, ma d’altra parte le procura distensione la sua misericordia. Ha in sé quella luce che la fa sentire piena di confusione e lodare Sua Maestà per averla sopportata tanto tempo. Invece, nell’altra umiltà che viene dal demonio non c’è luce per alcun bene, e sembra che Dio metta tutto a ferro e a fuoco; le è presente la sua giustizia, e se anche conserva la fede nella sua misericordia, non avendo il demonio tanto potere da fargliela perdere, essa è tale da non offrirle conforto, anzi la considerazione di tanta misericordia è motivo di maggior tormento, perché sembra che imponga maggiori obblighi.

10. È, questo, un inganno del demonio tra i più penosi, sottili e dissimulati che ho visto tendere da lui; pertanto, ho voluto avvisare la signoria vostra affinché, se avesse a tentarla in tal modo, disponga di qualche lume per accorgersene, sempre che le lasci la capacità di poterlo fare. E non pensi, che per questo occorra esser letterati e sapienti perché io, sebbene sia del tutto digiuna di cultura, appena uscita dalla tentazione, ne vedo bene tutta la stoltezza. E mi rendo conto che ciò avviene perché lo vuole e lo permette il Signore, permettendo al demonio di tormentarci, come già fece con Giobbe, sebbene per me – miserabile qual sono – non faccia ricorso allo stesso rigore.

11. Ricordo di aver avuto una tentazione di questo genere l’antivigilia del Corpus Domini, festa di cui sono devota, anche se non come dovrei; allora, mi durò solo per quel giorno, mentre altre volte mi è durata otto, quindici giorni, e anche tre settimane, se non di più, specialmente nella settimana santa, in cui solevo darmi con particolare piacere all’orazione. Accade che d’improvviso il demonio mi irretisca l’intelletto in cose a volte tanto frivole, che in altre circostanze mi riderei di esse, e lo metta sottosopra come vuole, con l’anima incatenata lì, non più padrona di sé, incapace di pensare ad altro che alle balordaggini che egli le mette in mente: cose che non hanno, si può dire, alcun valore, alcun senso, e solo servono per soffocare l’anima in modo tale che non ci si raccapezza più. Così, a volte, mi sembrava che i demoni stessero come giocando a palla con l’anima mia, senza che essa potesse liberarsene. Non si può dire quanto si soffra in tale circostanza; l’anima va n cerca di un riparo, e Dio permette che non lo trovi; solo le rimane, sempre, la facoltà del libero arbitrio, ma non chiara. Io dico che è come se si avessero gli occhi bendati o come se una persona, essendo andata molte volte per una strada, ormai, data la facilità di rintracciarla, anche di notte e all’oscuro, sa dove potrebbe inciampare, perché lo ha visto di giorno, e si guarda da quel pericolo; allo stesso modo l’anima, per non offendere Dio, sembra che proceda in virtù dell’abitudine, prescindendo, beninteso, dall’aiuto che le offre il Signore, che è quanto occorre soprattutto in tale circostanza.

12. La fede, allora, è affievolita e addormentata come ogni altra virtù, anche se non del tutto perduta, perché l’anima ben crede a ciò che insegna la Chiesa, ma solo a parole, e le sembra, per altro verso, di essere così oppressa e intorpidita che la conoscenza di Dio è quasi come qualcosa udita da lontano. L’amore è così tiepido che, se ode parlare di Dio, ascolta e crede a quello che ode, perché lo dice la Chiesa, ma non c’è ricordo in essa di ciò che ha sperimentato in se stessa. Andare a pregare o stare in solitudine non è che una maggiore angoscia perché il tormento che sente, senza sapere di che, è insopportabile; a mio giudizio, è un facsimile di quello dell’inferno. Ciò accade, come il Signore mi ha fatto capire in una visione, perché l’anima arde in sé, senza capire da chi né da dove il fuoco sia acceso in essa, né come schivarlo o come soffocarlo. Anche cercare sollievo nella lettura è come se non si sapesse leggere: una volta mi accadde di mettermi a leggere la vita di un santo per vedere se ne assimilavo la verità e se riuscivo a consolarmi con l’esempio delle sue sofferenze. Ne lessi quattro o cinque volte altrettante righe ma, vedendo che, nonostante fosse scritto in volgare, l’ultima volta ne capivo meno della prima, la lasciai. Ciò mi è accaduto spesso, ma di questa volta ho particolare ricordo.

13. Peggio, poi, intrattenersi a conversare con qualcuno, perché il demonio mette addosso un sentimento di tale accesa irritazione, che sembra che io abbia voglia di mangiarmi vivi tutti e che altro non possa fare. Mi pare di far qualcosa nel cercare di dominarmi o, meglio, è il Signore a farlo, trattenendo con la sua mano chi, come me, si trova in questo stato, affinché non dica né faccia contro il suo prossimo nulla che sia ad esso causa di danno e di offesa di Dio. Quanto ad andare dal confessore, è fuor di dubbio che spesso mi accadeva quello che sto per dire: che i confessori da me allora frequentati e che ancora oggi frequento, pur essendo veramente santi, mi rivolgevano parole di rimprovero con una tale asprezza che, quando più tardi gliele ripetevo, ne rimanevano stupiti essi stessi e mi dicevano che non era dipeso dalla loro volontà perché, quantunque da parte loro si proponessero risolutamente di non farlo più, mossi ormai da compassione, e anche presi da scrupolo per avermi causato tante sofferenze fisiche e spirituali, e volessero consolarmi benevolmente, non ci riuscivano. Non già che dicessero parole cattive – voglio dire che suonassero offesa a Dio – ma le più sgradevoli che siano consentite a un confessore. Forse intendevano mortificarmi; mentre, però, in altre circostanze sarei stata disposta ad accettarle volentieri, allora tutto mi era causa di tormento. Inoltre talvolta credevo di ingannarli; allora andavo da loro e molto seriamente li avvertivo della possibilità d’inganni da parte mia. Sapevo bene che di proposito non l’avrei mai fatto né che mai avrei detto loro una bugia, ma tutto mi faceva paura. Uno di essi un giorno, conosciuta la mia tentazione, mi disse di non darmene pena perché, anche se avessi voluto ingannarlo, egli aveva sufficiente buon senso per non lasciarsi ingannare. Queste parole mi consolarono molto.

14. Alcune volte, anzi, quasi abitualmente – o almeno in generale –, appena fatta la comunione, mi calmavo e, talvolta anche solo accostandomi al sacramento, mi sentivo di colpo, all’istante, così riconfortata nell’anima e nel corpo da restarne sbigottita. Era come se in un attimo si dileguassero tutte le tenebre dell’anima e, levatosi il sole, vedessi chiaramente tutte le balordaggini che mi avevano irretita. Altre volte, come ho già detto precedentemente, bastava una sola parola che mi dicesse il Signore, come ad esempio: «Non ti affliggere! Non aver paura!», oppure avere una visione, per sentirmi perfettamente bene, come se non avessi avuto nulla. godevo di Dio, e mi lamentavo con lui chiedendogli come mai permettesse che io patissi tanti tormenti; ma ciò era ben compensato perché quasi sempre, dopo, ne seguivano abbondanti grazie. Sembra proprio che l’anima esca da un crogiolo come l’oro, più raffinata e depurata per contemplare il Signore in sé. Così, quelle sofferenze che prima sembravano insopportabili diventano in seguito cosa di poca importanza, e si desidera tornare a soffrirle, se così volesse il Signore perché, anche se ci opprimono maggiori tribolazioni e persecuzioni, sopportandole senza offendere il Signore, ma contenti di patire per lui, tutte servono a nostro maggior profitto. Io, però, non le sopporto come devono essere sopportate, ma con molta imperfezione.

15. Altre volte mi sopravvenivano, e mi sopravvengono tuttora, sofferenze di altro genere che sembravano togliermi completamente la possibilità di pensare e desiderare di fare alcunché di buono, oppressa com’ero da un’anima e da un corpo del tutto inutili, ridotti esclusivamente a un peso. Però non avevo, a causa di ciò, quelle tentazioni e inquietudini di cui ho parlato, ma solo un disgusto, non si di che, e l’anima insoddisfatta di tutto. Cercavo, in gran parte a viva forza, di darmi a qualche buona opera esteriore, per stare occupata, ma so bene quanto poco valga un’anima quando le si nasconde la grazia. Ciò non mi procurava, però, molta pena, perché il vedere la mia pochezza mi era causa di una certa soddisfazione.

16. A volte non mi sento per niente capace di concepire un pensiero sensato, né su Dio né su qualsiasi cosa buona, né di fare orazione, pur trovandomi in solitudine; solo sento di conoscere Dio. Mi rendo conto che tutto il male, qui, mi viene dall’intelletto e dall’immaginazione. La volontà mi pare, infatti, quieta e ben disposta, ma l’intelletto è talmente turbato da sembrare un pazzo furioso che nessuno è capace di immobilizzare. Non sono in grado di tenerlo fermo neppure per lo spazio di un Credo. Alcune volte ne rido, riconosco la mia miseria e, lasciandolo libero, lo sto a guardare, per vedere che cosa fa e, oh, meraviglia! – sia resa gloria a Dio – mai si rivolge a cose cattive, ma solo a cose senza alcun interesse: a quello che ci sia da fare qui, là, o altrove. Allora capisco meglio l’enorme grazie che mi fa il Signore quando immobilizza questo pazzo nella contemplazione perfetta. Penso cosa sarebbe se coloro che mi stimano santa mi vedessero in preda a tale delirio. E mi fa gran compassione veder l’anima in così cattiva compagnia. Vorrei fosse libera, pertanto dico al Signore: «Quando, o mio Dio, arriverò a vedere la mia anima tutta unita a lodarvi, in modo che le potenze tutte godano di voi? Non permettete, Signore, che io sia ormai più fatta a pezzi e che ognuno di essi, come sembra, se ne vada per conto suo!». Questo mi accade assai spesso; alcune volte vedo che molto vi contribuisce la mia poca salute. Mi torna di frequente in mente il danno che ci ha fatto il peccato originale perché mi sembra che da esso dipenda la nostra incapacità di godere durevolmente di tanto bene, ma anche i miei peccati debbono averci gran parte perché, se non ne avessi commessi tanti, non sarei così combattuta nella virtù.

17. Soffrii anche un altro gran tormento: siccome mi sembrava di capire tutti i libri di orazione che leggevo e di aver già avuto dal Signore quel lume che da essi potevo ricevere, ritenevo di non averne bisogno. Pertanto non leggevo altro che le vite dei santi perché, riconoscendomi così manchevole al loro confronto nel servizio di Dio, mi pareva che il loro esempio giovasse a incoraggiarmi. Credere di essere arrivata ad avere quel gradi di orazione mi sembrava segno di ben poca umiltà; e, poiché non riuscivo a pensare altrimenti, ne provavo molta pena, finché alcune persone dotte e il benedetto fra Pietro d’Alcántara non mi dissero di non curarmene. Vedo bene che, sebbene il Signore mi abbia dato le grazie di cui favorisce le anime sante, sono tutta un’imperfezione, tranne nei desideri e nell’amore in cui mi accorgo che il Signore mi ha concesso la grazia di poterlo servire almeno un po’. Mi sembra proprio di amarlo davvero; ma ciò che mi affligge sono le mie opere e le molte imperfezioni che vedo in me.

18. Altre volte sono presa, direi, da un intontimento spirituale in cui non mi sembra di fare né bene né male, di andare, come si dice, dietro agli altri, senza pena e senza gioia, indifferente alla vita e alla morte, al piacere e al dolore. Mi pare che l’anima faccia come un asinello che si pasce e si sostenta di ciò che gli danno da mangiare, nutrendosi quasi senza accorgersene. Infatti l’anima in questo stato non può non essere sostenuta da qualche sublime grazia di Dio, poiché non le pesa vivere una così misera vita e la sopporta serenamente, ma non ne sente moti interiori né effetti per rendersene conto.

19. Mi viene ora in mente che è come un navigare con un vento molto tranquillo e un fare molta strada senza accorgersene. Al contrario, negli altri stati gli effetti sono così notevoli che l’anima quasi subito vede il proprio miglioramento, poiché subito comincia ad essere agitata da desideri e non riesce a sentirsi mai soddisfatta. Questo comportano i grandi slanci d’amore di cui ho parlato, per chi li riceve da Dio. avviene come in certe piccole sorgenti, che io ho visto sgorgare da terra, dove lo zampillo della rena verso l’alto è continuo. Mi sembra che questo esempio o paragone ritragga in modo autentico lo stato delle anime arrivate fin qui: vibrando sempre d’amore, pensano di continuo a nuove imprese e non sono capaci di stare in sé, come quell’acqua sembra non riesca a star dentro la terra, ma ne sgorga fuori di getto. Questo è lo stato abituale di tali anime, che non hanno riposo né sanno contenersi, per l’amore che da esse trabocca. Ormai sono tutte impregnate di quest’acqua e vorrebbero che ne bevessero anche gli altri, visto che esse ne hanno d’avanzo, affinché le aiutassero a lodare Dio. Oh, quante volte mi sono ricordata dell’acqua viva di cui parlò il Signore alla samaritana! Quel brano del Vangelo mi è molto caro. E per certo ne ero devota fin da bambina quando, senza ancora capire questo bene come adesso, supplicavo spesso il Signore di darmi quell’acqua, e nella mia stanzetta avevo un quadro che rappresentava il Signore vicino al pozzo con sotto la scritta: Domine, da mihi aquam.

20. Si può anche paragonare questo amore a un gran fuoco che ha bisogno di aver sempre di che ardere per non spegnersi. Così è per le anime di cui parlo, le quali, anche a costo di grandi loro sacrifici, vorrebbero gettare continuamente legna su questo fuoco perché non si spegnesse. Da parte mia, mi accontenterei di poterci gettare anche qualche fuscello, come talora mi accade di fare, e anche spesso; a volte ne rido, altre me ne affliggo molto. L’impulso interiore mi incita a servire Dio in qualche modo e io, non essendo capace di altro, lo faccio mettendo mazzolini di fiori davanti alle immagini sacre, spazzando, riordinando un oratorio, attendendo a certi lavoracci così meschini che mi fanno vergognare. Se faccio un po’ di penitenza, si tratta di ben poca cosa, e di tal specie che, se non fosse perché il Signore guarda alla mia buona volontà, so che non avrebbe alcun valore, e io stessa mi burlo di me. Non è certo poco il tormento delle anime a cui Dio dà per sua bontà in esuberanza questo fuoco del suo amore, nel sentirsi forze fisiche inadeguate per far qualcosa in suo onore. È una pena assai grande perché, mancando loro le forze di gettare un po’ di legna su questo fuoco e morendo dalla paura che si spenga, mi pare che si consumino in se stesse e brucino fino a ridursi in cenere e si struggono in lacrime: un tormento indicibile, anche se gioioso.

21. Renda grandi lodi a Dio l’anima che è giunta fin qui, ricevendo da lui le forze fisiche necessarie per far penitenza, o dottrina, talento e libertà per predicare, confessare e avvicinare i peccatori a Dio. Non può capire il bene che possiede se non ha provato che cosa voglia dire non riuscire a far nulla al servizio del Signore e ricevere da lui sempre molto. Sia benedetto di tutto e gli angeli tutti gli rendano gloria! Amen.

22. Non so se faccio bene a raccontare tanti piccoli particolari. Poiché la signoria vostra mi ha ripetuto l’ordine di non badare a non dilungarmi e di non omettere nulla, dico man mano con chiarezza e verità quello che ricordo. Ma non potrò fare a meno di tralasciare molte cose perché ciò richiederebbe troppo tempo, e probabilmente non sarebbero di alcuna utilità.

CAPITOLO 31

Tratta di alcune tentazioni esteriori con le apparizioni del demonio e dei tormenti che questi le dava. Tratta anche di alcune cose molto utili ad ammonimento delle anime che seguono il cammino della perfezione.

1. Avendo già parlato di alcune tentazioni e agitazioni interiori e segrete che il demonio mi causava, voglio ora parlare di quelle quasi pubbliche di cui mi faceva oggetto, nelle quali non si poteva ignorare che si trattava di lui.

2. Una volta, mentre stavo in un oratorio, mi apparve al lato sinistro con un aspetto abominevole; siccome mi parlò, gli guardai soprattutto la bocca, che era spaventosa. Da suo corpo sembrava sprigionarsi una gran fiamma molto chiara, senza ombre. Mi disse con voce terribile che se ero riuscita a liberarmi dalle sue mani, egli avrebbe saputo riagguantarmi. Ne ebbi terrore e mi feci, come potei, il segno della croce; egli allora sparì, ma ritornò subito. Ciò mi accadde due volte. Non sapevo che cosa fare; avevo lì l’acqua benedetta e la gettai da quella parte: non comparve mai più.

3. Un’altra volta mi tormentò per cinque ore, in cui soffrii tali terribili dolori e tale turbamento fisico e morale che mi pareva di non poterne più. Le persone che si trovavano con me erano spaventate e non sapevano che fare, e io non sapevo come difendermi. Ho l’abitudine, quando i dolori e il male fisico sono proprio intollerabili, di fare, come posso, in cuore atti di rassegnazione, supplicando il Signore di servirsi ai suoi fini delle mie sofferenze, di darmi pazienza e di lasciarmi in quello stato sino alla fine del mondo. E allorché questa volta vidi che soffrivo tanto duramente, cercavo di aiutarmi con questi atti e con queste determinazioni, per poterlo sopportare. Il Signore volle infine farmi capire che si trattava del demonio perché vidi presso di me un piccolo negro, orribile, che digrignava i denti come disperato di perdere dove sperava di guadagnare. Appena lo vidi ne risi in cuor mio, e non ebbi alcuna paura, essendoci lì con me alcune suore le quali, però, non sapevano come aiutarmi né che rimedio opporre a tanto tormento, perché il demonio mi faceva dare grandi colpi, senza che io potessi resistergli, col corpo, con la testa, con le braccia; ma la cosa peggiore era l’interiore turbamento, tale che in nessun modo potevo trovare pace. Non osavo chiedere acqua benedetta per non impaurirle e perché non capissero di che si trattava.

4. So, per ormai vecchia esperienza, che non c’è mezzo migliore dell’acqua benedetta per mettere in fuga il demonio e impedirgli di tornare. Fugge anche dinanzi alla croce, ma poi torna. Dev’essere ben grande la virtù dell’acqua benedetta; io, per lo meno, quando me ne servo, provo una particolare e ben percepibile consolazione. Proprio così: nella maggior parte dei casi sento un sollievo che non saprei spiegare, come un diletto interiore che mi conforta tutta l’anima. Questa non è una fantasia, né una cosa che mi sia accaduta una sola volta, ma moltissime volte, e che ho osservato con grande attenzione. Diciamo che è come il refrigerio che si sente in tutta la persona quando, avendo molto caldo e molta sete, si beva una brocca d’acqua fresca. Penso quanto sia grande tutto ciò che è nell’ordine liturgico, e m’inonda di gioia vedere come le parole rituali abbiano la virtù di trasmettere tanta forza all’acqua da renderla così diversa da quella che non è benedetta.

5. Poiché, dunque, il tormento non cessava, dissi: «Se non vi facessi ridere, chiederei un po’ d’acqua benedetta». Me la portarono e me la gettarono addosso, ma senza alcun risultato. Allora io la gettai lì dove stava il demonio, che fuggì all’istante, e sparirono, insieme, tutti i miei mali, quasi mi fossero tolti con la mano; solo che io rimasi così sfinita, come se mi avessero dato molte bastonate. Fu per me molto utile vedere che il demonio può fare tanto male, permettendoglielo il Signore, anche in un corpo e in un’anima che non gli appartengono; che cosa farà mai quando ne sia il padrone? Ciò rinsaldò il mio desiderio di liberarmi da così malvagia compagnia.

6. Un’altra volta, poco tempo fa, mi accadde la stessa cosa, anche se non durò molto, e io ero sola. Chiesi un po’ d’acqua benedetta. Le consorelle che entrarono dopo che i demoni già se n’erano andati (le quali erano due monache molto degne di fede, che per nulla al mondo avrebbero detto bugie), sentirono un pessimo odore, come di zolfo; io non lo sentii, ma durò tanto che fu ancora possibile avvertirlo. Un’altra volta, stando in coro, fui presa da un grande impeto di raccoglimento; me ne uscii perché le altre non se ne accorgessero, anche se udirono tutte, lì presso, dalla parte dove ero andata, grandi colpi, mentre io sentivo vicino a me un parlottio, come di persone che complottassero qualche cosa. Parlavano anche forte, ma ero così immersa nell’orazione da non capire nulla e da non avere alcun timore. Questo accadeva tutte le volte in cui il Signore mi concedeva la grazia di esser utile a qualche anima con la mia opera di persuasione. Mi avvenne, in proposito, un fatto che ora racconterò e di cui vi sono molti testimoni, in particolare il mio attuale confessore, il quale lo vide comprovato per iscritto da una lettera, e benché io non gli dicessi chi ne era l’autore, egli sapeva benissimo chi fosse.

7. Venne da me un sacerdote che da due anni e mezzo si trovava in peccato mortale, uno dei più abominevoli che io abbia mai udito, e in tutto questo tempo né l’aveva confessato, né aveva cercato di emendarsi, pur continuando a celebrare la Messa. Gli altri peccati, sì, li confessava, ma questo diceva che gli era impossibile confessarlo, essendo troppo brutto. E desiderava ardentemente liberarsene, ma da solo non ci riusciva. Ebbi di lui molta compassione, e gran dolore mi procurò veder offendere Dio in quel modo. Gli promisi di pregare vivamente il Signore di aiutarlo, e far sì che gli altri, migliori di me, lo pregassero. Scrissi subito a una certa persona alla quale mi disse che potevo mandare le lettere. E così, nella sua prima confessione, si accusò di quel peccato, poiché Dio volle, per le suppliche delle molte sante persone alle quali l’avevo raccomandato, usare verso quest’anima la sua misericordia; anch’io, quantunque così miserabile, avevo fatto per lui con molta diligenza tutto quello che avevo potuto. Mi scrisse di esser già tanto migliorato che da più giorni non cadeva in quel peccato, ma che il tormento procuratogli dalla tentazione era così grande che gli sembrava di essere all’inferno, stando a quanto pativa, e perciò lo raccomandassi a Dio. Io tornai a raccomandarlo alle mie consorelle, che presero molto a cuore la cosa, e per le cui preghiere il Signore mi avrebbe fatto questa grazia. Si trattava di una persona che nessuno avrebbe potuto indovinare chi fosse. Da parte mia supplicai Sua Maestà di far sì che avessero tregua quei tormenti dati dalle tentazioni e che quei demoni venissero a tormentare me, purché non avessi da offendere in nulla il Signore. Fu così che passai un mese di grandissimi tormenti; i due fatti che le ho raccontato mi accaddero allora.

8. Piacque, infatti, al Signore che egli fosse lasciato in pace come mi fu scritto, dopo che io gli ebbi fatto sapere ciò che avevo sofferto in quel mese. La sua anima, così, prese forza e restò completamente libera, tanto che egli non cessava di ringraziare il Signore e me, come se io avessi fatto qualche cosa, mentre era la convinzione da lui raggiunta che il Signore mi favorisse di grazie, a giovargli. Diceva che quando si sentiva fortemente turbato, leggeva le mie lettere e la tentazione spariva; era molto stupito di quello che io avevo sofferto e di come egli fosse rimasto libero da ogni tormento. Altrettanto stupita ne ero io, ma avrei sopportato quella sofferenza per molti anni ancora, pur di vedere libera quell’anima. Di tutto sia lodato il Signore perché molto può l’orazione di coloro che lo servono, come credo che facciano le sorelle di questa casa. Se non che, essendo io quella che le inducevo a pregare, i demoni si adiravano, credo, soprattutto con me, e il Signore lo permetteva a causa dei miei peccati.

9. In quel periodo, una notte pensai anche che mi strangolassero; dopo che fu gettata molta acqua benedetta, vidi fuggire una gran turba di essi, come chi corre a precipizio. Sono tante le volte in cui questi spiriti maledetti mi tormentano, ed è ormai così poca la paura che m’incutono, poiché vedo che se il Signore non lo consente, non possono muoversi, che se volessi raccontare tutto, stancherei la signoria vostra e mi stancherei io stessa.

10. Quanto ho detto serva di aiuto per i veri servi di Dio a non preoccuparsi degli spauracchi messi lì dai demoni per incutere timore; sappiano che ogni qualvolta si riesca a disprezzarli, essi perdono forza e l’anima acquista molto maggior padronanza di sé. Dai loro assalti si ricava sempre qualche vantaggio di cui non parlo, per non dilungarmi; voglio solo narrare un fatto che mi accadde la sera del giorno dei Morti. Mentre stavo in un oratorio, dopo aver recitato un notturno, dicendo alcune orazioni molto devote poste in fondo al nostro breviario, il demonio venne a mettersi sopra il libro per impedirmi di finire l’orazione; io mi feci il segno della croce ed egli fuggì. Ricominciata la preghiera, tornò; credo siano state tre le volte che dovetti ricominciarla senza riuscire a finirla, finché non gli ebbi gettato addosso acqua benedetta. Vidi allora uscire subito dal purgatorio alcune anime a cui doveva restare poco tempo per liberarsi dalla pena e pensai che il demonio aveva forse voluto ritardarne la liberazione. Poche volte l’ho visto assumere una figura; molte, invece, senza alcuna figura, al modo di quelle visioni in cui, come ho detto, si vede chiaramente la presenza di qualcuno, pur mancando la figura.

11. Voglio raccontare anche quest’altro fatto che mi stupì moltissimo. Il giorno della SS.ma Trinità, mentre ero in estasi nel coro di un certo monastero, vidi una gran lotta tra angeli e demoni e non riuscivo a capire il significato di quella visione. Prima che fossero trascorsi quindici giorni, lo si capì bene per una certa contesa sorta tra persone di orazione e altre che non lo erano, da cui venne un gran danno alla casa in cui era sorta; fu una lotta che durò lungo tempo e causò molta sofferenza. Altre volte mi vedevo intorno una gran turba di essi, e mi sembrava di essere circonfusa di una luce chiarissima che non permetteva loro di avvicinarsi. Capivo allora che Dio vegliava su di me perché non si accostassero in modo da farmi recare offesa a lui. Da quello che poi ho costatato in me più volte, mi sono resa conto che la visione era vera. Il fatto è che io sono così convinta del loro scarso potere – se non agisco contro Dio – che non ne ho quasi affatto paura; infatti, la loro forza è nulla se non trovano anime vili e pronte alla resa, contro le quali danno prova del loro potere. A volte, nelle tentazioni di cui ho già parlato, mi sembrava che mi si risvegliassero tutte le vanità e le debolezze del passato e dovevo raccomandarmi molto a Dio. Poi subentrava il tormento di credere, visto che mi venivano quei pensieri, che tutto doveva essere opera del demonio, finché il confessore non mi metteva in pace. Mi sembrava, infatti, che neanche un primo moto di pensieri cattivi dovesse avere chi riceveva tante grazie dal Signore.

12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.

13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.

14. Questi timori m’inceppavano molto la libertà dello spirito, tanto che finii col capire che non erano dovuti a una vera umiltà, se mi causavano una così grande inquietudine. Il Signore m’insegnò questa verità: essere fermamente convinta che in me non v’era nulla di buono che non venisse da lui e che come non mi dispiaceva sentir lodare altre persone, anzi mi rallegrava e confortava molto il vedere in esse la manifestazione di Dio, così non doveva neppure dispiacermi che mostrasse in me le sue opere.

15. Caddi pure in un’altra esagerazione, cioè quella di supplicare Dio e fare preghiere speciali affinché, quando a qualcuno sembrasse di scorgere qualcosa di buono in me, Sua Maestà gli svelasse i miei peccati, in modo che vedesse come ricevessi quelle grazie senza alcun merito, cosa che io desidero sempre molto. Il mio confessore mi disse di non farlo, ma fino a poco tempo fa, se vedevo che una persona aveva di me una gran buona opinione, con rigiri o come potevo, le facevo conoscere i miei peccati e così mi sembrava di aver pace; ma anche di questo mi hanno fatto sentire scrupolo.

16. Ciò, infatti, a mio parere, non procedeva da vera umiltà, ma dal fatto che una tentazione ne suscitava molte altre. Mi sembrava di ingannare tutti quanti mentre, anche se è vero che s’inganna chi crede che in me ci sia qualcosa di buono, io non desideravo ingannare nessuno, né ho mai voluto farlo; è solo il Signore a permetterlo per qualche suo fine. Pertanto, anche con i confessori, se non lo avessi visto necessario, non avrei parlato di nessuna cosa che mi fosse causa di grande scrupolo. Ora capisco che tutti questi piccoli timori, pene e parvenze di umiltà erano dovuti a grande imperfezione e a scarsa mortificazione, perché a un’anima che si affida alle mani di Dio non importa che di lei si dica bene piuttosto che male, purché – beninteso – sia convinta, come il Signore le fa la grazia di capire, che di suo non ha nulla. Si fidi di chi le dà tali favori, che sa perché li rende pubblici, e si prepari alla persecuzione, inevitabile ai nostri tempi, quando il Signore vuol far conoscere che concede a un’anima simili grazie, perché allora ha mille occhi addosso, mentre addosso a mille anime di altra fatta non ce n’è neppure uno.

17. In verità, non v’è poca ragione di temere, pertanto il mio timore non era dovuto ad umiltà, ma a pusillanimità. Infatti, l’anima che Dio permette sia esposta agli occhi del mondo, deve prepararsi ad essere martire del mondo perché, anche se essa non vuol morire al mondo, il mondo stesso la ucciderà. Certo, è l’unica cosa buona che veda in esso, questa di non perdonare alcun difetto a coloro che praticano la virtù, finché, a forza di mormorazioni, non li induca a correggersi. Aggiungo che, se uno non è perfetto, gli occorre più coraggio per cercare di diventarlo che non per essere subito martire, perché la perfezione non si raggiunge in breve tempo, a meno che si tratti di persone a cui il Signore voglia concedere questa grazia per speciale privilegio. Il mondo, quando vede qualcuno avviato per tale strada, esige che sia perfetto e mille miglia lontano scopre in lui una mancanza, che forse è virtù, ma siccome in chi lo condanna la stessa cosa proverrebbe da vizio, giudica che sia così anche nell’altro. Egli non dovrebbe né mangiare né dormire né, come si dice, respirare; più è tenuto in considerazione, più si è indotti a dimenticare, sembra, che è ancora di carne e ossa. Per quanto perfetta abbia l’anima, vive ancora sulla terra, soggetto alle sue miserie, benché le tenga sempre più sotto i piedi. È perciò necessario, come dico, un gran coraggio perché la povera anima non ha ancora cominciato a camminare e già pretendono che voli; ancora non ha vinto le passioni e già esigono che in difficili occasioni resti così salda come leggono che avveniva ai santi confermati in grazia. È motivo di lode per il Signore quanto accade in questa circostanza, ed è anche motivo di gran pena per il nostro cuore perché moltissime anime che, poverine, non sanno farsi valere, tornano indietro. E così credo che sarebbe stato anche della mia se il Signore, nella sua infinita misericordia, non avesse fatto tutto lui: finché egli non è intervenuto con la sua bontà in mio favore, la signoria vostra avrà visto che non facevo altro se non cadere e rialzarmi.

18. Vorrei sapermi spiegare, perché credo che a questo riguardo molte anime s’ingannino, pretendendo di volare prima che il Signore dia loro le ali. Mi pare di aver già riportato questo paragone, ma qui calza a proposito. Ne parlerò perché vedo alcune anime molto afflitte a causa di ciò. Esse cominciano con gran desiderio e fervore, fermamente decise a progredire nella virtù; e alcune, per quanto appare all’esterno, lasciano tutto per lui, ma quando vedono in altre persone più avanzate in questo cammino maggiori doni di virtù concessi loro da Dio, tali che da soli non possiamo ottenerli, e leggono in tutti i libri di orazione e contemplazione che per salire a tale dignità si devono fare cose che esse non possono riuscire a fare, si scoraggiano; per esempio, non preoccuparsi che si dice male di noi, anzi esserne contenti, più di quando se ne dice bene; tenere in poco conto l’onore; staccarsi dai propri parenti, al punto da non voler trattarli, anzi averli a noia, se non sono persone di orazione, e molte altre cose di tal genere che, a mio parere, devono essere concesse da Dio, perché mi sembra che siano beni soprannaturali, o almeno contrari alla nostra naturale inclinazione. Tali anime, perciò, non si affliggano; sperino nel Signore, perché quanto ora è solo nei loro desideri, Sua Maestà farà sì che giungano ad averlo di fatto, purché continuino nell’orazione e facciano, da parte loro, tutto quello che possono. È molto necessario, per la debolezza di questa nostra natura, avere una gran fiducia, non perdersi d’animo e pensare che, sforzandoci, non mancheremo di uscirne con vittoria.

19. Siccome ho molta esperienza di questo, dirò qualcosa che serva di avvertimento alla signoria vostra. Non pensi mai d’aver già acquistato una virtù, anche se le sembra di sì, se non ne fa la prova con il suo contrario. Finché viviamo, dobbiamo esser molto guardinghi e non distrarci, perché subito ci si riattacca alla terra se Dio non ci ha fatto del tutto la grazia di conoscere quello che è il mondo. In questa vita non c’è nulla che sia esente da molti pericoli. Pochi anni fa, mi sembrava non solo di non essere attaccata ai miei parenti, ma persino di esserne annoiata, ed era certo così perché non potevo sopportare neppure la loro conversazione. A causa di un certo affare di grande importanza che ci fu proposto, dovetti stare con una mia sorella alla quale prima volevo molto bene, ma, benché sia migliore di me, non mi trattenevo a conversare con lei perché, essendo in uno stato diverso dal mio, cioè sposata, la conversazione non poteva sempre svolgersi su quello che io avrei voluto, perciò cercavo di stare sola quanto più potevo. Tuttavia, mi accorsi che le sue pene mi angustiavano, mi preoccupavano molto più che non quelle degli altri; così capii che non ero libera quanto pensavo e che avevo bisogno di fuggire le occasioni affinché questa virtù che il Signore aveva cominciato a darmi potesse crescere. E d’allora in poi, con la sua grazia, ho sempre cercato di farlo.

20. Quando il Signore comincia a darci una virtù dobbiamo tenerla in gran conto e non esporci in nessun modo al pericolo di perderla, com’è per cose riguardanti l’onore e molte altre, perché la signoria vostra non creda che siamo completamente distaccati dal mondo tutti noi che pensiamo di esserlo: bisogna star sempre attenti a questo. Qualsiasi persona senta in sé un qualche attaccamento al punto d’onore, se vuole avanzare in virtù, mi creda, si getti dietro le spalle questo legame, perché è come una catena che nessuna lima può rompere, tranne che lo faccia Dio in virtù della nostra orazione e di tutti i nostri sforzi. Mi sembra proprio un impaccio tale su questo cammino che resto sgomenta al pensiero del danno che ne deriva. Vedo alcune sante persone le cui opere sono talmente grandi da stupire la gente. Ma, Dio mio, perché hanno ancora l’anima attaccata alla terra? Perché non è ancora arrivata al vertice della perfezione? Come si spiega? Che cosa è a trattenere chi ha fatto tanto per Dio? Ahimè, è che è schiava del punto d’onore! E il peggio consiste nel fatto che non vuole riconoscerlo d’averlo, e ciò perché a volte il demonio le fa credere di essere obbligati a osservarlo.

21. Mi credano, dunque, credano per amor del Signore a questa piccola formica che parla per volere di Dio: se non si tolgono questo verme d’addosso, anche se non rovinerà tutto l’albero, perché alcune virtù resteranno, esse, però, saranno completamente bacate. Non è un albero fiorente, ma un albero che non cresce e impedirà di crescere anche a quelli che gli stanno vicino; i frutti di buon esempio che dà sono guasti e di poca durata. Lo ripeto spesso: per piccolo che sia, il punto d’onore è come un errore di tono o di battuta nel suono dell’organo, che basta, esso solo, a rompere l’armonia di tutta la musica; è una cosa che nuoce molto all’anima, in qualsiasi stato, ma in quello dell’orazione è senz’altro una peste.

22. Noi cerchiamo di raggiungere Dio mediante l’unione, pretendiamo di seguire i consigli di Cristo, gravato d’ingiurie e di false imputazioni, e poi vogliamo conservare per intero il nostro onore e la nostra reputazione. Non è possibile giungere alla meta senza seguire un cammino coerente. Il Signore si unisce all’anima solo se noi ci sforziamo e facciamo di tutto per perdere i nostri diritti in molte cose. Qualcuno dirà: non ho modo né mi si offre occasione di far ciò. Ma io credo che a chi avrà preso questa determinazione il Signore non vorrà far perdere un così gran bene: Sua Maestà preparerà tante occasioni per far acquistare all’anima questa virtù che non avrà da desiderarne. Mano all’opera, dunque!

23. Voglio parlare di certe inezie, vere cose di poco conto, che facevo al principio, o almeno di qualcuna di esse: le pagliuzze che, come ho detto, cercavo di porre sul fuoco, perché di più non sapevo fare. Il Signore accetta tutto. Sia per sempre benedetto! Tra gli altri difetti avevo quello di conoscere poco il quotidiano ufficio divino, le rubriche e le cerimonie del coro, per pura negligenza e perché ero presa da altre cose del tutto vane. Vedevo che varie novizie avrebbero potuto farmi da maestre, ma ricordo che mi astenevo dall’interrogarle per non far conoscere la mia ignoranza. Subito si pensa che si è tenuti a non essere di cattivo esempio; questo accade di frequente. Quando però Dio mi aprì un po’ gli occhi, anche se una cosa la sapevo, bastava il minimo dubbio perché ne interrogassi le più giovani, né per questo perdetti onore e reputazione; anzi, a mio parere, piacque al Signore di darmi, in seguito, più memoria. Cantavo male e soffrivo tanto se non avevo studiato bene la parte che mi spettava (non già per mancare davanti al Signore, poiché questo sarebbe stato virtù, ma per le molte persone che mi udivano) da agitarmi a tal punto, per puro rispetto umano, che rendevo molto meno di quello che sapevo. In seguito presi la decisione, quando non ero ben preparata, di dire che non la sapevo. Da principio mi costava molto, ma poi giunsi a provarne piacere. E così, cominciando a non preoccuparmi di far conoscere la mia ignoranza, mi avveniva di cantare molto meglio perché era questo falso punto d’onore a impedirmi di fare ciò che io tenevo ad onore; ognuno infatti lo mette dove vuole.

24. Con queste inezie, che non sono niente – come assolutamente niente sono io che me ne affliggevo –, man mano si vanno compiendo sforzi, e così, anche a piccole cose come queste, essendo fatte per amore di Dio, il Signore dà molta importanza e ci aiuta a compierne di più grandi. Quanto all’umiltà, ricordo che, vedendo tutte le consorelle progredire nella virtù, solo io no, perché non sono mai stata buona a nulla, quando uscivano dal coro, mettevo in ordine, piegandoli, tutti i loro mantelli. Mi sembrava, così, di servire quegli angeli che lì cantavano le lodi di Dio, finché – non so come – esse vennero a saperlo e ne ebbi non poca vergogna, perché la mia virtù non arrivava ad accettare che queste cose si sapessero, e non credo fosse per umiltà, ma perché temevo avessero a ridersi di me, trattandosi di sciocchezze.

25. Oh, mio Signore, che vergogna mi dà vedere in me tante colpe e raccontare tante piccole cose, granelli di rena che non avevo neppure la forza di sollevare da terra per amor vostro, involti com’erano in mille miserie! Ancora non sgorgava l’acqua della vostra grazia al di sotto di questa rena per lanciarla in alto. Oh, mio Creatore, potessi almeno, accanto alle grazie da voi ricevute, raccontare qualche mio atto buono di un certo rilievo, tra tante mie infedeltà! Proprio così, mio Signore, e non so come il mio cuore possa sopportarlo né come chi leggerà questo scritto potrà fare a meno di disprezzarmi, vedendo che, dopo aver così male corrisposto a grazie straordinarie, non abbia vergogna di raccontare questi servizi miserevoli quanto me. Sì, mio Signore, ne arrossisco! Ma il non aver altro da dire da parte mia, mi fa narrare queste mie piccole, umili cose iniziali, per alimentare la speranza in chi ne compirà di grandi, perché se il Signore ha apprezzato, come sembra, questi miei atti, apprezzerà ben di più i suoi. Piaccia a Sua Maestà di farmi la grazia di non restare sempre agli inizi! Amen.

CAPITOLO 32

In cui narra come il Signore l’abbia trasportata in spirito in un luogo dell’inferno che, per i suoi peccati, si era meritata. Di ciò che in esso vide dà solo un’idea, rispetto a quello che fu tale spettacolo. Comincia a raccontare come poté fondare il monastero di San Giuseppe, dove ora si trova.

1. Passato molto tempo da quando il Signore mi aveva fatto già molte delle grazie suddette e anche altre, assai notevoli, mentre un giorno ero in orazione, mi sembrò di trovarmi ad un tratto tutta sprofondata nell’inferno, senza saper come. Capii che il Signore voleva farmi vedere il luogo che lì i demoni mi avevano preparato e che io avevo meritato per i miei peccati. Tale visione durò un brevissimo spazio di tempo, ma anche se vivessi molti anni, mi sembra che non potrei mai dimenticarla. L’entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità come di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in un spazio assai ristretto. Ma tutto questo era uno spettacolo persino piacevole in confronto a quello che qui ebbi a soffrire. Ciò che ho detto, comunque, è mal descritto.

2. Quello che sto per dire, però, mi pare che non si possa neanche tentare di descriverlo né si possa intendere: sentivo nell’anima un fuoco di tale violenza che io non so come poterlo riferire; il corpo era tormentato da così intollerabili dolori che, pur avendone sofferti in questa vita di assai gravi, anzi, a quanto dicono i medici, dei più gravi che in terra si possano soffrire – perché i miei nervi si erano tutti rattrappiti quando rimasi paralizzata, senza dire di molti altri di vario genere che ho avuto, alcuni dei quali, come ho detto, causati dal demonio – tutto è nulla in paragone di quello che ho sofferto lì allora, tanto più al pensiero che sarebbero stati tormenti senza fine e senza tregua. Eppure anche questo non era nulla in confronto al tormento dell’anima: un’oppressione, un’angoscia, una tristezza così profonda, un così accorato e disperato dolore, che non so come esprimerlo. Dire che è come un sentirsi continuamente strappare l’anima è poco, perché morendo, sembra che altri ponga fine alla nostra vita, ma qui è la stessa anima a farsi a pezzi. Non so proprio come descrivere quel fuoco interno e quella disperazione che esasperava così orribili tormenti e così gravi sofferenze. Non vedevo chi me li procurasse, ma mi pareva di sentirmi bruciare e dilacerare; ripeto, però, che il peggior supplizio era dato da quel fuoco e da quella disperazione interiore.

3. Stavo in un luogo pestilenziale, senza alcuna speranza di conforto, senza la possibilità di sedermi e stendere le membra, chiusa com’ero in quella specie di buco nel muro. Le stesse pareti, orribili a vedersi, mi gravavano addosso dandomi un senso di soffocamento. Non c’era luce, ma tenebre fittissime. Io non capivo come potesse avvenire questo: che, pur non essendoci luce, si vedesse ugualmente ciò che poteva dar pena alla vista. Il Signore allora non volle mostrarmi altro dell’inferno; inseguito, però, ho avuto una visione di cose spaventose, tra cui il castigo di alcuni vizi. Al vederli, mi sembravano ben più terribili, ma siccome non ne provavo la sofferenza, non mi facevano tanta paura, mentre in questa prima visione il Signore volle che io sentissi davvero nello spirito quelle angosce e afflizioni, come se le patissi nel corpo. Non so come questo sia avvenuto, ma mi resi ben conto che era per effetto di una grande grazia e che il Signore volle farmi vedere con i miei occhi da dove la sua misericordia mi aveva liberato. Sentir parlare dell’inferno è niente, com’è niente il fatto che abbia alcune volte meditato sui diversi tormenti che procura (anche se poche volte, perché la via del timore non è fatta per la mia anima) e con cui i demoni torturano i dannati e su altri ancora che ho letto nei libri; non è niente, ripeto, di fronte a questa pena, che è ben altra cosa. C’è la stessa differenza che passa tra un ritratto e la realtà; bruciarsi al nostro fuoco è ben poca cosa in confronto al tormento del fuoco infernale.

4. Rimasi spaventata e lo sono tuttora mentre scrivo benché siano passati quasi sei anni tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso, dove sono. Così non c’è una volta in cui io sia afflitta da qualche sofferenza o dolore che non mi sembri una sciocchezza tutto quello che si può soffrire quaggiù, convinta che, in parte, ci lamentiamo senza motivo. Torno pertanto a dire che questa è una delle maggiori grazie che il Signore mi ha fatto, perché mi ha aiutato moltissimo, sia per non temere più le tribolazioni e le contraddizioni di questa vita, sia per sforzarmi a sopportarle e ringraziare il Signore di avermi liberato, come ora mi pare, da mali così terribili ed eterni.

5. D’allora in poi, ripeto, tutto mi sembra facile in paragone di un attimo di quella sofferenza ch’io ebbi lì a patire. Mi meraviglio come, avendo letto molti libri in cui si dice qualcosa delle pene dell’inferno, non le temessi, né facessi di esse il dovuto conto. Che cosa pensavo? Come potevo trovare sollievo in cose che mi avrebbero condotta in un così orribile luogo? Siate per sempre benedetto, mio Dio! Come chiaramente avete rivelato di amarmi di più di quel che mi amassi io! Quante volte, Signore, mi avete liberato da così tenebroso carcere, e quante volte io, poi, sono tornata a mettermici contro la vostra volontà?

6. Questa visione mi procurò anche una grandissima pena al pensiero delle molte anime che si dannano (specialmente quelle dei luterani che per il battesimo erano già membri della Chiesa) e un vivo impulso di riuscire loro utile, essendo, credo, fuori dubbio che, per liberarne una sola da quei tremendi tormenti, sarei disposta ad affrontare mille morti assai di buon grado. Spesso considero che se vediamo qui una persona, a cui vogliamo particolarmente bene, oppressa da grandi pene e sofferenze, sembra che il nostro stesso istinto ci induca a compassione e, quanto più gravi sono le sue sofferenze, tanto più opprimono anche noi. Come dunque si può resistere a vedere un’anima condannata per l’eternità al maggiore dei supplizi? Nessun cuore può sopportarlo senza provarne grande angoscia. Se quaggiù, infatti, pur sapendo che, in conclusione, le sofferenze hanno un fine e al termine della vita cesseranno con essa, siamo presi da tanta compassione, di fronte a queste altre che sono eterne e al gran numero di anime che ogni giorno il demonio trascina con sé, mi chiedo come possiamo aver pace.

7. Questo è anche il motivo per cui desidero che in cosa di tanta importanza non ci si ritenga soddisfatti se non dopo aver fatto, da parte nostra, tutto ciò che possiamo, senza tralasciare nulla, e piaccia al Signore di assisterci con la sua grazia a tal fine. Considero inoltre che allora, sebbene fossi molto colpevole, avevo una certa preoccupazione di servire Dio e non commettevo alcuna di quelle mancanze che il mondo tollera come cose da nulla, oltre a soffrire grandi infermità con molta rassegnazione, anche se me la dava il Signore: non ero incline a mormorare e a sparlare del prossimo, né mi sembra che fossi capace di voler male ad alcuno, né ero ambiziosa, né ricordo di aver mai avuto tale invidia che fosse di grave offesa al Signore, né mancavo di altre buone disposizioni perché, pur essendo assai misera, vivevo costantemente nel timore di Dio. E, ciò nonostante, ho veduto il luogo che i demoni mi avevano preparato! Se è pur vero che, per le mie colpe, mi sembra che avrei meritato anche più grave castigo, prescindendo da ciò, ripeto che quello era un tormento terribile e che è pericoloso per l’anima esser soddisfatta di sé e riposare tranquilla, quando va cadendo ad ogni passo in peccato mortale. Bisogna, invece, per amore di Dio, allontanarsi dalle occasioni pericolose e il Signore ci aiuterà come ha fatto con me. Piaccia a Sua Maestà di non ritirare da me la sua mano, affinché non debba nuovamente cadere, avendo già visto il luogo dove andrei a finire. Non lo permetta il Signore, per quello che egli è! Amen.

8. Dopo aver avuto questa visione e dopo che il Signore, nella sua bontà, volle rivelarmi altri grandi segreti sulla gloria che riserva agli eletti e le pene che prepara ai dannati, poiché desideravo di trovare il modo di fare penitenza per evitare un così gran male ed acquistare qualche merito conveniente a un così gran bene, cercavo di fuggire ogni umano consorzio e appartarmi totalmente dal mondo. Il mio spirito era sempre inquieto, ma non si trattava di un’inquietudine agitata, anzi soavemente grata; era ben evidente che veniva da Dio e che Sua Maestà aveva conferito all’anima calore perché potesse assimilare alimenti più solidi di quelli di cui si nutriva.

9. Pensando a ciò che avrei potuto fare per Dio, vidi che la prima cosa da farsi era conformarmi alla mia vocazione religiosa osservando la mia Regola con la maggiore perfezione possibile. Benché la casa in cui mi trovavo annoverasse molte serve di Dio dalle quali egli era assai ben servito, le monache, a causa della grande povertà in cui essa versava, uscivano spesso per recarsi altrove dove, però, potevano stare con assoluto decoro e rispetto del loro abito, anche perché la Regola non era osservata sulla base del suo primitivo rigore ma, come in tutto l’Ordine, secondo la Bolla di mitigazione. Vi erano poi altri inconvenienti che mi facevano apparire la vita troppo agiata, essendo la casa grande e piena di comodità. Ma questo dell’uscire spesso era già un grave inconveniente per me, anche se io ero proprio quella che particolarmente ne usufruivo perché alcune persone, a cui i prelati non potevano dire di no, avevano piacere che stessi in loro compagnia, ed essi, sollecitati da continue preghiere, me lo imponevano; pertanto, in questo modo, potevo star ben poco nel monastero, e il demonio doveva cooperare in parte a impedire che restassi in casa perché, malgrado tutto, riferendo ad alcune consorelle ciò che m’insegnavano i miei direttori, facevo loro un gran bene.

10. Avvenne una volta che una persona, con la quale mi trovavo, dicesse a me e ad altre lì presenti che, qualora avessimo voluto vivere alla maniere delle scalze, si sarebbe anche potuto fondare un monastero. Siccome questo rispondeva ai miei desideri, cominciai a parlarne con quella vedova mia amica, già ricordata, che condivideva il mio desiderio e che cominciò a darsi da fare per procurare le rendite necessarie. Ora vedo che questi sforzi approdavano a poco e che solo il desiderio di realizzare il nostro intento ce li faceva sembrare utili. Io d’altronde, essendo molto soddisfatta della casa in cui mi trovavo perché mi piaceva molto e avevo una cella adatta a me, tardavo a decidermi. Ciò nonostante, concordammo di raccomandare caldamente la cosa a Dio.

11. Un giorno, dopo la comunione, Sua Maestà mi ordinò con decisione di fare quanto era possibile per attuare tale intento, promettendomi che il monastero si sarebbe certo fondato, e che in esso egli avrebbe trovato motivo di compiacimento. Doveva essere dedicato a san Giuseppe che sarebbe stato di guardia a una porta, nostra Signora avrebbe vegliato sull’altra, ed egli, Gesù Cristo, sarebbe stato con noi: così il monastero avrebbe brillato come una stella di vivissimo splendore. Mi disse anche che, sebbene gli Ordini religiosi fossero rilassati, non dovevo credere che egli vi fosse poco servito e che considerassi che cosa sarebbe del mondo se non vi fossero i religiosi. Mi ordinò di riferire al mio confessore quanto mi ingiungeva di fare e di dirgli che egli lo pregava di non opporsi a ciò e di non essermi in alcun modo di intralcio.

12. Questa visione comportava grandi effetti e le parole che il Signore mi rivolgeva erano tali che non potevo dubitare che si trattasse di lui. Ne provai una grandissima pena, perché previdi in parte le grandi inquietudini e le grandi sofferenze che ciò mi sarebbe costato. Inoltre, mi trovavo molto bene in quella casa e, sebbene di questo mi fossi precedentemente occupata, non era mai stato con vera risoluzione né certezza della riuscita. Ora, però, mi sembrava di esservi costretta e, poiché prevedevo che l’iniziativa avrebbe comportato grandi sofferenze, ero in dubbio su ciò che dovessi fare. Ma furono tante le volte che il Signore tornò a parlarmene, prospettandomi così numerose ed evidenti ragioni per ritenere che questa era la sua precisa volontà, che non potei far altro se non dirlo al mio confessore, mettendogli per iscritto tutto quello che mi era accaduto.

13. Egli non osò dirmi concretamente di abbandonare tale idea, ma vedeva che, ragionando umanamente, essa non aveva possibilità di riuscita, perché la mia amica, che doveva far erigere il monastero, aveva pochissima e quasi nessuna disponibilità finanziaria. Mi disse di parlarne al mio superiore e di attenermi alle sue decisioni. Non ero solita trattare di queste visioni con il superiore, ma quella signora parlò con lui, dicendogli che desiderava fondare questo monastero, e il provinciale, che ama la perfezione religiosa, aderì volentieri all’idea, le promise tutto l’appoggio necessario e le disse che egli ne avrebbe riconosciuto l’istituzione. Trattarono, inoltre, delle rendite occorrenti che, per molte ragioni, non volevamo fossero più di tredici. Prima d’iniziare le trattative scrivemmo al santo fra Pietro d’Alcántara, mettendolo al corrente di tutto, e su tutto ci diede il suo parere, raccomandandoci di non abbandonare l’impresa.

14. Era appena corsa la voce in città di tale progetto che si scatenò addosso a noi una tale persecuzione da non potersi raccontare in breve per iscritto: chiacchiere, risate, si considerava pazzia il nostro disegno; di me si diceva che avrei fatto meglio a starmene nel mio monastero; si perseguitava con tanto accanimento la mia compagna da renderle penoso il vivere. Io non sapevo che cosa fare, perché mi pareva che in parte avessero ragione. Mentre ero così tormentata e mi raccomandavo a Dio, Sua Maestà cominciò a consolarmi e a incoraggiarmi. Mi disse che da ciò potevo costatare quanto avessero sofferto i santi che avevano fondato Ordini religiosi e che mi attendevano ben più grandi persecuzioni di quelle che potessi immaginare, ma che non dovevamo preoccuparcene minimamente. Mi disse anche alcune cose da comunicare alla mia compagna, e quello che più mi stupì fu che dopo tali parole rimanemmo così consolate di quanto era accaduto e così piene di coraggio da poter far fronte a tutti. Infatti, non vi era quasi alcuna persona nell’intera città, neppure tra quelle dedite all’orazione, che non ci fosse ostile e a cui il nostro progetto non sembrasse una grande pazzia.

15. Furono tante le chiacchiere e tale la levata di scudi nel mio stesso monastero, che al provinciale parve arduo lottare da solo contro tutti: mutò, quindi, parere e non volle accettare la proposta. Disse che le rendite non erano sicure, che erano poche, che l’opposizione era grande, e mi sembrava che in tutto avesse ragione; infine, fece marcia indietro, negando la sua approvazione al progetto. A noi, che già credevamo di aver vinto le prime difficoltà, ciò diede grandissima pena; specialmente io rimasi scoraggiata nel vedere l’ostilità del provinciale, perché la sua approvazione sarebbe valsa a discolparmi di fronte a tutti. Non c’era, poi, nessun confessore disposto ad assolvere la mia compagna, se non rinunziava a tale iniziativa, perché ognuno diceva ch’era obbligata a far cessare lo scandalo.

16. Ella, allora, andò da un religioso dell’Ordine di san Domenico, molto dotto e gran servo di Dio, per parlargli del nostro progetto ed informarlo di tutto. Ciò avvenne ancora prima che il provinciale recedesse dall’iniziativa, non essendoci alcuno nell’intera città che ci volesse dare un consiglio, e questo perché poi si dicesse che agivamo solo di nostra testa. La signora di cui parlo informò, dunque, questo sant’uomo di tutto, mettendolo a conoscenza anche della rendita di cui disponeva del suo maggiorascato, con vivo desiderio che egli ci aiutasse, perché era allora il più grande teologo della città, e anche nel suo Ordine ben pochi gli erano superiori. Anch’io gli esposi tutto quello che pensavamo di fare e qualcuno dei motivi che ci inducevano a ciò. Non gli parlai assolutamente di alcuna rivelazione, limitandomi alle ragioni naturali che mi spingevano a questo intento, perché volevo che mi consigliasse solo in conformità di esse. Ci disse di dargli otto giorni di tempo per rispondere e ci chiese se eravamo disposte a fare quanto ci avrebbe comunicato. Gli risposi di sì, ma, anche se la mia risposta era tale, e credo che avrei mantenuto l’impegno (perché in quel momento non vedevo alcuna via d’uscita), non perdevo mai la certezza che il monastero si sarebbe fondato. La mia compagna, però, aveva più fede di me e non avrebbe mai acconsentito a una rinuncia, qualunque cosa le dicessero.

17. Io, sebbene – come ho detto – mi sembrasse impossibile che la cosa non riuscisse, sono talmente convinta che sia vera la rivelazione la quale non contrasti con la sacra Scrittura e le leggi della Chiesa, cui dobbiamo obbedienza, che, pur essendo certa che la mia veniva da Dio, se quel teologo mi avesse detto che non avremmo potuto realizzare il nostro proposito senza offendere Dio e tradire la nostra coscienza, credo che subito avrei abbandonato l’idea e avrei cercato altri mezzi; ma il Signore allora non mi offriva che questo. Dopo, quel buon servo di Dio mi disse che si era assunto il compito di esaminare il nostro progetto col fermo proposito di far di tutto per dissuadercene, essendogli ormai giunta notizia del chiasso che se ne faceva in città e sembrando anche a lui, come a tutti, una pazzia; inoltre un gentiluomo, appena saputo che noi eravamo andate da lui, lo aveva fatto avvisare di guardar bene a quel che faceva e di non aiutarci. Ma poi, quando aveva cominciato a pensare a quello che ci doveva rispondere e a considerare il progetto e lo scopo di esso, il modo di vita e la Regola che volevamo instaurare, era rimasto pienamente convinto che sarebbe stato a gloria di Dio e che non si doveva abbandonarlo. Pertanto ci rispose di affrettarci a concluderlo e ci suggerì i mezzi a cui far ricorso e la via da seguire: anche se le rendite erano scarse, bisognava almeno un poco confidare in Dio; se qualcuno avesse avuto da dire qualcosa in contrario, andasse pur da lui che gli avrebbe saputo rispondere. Così, da allora, ci aiutò sempre, come dirò in seguito.

18. Ne traemmo motivo di grande consolazione, tanto più che certe persone, prima assolutamente contrarie, cominciavano a placarsi e alcune ci venivano in aiuto. Fra esse era quel santo gentiluomo di cui ho già fatto menzione, il quale, virtuoso com’è, sembrandogli che il nostro progetto fosse indirizzato a grande perfezione, perché aveva tutto il suo fondamento nell’orazione, anche se i mezzi gli apparivano comportare molte difficoltà e nessuna speranza di riuscita, si arrese al pensiero che poteva esser cosa di Dio, che lo stesso Signore ispirava. Altrettanto fece quel maestro, che è l’ecclesiastico servo di Dio con cui ho detto d’aver parlato per primo, specchio di tutta la città, ove Dio l’ha chiamato per la salvezza e il profitto di un gran numero di anime; anch’egli venne a prestarmi il suo aiuto nella mia impresa. Stando le cose in questi termini, e aiutandoci sempre con molte preghiere, comprammo una casa in un buon luogo, anche se piccola, ma di questo non m’importava nulla, perché il Signore mi aveva detto di cominciare in ogni modo, ché dopo avrei visto quello che egli avrebbe fatto. E come l’ho visto bene! Così, pur rendendomi conto della scarsità delle rendite, ero convinta che il Signore per altre vie avrebbe avviato felicemente le nostre cose e ci avrebbe aiutato.

CAPITOLO 33

Prosegue sullo stesso argomento della fondazione del monastero del glorioso san Giuseppe. Racconta come le ordinarono di non occuparsene più, e fino a quando smise di interessarsene; racconta anche alcune prove a cui dovette sottostare e come il Signore la consolava in esse.

1. Quando gli affari erano dunque a questo punto, così prossimi alla conclusione che mancava un giorno alla stesura del contratto, fu proprio il momento in cui il padre provinciale cambiò parere. Credo che ne fosse causa, a quanto si vide in seguito, una disposizione divina perché, grazie alle molte preghiere, il Signore andava perfezionando l’opera e disponendo le cose così che si effettuasse in altro modo. Avendo quel padre rifiutato il suo assenso, subito il confessore mi ordinò di non occuparmene oltre, nonostante le grandi sofferenze e le pene che – come sa il Signore – mi era costato portarla fino a quel punto. Abbandonata l’impresa e rimasto tutto in tronco, si andò convalidando l’opinione che si era trattato di una stramberia di donne e crebbero le mormorazioni contro di me, sebbene fino allora io avessi agito con l’autorizzazione del mio provinciale.

2. Ero molto malvista da tutto il mio monastero, avendo tentato di fondarne uno di più stretta clausura. Le mie consorelle dicevano che era un recare loro offesa, perché potevo servire Dio anche lì dove non mancavano religiose migliori di me, che non amavo la casa e che avrei fatto meglio a procurare rendite per essa anziché per altri fini. Alcune ritenevano che dovessi esser gettata in prigione, altre – ben poche – si volgevano un tantino in mia difesa. Io vedevo che per molti riguardi avevano ragione e talvolta cercavo di giustificarmi, ma siccome non potevo dire il movente principale, che era il comando del Signore, non sapendo che cosa fare, tacevo. D’altronde, Dio mi faceva la grazia di non trarre da ciò motivo di agitazione, tanto che abbandonai l’idea con tale facilità e letizia, come se non mi fosse costato nulla. E questo non poteva crederlo nessuno, neppure le stesse persone di orazione che trattavano con me, le quali pensavano che dovessi essere molto afflitta e confusa; persino il mio confessore non riusciva a crederlo. Io, ritenendo di aver fatto tutto il possibile, non mi sentivo più obbligata ad adempiere il comando del Signore e me ne stavo tranquilla nel mio monastero dove potevo vivere a mio agio. Mi era, nondimeno, impossibile rinunziare a credere che la fondazione si sarebbe fatta: non vedevo alcuna via per attuarla, né sapevo il come, né il quando, ma la stimavo cosa cortissima.

3. Ciò che più mi afflisse fu quando una volta il mio confessore, come se io avessi fatto qualcosa contro la sua volontà (doveva essere senza dubbio volontà del Signore che non mi mancassero tribolazioni anche da quella parte che mi avrebbe procurato maggiori sofferenze), nel cumulo di persecuzioni in cui mi sembrava che egli avesse dovuto confortarmi, mi scrisse che, per quanto era accaduto, dovevo convincermi che la mia era soltanto un’illusione, che ne facessi ammenda d’allora in poi col non perseguirne più la riuscita e non parlarne più, avendo visto io stessa lo scandalo che ne era conseguito, e altre cose ancora, tutte causa di gran pena. L’idea dello scandalo fu quella che mi addolorò più di tutto il resto, sembrandomi che se ero stata io la causa e avevo avuto la colpa che si recasse offesa a Dio, se le mie visioni erano un’illusione, tutta la mia orazione doveva essere un inganno e io ero un’illusa e una traviata. Questo timore mi strinse il cuore in tal modo da procurarmi un gran turbamento e una grandissima afflizione. Ma il Signore, che non mi è venuto mai meno, che in tutte queste sofferenze di cui ho parlato molte volte mi confortava e m’incoraggiava in una maniera che qui non serve ricordare, mi disse allora di non angustiarmi perché in quella faccenda io avevo ben servito e non offeso Dio; di fare ciò che mi ordinava il confessore, cioè starmene, per il momento, in silenzio aspettando che venisse il tempo propizio per riprendere il lavoro. Rimasi così contenta e consolata che la persecuzione ordita contro di me mi sembrò nulla.

4. In questa circostanza il Signore mi mostrò la grande utilità delle persecuzioni e dei patimenti sofferti per amor suo, perché fu così grande l’aumento dell’amore di Dio nella mia anima, insieme con molti altri vantaggi, che io ne restavo stupita; ecco perché non posso fare a meno di desiderare sofferenze. Gli altri credevano che io fossi piena di mortificazione e certo lo sarei stata se il Signore non mi avesse favorita in così grande occorrenza di tanta grazia. Proprio allora mi vennero quei grandi impeti d’amore di Dio di cui ho parlato, insieme con rapimenti sublimi; io, però, tacevo e di tali grazie non parlavo con nessuno. Quel sant’uomo del padre domenicano continuava intanto ad essere persuaso, come lo ero io, che la fondazione si sarebbe fatta e, siccome io non volevo occuparmene, per non tradire l’obbedienza al mio confessore, egli ne trattava con la mia compagna: scrivevano a Roma e preparavano la strada.

5. Anche qui il demonio cominciò, da una persona all’altra, a fare in modo che si sapesse che io avevo avuto qualche rivelazione su tale faccenda, e alcune persone, allora, vennero da me spaventate per dirmi che correvano tempi duri e che poteva darsi che fossi imputata di qualche colpa e denunziata all’Inquisizione. Ciò mi parve divertente e mi fece ridere perché, a questo riguardo, non ho mai avuto paura, ben sapendo che, in fatto di fede, sarei stata pronta ad affrontare mille morti piuttosto di far credere che trasgredissi una minima cerimonia della Chiesa o andassi contro una verità della sacra Scrittura. Risposi, quindi, che di ciò non temessero perché sarebbe stato molto pericoloso per la mia anima se in essa vi fosse alcunché da fornire motivo di temere l’Inquisizione; che se avessi pensato che ci fosse di che temerla, io stessa mi sarei accusata, e se era già in atto un’imputazione, il Signore mi avrebbe fatto assolvere e ne avrei avuto un guadagno. Trattai di ciò con quel mio padre domenicano il quale, ripeto, era così dotto che potevo sentirmi ben sicura del suo parere. Gli parlai, allora, con la maggiore chiarezza possibile di tutte le visioni, del modo di orazione e delle grandi grazie che il Signore mi faceva; lo supplicai di considerare attentamente ogni cosa, dirmi se vi fosse alcunché di contrario alla sacra Scrittura ed espormi il suo parere su tutto. Egli mi rassicurò ampiamente e mi pare che quanto ebbi a dirgli giovasse anche a lui perché d’allora in poi, sebbene fosse già molto virtuoso, si diede maggiormente all’orazione e si ritirò in un convento del suo Ordine che era un vero romitaggio, per poterla praticare meglio; ivi rimase più di due anni, finché non lo rimossero da quel ritiro l’obbedienza – a cui si piegò con grande rammarico –, per il bisogno che si aveva di un religioso del suo valore.

6. Io, da una parte, fui molto spiacente quando se ne andò – anche se non feci nulla per impedirglielo –, avendo gran bisogno di lui. Capivo, però, che era per il suo bene perché il Signore, mentre un giorno soffrivo profondamente per la sua partenza, mi aveva esortato a confortarmi e a non aver pena, essendo egli indirizzato a buon fine. Difatti, tornò da lì con l’anima così tanto progredita nelle vie dello spirito che per nulla al mondo, mi disse, avrebbe voluto non esserci andato. E io potevo dire la stessa cosa perché, se prima mi rassicurava e consolava soltanto con la sua dottrina, ora lo faceva anche in virtù della sua esperienza spirituale, perché, in fatto di cose soprannaturali, ne aveva acquistata molta. Sua Maestà ce lo ricondusse proprio nel momento in cui vide che ci sarebbe stato necessario per averne aiuto in quest’opera da lui stesso voluta, cioè la fondazione del monastero.

7. Rimasi, così, in silenzio, senza occuparmi né parlare di tale cosa, cinque o sei mesi durante i quali il Signore non mi diede mai ordini al riguardo. Non capivo quale ne fosse la causa, ma non potevo togliermi dalla mente che la fondazione si sarebbe fatta. Verso la fine di questo periodo, essendo partito dalla città il rettore della Compagnia di Gesù, Sua Maestà ne fece venire un altro molto dedito alle cose spirituali, dotato di grande energia, d’ingegno e di buona dottrina, proprio nel momento in cui ne avevo estremo bisogno, perché il mio confessore era soggetto a un superiore e, siccome i padri della Compagnia considerano tanto la virtù da non far nulla che non sia conforme al volere dei prelati, quantunque capisse bene il mio spirito e desiderasse il mio maggior profitto, non osava decidersi in alcune cose, per varie sue particolari ragioni. Ora, il mio spirito era preso da così grandi impeti d’amore, che soffrivo molto di doverlo frenare, tuttavia non mi allontanavo da ciò che egli mi comandava.

8. Un giorno, mentre ero molto afflitta, sembrandomi che il confessore non mi credesse, il Signore mi disse di non tormentarmi, perché quella pena presto avrebbe avuto termine. Mi rallegrai molto, pensando che ciò significasse che dovevo morire di lì a poco e, quando lo rammentavo, ne traevo motivo di gioia profonda. In seguito vidi chiaramente che si trattava dell’arrivo del nuovo rettore perché non ebbi più motivo di pena per il fatto che questo rettore non poneva restrizioni al padre ministro, mio confessore, anzi gli diceva di consolarmi, di non aver paura non essendoci nulla da temere, di non guidarmi per una via troppo angusta, ma di lasciare che in me operasse lo spirito del Signore; a volte, infatti, sembrava, a causa di quei grandi impeti d’amore, che l’anima non potesse neanche respirare.

9. Il rettore venne a trovarmi e il confessore m’impose di parlare con lui con tutta libertà e chiarezza. Io, di solito, provavo una grandissima ripugnanza a parlare delle cose dell’anima mia, ma quella volta, entrata nel confessionale, sentii nel mio spirito qualcosa che né prima, né dopo ricordo di aver sentito con nessuno, né saprei dire di cosa si trattasse, né potrei farlo neppure servendomi di paragoni, perché era una gioia spirituale, una intima persuasione che quell’anima avrebbe capito e sarebbe andata d’accordo con la mia, sebbene – ripeto – non so come questo sia avvenuto. Se, infatti, gli avessi già parlato o se mi avessero dato di lui informazioni straordinarie, non mi sarei stupita di provare gioia prevedendo che mi avrebbe compresa; ma non ci eravamo mai scambiata una parola né era persona della quale io avessi avuto prima alcuna notizia. Ho poi visto chiaramente che il mio spirito non si era ingannato perché, sotto ogni aspetto, per me e per la mia anima è stato proficuo avere rapporti con lui, il cui tratto è adattissimo per le persone che il Signore sembra già aver fatto avanzare, facendole egli correre, non andare passo passo, e avendo per metodo di distaccarle da tutto e mortificarle. Anche per questo, come per molte altre cose, sembra che il Signore gli abbia dato un grandissimo talento.

10. Appena cominciai a trattarlo, notai subito il suo stile e vidi che era un’anima pura, santa e dotata particolarmente da Dio del dono della conoscenza degli spiriti. Ne provai molta consolazione. Poco dopo essere entrata in rapporto con lui, il Signore cominciò a farmi di nuovo pressioni perché riprendessi a trattare la faccenda del monastero e perché esponessi al mio confessore e a questo rettore molte ragioni e considerazioni perché non mi ostacolassero. Qualcuna incuteva loro paura, perché questo padre rettore non ebbe mai dubbi che si trattasse dello spirito di Dio, esaminandone tutti gli effetti con molta cura e attenzione. Dopo molti avvenimenti, nessuno osò ostacolarmi.

11. Il mio confessore tornò a darmi il permesso di adoperarmi con tutte le forze per la realizzazione del progetto. Vedendo chiaramente le difficoltà che mi si presentavano, sia perché ero sola, sia perché i mezzi di cui disponevo erano molto scarsi, rimanemmo d’accordo che tutto si svolgesse in assoluto segreto; pertanto feci in modo che una mia sorella, residente fuori di qui, comprasse la casa e la facesse adattare come per suo uso, con denari, per l’acquisto, che il Signore ci procurò per vie diverse, che qui sarebbe troppo lungo dire. Da parte mia, stavo molto attenta a non far nulla che contravvenisse all’obbedienza, ma sapevo che, parlandone ai miei superiori, tutto sarebbe andato perso, come la volta precedente, e forse anche peggio. Per trovare il denaro, comprare la casa, stipularne il prezzo e adattarla allo scopo, ebbi molte difficoltà, e alcune affrontate completamente da sola (è vero che la mia compagna faceva quanto poteva, ma poteva ben poco, così poco che era quasi niente; il suo aiuto consisteva, infatti, in null’altro che prestare il suo nome e il suo favore; tutto il grosso del lavoro era mio), preoccupazioni di ogni genere, tali che ora mi stupisco di averle potuto superare. Alcune volte, quando ero afflitta, dicevo: «Perché, Signore, mi comandate cose che mi sembrano impossibili? Benché donna, se almeno fossi libera! Ma, impastoiata da tanti ostacoli, senza denari e senza sapere dove trovarli né per il Breve né per qualunque altra necessità, che posso fare, Signore?».

12. Una volta, trovandomi in tale situazione da non sapere che fare né come pagare alcuni operai, mi apparve san Giuseppe, mio vero padre e protettore, e mi fece comprendere che il denaro non mi sarebbe mancato; pertanto pattuissi pure il prezzo. Così feci, senza avere neppure un soldo e il Signore mi provvide in tal maniera da far meravigliare quanti lo seppero. La casa mi sembrava troppo piccola, tanto che non credevo che si potesse riuscire a destinarla a un monastero e volevo comprarne un’altra vicino alla nostra, anch’essa molto piccola, per farvi la chiesa. Ma non avevo soldi per comprarla, né v’era modo di contrattarla e non sapevo cosa fare. Una mattina, appena ricevuta la comunione, il Signore mi disse: «Ti ho già detto di entrare come puoi» e, con un’esclamazione, aggiunse: «Oh, cupidigia del genere umano, che hai sempre paura ti debba mancare la terra sotto i piedi! Quante volte io ho dormito a ciel sereno per non aver dove mettermi!». Rimasi molto spaventata e vidi che aveva ragione. Andai alla casetta, feci uno schizzo dei locali e mi accorsi che, sebbene assai piccolo, ne veniva fuori un monastero completo. Pertanto, non mi preoccupai di comprare l’altra casa, ma procurai di sistemare questa in modo che ci si potesse abitare, alla buona, senza ricercatezza, non badando ad altro se non a che non fosse di danno alla salute, come si deve far sempre.

13. Il giorno di santa Chiara, mentre stavo per comunicarmi, mi apparve questa santa splendente di bellezza; mi disse di sforzarmi d’andare innanzi nell’opera intrapresa, perché ella mi avrebbe aiutata. Cominciai a nutrire per lei una grande devozione, tanto più che le sue promesse sono risultate così veritiere che un monastero di suore del suo Ordine, vicino al nostro, ci aiuta a mantenerci. E la cosa più importante è che, a poco a poco, ha perfezionato a tal punto il mio desiderio di rinuncia a tutto che la povertà osservata da questa gloriosa santa nella sua casa si osserva anche da noi e viviamo di elemosina. Non mi è costato poca fatica ottenere l’autorizzazione del santo Padre a mantenerci salde in questa Regola, senza discostarcene né aver mai rendite. Il Signore fa molto di più e lo si deve forse alle preghiere di questa santa gloriosa perché, senza esserne richiesto, ci provvede completamente di tutto il necessario. Sia egli benedetto per ogni cosa! Amen.

14. In quello stesso tempo, il giorno dell’Assunta, in un convento dell’Ordine del glorioso san Domenico, stavo meditando sui molti peccati che in passato avevo lì confessato e su altre cose della mia vita miserabile, allorché fui presa da un rapimento così grande che mi trasse quasi fuori di me. Mi sedetti e mi pare di non aver neppure potuto vedere l’elevazione né seguire la Messa, tanto che poi me ne rimase lo scrupolo. Mentre ero in questo stato, mi sembrò di vedermi rivestire di una veste bianchissima e splendente e, al principio, non vidi chi me la ponesse. In seguito scorsi alla mia destra nostra Signora e alla sinistra il mio padre san Giuseppe che me la metteva indosso e capii che ero ormai purificata dei miei peccati. Vestita che fui e piena di grandissima felicità e gioia, mi parve che nostra Signora mi prendesse le mani, dicendomi che la mia devozione al glorioso san Giuseppe le faceva molto piacere, che la fondazione del monastero da me desiderata si sarebbe fatta e che in essa nostro Signore ed entrambi loro due vi sarebbero stati fedelmente serviti; che non temessi vi potesse mai essere in ciò un’incrinatura, anche se la giurisdizione sotto cui mi trovavo non fosse di mio gusto, perché essi ci avrebbero protette e che già suo Figlio ci aveva promesso di stare sempre con noi; come pegno che ciò si sarebbe avverato mi dava un gioiello. Mi parve, infatti, che mi mettesse al collo una bellissima collana d’oro, da cui pendeva una croce di grande valore. Quest’oro e queste pietre sono così diversi da quelli della terra che non si possono fare paragoni: la loro bellezza è assai lontana dal potersi qui immaginare; l’intelletto non arriva a capire la materia di cui è fatta la veste, né ad avere un’idea del candore di cui Dio la fa risplendere, di fronte al quale quello di quaggiù sembra un qualcosa di fuligginoso, per così dire.

15. Anche se non potei distinguere nessuna delle sue fattezze in particolare, ma solo vederne nel complesso la forma del viso, la bellezza di nostra Signora era straordinaria, così vestita di bianco, con grandissimo splendore, non abbagliante, ma soave. Non vidi, invece, altrettanto chiaramente il glorioso san Giuseppe, anche se vidi bene che stava lì, come avviene delle visioni di cui ho parlato nelle quali non si vede alcuna figura. Nostra Signora mi sembrava molto giovane. Dopo che stettero un po’ con me, procurandomi grandissima gioia e felicità come mai mi pareva d’aver provato, tanto che non avrei voluto mai staccarmene, mi sembrò di vederli salire al cielo fra una moltitudine di angeli. Rimasi molto sola, ma così confortata, elevata e raccolta in orazione e così piena di dolcezza da non potere per un po’ di tempo né muovermi né parlare, come fuori di me. Provavo un ardente desiderio di consumarmi per Dio e tutto avvenne in modo tale e con tali effetti che non potei mai dubitare, per quanto lo procurassi, che non era cosa di Dio. Mi lasciò molto confortata e in una gran pace.

16. Quanto a ciò che la Regina degli angeli aveva detto circa la giurisdizione, mi dispiaceva molto non affidare il nuovo monastero all’Ordine, ma il Signore mi aveva detto che non conveniva dargli questo potere, esponendomi anche le ragioni per cui in nessun modo sarebbe stato il caso di farlo, esortandomi ad inviare un messaggio a Roma per una certa via che m’indicò e promettendomi che da lì mi avrebbe fatto venire la risposta. E così, inviato il messaggio, seguendo la via indicatami dal Signore, mentre prima non riuscivamo a concludere mai le trattative, l’affare riuscì benissimo. Dagli avvenimenti che seguirono si vide quanto fosse stato utile darne la giurisdizione al vescovo, ma allora io non lo conoscevo e non sapevo ancora quale superiore egli fosse. Il Signore volle che fosse così buono da appoggiare questa casa come era necessario per le molte opposizioni che si levarono contro di essa – come dirò in seguito – e la portasse allo stato in cui ora si trova. Benedetto sia colui che ha disposto così ogni cosa! Amen.

CAPITOLO 34

Racconta come in questo tempo fu opportuno che s’allontanasse dalla città, esponendone il motivo, e come il suo superiore le ordinasse di recarsi presso una dama molto illustre che era grandemente afflitta, per consolarla. Comincia a narrare ciò che ivi le avvenne e la grande grazia che le fece il Signore di essere il mezzo per incitare una persona di alto rango a servirlo con molto fervore, ricevendone poi aiuto e protezione. È un capitolo degno di nota.

1. Nonostante facessi molta attenzione perché nulla trapelasse, era impossibile attendere a una tale opera così in segreto che qualcuno non se ne accorgesse: c’era chi ci credeva e chi no. Temevo molto che, alla venuta del provinciale, se gliene avessero detto qualcosa, mi avrebbe ordinato di non occuparmene, il che sarebbe stato subito la fine di tutto. il Signore provvide in questo modo: si diede il caso che in una grande città distante da qui più di venti leghe, si trovasse una signora che era in grande afflizione per la morte del marito; era addolorata a tal punto da far temere per la sua salute. Le giunse la notizia di questa povera peccatrice e il Signore volle che gliene parlassero bene, certo in vista di altri beni che ne sarebbero venuti. Tale signora, che era di elevata condizione, conosceva benissimo il padre provinciale; avendo saputo che io mi trovavo in un monastero da cui era permesso uscire, il Signore le mise in cuore un così gran desiderio di vedermi, sembrandole di poter avere da me quel conforto che da sola non riusciva a darsi, che subito si adoperò in tutti i modi possibili per farmi andare lì, scrivendo al provinciale che allora era molto lontano. Egli m’inviò un comando formale, perché in virtù dell’obbedienza partissi subito con una compagna; l’ordine mi arrivò la notte di Natale.

2. Mi fu causa di non poca angoscia e inquietudine vedere che mi si voleva far andare lì, perché si pensava che in me vi fosse qualcosa di buono: sentendomi tanto miserabile, non potevo sopportarlo. Mi raccomandai molto al Signore e per tutto il tempo del mattutino o gran parte di esso, stetti in grande rapimento. Il Signore mi disse di andare e di non dare ascolto ai pareri contrari, perché ben pochi mi avrebbero consigliato senza temerità. Inoltre mi disse che, se pur non mi sarebbero mancate sofferenze, Dio sarebbe stato molto servito, e che per questa faccenda del monastero conveniva che io stessi lontana fino all’arrivo del Breve, avendo il demonio, con la venuta del provinciale, ordito una grande trama; che non temessi di nulla, perché anche là egli mi avrebbe aiutato. Le sue parole mi lasciarono piena di coraggio e di consolazione. Riferii tutto al rettore, il quale mi disse che in nessun modo desistessi dal partire, nonostante altri, invece, mi dicessero che non dovevo acconsentire a ciò, che era un inganno del demonio perché là avessi a subire danni e che ne avvertissi il provinciale, rispondendogli.

3. Obbedii al rettore e, forte di quanto avevo udito nell’orazione, partii senza timore, anche se mi sentivo piena di confusione, pensando al motivo per cui mi facevano partire e vedendo quanto si ingannassero. Questo faceva sì che importunassi maggiormente il Signore affinché non mi abbandonasse. Mi dava grande consolazione sapere che nella città in cui mi recavo esisteva una casa della Compagnia di Gesù, e mi pareva, col sottomettermi a ciò che essi mi ordinassero, come facevo qui, di poter essere alquanto sicura. Piacque al Signore che quella dama avesse tanto conforto dalla mia compagnia, che cominciò a mostrare un evidente miglioramento e ogni giorno si sentiva più sollevata. Ciò fece molta impressione perché, come ho detto, il dolore la faceva soffrire molto e il Signore dovette operare tale grazia per le molte preghiere che le buone persone di mia conoscenza facevano per me, perché mi andasse tutto bene. La signora aveva un gran timor di Dio ed era così virtuosa che il suo profondo spirito cristiano suppliva ad ogni mia deficienza. Prese a volermi molto bene; anch’io gliene volevo molto vedendo la sua bontà, ma quasi tutto era per me una croce perché le sue cortesie mi procuravano una grande sofferenza e il fatto che mi si apprezzasse tanto mi riempiva di paura. La mia anima era così intimorita che non osavo sviare da me l’attenzione, e neanche il Signore cessava di vegliare su di me perché, mentre ero lì, mi concesse grazie straordinarie, con l’aiuto delle quali ebbi tanta libertà di spirito e tanto disprezzo per tutte le cose che vedevo – e tanto più quanto più erano preziose – che continuavo a trattare con signore di così elevata condizione, servire le quali mi sarebbe stato di grande onore, con la stessa libertà che avrei usata se fossi stata una loro pari.

4. trassi da ciò un grandissimo vantaggio e glielo dissi; vidi, cioè, che era una donna anche lei, soggetta a passioni e debolezze come me; quanto poco conto si debba fare dell’essere di nobile famiglia e come, quanto più è elevata la condizione, tanto più aumentino pensieri e sofferenze, con una tale preoccupazione di mantenere la dignità richiesta dal proprio stato, che non lascia vivere in pace: bisogna mangiare, ad esempio, fuori tempo e fuori regola, perché tutto deve essere conforme al proprio stato e non alla propria costituzione fisica, fino a dover mangiare, spesso, cibi adatti non al proprio gusto, ma alla propria condizione. Così finii addirittura con l’aborrire il desiderio di essere una gran dama. Dio mi liberi dal mancare di riguardo a chi lo è, perché, ad esempio, benché questa signora di cui parlo fosse una delle più grandi del regno, credo che ce ne siano poche più umili e più semplici di lei. Io ne avevo, e ne ho tuttora, compassione, vedendo come a volte, per adempiere le esigenze del suo stato, non segua la sua inclinazione. Quanto ai domestici, ad esempio, non bisogna dar loro che pochissima confidenza, quantunque ella ne avesse di buoni, né si deve parlare più con uno che con un altro, altrimenti il favorito sarà malvisto dai compagni. Si tratta, insomma, di una tale schiavitù, che è una delle menzogne in uso nel mondo quella di chiamare signori simili persone, che non mi sembrano se non schiavi di mille cose.

5. Piacque al Signore, nel tempo che trascorsi in quella casa, di far progredire nel suo servizio le persone che vi abitavano, anche se non ero esente da pene per l’invidia che alcune di esse avevano del grande affetto nutrito per me da quella signora. Forse pensavano che avessi qualche interesse particolare. Ma il Signore, certo, permise che simili cose e altre di diverso genere mi affliggessero, perché non mi estasiassi degli agi in cui, peraltro, vivevo e si compiacque di trarmi fuori da tutto con profitto della mia anima.

6. Mentre ero lì, capitò un religioso, assai ragguardevole, col quale io, molti anni prima, alcune volte avevo trattato; e, trovandomi a Messa in una chiesa del suo Ordine – che era vicina alla casa in cui abitavo – mi venne il desiderio di conoscere lo stato della sua anima, perché desideravo che fosse un gran servo di Dio, e mi alzai per andargli a parlare. Siccome, però, ero già raccolta nell’orazione, mi parve poi che fosse un perdere tempo (d’altronde, chi me lo faceva fare?) e tornai a sedermi. Mi sembra che furono tre le volte in cui la cosa si ripeté. Infine il buon angelo vinse sul cattivo: andai a chiamarlo e venne a parlarmi al confessionale. Cominciammo a interrogarci a vicenda – essendo molti anni che non ci vedevamo – sulla nostra vita, e avendogli detto che la mia era stata piena di pene interiori, egli insisté perché gli dicessi quali fossero tali sofferenze. Gli risposi che erano cose da tenere segrete e che non potevo dirgliele. Mi replicò che, poiché sapeva tutto il padre domenicano di cui ho parlato, che era suo intimo amico, gliele avrebbe poi dette lui; pertanto, non dessi a ciò alcuna importanza.

7. Fatto sta che né lui poté non insistere, e neanche io, mi pare, potei tacere. Nonostante il fastidio e la vergogna che ero solita provare quando trattavo di queste cose, con lui, ora, come già con il rettore di cui ho parlato, non ebbi alcuna difficoltà a farlo, anzi motivo di gran conforto. Gli raccontai tutto sotto segreto di confessione. Mi sembrò più avveduto che mai, pur avendolo sempre stimato come uomo di grande intelligenza. Considerai le notevoli attitudini e le doti che aveva, con le quali, se si fosse dato interamente a Dio, avrebbe potuto trarre molto vantaggio, poiché questo mi accade da alcuni anni che, se incontro una persona di cui sia soddisfatta, voglio subito vederla darsi completamente a Dio, con tale ansietà che a volte non so dominarmi. E, quantunque desideri che tutti lo servano, il desiderio è assai più vivo per queste persone che io più stimo, in favore delle quali importuno molto il Signore. Mi accadde così con il religioso di cui parlo.

8. Mi pregò di raccomandarlo molto a Dio, ma non c’era bisogno di dirmelo, perché ormai io ero in tale disposizione da non poter fare altro. Me ne andai nel luogo ove ero solita star sola in orazione e, entrata in un profondo raccoglimento, cominciai a parlare con il Signore in un modo balordo, come spesso faccio, senza sapere ciò che dico, perché è l’amore a parlare, e l’anima è così fuori di sé da non farmi badare alla distanza che c’è tra essa e Dio; sentendosi da lui amata, dimentica se stessa, le sembra d’essere tutta in lui, come una cosa sua propria, senza alcuna separazione, e dice spropositi. Ricordo che, dopo averlo pregato con molte lacrime di rivolgere quell’anima con tutto il fervore al suo servizio perché, pur ritenendola virtuosa, ciò non mi bastava e la volevo perfetta, gli dissi così: «Signore, non dovete negarmi questa grazia! Pensate che è un soggetto adatto ad essere nostro amico».

9. Oh, grande bontà e generosità di Dio! Come non guarda alle parole, ma al desiderio e all’amore con cui si dicono! Come ha potuto sopportare che una persona come me gli abbia parlato con tanto ardire? Oh, sia per sempre benedetto!

10. Ricordo che quella sera, durante le ore di orazione, fui presa da grande angoscia per il dubbio di non essere in grazia di Dio e, non potendo sapere se lo fossi o no, non per la curiosità di saperlo, ma perché preferivo morire anziché vedermi in una vita dove non ero sicura di non essere morta, non essendovi, a mio giudizio, morte più dura del pensiero di aver offeso Dio, ero soffocata da questa pena e lo supplicai di non permetterlo, tutta accesa d’amore e inondata di lacrime. Allora capii che ben potevo rincuorarmi ed avere la certezza di essere in grazia, perché un tale amor di Dio e il fatto che Sua Maestà facesse quei favori e comunicasse all’anima quei sentimenti, non erano compatibili con un’anima che fosse in peccato mortale. Rimasi piena di fiducia che il Signore avrebbe esaudito la mia supplica nei riguardi di quel religioso. Mi disse di riferirgli alcune sue parole; questo mi pesava molto, perché non sapevo come dirgliele, in quanto il recare messaggi a terze persone è – come ho detto – la cosa che più mi rincresce sempre di fare, specialmente se sono messaggi per chi non so come li prenderà o se si farà beffe di me. Mi procurò, pertanto, una grande sofferenza. Alla fine ne rimasi così convinta che promisi a Dio, mi pare, di non trascurare di dirgliele; ma, sentendone gran vergogna, le misi per iscritto e gli diedi il foglio.

11. Ben si vide che venivano da Dio per l’effetto che produssero in lui; decise fermamente di darsi all’orazione, anche se non lo fece subito. Il Signore, volendolo tutto per sé, gli mandava a dire per mezzo mio certe verità che, a mia insaputa, gli giungevano così a proposito da lasciarlo pieno di meraviglia, e certo era il Signore a disporre la sua anima a ritenerle provenienti da lui. Io, benché miserabile, lo supplicavo continuamente di volgerlo tutto a sé e di fargli detestare i piaceri e gli agi della vita. Ed egli – sia sempre lodato! – mi ha esaudita così efficacemente che ogni volta che quel padre mi parla, mi sconcerta e, se non lo avessi visto, metterei in dubbio che in così breve tempo Dio gli abbia fatto tante grazie e che lo tenga così immerso in sé da far sembrare che sia morto a ogni cosa della terra. Sua Maestà lo sorregga con la sua mano perché, se continua di questo passo, come spero nel Signore che farà, essendo ben fondato nella conoscenza di se stesso, sarà uno dei suoi servi più insigni, e gioverà a molte anime, avendo acquistato in poco tempo molta esperienza nelle cose dello spirito: doni, questi, che Dio dà quando e come vuole, senza badare al tempo né ai servizi resigli. Non dico che tali servizi non abbiano valore, ma che molte volte il Signore non dà ad alcuni, in vent’anni, quella contemplazione che ad altri dà in uno. Sua Maestà sa perché. È un errore, perciò, credere che con gli anni si possa comprendere ciò che in nessun modo si riesce a capire se non per via di esperienza. E in questo errore cadono molti come ho detto, pretendendo di conoscere gli spiriti senza essere spirituali. Non dico che chi non è spirituale, se è dotto, non possa guidare chi lo è; per quanto riguarda, infatti, le cose esteriori e per quelle, fra le interiori, che sono di ordine naturale, può servirsi dell’intelletto, e per quanto riguarda quelle soprannaturali, basarsi sulla sacra Scrittura; ma per tutto il resto non si affanni né speri di capire quello che non intende, né soffochi le anime che, ormai sollevate a questa altezza, sono dirette da un maestro ben più grande e non mancano di guida.

12. Non si meravigli di queste cose, né le giudichi impossibili – al Signore tutto è possibile –; procuri, invece, di rinforzarsi nella fede e di farsi umile, considerando che il Signore, in questa scienza, può rendere più dotta una povera vecchietta che non lui, con tutto il suo sapere. Con questa umiltà gioverà alle anime e a sé più che non col voler passare da contemplativo senza esserlo perché – ripeto – se non ha esperienza e se non ha la vera, profonda umiltà di riconoscere che sono cose che egli non capisce, ma non per questo sono impossibili, profitterà poco lui e farà profittare ancor meno quelli con cui tratta; mentre se possiede vera umiltà, non tema che il Signore permetta che s’inganni lui né che abbia a ingannare gli altri.

13. Questo padre di cui parlo, dunque, avendo ricevuto da Dio molti favori, studioso com’è, ha procurato di investigare tutto a cui per mezzo dello studio poteva giungere. Di quello che non capisce per difetto d’esperienza, s’informa da chi ne ha, e così, aiutato dal Signore che gli dà una grande fede, ha giovato molto a se stesso e ad alcune altre anime: la mia è una di esse, perché il Signore, conoscendo le sofferenze in cui mi sarei trovata, e dovendo chiamare a sé qualcuno di coloro che mi guidavano, mi pare che abbia voluto procurare che me ne restassero altri, i quali mi hanno aiutata in ben dure sofferenze e mi hanno fatto un gran bene. Il Signore lo ha cambiato quasi del tutto, in modo ch’egli stesso, per così dire, non si riconosce; gli ha dato forze fisiche per fare penitenza, forze che prima non aveva, essendo malato; lo ha reso coraggioso per ogni genere di opere buone e gli ha concesso altri doni dai quali è ben chiaro che egli è stato chiamato da Dio in modo speciale. Sia benedetto per sempre!

14. credo che tutto il bene gli venga dalle grazie che il Signore gli ha fatto nell’orazione; esso non è un bene fittizio, perché poi il Signore ha voluto provarlo in alcune cose, e dalle prove egli è uscito come chi ben conosce quanto sia certo il merito che si acquista nel soffrire persecuzioni. Spero nella grandezza del Signore, perché da lui venga molto bene ad altri del suo Ordine e al suo stesso Ordine. Questo già si comincia a notare. Nelle mie grandi visioni il Signore mi ha detto alcune cose davvero mirabili riguardanti lui, il rettore della Compagnia di Gesù, di cui ho parlato e altri due religiosi dell’Ordine di san Domenico, specialmente uno, del quale mi ha anche fatto conoscere i progressi di cui già mi aveva parlato lui stesso. Ma le rivelazioni sul padre di cui adesso sto parlando sono state molte.

15. Voglio ora qui raccontarne una. Un giorno, mentre mi trovavo con lui in parlatorio, era così grande l’amore di Dio che la mia anima e il mio spirito vedevano ardere in lui, da farmi rimanere trasecolata, perché consideravo la magnificenza di Dio che in così breve tempo aveva elevato un’anima a tanta altezza e mi sentivo confusa nel vedere con quanta umiltà ascoltava alcune cose di orazione che io gli dicevo. Avendone io, invece, così poca per trattarne con una tale persona, il Signore credo che lo consentisse in virtù del mio grande desiderio di vederlo progredire in larga misura. Mi era di grande aiuto stare con lui, tanto che mi pareva restasse acceso nella mia anima un nuovo fuoco che m’incitava a servire Dio con rinnovato ardore. Oh, Gesù mio, che cosa non fa mai un’anima infiammata del vostro amore! Come dovremmo stimarla e supplicare il Signore di lasciarla in questa vita! Chi arde dello stesso amore dovrebbe, potendolo, seguire queste anime nella loro ascesa.

16. Grande cosa è per un malato trovarne un altro, colpito dal suo stesso male: trae vivo conforto dal non vedersi solo, ed entrambi si aiutano molto a patire, come anche ad acquistare merito; si sostengono egregiamente a vicenda, ormai decisi a rischiare mille volte la vita per Dio e con il desiderio che se ne offra loro l’occasione. Sono come soldati che, per guadagnare il bottino e farsi ricchi con esso, sospirano la guerra, sapendo di non poterlo diventare se non in tal modo; è questo il loro intento: sforzarsi di arricchire la propria anima. Oh, gran dono è quello per cui il Signore dà luce d’intendere quanto si guadagni soffrendo per lui! Non lo si capisce bene se non si abbandona tutto, perché chi è attaccato a qualcosa, è segno che l’apprezza; se l’apprezza, per forza gli deve dispiacere lasciarla, e tutto, quindi, è imperfezione e rovina. Cade qui a proposito il proverbio che dice: «Chi va con i perduti è perduto». Quale maggiore perdizione, infatti, qual maggiore accecamento e quale maggiore sventura che stimare molto ciò che non è niente?

17. Ritornando, dunque, a quel che dicevo, nel godere immensamente di contemplare quell’anima, perché mi pareva che il Signore volesse mostrarmi chiaramente i tesori che aveva posto in essa, e nel considerare la grazia che mi aveva fatto servendosi a questo scopo di me – che me ne stimavo indegna –, mi sentivo spinta a stimare di più tali beni e obbligata, per essi, a una riconoscenza maggiore che se fossero stati dati a me. Rendevo, pertanto, lode al Signore, vedendo come andasse adempiendo i miei voti e come avesse ascoltato la mia preghiera di risvegliare persone così fatte. Mentre la mia anima era in tale stato da non poter più contenere in sé tanta gioia, uscì fuori di sé perdendosi per guadagnare di più; perse la facoltà di fare considerazioni e di udire quella lingua divina in cui sembrava che parlasse lo Spirito santo, e fu presa da un grande rapimento che mi trasse quasi fuori dei sensi, anche se per breve tempo. Vidi Gesù Cristo, circondato di immensa gloria e maestà, mostrare viva compiacenza per ciò che stava accadendo; me lo disse facendomi vedere chiaramente che a tali conversazioni egli si trova sempre presente e quanto gli piaccia che gli uomini si dilettino nel parlare di lui. Un’altra volta, mentre il padre era lontano da qui, lo vidi in una grande gloria, condotto in alto dagli angeli. Per mezzo di questa visione capii che la sua anima progrediva molto; ed era così perché, essendogli stata lanciata un’atroce calunnia che ledeva molto il suo onore, da una persona alla quale egli aveva fatto un gran bene, salvandogli anima e onore, lo aveva sopportato con viva gioia. Aveva, inoltre, compiuto altre opere importanti al servizio di Dio e sofferto varie persecuzioni.

18. Non mi sembra sia il caso ora di aggiungere altro. Se, in seguito, alla signoria vostra che conosce tutto sembrerà opportuno, se ne potrà scrivere, a gloria del Signore. Le predizioni, di cui ho parlato e di cui parlerò, di questo monastero, e altre cose che lo riguardano, si sono tutte avverate; alcune il Signore me le predisse tre anni prima che accadessero, altre più presto, altre più tardi. Io le riferivo sempre al mio confessore e a questa mia amica vedova con la quale, come ho detto, avevo il permesso di parlare. Venni, poi, a sapere che le rivelava ad altre persone, e queste sanno che non mento né Dio permetta che mai, tanto meno in cose di tale gravità, io non dica l’assoluta verità.

19. Essendo morto improvvisamente un mio cognato, mentre io me ne stavo in gran pena perché non aveva potuto confessarsi, mi fu detto nell’orazione che sarebbe morta così anche mia sorella e che dovevo andare da lei per cercare di prepararla a questo passo. Lo riferii al mio confessore e, poiché egli non mi lasciava partire, tornai a udire quell’ordine; allora, visto ciò, mi disse di andare da mia sorella, perché tanto, non c’era nulla da perdere. Ella stava in campagna e quando arrivai, senza dirle nulla della predizione, cercai di illuminarla come potei su ogni cosa e la indussi a confessarsi spesso e a tenere sempre presente la sua anima. Ella era assai buona e seguì i miei consigli. Dopo quattro o cinque anni che aveva preso questa abitudine e che aveva assiduamente vigilato su di sé morì senza che nessuno s ne accorgesse e senza potersi confessare. Per fortuna, avendone presa l’abitudine, si era confessata da poco più di otto giorni. Quando seppi della sua morte, pertanto, ne provai grande gioia. Stette pochissimo in purgatorio; dopo neppure otto giorni, credo, appena fatta la comunione, mi apparve il Signore il quale volle che vedessi come la stava portando in paradiso. In tutti gli anni intercorsi tra la predizione e la morte, non dimenticai mai quanto mi era stato rivelato e neanche la mia compagna la quale, appena mia sorella morì, venne da me piena di sbigottimento nel vedere come la predizione si fosse avverata. Sia resa sempre lode a Dio che si prende tanta cura delle anime perché non si perdano!

CAPITOLO 35

Prosegue sullo stesso argomento della fondazione di questa casa del glorioso padre san Giuseppe. Racconta in che modo il Signore le ordinò che vi si osservasse la santa povertà, la causa per cui se ne andò via da quella signora con cui stava ed altre cose che le accaddero.

1. Mentre, dunque, stavo con questa signora di cui ho parlato, dove rimasi più di mezzo anno, piacque al Signore che di me avesse notizia una mantellata del nostro Ordine, che viveva più di settanta leghe lontano dalla città in cui ero. Trovandosi a passare da quelle parti, deviò un po’ dal suo itinerario per parlarmi. Il Signore le aveva dato, lo stesso anno e mese che a me, l’ispirazione di fondare un altro monastero dell’Ordine e, animata da questo desiderio, ella aveva venduto tutto ciò che possedeva ed era andata a Roma a piedi scalzi per ottenerne l’autorizzazione.

2. Donna di grande penitenza e orazione, il Signore le faceva molte grazie, e la Madonna, apparendole, le aveva imposto di attuare il suo proposito. Aveva tanto vantaggio su di me nel servizio del Signore che io mi vergognavo davanti a lei. Mi fece vedere le autorizzazioni che recava da Roma e, nei quindici giorni che rimase con me, concertammo come fondare questi monasteri. Fino a quando non parlai con lei, non conosceva il divieto della nostra Regola – prima della mitigazione – di possedere qualcosa di proprio né io pensavo di fondare le case senza rendita, nell’intento di eliminare ogni preoccupazione del necessario, e non consideravo le preoccupazioni, ben più gravi, che comporta avere una proprietà. Questa benedetta donna, invece, illuminata dal Signore, aveva ben capito, pur essendo analfabeta, quello che io ignoravo, nonostante avessi ripetutamente letto le Costituzioni. Appena me lo disse, mi sembrò cosa molto opportuna, benché temessi che non me lo avrebbero permesso, sostenendo che commettevo una pazzia e che non dovevo far nulla che esponesse le altre a un motivo di sofferenza. Se, invece, fossi stata sola, non avrei esitato né poco né molto, anzi mi avrebbe procurato molta gioia il pensiero di seguire i consigli di Cristo, nostro Signore, se mi fosse stato possibile, nello stato in cui ero, di andar mendicando per amor di Dio e di non possedere né casa né nulla di mio, ma temevo che se il Signore non avesse dato tali aspirazioni anche alle altre, esse sarebbero vissute scontente, e temevo anche che ciò fosse causa di qualche distrazione, avendo visto alcuni monasteri poveri non molto raccolti, senza riflettere che il fatto di non essere raccolti era la causa della loro povertà e non la povertà causa di distrazione, la quale non rende mai ricchi, e Dio non manca mai a coloro che lo servono; insomma, la mia fede era debole, ciò che non avveniva per quella gran serva di Dio.

3. Abituata com’ero a chiedere consiglio a tante persone per ogni cosa, in questa non trovavo quasi nessuno del mio parere: né il mio confessore né i dotti con cui trattavo. Adducevano tante ragioni che non sapevo che cosa fare perché, conoscendo ormai che era una prescrizione della Regola e sembrandomi rispondente a maggior perfezione, non potevo indurmi a possedere una rendita. E, anche se qualche volta riuscivano a convincermi, tornando a raccogliermi in orazione e vedendo il Signore sulla croce così povero e nudo, non potevo sopportare il pensiero di essere ricca, e lo supplicavo con le lacrime agli occhi di far sì che potessi vivere povera come lui.

4. Vedevo, inoltre, grandi inconvenienti nel possesso di una rendita che mi appariva come una tale fonte di inquietudine e anche di distrazione, che non facevo altro se non discuterne con i dotti. Ne scrissi a quel religioso domenicano, che ci aiutava; mi rispose con due fogli di quattro pagine ciascuno, pieni di confutazioni e di ragioni teologiche per indurmi a non farlo, aggiungendo che scriveva così dopo aver studiato a fondo la questione. Io gli risposi che per non seguire la mia vocazione, il voto di povertà che avevo fatto e i consigli di Cristo in tutta la loro perfezione, non intendevo ricorrere alla teologia né giovarmi della sua dottrina, e di ciò volesse scusarmi. Se, invece, trovavo qualcuno che mi sosteneva, ne avevo grande gioia. In questo mi aiutava molto la signora con la quale vivevo; alcuni, invece, all’inizio mi dicevano che sembrava loro una cosa buona, poi, riflettendoci meglio, trovavano nell’assoluta povertà tanti inconvenienti che, cambiato parere, si adoperavano con tutte le loro forze a dissuadermene. Rispondevo loro che se essi mutavano così presto di opinione, preferivo attenermi al loro primo parere.

5. In quel tempo, in seguito alle mie preghiere, il santo fra Pietro d’Alcántara che questa signora non aveva mai visto, grazie al Signore, venne in casa sua. Egli, amante com’era della povertà che praticava da tanti anni, ben sapendo quale ricchezza si racchiuda in essa, mi fu di grandissimo aiuto e mi ordinò che per nessun motivo tralasciassi di seguire con tutto l’impegno il mio proposito. Forte ormai di questo parere e di questa protezione che mi venivano da chi meglio d’ogni altro poteva darmeli, perché conosceva queste cose per lunga esperienza, decisi di non consultare più nessuno.

6. Un giorno, mentre insistevo nel raccomandare a Dio la fondazione del monastero, il Signore mi disse di non rinunziare in nessun modo a fondarlo povero, perché questa era la volontà di suo Padre e sua, ed egli mi avrebbe aiutata. Il che avvenne in un grande rapimento i cui effetti furono tali da non farmi dubitare che non venissero da Dio. Un’altra volta mi disse che le rendite sono fonte di disorientamento, ed altre cose in lode della povertà, assicurandomi che a chi lo serviva non sarebbe mancato mai il necessario per vivere; del resto, come ho detto, la mancanza del necessario io non l’ho mai temuta per me. Il Signore cambiò anche la disposizione d’animo del padre Presentato, intendo dire di quel religioso domenicano che mi aveva scritto di non fondare il monastero senza una rendita. Ero ormai molto contenta, sia per quello che avevo udito, sia per il parere di tali uomini; decidendo di vivere solo dell’amore di Dio, mi sembrava di possedere tutte le ricchezze del mondo.

7. Frattanto il mio provinciale mi revocò l’obbedienza all’ordine che mi aveva dato di star lì, lasciandomi libera di partire subito o di aspettare ancora un po’. In quei giorni nel mio monastero dovevano esserci le elezioni e mi avvisarono che molte suore volevano darmi la carica di priora. Questo solo pensiero era per me di così gran tormento che, mentre sarei stata pronta a sopportare per Dio senza difficoltà qualunque genere di martirio, a questo non potevo indurmi in alcun modo. Prescindendo dall’enorme fatica di governare un numero così grande di monache e da altre cose che non amo, come non amo alcuna carica e non ne ho mai voluto accettare, mi sembrava di gran pericolo per la mia coscienza. Ringraziai, pertanto, Dio di non trovarmi lì e scrissi alle mie amiche di non darmi il voto.

8. Mentre ero felice di non trovarmi in quel trambusto, il Signore mi disse che dovevo assolutamente partire perché, se desideravo la croce, là se ne stava preparando una buona per me, e non dovevo rifiutarla; mi facessi, dunque, coraggio, perché egli mi avrebbe aiutato, e partissi subito. Me ne afflissi molto e non facevo che piangere, pensando che la croce fosse quella di diventare priora; non potendo, come ho detto, persuadermi in nessun modo che tale carica convenisse alla mia anima, non riuscivo a rassegnarmi. Raccontai ciò al mio confessore; mi ordinò di cercare di partire subito, perché evidentemente tutto questo era più perfetto. Tuttavia, poiché faceva molto caldo, bastava che mi trovassi là per le elezioni, e potevo, quindi, trattenermi ancora alcuni giorni, ad evitare che il viaggio potesse nuocermi. Ma il Signore aveva disposto altrimenti, e dovetti fare com’egli voleva, perché era così grande la mia inquietudine che non potevo più darmi all’orazione. Mi sembrava di mancare a ciò che il Signore mi aveva ordinato e che, stando lì a mio bell’agio, non volessi espormi a fatiche e che, quindi, tutto il mio amore per Dio si esaurisse in parole, giacché non vi era ragione che, potendo stare dov’era maggiore perfezione, non lo dovessi fare; se anche avessi dovuto morire, che morissi! E, insieme, avevo una tale angoscia nell’anima, una così assoluta privazione, operata dal Signore, del gusto spirituale dell’orazione!… Insomma, ero ridotta in tale stato e ormai il mio tormento era così grande che supplicai quella signora di volermi permettere di andar via, anche perché il mio confessore – vedendomi in quello stato – mi disse di partire, ispirato da Dio come me.

9. Ella soffriva tanto che io la lasciassi che questo era per me un altro tormento. Le era costato molta fatica riuscire ad ottenere dal provinciale, tempestandolo di sollecitazioni di ogni specie, il permesso di avermi con sé. Mi parve una cosa insperata, tenuto conto del suo dispiacere, che finisse con l’acconsentire. Siccome era molto timorata di Dio e le avevo detto, fra molte altre cose, che gli si poteva rendere un gran servizio e le avevo fatto sperare la possibilità che tornassi a vederla, cedette, ma con molta pena.

10. Quanto a me, invece, non mi dispiaceva di partire perché, avendo compreso che ciò era più perfetto e a maggior gloria di Dio, per la gioia di poterlo accontentare superavo il dispiacere di lasciare quella signora che vedevo soffrire tanto, e altre persone alle quali dovevo molto, specialmente il mio confessore, che apparteneva alla Compagnia di Gesù, e col quale mi trovavo molto bene; ma quanto più grandi erano i motivi di conforto che perdevo per amore del Signore, tanto maggiore era la gioia di perderli. Non capivo come ciò avvenisse, perché vedevo chiaramente trattarsi di due opposti sentimenti: gioire, confortarmi e rallegrarmi di ciò che mi pesava sul cuore, che era il lasciare quella casa, dove mi sentivo confortata e serena e avevo la possibilità di stare molte ore in orazione. Sapevo che andavo a gettarmi nel fuoco, perché il Signore mi aveva detto che avrei dovuto sopportare una grande croce, anche se non immaginavo che fosse tanto pesante come poi vidi. Ciò nonostante, vi andavo allegramente, e mi struggevo dal desiderio di trovarmi presto nella battaglia, visto che il Signore lo voleva; così Sua Maestà mi dava il coraggio necessario, infondendolo nella mia debolezza.

11. Come dico, non riuscivo a capire come ciò avvenisse, ma mi venne in mente questo paragone: se io, possedendo un gioiello o un altro oggetto che mi sia molto caro, vengo a sapere che una persona che amo più di me e che voglio accontentare a prezzo del mio stesso piacere lo desidera, provo, nel privarmi di esso, una gioia maggiore di quella che me ne dava il possesso, pur di far contenta quella persona. E, poiché tale gioia di soddisfare il suo desiderio supera il mio stesso piacere, si annulla la pena della mancanza del gioiello o di ciò che amo, e di perdere il piacere che mi dava. Pertanto, sebbene avessi voluto dispiacermi di abbandonare persone così afflitte nel separarsi da me, ed essendo io, per natura, così riconoscente che ciò sarebbe bastato in altri tempi a procurarmi una grande afflizione, ora, anche volendolo, non riuscivo a provare alcuna pena.

12. Fu molto importante, per la fondazione di questa benedetta casa, il non prorogare neanche di un giorno la partenza, che non so come la cosa si sarebbe potuta concludere se allora mi fossi trattenuta lì. Oh, grandezza di Dio! Spesso resto trasecolata quando penso a tutto ciò e vedo come il Signore volesse particolarmente aiutarmi perché si realizzasse questo piccolo angolo di paradiso, come io credo che sia tale recesso di cui Sua Maestà si diletta. Mi disse, infatti, un giorno, nell’orazione, che questa casa era per lui un paradiso di delizie. E sembra che egli stesso abbia scelto le anime che sono venute a lui, fra le quali mi trovo anch’io, con grandissima confusione. Io non avrei davvero potuto desiderarle così perfette per un monastero di tanta austerità, povertà e orazione. E ci stanno con tanta gioia e allegria che ognuna si sente indegna di aver meritato di venirci, specialmente quelle che il Signore ha chiamato dalle molte vanità e dai piaceri del mondo, in cui avrebbero potuto vivere felici, in conformità delle sue leggi, dando loro qui gioie accresciute in tal misura che vedono chiaramente di avere da lui il cento per uno di ciò che hanno lasciato e non cessano di ringraziarlo. Altre le ha cambiate di bene in meglio. A quelle più giovani dà forza e conoscenza, affinché non desiderino altra cosa e comprendano che il distaccarsi da tutti i beni terreni, anche in termini umani, fa vivere più tranquilli. Alle più anziane e di poca salute ha dato e dà le forze necessarie per poter sopportare le asprezze e le penitenze di tutte le altre.

13. Oh, mio Signore, come è evidente la vostra potenza! Non c’è bisogno di cercare ragioni per indurci a fare quello che volete perché, al di sopra di ogni umana ragione, voi rendete ogni cosa possibile in modo così chiaro che fate ben vedere come non occorra altro, per trovare tutto facile, se non amarvi sinceramente e abbandonare davvero tutto per voi. Cade qui a proposito dire che fingete di renderci gravosa la legge, perché io non la vedo tale, Signore, né vedo come sia stretto il sentiero che conduce a voi. Non è un sentiero, ma una strada maestra, una strada su cui, chi l’intraprenda, va innanzi con maggiore sicurezza: perché sono molto lontani le gole e i dirupi ove poter cadere, cioè le occasioni di offendervi. Chiamo sentiero, e sentiero stretto e pericoloso, quello che da una parte ha una valle profonda, dove si può cadere, e dall’altra un burrone; alla minima inavvertenza si precipita in fondo e ci si riduce a pezzi.

14. Chi vi ama veramente, o mio Bene, cammina con sicurezza per un’ampia strada maestra; lungi sta il burrone; al minimo inciampo voi, Signore, gli date la mano. A perderlo non basta né una caduta né molte, se ama voi e non le cose del mondo, perché cammina nella valle dell’umiltà. Non riesco a capire che cosa ci sia da temere a mettersi sulla strada della perfezione. Il Signore, per quello che egli è, ci dia la capacità d’intendere quanto sia dannoso sentirci sicuri in così evidenti pericoli, quali sono quelli che s’incontrano seguendo la corrente del mondo, e come la vera sicurezza sia nel cercare di progredire continuamente nel cammino di Dio. Fissi gli occhi su di lui, non c’è d’aver paura che questo sole di giustizia venga meno e ci lasci camminare fra le tenebre con il pericolo di perderci se non siamo noi i primi ad abbandonarlo.

15. Non si ha paura di vivere in mezzo ai leoni, di cui ognuno sembra voglia portarsi via un pezzo di noi, cioè in mezzo a ciò che il mondo chiama onori, piaceri e altre simili soddisfazioni, e qui pare che il demonio faccia temere anche di animaletti da nulla. Mille volte ciò mi è causa di meraviglia centomila vorrei sciogliermi in lacrime e gridare a tutti il mio accecamento e la mia perversità, per vedere di aiutare un po’ la gente ad aprire gli occhi. Glieli apra colui che, per sua bontà, può farlo, e non permetta che io ricada nella mia passata cecità! Amen.

CAPITOLO 36

Prosegue nell’argomento iniziato e dice come si giunse alla conclusione della vertenza e si fondò il monastero del glorioso san Giuseppe, i grandi contrasti e le persecuzioni che ci furono contro le religiose, dopo la vestizione, le grandi tribolazioni e le tentazioni che ella soffrì e come da tutto il Signore la fece uscire vittoriosa, a sua lode e gloria.

1. Partita ormai da quella città, facevo la strada molto contenta, decisa a sopportare di buon animo tutto quel che al Signore piacesse. La notte stessa del mio ritorno giunse da Roma il dispaccio con il Breve che autorizzava la fondazione del monastero, tanto che io ne fui stupita, e altrettanto lo furono quelli che sapevano con quanta fretta mi avesse il Signore indotta alla partenza, quando conobbero la grande necessità che c’era di tale fondazione e la favorevole circostanza che egli mi aveva preparato, perché in città trovai il vescovo, il santo fra Pietro d’Alcántara e un gentiluomo gran servo di Dio, in casa del quale quest’ultimo aveva alloggio, essendo una persona in cui i servi di Dio trovavano appoggio e protezione.

2. Tutti e due finirono col far decidere il vescovo ad accogliere il monastero sotto la sua giurisdizione, il che non fu poca cosa, trattandosi di un monastero povero, ma egli era tanto ben disposto verso persone che vedeva risolute a servire il Signore, che subito prese a favorirci. Chi fece tutto, anzi, fu questo santo vecchio, prima approvando il progetto, poi dandosi da fare con gli uni e con gli altri affinché ci aiutassero. Se io non mi fossi trovata lì in tale circostanza – come ho già detto – non so proprio come si sarebbe potuto fare, perché quel sant’uomo rimase poco in città, credo che non furono neppure otto giorni, e quasi sempre molto infermo: di lì a poco, infatti, il Signore lo chiamò a sé. Sembrava che Sua Maestà lo avesse conservato in vita fino alla conclusione di questo affare, essendo molto tempo, non so se più di due anni, che stava assai male.

3. Su fece tutto in gran segreto, perché altrimenti non si sarebbe potuto far nulla, tenuto conto dell’ostilità della gente, come si vide in seguito. Intanto, il Signore permise che si ammalasse un mio cognato; poiché sua moglie era assente, aveva un così gran bisogno di assistenza che mi permisero di andare da lui. Questa circostanza servì a non far trapelare nulla, nonostante che qualcuno continuasse a nutrire sospetti. Tuttavia, nessuno ancora ci credeva. Fu davvero una cosa sorprendente che la sua malattia non durasse più del tempo che occorreva per la conclusione dell’affare; dopo, essendo necessario che egli stesse bene perché io restassi libera ed egli lasciasse sgombra la casa, il Signore gli diede così buona salute da riempirlo di meraviglia.

4. Ebbi molto da fare, oltre che per assistere il malato, per sbrigare, ora con l’uno, ora con l’altro, le pratiche dei permessi e sorvegliare gli operai affinché si sbrigassero ad adattare a monastero la casa, i cui lavori erano molto indietro. La mia compagna non era con me, perché ci parve più opportuno che se ne stesse lontana per meglio dissimulare la cosa. Io vedevo che tutto dipendeva dal far presto, per molte ragioni, una delle quali era il timore, che continuamente avevo, di sentirmi ordinare d’andarmene. Furono tante le mie tribolazioni da farmi pensare se non fosse questa la croce, benché, in fondo, mi sembrasse leggera di fronte a quella cui, come avevo udito dal Signore, dovevo sobbarcarmi.

5. Sistemata, infine, ogni cosa, piacque al Signore che il giorno di san Bartolomeo prendessero l’abito alcune religiose e si collocasse nella cappella il santissimo Sacramento, e così, con tutte le autorizzazioni e con piena validità, fu fondato il monastero del gloriosissimo nostro padre san Giuseppe, nell’anno 1562. Alla vestizione fui presente io con altre due monache della casa dell’Incarnazione, che per caso si trovavano fuori di lì. Poiché la casa ove fu eretto il monastero era quella in cui stava mio cognato, il quale, come ho detto, l’aveva comprata a nome suo, per dissimulare meglio la cosa, io vi stavo col dovuto permesso e non facevo nulla senza chiedere il parere dei dotti, per non allontanarmi di un punto dall’obbedienza. Essi, vedendo che la fondazione, per più motivi, sarebbe stata di gran vantaggio per tutto l’Ordine, anche se procedevo con grande segretezza e all’insaputa dei miei superiori, mi dicevano che potevo farlo; qualora, invece, mi avessero detto che in ciò era anche una minima imperfezione, avrei abbandonato, credo, non uno, ma mille monasteri. Su questo non c’è dubbio perché, sebbene desiderassi quella fondazione per meglio separarmi da tutto il resto e conformarmi alla mia vocazione religiosa con maggiore perfezione e in più stretta clausura, il mio desiderio era tale che, se avessi saputo che era a maggior servizio di Dio rinunziarvi, lo avrei fatto – come l’avevo già fatto la volta precedente – in tutta pace e tranquillità.

6. Mi parve, dunque, d’essere in paradiso, quando vidi che si collocava il santissimo Sacramento, che si erano trovate quattro orfane povere – giacché con dote non si prendevano – e gran serve di Dio (fin da principio, infatti, si cercò di ammettere nel monastero persone sul cui esempio si potesse fare assegnamento per realizzare il nostro intento di condurre una vita di grande perfezione e orazione), e che si era portata a termine un’opera che sapevo a servizio del Signore e di onore all’abito della sua gloriosa Madre: perché questi erano i miei desideri. Mi fu anche di grande consolazione aver fatto ciò che il Signore mi aveva tanto raccomandato e di aver creato in questa città una chiesa in più, intitolata al mio glorioso padre san Giuseppe che non ne aveva. Non già che credessi di averne alcun merito io; non l’ho mai creduto, né lo credo, convinta che ha fatto tutto il Signore. Quello che ci misi da parte mia era così pieno di imperfezioni che, piuttosto, ritengo si dovesse farmene una colpa, non un merito; tuttavia, mi rendeva felice costatare che Sua Maestà, pur essendo io tanto misera cosa, avesse voluto scegliermi come strumento per compiere un’opera così grande e ne ero tanto soddisfatta da sentirmi come fuori di me e immersa in una profonda orazione.

7. Finito tutto da circa tre o quattro ore, il demonio mi sconvolse con una battaglia spirituale che ora racconterò. Mi fece sorgere il dubbio che quanto avevo fatto potesse essere mal fatto, di aver mancato all’obbedienza nell’agire senza l’autorizzazione del provinciale (mi sembra che a quest’ultimo dovesse alquanto dispiacere il fatto che io avessi posto il monastero sotto la giurisdizione dell’Ordinario, senza avergliene prima parlato, benché d’altro canto, siccome non aveva voluto riconoscerlo e io rimanevo sottoposta a lui, non mi pareva che dovesse importargliene molto). Inoltre, il demonio mi faceva sorgere il dubbio che le monache potessero non essere contente di vivere in tanta austerità, che potesse mancar loro da mangiare, che potesse essere stato tutto una follia e m’induceva a chiedermi perché avevo voluto imbarcarmi in questa impresa, visto che avevo già un monastero in cui vivere. Tutti gli ordini del Signore, i molti consigli e le tante preghiere che duravano da più di due anni, tutto era cancellato dalla mia memoria, come se non fosse mai stato. Mi ricordavo solo delle mie opinioni; la fede e ogni altra virtù erano in me come sospese, fino a mancarmi la forza di farle operare e difendermi dagli assalti.

8. Il demonio mi insinuava, inoltre, che non potevo rinchiudermi in una casa così rigorosa, perché molto inferma. Come avrei potuto sopportare così dure penitenze, venendo da una casa così spaziosa e piacevole, dove mi ero trovata sempre tanto bene e avevo tante amiche? Chissà se avrei poi trovate simpatiche le nuove consorelle! Insomma, mi ero assunta obblighi gravosi che forse mi potevano essere causa di disperazione ed era probabilmente questo ciò a cui aspirava il demonio: farmi perdere la pace e la tranquillità, in modo che in tanto turbamento non avrei potuto darmi all’orazione e avrei perduto la mia anima. Cose di tal fatta mi faceva tutte insieme presenti il demonio, tanto che non mi era possibile pensare ad altro con l’aggiunta di tali angosce, tenebre e oscurità nell’anima, che non riesco a descriverle. Vedendomi in questo stato, andai a visitare il santissimo Sacramento, benché non riuscissi a raccomandarmi a Dio. Mi sembrava d’aver l’affanno, come chi sta in agonia. Né potevo osare di parlarne con qualcuno, perché non avevo ancora un confessore designato.

9. Oh, Dio mio, quanto è miserabile questa vita! Non vi è in essa gioia sicura, né cosa alcuna esente da mutamento. Era passato così poco tempo da quando mi sembrava che non avrei cambiato la mia gioia con alcun’altra della terra e ora la stessa causa di quella gioia mi tormentava a tal punto da non saper che fare di me. Oh, se considerassimo attentamente gli avvenimenti della nostra vita, ognuno vedrebbe per esperienza in quanto poco conto si debbano tenere i piaceri e i dispiaceri che essa procura! Questo, mi pare, fu certamente uno dei momenti più duri della mia vita. Sembrava che lo spirito presagisse quanto avrebbe sofferto, benché nessuna sofferenza sarebbe stata pari a questa, se fosse durata. Ma il Signore non permise che la sua povera serva soffrisse troppo e, avendomi sempre aiutato nelle tribolazioni, non mi abbandonò nemmeno in questa: mi diede un po’ di luce tanto da farmi scoprire la verità di vedere che tutto era opera del demonio, il quale voleva spaventarmi con menzogne. Allora cominciai a ricordarmi dei miei generosi propositi di servire il Signore e dei miei desideri di soffrire per lui. Pensai che se volevo realizzarli non dovevo andare in cerca di riposo e che, se avevo difficoltà, con esse mi procuravo meriti e se avevo contrarietà, accettandole per amor di Dio, mi sarebbero servite per purificarmi. Di che temevo, dunque? Poiché desideravo le sofferenze, quelle erano proprio buone, in quanto nelle più grandi contrarietà stava il maggior profitto. Perché, dunque, devo perdermi d’animo nel servizio di colui a cui tanto dovevo? Con queste ed altre considerazioni, facendomi una grande forza, promisi davanti al santissimo Sacramento di far quanto potevo per ottenere il permesso di venire in questa casa e d’impegnarmi ad osservarvi la clausura, non appena l’avessi potuto fare in buona coscienza.

10. Nell’istante stesso in cui feci questa promessa, il demonio fuggì e mi lasciò tranquilla e contenta, e tale sono sempre rimasta. Tutto ciò che in questa casa si osserva circa clausura, penitenza e il resto, mi è estremamente dolce e leggero. La gioia è così grande che, a volte, mi chiedo che cosa potrei scegliere di più piacevole in questo mondo. Non so se ciò influisca a farmi avere molto maggior salute di quanta ne abbia mai avuta, o se – essendo necessario e giusto ch’io faccia tutto quello che le altre fanno – il Signore voglia darmi la consolazione di poterlo fare, anche se con fatica; certo che tutte le persone che conoscono le mie infermità si meravigliano del fatto che io possa sopportare questa vita. Sia benedetto colui che concede ogni bene e per la cui potenza si può fare ogni cosa.

11. Uscii da quella lotta molto stanca, ma ridendomi del demonio che vidi chiaramente esserne l’autore. Credo che il Signore l’abbia permesso perché, non avendo io mai saputo che cosa fosse sentirsi scontenta d’essere monaca, nemmeno per un attimo, in più dio ventotto anni che lo sono, potessi conoscere la grande grazia che mi aveva fatto con la vocazione religiosa e il tormento da cui mi aveva liberato, e anche perché, se vedessi qualcuna stare in quell’angustia, non me ne meravigliassi, ma ne avessi pietà e potessi consolarla. Passata dunque questa burrasca, volevo prendermi dopo pranzo un po’ di riposo perché tutta quella notte non avevo quasi potuto chiudere occhio e molte altre ne avevo passate fra continue sofferenze e preoccupazioni, oltre alla grande stanchezza di tutti i giorni. Ma, essendosi saputo nel mio monastero e in città quanto si era fatto, si fece un gran parlare per i motivi che ho già detto e che sembravano ragionevoli. Subito la priora m’inviò l’ordine di ritornare là immediatamente. Io, ricevuto l’ordine, lasciai le mie monache in grande afflizione e partii subito. Sapevo bene di andare incontro a molte tribolazioni, ma siccome la fondazione era un fatto compiuto, me ne importava ben poco. Mi misi a pregare, supplicando il Signore di aiutarmi, e il mio padre san Giuseppe di ricondurmi nella sua casa. Offrii a Dio quello che avrei dovuto soffrire e partii assai contenta che mi si presentasse l’occasione di patire per lui e di poterlo servire. E così me ne andai, sicura che subito mi avrebbero gettata in prigione, il che mi avrebbe fatto molto piacere perché avrei potuto non parlare con nessuno e riposare un po’ in quella solitudine di cui avevo tanto bisogno: ero, infatti, molto stanca per aver trattato continuamente con la gente.

12. Quando, appena arrivata, esposi le mie ragioni alla priora, si calmò un poco; la comunità, poi, avvertì il provinciale rimettendo la causa nelle sue mani. Quando giunse, mi presentai a lui con vera, grande gioia di soffrire qualcosa per amore del Signore, perché nella presente circostanza sapevo di non aver offeso in nulla né Sua Maestà né l’Ordine. Anzi, quanto all’Ordine, avevo cercato con tutte le mie forze di favorirne lo sviluppo e per questo ero pronta a sacrificare anche la vita, perché il mio desiderio era quello di osservare la Regola con assoluta perfezione. Mi ricordai del giudizio di Cristo, di fronte al quale il mio mi parve una cosa da nulla. Mi accusai come se fossi molto colpevole e tale dovevo sembrare a chi non conosceva i motivi delle mie azioni. Dopo il severo rimprovero del provinciale, quantunque non fosse fatto con tutto quel rigore che avrebbe meritato la colpa e le accuse che molti gli presentavano a mio riguardo, io, decisa a non discolparmi, lo pregai, invece, di perdonarmi e di punirmi e di non essere irritato con me.

13. In alcune cose, certo, io vedevo che mi condannavano a torto, come, ad esempio, accusandomi di aver agito per esser tenuta in una certa considerazione, per farmi un nome e cose simili; ma in altre vedevo chiaramente che dicevano la verità: che ero, cioè, la peggiore di tutte, che, non avendo osservato le molte pratiche religiose di quella casa, non si capiva come pensassi di osservarle in un’altra dov’erano più rigorose, che scandalizzavo la gente e che volevo introdurre novità. Questo, però, non mi turbava né mi affliggeva minimamente, anche se dimostravo di soffrirne, affinché non sembrasse che tenevo in poco conto quanto mi dicevano. Infine il provinciale mi comandò di rendere conto del mio operato davanti a tutte, e dovetti farlo.

14. Siccome avevo la coscienza tranquilla e il Signore mi aiutava, lo feci in modo tale che né il provinciale né le monache lì presenti trovarono di che ammonirmi. Parlai poi da sola più chiaramente con il provinciale, che rimase molto soddisfatto e mi promise, non appena – affermatasi la fondazione – la città fosse ritornata tranquilla, di darmi il permesso di ritornare in quel monastero. Infatti, come ora dirò, la città era in gran subbuglio.

15. Dopo due o tre giorni si riunirono il governatore, alcuni consiglieri comunali e membri del capitolo. Tutti unanimemente dissero che in nessun modo si doveva permettere la fondazione di un monastero che era di evidente danno al bene pubblico, che bisognava togliere il santissimo Sacramento e che a nessun patto avrebbero tollerato che la cosa continuasse. Convocarono tutti gli Ordini affinché due teologi di ciascun Ordine dessero il loro parere. Alcuni tacquero, altri ci condannarono e infine conclusero che il monastero si dovesse subito sopprimere. Solo un Presentato dell’Ordine di san Domenico, sebbene fosse contrario non alla fondazione del monastero, ma alla povertà cui si conformava, disse che non era cosa da poter far sparire così, su due piedi, che bisognava rifletterci bene, perché tempo per questo ce n’era, che era un caso di competenza del vescovo, ed altre cose del genere che ottennero effetti molto positivi. Con la furia che avevano, fu una vera fortuna che non attuassero subito il loro disegno. Infine, così doveva essere, perché così voleva il Signore e ben poco potevano tutti contro la sua volontà. Adducevano le loro ragioni ed erano animati da giusto zelo; peraltro, pur senza offendere Dio, facevano soffrire me e le poche persone che favorivano il mio intento, le quali dovettero sostenere un’aspra persecuzione.

16. Era così grande il subbuglio della gente che in città non si parlava d’altro: tutti mi condannavano e ricorrevano chi al provinciale e chi al mio monastero. Di tutto quello che dicevano contro di me non avevo alcuna pena, come se non dicessero nulla; solo temevo che potesse essere soppresso il monastero. Questa preoccupazione mi affliggeva molto, come anche vedere che perdevano credito e soffrivano grandi tribolazioni le persone che mi aiutavano; per quanto dicevano di me mi pareva piuttosto di provarne gioia. E se la mia fede fosse stata un po’ più viva, non avrei avuto nessuna apprensione, ma il fatto è che l’essere alquanto scarsi in una virtù è sufficiente ad assopirle tutte. Pertanto fui in gran pena nei due giorni che in città si ebbero le adunanze che ho detto, e mentre ero così afflitta, il Signore mi disse: «Non sai che io sono onnipotente? Di che temi?», assicurandomi che il monastero non sarebbe stato soppresso. Queste parole mi confortarono molto. L’assemblea cittadina inviò una denuncia ufficiale al consiglio reale: venne ordine di aprire un’inchiesta per sapere com’era andata la cosa.

17. Ed ecco iniziarsi un lungo processo: la città mandò alcuni delegati alla Corte e dovevano andarci anche quelli da parte del monastero, ma non vi erano denari e io non sapevo come fare. Vi provvide il Signore perché il padre provinciale non mi impedì mai di occuparmene; essendo tanto amante di tutto ciò che mira alla perfezione morale, anche se non mi aiutava, non voleva ostacolarmi. Però, non mi permise di tornare al mio monastero, se non dopo aver visto come andava a finire la cosa. Quelle serve di Dio, intanto, se ne stavano sole, ma facevano più loro con le loro preghiere che non io con quanto andavo negoziando, benché fosse necessario occuparsi attivamente anche di questo. A volte, sembrava che tutto fosse finito, come, in particolare, il giorno prima della venuta del provinciale, in cui la priora mi ordinò di non occuparmene più: era la fine di tutto. Allora andai dal Signore e gli dissi: «Signore, questa casa non è mia, è stata fatta per voi. Ora che non vi è più nessuno ad occuparsene, ci pensi Vostra Maestà». Rimasi così fiduciosa e serena, come se tutti facessero trattative per me, e subito ebbi la sensazione che la cosa si sarebbe realizzata.

18. Un sacerdote, gran servo di Dio, che sempre mi aveva aiutato, amante di ogni perfezione, si recò alla Corte per occuparsi di questa faccenda e s’impegnò molto in essa. Anche quel santo gentiluomo di cui ho già parlato fece moltissimo nella presente circostanza, per favorirci in tutti i modi, e per questo motivo ebbe a soffrire molte tribolazioni e persecuzioni: io lo consideravo e lo considero ancora come un padre. Il Signore animava di tanto zelo quelli che ci aiutavano, che ognuno di essi si adoperava per noi come per una propria causa da cui dipendessero il proprio onore e la propria vita; non pensavano ad altro se non che si trattava di una cosa in cui sembrava loro di servire il Signore. Sua Maestà mostrò chiaramente di aiutare quell’ecclesiastico, maestro di teologia, di cui ho parlato, che era anch’egli fra coloro che mi aiutavano, mandato dal vescovo a rappresentarlo in una grande adunanza tenutasi a questo riguardo, in cui egli era solo contro tutti. Alla fine riuscì a calmare gli animi con il suggerire alcuni espedienti che contribuirono molto a tirarla per le lunghe; ma nessuno era in grado di evitare che di lì a poco non tornassero a giocarsi la vita, come si dice, pur di sopprimere il monastero. Questo servo di Dio di cui parlo, fu quello che aveva dato l’abito alle nuove religiose e collocato il santissimo Sacramento nella cappella: per questo si era visto oggetto di una grande persecuzione. La lotta durò quasi mezzo anno, ma raccontare minutamente le grandi sofferenze che si patirono sarebbe troppo lungo.

19. Mi meravigliavo nel vedere l’accanimento del demonio contro povere donnicciole e mi chiedevo come tutti i nostri avversari potessero credere che dodici monache e una priora – perché di più non possono essere – e di vita così austera, fossero di tanto danno alla città. Se ci fossero stati danni o errori, sarebbero ricaduti su loro stesse, ma asserire che potesse esserci un danno per la città non aveva alcun ragionevole fondamento, mentre essi ne trovavano tanti che ci avversavano in buona fede. Venivano a dirci che se la casa avesse avuto rendite, non ci avrebbero ostacolate e ci avrebbero lasciato proseguire. Io ero ormai così stanca, più che delle mie, delle sofferenze di tutti i miei sostenitori, che mi sembrava non sarebbe stato male avere una rendita finché tornasse la calma, e poi lasciarla. E credevo, a volte, nella mia miseria e imperfezione, che forse era la volontà del Signore; non avendo altra via d’uscita, ero ormai in quest’ordine di idee.

20. Si era già cominciato a trattarne quando, la sera precedente al giorno in cui si doveva definire l’accordo, mentre ero in orazione, il Signore mi disse di non farlo perché, se avessimo cominciato ad aver rendite, non ci avrebbero più permesso di lasciarle, e aggiunse altre cose. La stessa notte mi apparve il santo fra Pietro d’Alcántara, che era già morto, e prima di morire, avendo conosciuto i grandi contrasti e le grandi persecuzioni di cui eravamo oggetto, mi aveva scritto di rallegrarsi che la fondazione si facesse fra così grandi opposizioni perché, se il demonio la ostacolava tanto, era segno che il Signore sarebbe stato molto servito in questo monastero, e che in nessun modo dovevo acconsentire ad avere rendite. E su questo punto nella lettera era tornato due o tre volte concludendo che, se avessi agito così, tutto sarebbe andato secondo i miei desideri. Io l’avevo già visto altre due volte dopo la sua morte, circonfuso di gloria; pertanto, non ebbi paura, anzi mi rallegrai molto, perché appariva sempre come corpo glorificato, pieno di un tale splendore che il vederlo mi dava immensa gioia. Ricordo che la prima volta in cui lo vidi, parlandomi della sua grande felicità, fra l’altro mi disse che era stata una fortunata penitenza quella da lui fatta, per avergli meritato un premio così grande.

21. Poiché credo d’aver detto già qualcosa di questo, qui aggiungo solo che questa volta si mostrò severo e mi disse di non accettare assolutamente rendite; quindi, dopo avermi chiesto perché non volevo seguire il suo consiglio, subito disparve. Io ne rimasi spaventata e immediatamente, il giorno dopo, riferii quanto mi era accaduto a quel cavaliere che era la persona a cui ricorrevo in ogni mia necessità, come a colui che più aveva a cuore la cosa, aggiungendo che non dovevano più in alcun modo farsi trattative per una rendita, e che si mandasse pur avanti la causa. Egli, che a questo riguardo era ben più fermo di me, se ne rallegrò molto, e poi mi disse quanto a malincuore avesse aderito a quell’accomodamento.

22. In seguito si mosse di nuovo un’altra persona, gran serva di Dio e piena di grande zelo: poiché la cosa era avviata bene, consigliava di rimetterla nelle mani dei dotti. Ecco qui, per me, un’altra causa di grandi inquietudini, perché alcuni di coloro che mi aiutavano aderirono a tale proposta e questo fu un inganno del demonio, tra i peggiori di quanti ne avesse mai ordito. In tutto ebbi l’aiuto del Signore. Insomma, detto così, non si può far capire quello che soffrimmo in due anni, da quando si cominciò questa casa a quando tutto fu concluso. Ma questi ultimi sei mesi e i primi sei furono i più penosi.

23. Ora, quando in città cominciò a tornare un po’ di quiete, arrivò il padre Presentato domenicano che, pur da lontano, ci aiutava; il Signore lo fece venire nel momento più opportuno; ci fu, infatti, di grande aiuto e sembrò che Sua Maestà ne avesse disposto la venuta solo a questo fine, perché egli mi disse in seguito di essere venuto senza alcun motivo e di aver saputo solo per caso quanto accadeva. Si trattenne il tempo necessario e, prima di partire, si adoperò ad ottenere, per mezzo d’intermediari, che il nostro padre provinciale mi desse il permesso di venire in questa casa, con alcune mie compagne – sembrava impossibile che lo desse così presto – per recitare l’Ufficio divino e insegnarlo a quelle che vi erano. Il giorno che vi entrammo fu, per me, di immensa consolazione.

24. Mentre attendevo all’orazione in chiesa, prima di entrare nel monastero, ed ero quasi in rapimento, vidi Cristo che pareva mi accogliesse con grande amore e mi mettesse sul capo una corona, ringraziandomi di quanto avevo fatto per la Madre sua. Un’altra volta, mentre eravamo tutte nel coro in orazione, dopo la Compieta, vidi nostra Signora circonfusa di eccelsa gloria, in un bianco mantello, sotto il quale sembrava proteggerci tutte. Compresi allora quale alto grado di gloria il Signore avrebbe conferito alle religiose di questa casa.

25. Quando cominciammo a recitare l’Ufficio, il popolo dimostrò grande devozione per il nostro monastero. Si accettarono altre monache e il Signore cominciò a toccare il cuore di quelli che più ci avevano perseguitato, inducendoli a favorirci molto e a farci elemosine. Così venivano ad approvare quello che avevano tanto biasimato; a poco a poco rinunciarono a continuare la causa, dicendo di essere ormai convinti che la fondazione era opera di Dio perché, nonostante tanto contrasti, Sua Maestà aveva voluto che andasse avanti. Oggi non vi è nessuno a cui sembri che sarebbe stato meglio rinunziare a farla, e tutti hanno tanta cura di provvederci di elemosina che, pur non facendo noi la questua, né chiedendo nulla ad alcuno, il Signore li spinge a mandarcela e andiamo avanti senza che ci manchi il necessario; spero nella sua bontà che sia sempre così. Poiché le religiose son poche, se faranno il proprio dovere come, grazie a Sua Maestà, fanno ora, sono sicura che non mancherà mai loro il necessario e che non avranno bisogno di rendersi moleste con l’importunare la gente, avendo cura di esse il Signore, come ha fatto finora.

26. È per me una grande consolazione vedermi in questa casa con anime così distaccate, il cui unico intento è cercare di progredire nel servizio di Dio. La solitudine è la loro gioia e il solo pensiero che venga a visitarle qualcuno, anche dei parenti più stretti, che non sia loro d’aiuto ad accenderle maggiormente d’amore per il loro Sposo, è per esse un fastidio. Pertanto, in questa casa non viene nessuno che non tratti di Dio; in caso contrario, né resterebbero soddisfatti i visitatori né le monache che ricevono le visite. Esse non fanno altro che parlare di Dio e, pertanto, non intendono né sono intese se non da chi parla il loro stesso linguaggio. Noi, qui, osserviamo la Regola di nostra Signora del Carmine, che è adempiuta senza mitigazione, cioè come fu riordinata da fra Ugo, cardinale di Santa Sabina, ed emanata nel 1248 dal papa Innocenzo IV, l’anno quinto del suo pontificato.

27. Mi sembra che abbiano fruttato bene tutte le sofferenze patite. Ora, anche se la Regola comporta un certo rigore, perché non si mangia mai carne senza necessità, il digiuno è di otto mesi e si hanno altre restrizioni, come si può vedere nella stessa Regola primitiva, alle consorelle ciò appare sempre poco e osservano altre penitenze che ci sono sembrate necessarie per adempiere la regola stessa con maggior perfezione. Io spero nel Signore che l’opera incominciata progredisca molto, come egli stesso mi ha detto.

28. L’altra casa che quella mantellata di cui ho parlato volle fondare, ebbe anch’essa l’aiuto del Signore, ed è sorta in Alcalá; non sono mancate neppure a lei molte opposizioni né ha potuto evitare grandi sofferenze. So che in essa si osservano compiutamente le pratiche religiose, in conformità di questa nostra Regola primitiva. Piaccia al Signore che sia tutto a gloria e lode sua e della gloriosa Vergine Maria, di cui portiamo l’abito! Amen.

29. Forse la signoria vostra si sarà annoiato della mia lunga relazione su questo monastero, eppure è molto breve di fronte alle tante tribolazioni sofferte e alle meraviglie che il Signore vi ha operato, cose tutte delle quali esistono molti testimoni che potrebbero confermarle con giuramento. Pertanto supplico la signoria vostra, per amore di Dio, di strappare, nel caso lo creda opportuno, le altre parti di questo manoscritto, ma di conservare quanto riguarda il monastero, affidandolo, dopo la mia morte, alle consorelle che staranno qui. Le nuove venute ne saranno molto incoraggiate a servire Dio e a fare il possibile, non solo perché l’opera incominciata non vada in rovina, ma perché progredisca sempre più, vedendo quanto il Signore si è adoperato per il suo compimento, mediante uno strumento imperfetto e misero come sono io. E poiché il Signore ha voluto dimostrare così particolare interesse in favore di questa fondazione, credo che farà molto male e sarà severamente punita la religiosa che cominciasse a introdurre un rilassamento nella perfezione a cui egli stesso con il suo aiuto ha dato l’avvio, perché fosse agevole praticarla. Si può ben notare, infatti, quanto sia facile a tollerarsi, come si possa praticarla senza fatica e la grande opportunità che hanno le religiose che vogliono godere in solitudine del loro sposo Cristo Gesù, di stare sempre con lui. Questo, infatti, è ciò a cui devono sempre aspirare: star sole con lui solo. Pertanto, non saranno più di tredici, sapendo, per molti consigli avuti e avendolo costatato per esperienza, quanto convenga non oltrepassare questo numero per non perdere lo spirito a cui ci informiamo e vivere di elemosina senza chiederla. E si creda sempre di preferenza a chi, con innumerevoli sofferenze e con l’aiuto delle preghiere di molte persone, ha cercato la soluzione migliore. Sarà facile convincersi che è questo ciò che conviene, considerando la grande gioia e allegria, la scarsa fatica e la salute più prospera del solito di cui tutte godiamo da quando stiamo in questa casa. E chi giudicasse troppo duro questo genere di vita, ne incolpi il suo scarso spirito interiore, non la Regola che qui si osserva, giacché persone delicate e di pochissima salute, ma ricche di tale spirito, possono osservarla con grande facilità; e se ne vada in un altro monastero dove potrà salvarsi anche seguendo il proprio spirito.

CAPITOLO 37

Tratta degli effetti che restavano in lei dopo aver ricevuta qualche grazia dal Signore. Espone una validissima dottrina. Dice come si debba procurare e quanto si debba stimare l’acquisto di un grado maggiore di gloria, senza tralasciare, per nessuna difficoltà, beni che sono eterni.

1. Mi dispiace trattare ancora delle grazie che mi ha fatto il Signore. Quelle di cui ho parlato sono già troppe perché si possa credere che egli le abbia concesse a un essere così miserabile come sono io, ma per obbedire al Signore che me lo ha ordinato e alle loro signorie, dirò alcune cose a gloria sua. Piaccia a Sua Maestà che la vista di tanti favori accordati a una creatura così miserabile sia di vantaggio a qualche anima – cosa non farà egli per chi l’abbia fedelmente servito? – e si sforzino tutti di contentarlo, poiché anche in questa vita dà tali pegni.

2. Anzitutto bisogna rendersi conto che, in queste grazie che Dio concede all’anima, il godimento è più o meno grande perché in alcune visioni la gioia, il piacere, la consolazione superano talmente i diletti dati in altre, che io mi meravigliavo di così gran differenza di godimento fin da questa vita. Accade, infatti, che in talune visioni o rapimenti, il Signore ci dia tanta gioia e diletto che sembra impossibile desiderare di più in questo mondo, e l’anima, in effetti, non lo desidera né saprebbe chiedere una gioia maggiore. Però, dal momento che il Signore mi ha fatto comprendere la grande differenza che vi è in cielo tra il godimento degli uni e quello degli altri, vedo bene che anche quaggiù non c’è misura quando il Signore si compiace di accordare dei doni. E così neppure io vorrei averla nel servirlo e vorrei consacrare tutta la mia vita, le mie forze, la mia salute al suo servizio e non perdere per mia colpa neanche in minima parte la possibilità di godere di più. Pertanto, se mi chiedessero cosa preferisco, se rimanere su questa terra, con tutte le sofferenze che essa comporta, sino alla fine del mondo, e poi salire in cielo con un po’ di gloria in più, oppure andar subito in cielo senza soffrire alcuna tribolazione, ma con un po’ di gloria in meno, ben volentieri accetterei tutte le sofferenze del mondo, pur di godere un pochino di più nell’intendere le grandezze di Dio, poiché vedo bene che chi meglio lo intende, più lo ama e lo loda.

3. Non dico che non mi accontenterei e non mi riterrei fortunata di stare in cielo anche nel posto più basso, perché, avendo io meritato di averlo bassissimo nell’inferno, il Signore, così facendo, mi userebbe una gran misericordia e piaccia a Sua Maestà che io possa andare lassù e non guardi ai miei peccati. Dico solo che qualunque cosa mi dovesse costare, se io potessi, e il Signore me ne desse la grazia, soffrire grandi tribolazioni, non vorrei perdere nulla per colpa mia. Me infelice: con tanti peccati avevo perduto ogni cosa!

4. Si noti ancora che da ogni grazia che il Signore mi accordava, di visione o di rivelazione, la mia anima traeva sempre grandi vantaggi e, da alcune visioni, grandissimi. La visione di Gesù Cristo mi lasciò impressa la sua incomparabile bellezza che ho sempre davanti. Per questo sarebbe bastato vederlo una sola volta; a maggior ragione, quindi, avendolo visto tante volte, quante il Signore ha voluto farmi la grazia. Ne trassi un vantaggio grandissimo di cui ora parlerò. Avevo un difetto assai grave da cui mi erano venuti danni enormi, ed era questo: quando mi accorgevo che una persona mi voleva bene, se mi andava a genio, mi affezionavo tanto ad essa da averla sempre nella mente. Non già che avessi l’intenzione di offendere Dio, ma godevo di vederla e di pensare a lei e alle buone qualità che io le trovavo. Ciò mi procurava tanto danno da farmi perdere totalmente l’anima. Ma, dopo aver visto la gran bellezza del Signore, non trovai più nessuno che al suo confronto mi piacesse né mi occupasse la mente. Mi bastava gettare mentalmente lo sguardo sull’immagine che di lui portavo scolpita nell’anima, per sentirmi così libera da questa tentazione, che da quel momento in poi tutto ciò che vedo mi sembra ripugnante in confronto all’eccellenza e alle attrattive del Signore. Non v’è scienza né diletto di nessun genere che possa esser degno di considerazione, in paragone a quello di udire una sola parola pronunciata da quella bocca divina, tanto più, poi, se le parole son molte. Ritengo, quindi, impossibile, a meno che il Signore, in castigo dei miei peccati, non permetta che io ne perda la memoria, che alcun altro possa occuparla in modo tale che, tornando a ricordarmi di lui anche solo per un attimo, non resti libera da altro pensiero.

5. Ecco quanto mi accadde con qualche mio confessore. Io amo sempre molto quelli che mi dirigono perché, convinta come sono che facciano le veci di Dio, mi sembra di rivolgere sempre il mio affetto particolarmente ad essi e, siccome non vedevo in ciò alcun pericolo, glielo dimostravo. Essi, timorati e servi di Dio com’erano, temevano che mi attaccassi in qualche modo a loro con un particolare vincolo affettivo, sia pur santo, e mi mostravano il proprio disappunto. Questo mi avveniva dopo essermi del tutto sottomessa a far ciò che mi ordinavano, perché prima non mi affezionavo così a loro. Io ridevo fra me, vedendo come s’ingannassero, e, pur non dicendo sempre ad essi chiaramente, come lo sentivo in me, quanto poco ormai fossi attaccata a chiunque, non mancavo di rassicurarli; essi, poi, trattandomi di più, si accorgevano di ciò che dovevo al Signore; pertanto, questi timori a mio riguardo li avevano solo all’inizio. La visione di nostro Signore, essendo anche accompagnata da una continua conversazione con lui, aumentò molto il mio amore e la mia fiducia. Mi rendevo conto che, pur essendo Dio, egli è anche uomo, e come tale non si meraviglia della debolezza umana, conoscendo la nostra misera natura soggetta a molte cadute a causa del primo peccato che egli è venuto a riparare. Posso trattare con lui come con un amico, benché sia il Signore; capisco, infatti, che egli non è come quelli che quaggiù stimiamo signori, i quali ripongono tutta la loro grandezza in un fittizio sfoggio di autorità. Bisogna attenersi a ore determinate per parlare con loro e non lo possono fare che persone segnalate. Se si tratta di un poveretto che ha qualche affare da sbrigare, non parliamo dei giri, dei favori da chiedere, delle fatiche che gli dovrà costare avere una udienza. Se poi si vuole parlare con il re, la gente povera e non nobile è fuori causa; bisogna che faccia ricorso ai suoi favoriti e si può essere certi che non sono di quelli che tengono il mondo sotto i piedi, perché questi dicono la verità, non hanno timori né devono averne, non sono fatti per le corti, dove non si può agire con franchezza, ma tacere se qualcosa sembra un male, senza neanche pensare che tale sia, per non cadere in disgrazia.

6. Oh, Re della gloria e Signore di tutti i re, il vostro regno non è difeso da fragili barriere, perché è eterno, e per voi non c’è bisogno di intermediari! Basta guardarvi per vedere, dalla maestà che mostrate, che voi solo meritate il nome di Signore; non avete bisogno di scorta né di guardie perché vi riconoscano Re. Difficilmente quaggiù si può riconoscere un re quando è solo. Per quanto egli si sforzi d’essere riconosciuto come tale, nessuno gli crede, non avendo nulla che lo distingua dagli altri. Per essere creduto re, gli occorre qualche insegna esteriore, e pertanto è giusto che usi di uno sfoggio fittizio di autorità perché, se non lo facesse, non godrebbe di alcuna considerazione. Dalla sua persona, infatti, non appare alcuna potenza, e l’autorità deve venirgli da altre cose. Oh, Signor mio, oh, mio Re! Se qui si potesse descrivere la Vostra Maestà! È impossibile riconoscere che siete la stessa Maestà, la cui contemplazione fa restare sbigottiti, ma più ancora stupisce, Signor mio, insieme con essa, vedere la vostra umiltà e l’amore che dimostrate a una creatura come me. Passato quel primo senso di timore e di sbigottimento che nasce dalla vista della Maestà Vostra, si può trattare con voi e parlarvi liberamente di ogni cosa, pur restando un più grande timore, quello di offendervi, ma non per paura del castigo, mio Signore, perché questo non ha alcuna importanza in confronto al timore di perdervi.

7. Ecco, quindi, i vantaggi che si traggono da questa visione, senza parlare di altri molto grandi che restano nell’anima. Quando una visione viene da Dio, lo si vede dagli effetti che produce, purché l’anima sia nella luce, perché a volte, come ho già detto, il Signore può non voler concedergliela, lasciandola nelle tenebre. Allora, non fa meraviglia che abbia molta paura quella che si vede così miserabile come lo sono io. Proprio poco tempo fa mi è accaduto di stare otto giorni con l’impressione che non ci fosse in me neanche la possibilità di riconoscere ciò che devo a Dio né il ricordo delle sue grazie. Avevo l’anima trasognata e non sapevo perché, né a che cosa fosse rivolta: non certo a cattivi pensieri, ma mi sentivo così incapace di averne di buoni, che ridevo di me stessa, compiacendomi di vedere la miseria in cui cade un’anima quando dio non opera continuamente in lei. Essa si rende conto di non essere senza di lui, in questo stato, in cui non si hanno quelle grandi sofferenze che, come ho detto, ho provato altre volte, ma per quanto metta legna e faccia quel po’ che può da parte sua, non riesce a far ardere il fuoco dell’amor di Dio, ed è grande sua misericordia se si vede il fumo, dal quale capire che il fuoco non è spento del tutto. torna ad accenderlo il Signore, senza cui l’anima si rompe invano la testa a soffiare e a sistemare la legna: sembra, anzi, che lo soffochi sempre di più. Credo che il meglio da farsi sia che l’anima si arrenda all’evidenza dei fatti, riconoscendo che da sola non può far nulla e attenda, come ho detto, ad altre opere meritorie, perché il Signore, forse, le toglie l’orazione proprio perché si dedichi a queste opere e veda per esperienza quanto poco essa possa per se stessa.

8. È vero che oggi, mentre godevo del Signore, ho avuto l’ardire di lamentarmi di Sua Maestà, dicendogli: «Come! Non vi basta, Dio mio, di tenermi in questa misera vita, e che io per amor vostro l’accetti, e voglia vivere dove tutto m’impedisce di godervi, e debba mangiare, dormire, occuparmi di affari e trattare con la gente? Io sopporto ogni cosa per amor vostro, ma ben sapete, Signore, quanto ciò mi sia di tormento, e perché allora vi nascondete nei pochi istanti di cui dispongo per godere di voi? Com’è compatibile tutto questo con la vostra misericordia? Come può sopportarlo l’amore che nutrite per me? Credo, Signore, che se potessi nascondermi a voi come voi vi nascondete a me, il vostro amore per me non lo sopporterebbe: voi, infatti, ve ne state con me e mi vedete sempre. No, questo è intollerabile, mio Signore; vi supplico di considerare che è fare ingiuria a chi tanto vi ama».

9. Queste ed altre cose del genere mi è accaduto di dire, pur avendo visto quanto era blando il castigo preparato per me nell’inferno, in paragone di quel che avrei meritato. Ma, a volte, l’amore mi fa perdere il senno a tal punto che non sono più padrona di me e con piena convinzione esplodo in questi lamenti, sopportata sempre dal Signore. Sia lodato questo Re così buono! Potremmo mai parlare ai re della terra con tanto ardire? Non mi meraviglio che non si osi parlare così con il re, essendo giusto che se ne abbia rispetto, come anche che lo si abbia per le prime autorità del regno; ma ora il mondo è arrivato a tal punto che sarebbe necessaria una vita più lunga per imparare le precise cerimonie e i nuovi modi di convenienze sociali, se si vuole spendere anche un po’ di tempo al servizio di Dio. Mi faccio il segno della croce nel vedere quello che accade. Sta di fatto che, quando sono venuta in questa casa, non sapevo ormai più come vivere perché le persone, trattando le quali si cade in qualche distrazione e a cui non si rende un omaggio superiore a quanto meritano, non se la prendono a ridere, ma se la prendono così seriamente per offesa che occorre vi giustifichiate spiegando le vostre buone intenzioni, in quanto è stata – come ho detto – solo una distrazione, e piaccia a Dio che lo credano!

10. Torno a dire che, senza dubbio, io non sapevo come vivere, poiché una povera anima prova una grande sofferenza: da una parte, le comandano di tener sempre occupato il pensiero in Dio, essendo necessario volgerlo a lui per liberarsi da molti pericoli; dall’altra parte, vede che deve guardarsi dal contravvenire minimamente alle usanze del mondo, sotto pena di non evitare di essere occasione di risentimento per coloro che fanno consistere il loro onore nel conformarvisi. Ero proprio stanca e non finivo mai di chiedere scusa, perché non potevo, pur sforzandomi di riuscirci, evitare di commettere, a questo riguardo, molte mancanze che, come ho detto, agli occhi del mondo non sono piccole. Forse che per noi degli Ordini religiosi – che giustamente in tali casi dovremmo essere scusati – c’è una giustificazione? No, perché dicono che i monasteri devono essere corte di convenienze sociali e conoscerle. Io davvero non riesco a capirlo; mi sono chiesta se mai qualche santo abbia detto che i monasteri devono essere delle «corti», cioè scuole d’insegnamento per coloro che vogliono diventare cortigiani del cielo, e che gli altri lo abbiano inteso alla rovescia. Non so, infatti, come chi dev’essere costantemente impegnato a contentare Dio e a disprezzare il mondo, possa darsi pensiero di questo, preoccupandosi tanto di soddisfare in cose mutevoli coloro che vivono nel mondo stesso. Se si potessero almeno imparare d’un colpo, pazienza! Ma oggi, solo per i titoli delle lettere ci vorrebbe una scuola che insegni anche, per così dire, come scriverle, perché ora bisogna lasciare il margine da una parte ora dall’altra, e bisogna dare dell’illustre a chi non si dava prima neppure del magnifico.

11. Non so dove si andrà a finire, perché non ho ancora cinquant’anni e nel corso della mia vita ho visto tanti cambiamenti che non so più come vivere. Che sarà di coloro che nascono adesso, se vivranno a lungo? Compatisco sinceramente le persone spirituali costrette a vivere nel mondo per qualche santo scopo, essendo terribile la croce che devono portare per questo motivo. Se si potessero mettere tutti d’accordo a voler passare per ignoranti ed essere considerati tali in questa scienza, si libererebbero da una gran schiavitù.

12. Ma in quante sciocchezze mi sono cacciata! Per trattare delle grandezze di Dio, ho finito col parlare delle bassezze del mondo. Poiché il Signore mi ha fatto la grazia di averlo lasciato, voglio uscirne del tutto; se la vedano un po’ coloro che con tanti sacrifici sostengono queste cose da nulla. Piaccia a Dio che non le debbano pagar care nell’altra vita, dove non ci saranno mutamenti! Amen.

CAPITOLO 38

In cui parla di alcune straordinarie grazie che il Signore le fece, sia per la rivelazione di qualche segreto del cielo, sia per altre grandi visioni e notizie di cui si degnò di favorirla. Parla degli effetti che le lasciavano e il grande vantaggio che ne traeva la sua anima.

1. Una notte, mentre stavo così male che volevo sottrarmi dal fare orazione, presi un rosario per pregare vocalmente, cercando di non raccogliermi col pensiero, anche se esteriormente lo ero, perché mi trovavo in un oratorio. Ma contro il volere di Dio ben poco giovano questi sforzi. Ben presto fui presa da un rapimento di spirito così violento che mi fu impossibile resistere. Mi parve di trovarmi in cielo; le prime persone che v’incontrai furono mio padre e mia madre, e vidi tali meraviglie – in così breve spazio di tempo come ce ne vuole per dire un’Ave Maria – che ne rimasi trasecolata, sembrandomi una grazia straordinaria. Quanto alla brevità del tempo, può darsi che sia stato anche più lungo, ma a me parve proprio brevissimo. Ebbi il timore che si trattasse di un inganno; sebbene non mi sembrasse tale, non sapevo che cosa fare, perché sentivo una gran vergogna di parlarne con il confessore, e non credo che fosse per umiltà, ma per il fatto che, probabilmente, si sarebbe burlato di me dicendo: «Ma vedi un po’ che san Paolo o che san Girolamo abbiamo qui, che riesce a vedere le cose del cielo!». Poiché solo questi gloriosi santi avevano avuto tali visioni, i miei timori crescevano e non facevo che piangere a dirotto, sembrandomi di non approdare a nulla. Infine, benché assai a malincuore, andai dal confessore al quale non osavo mai tacere alcuna cosa, nemmeno ciò che più mi costava dire, per il grande timore che avevo d’essere ingannata. Egli, vedendomi così travagliata, mi consolò molto e mi disse tante cose adatte a togliermi di pena.

2. Con l’andare del tempo, mi è accaduto, e talvolta mi accade ancora questo: il Signore mi scopre via via più grandi segreti; siccome non c’è nulla da fare per l’anima, se vuol vedere più di quello che egli le mostra, essendole impossibile, ogni volta io non vedevo più di quello che il Signore voleva farmi vedere. Era però tanto, che il meno di ciò che mostrava era sufficiente a lasciarmi sbigottita e ad avvantaggiarmi l’anima nel farle conoscere e disprezzare tutte le cose del mondo. Io vorrei poter dare un’idea del meno che vedevo, ma pensando come riuscirvi, trovo che è impossibile, perché solo la differenza tra la luce che vediamo qui e quella che appare lì, dove tutto è luce, non permette alcun confronto; di fronte ad essa perfino la luce del sole sembra molto offuscata. Insomma, neanche la più raffinata immaginazione riuscirà mai a descrivere non solo quella luce, ma neppure una delle grandi meraviglie che il Signore mi ha svelato, dandomi, insieme, una gioia così straordinaria che non si può esprimere, essendo tutti i sensi pervasi da un godimento di tale alto grado e di così gran dolcezza che non ci sono parole per dirlo; e, pertanto, è meglio non aggiungere altro.

3. Una volta rimasi più di un’ora in questo stato durante il quale mi sembrava che il Signore mi facesse vedere cose meravigliose, standomi molto vicino, finché mi disse: «Guarda, figlia mia, che cosa perdono coloro che mi sono nemici. Non tralasciare di farglielo sapere». Ahimè, Signor mio, quanto poco potranno giovare le mie parole a chi è reso cieco dalle sue azioni, se la Maestà vostra non gli dà luce! Alcune persone a cui l’avete data si sono certo migliorate per la conoscenza delle vostre grandezze, senonché le vedono, mio Signore, rivelate a un essere così miserabile e vile come son io, che mi pare già molto se vi sia stato qualcuno che mi abbia creduto. Siano benedetti il vostro nome e la vostra misericordia poiché io, per lo meno, ho riscontrato un evidente miglioramento spirituale. L’anima mia, dopo queste visioni, avrebbe voluto starsene sempre lassù, e non tornare più a vivere nel mondo di cui le era rimasto un gran disprezzo per tutto. Mi sembrava spazzatura, e capisco quanta bassezza sia da parte nostra fermarsi a occuparsene.

4. Una volta, mentre stavo con quella signora di cui ho parlato ed ero in preda a una crisi di cuore, perché, come ho detto, ho avuto forti attacchi di questo male, anche se ora non è più così, mi accadde che ella, caritatevole com’era, mi facesse tirar fuori gioielli d’oro e di pietre preziose – ne aveva di gran valore, specialmente uno di diamanti molto pregiati –, convinta, certo, di sollevarmi, mentre io tra me e me sorridevo di compassione nel vedere in che cosa gli uomini ripongono la loro stima, ricordando quello che il Signore ci tiene preparato, e pensavo che, malgrado ogni mio sforzo, non sarei mai riuscita a tenere quelle cose in qualche conto, a meno che il Signore non mi togliesse il ricordo di altre. Ciò conferisce all’anima una superiorità così grande che non credo possa esser compresa se non da chi la possiede: è un distacco totale e assoluto, che non comporta alcuno sforzo da parte nostra perché opera esclusiva di Dio, il quale fa vedere così al vivo queste verità che esse restano talmente impresse da rendere evidente che non avremmo potuto acquistarle da noi in quel modo e in così breve tempo.

5. Mi restò anche ben poco timore della morte, di cui sempre ho avuto molta paura; ora essa mi sembra cosa assai facile per chi serve Dio, perché in un attimo l’anima si vede libera da questo carcere e attinge il suo riposo. E mi pare che il volo dello spirito in cui Dio mostra tante meraviglie nei rapimenti di cui ho detto, sia molto simile a quando, uscita dal corpo, l’anima si vede in un attimo nel possesso di ogni bene. Lasciando da parte i dolori con cui si è strappati alla vita, perché non bisogna badarci, io credo che la morte di coloro i quali abbiano amato veramente Dio e abbiano rinunciato alle cose di quaggiù, debba essere molto dolce.

6. Quella visione mi aiutò anche molto, credo, a conoscere la nostra vera patria e a capire che qui noi siamo pellegrini. È una gran cosa vedere ciò che ci attende in cielo e sapere dove dovremo vivere. Come, quando ci si deve trasferire stabilmente in un altro paese, ci è di grande aiuto, per sopportare la fatica del viaggio, l’aver già visto che è un paese dove si può star assai confortevolmente, così è per l’anima alla quale, con questa visione, riesce facile considerare le cose del cielo e procurare di stabilire lì la sua conversazione. Questo è di gran profitto perché solo la vista del cielo induce l’anima al raccoglimento; avendo, infatti, il Signore voluto mostrarci qualcosa di quel che vi è lassù, mi viene fatto di pensare – e mi accade spesso – che coloro nei quali trovo compagnia e conforto siano quelli di lassù, i soli a sembrarmi veramente vivi, mentre questi di quaggiù mi paiono così morti che nessuno potrebbe farmi compagnia, specialmente quando sono presa da quegli slanci d’amore.

7. Tutto ciò che vedo con gli occhi del corpo mi appare sogno e finzione; non desidero se non quello che ormai ho visto con gli occhi dell’anima e, sentendomene ancora lontana, questo, per me, equivale a morire. Infine, è enorme la grazia che il Signore fa dando simili visioni, perché sono di grande aiuto all’anima anche per portare la pesante croce della vita, ove nulla la soddisfa, tutto la disgusta. E se il Signore non volesse, a volte, cancellarle dalla memoria quanto ha visto, benché poi torni a ricordarsene, non so come resisterebbe a vivere. Sia egli sempre benedetto e lodato! Piaccia a Sua Maestà, per il sangue versato da suo Figlio per me, che, avendomi voluto far intendere qualcosa di beni così eccelsi, io possa cominciare in qualche modo a goderne e non mi accada quanto avvenne a Lucifero che, per colpa sua, perse tutto. Non lo permetta, essendo quello che egli è, perché a volte io lo temo molto, anche se, d’altra parte, mi sento quasi sempre sicura della misericordia di Dio che, avendomi liberata da tanti peccati, non vorrà ritirare da me la sua mano, perché io abbia a perdermi. Io supplico la signoria vostra, padre, di chiedere sempre questo al Signore per me.

8. Ma tutte le suddette grazie non sono così grandi, a mio parere, come quella di cui parlerò, per molti motivi, specialmente per i molti beni che io ne trassi e la grande forza di cui l’anima restò corroborata, sebbene, anche considerato a sé, ognuno di questi vantaggi sia così grande che non si possono stabilire confronti.

9. Una vigilia della Pentecoste, dopo la Messa, me ne andai in un luogo molto appartato, dove spesso mi ritiravo a pregare e mi misi a leggere nel Cartusiano ciò che riguardava questa festa. Leggendo i segni dai quali gli incipienti, i proficienti e i perfetti possono capire se lo Spirito santo è in loro, considerati questi tre stati, mi parve – a quanto potevo giudicare – che, per la bontà di Dio, tale spirito fosse anche in me. Ne ringraziai il Signore e mi ricordai di aver letto lo stesso passo altre volte, quando ero del tutto priva di quei segni: ciò mi appariva così chiaramente come ora vedevo l’opposto in me; pertanto, riconobbi l’importanza della grazia concessami dal Signore e, considerando il luogo che mi ero meritata nell’inferno per i miei peccati, rendevo grandi lodi a Dio per il cambiamento operatosi nella mia anima, tale che mi sembrava di non riconoscermi. Mentre facevo queste considerazioni fui presa da un gran rapimento, senza che ne capissi il motivo; pareva che l’anima volesse uscirsene dal corpo, incapace di contenersi in sé e di attendere oltre un tanto bene. Era un trasporto così impetuoso e, a mio giudizio, così diverso da quello avuto altre volte, che non potevo dominarmi. Non capivo cosa avesse né cosa volesse la mia anima per essere così turbata. Cercai un appoggio, non potendo reggermi neppure seduta perché mi veniva meno ogni forza fisica.

10. In questo stato, vidi sulla mia testa una colomba molto diversa dalle nostre perché non aveva penne, come queste, e le sue ali erano fatte di piccole conchiglie che emanavano un grande splendore. Era più grande delle solite colombe e mi pareva di udirne il frullo delle ali. Avrà volato per lo spazio di un’Ave Maria, ma l’anima nello stato in cui era, fuori di se stessa, la perse di vista; il mio spirito, in compagnia di un così gradito ospite, si rasserenò, mentre, a mio parere, una grazia così sublime avrebbe dovuto turbarlo e sbigottirlo; ma appena cominciai a godere di quell’apparizione, scomparve ogni timore, venne, col godimento, la pace, e io rimasi in estasi.

11. La gioia di questo rapimento fu grandissima. Passai la maggior parte di quella festa così sbalordita e istupidita, da non sapere che cosa facessi né come avessi potuto essere oggetto di un favore e di una grazia così eccelsi. Dalla grande gioia mi pareva di non udire né vedere nulla. Mi accorsi di aver fatto, da quel giorno, un enorme progresso per un più elevato amor di Dio e per l’aumento di forza nelle virtù. Sia egli benedetto e lodato per sempre! Amen.

12. Un’altra volta vidi la stessa colomba sulla testa di un padre dell’Ordine di san Domenico, salvo che mi sembrò che i raggi e lo stesso splendore delle ali si estendessero molto di più; intesi con ciò che egli avrebbe condotto molte anime a Dio.

13. Un’altra volta vidi nostra Signora che poneva un manto bianchissimo indosso al Presentato di questo stesso Ordine, di cui ho parlato qualche volta. Mi disse che, per il servizio che le aveva reso nell’aiutare la fondazione di questo monastero, gli dava quel manto come segno che ella avrebbe sempre vegliato, d’allora in poi, sulla purezza dell’anima sua, evitandogli di cadere in peccato mortale. Sono sicura che è stato così perché di lì a pochi anni morì, e furono tali sia la sua vita, tutta intessuta di penitenza, sia la sua morte, tutta improntata a santità, che non c’è da averne alcun dubbio. Un frate che aveva assistito alla sua morte mi disse che, prima di spirare, gli aveva detto che san Tommaso gli stava vicino. Morì pieno di gioia e del desiderio di abbandonare questo esilio. In seguito mi è apparso qualche volta, circonfuso di gloria, e mi ha detto alcune cose. Era così dedito all’orazione che alla fine della sua vita, pur volendo evitarla a causa della grande debolezza, non vi riusciva, perché soggetto di continuo ai rapimenti. Mi scrisse poco prima di morire chiedendomi a quale mezzo avrebbe potuto far ricorso, perché appena finiva di celebrare la Messa, restava a lungo in estasi, senza poterlo evitare. Infine, Dio gli diede il premio per il molto che lo aveva servito in tutta la sua vita.

14. Ho visto anche alcune delle grandi grazie elargite dal Signore al rettore della Compagnia di Gesù di cui talvolta ho fatto menzione, ma non voglio qui parlarne per non dilungarmi troppo. Una volta ebbe a soffrire una grande pena per una spietata persecuzione che gli procurò una profonda afflizione. Mentre, un giorno, ascoltavo la Messa, nel momento dell’elevazione vidi Cristo in croce: m’incaricò di riferirgli alcune sue parole di conforto, con altre intese a prevenirlo di ciò che sarebbe accaduto, ricordargli quello che egli aveva patito per lui e prepararlo a soffrire ancora. Ne ebbe gran conforto e coraggio, ed è poi tutto avvenuto come il Signore mi aveva detto.

15. Grandi cose ho visto, inoltre, circa tutto l’Ordine di questo padre, che è quello della Compagnia di Gesù: ne ho visto a volte i religiosi in cielo con in mano bianche bandiere e, ripeto, ho visto altre cose ancora, degne di molta ammirazione; pertanto nutro una grande venerazione per quest’Ordine, avendo trattato molto con i suoi membri, la cui vita è apparsa conforme a quanto su di essi Dio mi ha fatto capire.

16. Una sera, mentre ero in orazione, il Signore cominciò a dirmi alcune parole che mi fecero tornare in mente quanto la mia vita fosse stata cattiva e mi riempirono di confusione e di dolore perché, anche se non pronunciate con rigore, producono un tale sentimento di pena da far morire. Serve di più, per conoscere la nostra miseria, una sola di queste parole che più giorni passati a considerarla in continuazione, perché in esse è scolpita una innegabile verità. Mi ricordò, dunque, le affezioni e la vanità che avevo avuto e mi disse che dovevo apprezzare molto che egli mi permettesse di concedere a lui il mio affetto, dopo averlo così male impiegato, e che si degnasse di accettarlo. Altre volte mi disse di ricordarmi del tempo in cui sembrava che io avessi per onore andare contro il suo; altre, di ricordarmi ciò che gli dovevo, avendomi egli fatto maggiori grazie proprio mentre io più l’offendevo. Quando commetto qualche mancanza, e non sono mai poche, Sua Maestà me le fa vedere in modo tale che mi sento annientare e, poiché ne ho sempre molte, ciò avviene di frequente. Mi accadeva a volte, dopo aver ricevuto un rimprovero dal confessore, di voler trovare conforto nell’orazione e di sentirmi lì rimproverare davvero.

17. Tornando, dunque, a quello che dicevo, quando il Signore cominciò a ricordarmi la mia misera vita, pur mettendomi a piangere, siccome allora – a quanto mi pareva – non avevo commesso nulla di male, pensai che mi volesse fare qualche grazia, perché di solito, prima che io riceva qualche grande favore dal Signore, egli mi umilia profondamente per farmi vedere più chiaramente quanto sia indegna di meritarlo. Pensavo, dunque, che così facesse. Di lì a poco, infatti, il mio spirito fu preso da un tale rapimento che mi parve quasi d’essere uscita dal corpo, per lo meno non mi rendevo conto di vivere in esso. Vidi l’umanità sacratissima di Cristo in così smisurata gloria come non mai. Mi si offrì alla vista in modo chiaro e ammirabile nel seno del Padre: non saprei, però, dire in che forma, perché mi parve di essere in presenza della divinità senza vedere nulla. Rimasi così stupita e fuori di me, che credo di aver passato vari giorni senza poter rinvenire. Mi sembrava d’aver sempre presente quella maestà del Figlio di Dio, quantunque non nella forma di allora. Questo lo capivo bene, ma tale vista resta così impressa nell’immaginazione che – per quanto sia trascorsa rapidamente – non si può dimenticarla per qualche tempo, ed è di grande conforto e anche profitto.

18. Ho avuto questa stessa visione altre tre volte. A mio giudizio, è la più elevata di quante il Signore me ne abbia concesse e produce effetti straordinari. Sembra che purifichi l’anima in modo sorprendente e che tolga quasi ogni forza alla nostra sensualità. È una grande fiamma che sembra bruciare e distruggere tutti i desideri della vita. Sebbene, grazie a Dio, io non li avessi ormai rivolti a cose vane, tuttavia mi fu ben chiaro come tutto quaggiù è vanità e quale vanità delle vanità siano gli imperi del mondo. È un grande insegnamento per elevare i desideri alla pura verità. Resta il suggello di una devozione che io non so spiegare, ma che è molto diversa da quella che possiamo qui procurarci da noi. L’anima prova terrore nel pensare come abbia osato e come qualcuno possa osare di offendere una maestà così grande.

19. Ho già parlato altre volte degli effetti di queste visioni e cose simili, ma, come ho detto, i vantaggi sono più o meno grandi; quelli di quest’ultima, peraltro, sono grandissimi. Quando andavo a comunicarmi e mi ricordavo della imponente maestà che avevo visto, pensando che quella stessa cosa era nel santissimo Sacramento, e spesso il Signore me la faceva vedere nell’ostia, i capelli mi si rizzavano in testa e mi sentivo annientare. Oh, Signor mio, se voi non velaste la vostra grandezza, chi oserebbe venire a voi tante volte per unire con la vostra immensa Maestà un’anima così piena di sozzure e di miserie? Siate benedetto, Signore! Vi lodino gli angeli e tutte le creature per aver commisurato tutto alla nostra debolezza, in modo che, godendo di così sovrane grazie, non ci atterrisca la vostra gran potenza, tanto da non farci osare di goderne, deboli e misere creature come siamo.

20. Ci sarebbe potuto accadere come a quel contadino la cui avventura sono certa che andò così: aveva trovato un tesoro che superava di molto i suoi modesti desideri. Vedendosene in possesso, fu preso da una tale malinconia che a poco a poco venne a morire, unicamente di tristezza e della preoccupazione di non sapere che farne. Se non l’avesse trovato d’un colpo, ma glielo avessero dato poco per volta, sostenendolo con esso, sarebbe stato più felice di quando era povero e non gli sarebbe costato la vita.

21. Oh, ricchezza dei poveri, come mirabilmente sapete sostentare le anime a cui, senza che vedano d’un colpo così grandi ricchezze, le andate mostrando a poco a poco! Io, nel contemplare una così grande maestà celata in così piccola cosa come è un’ostia, non posso fare a meno di ammirare la vostra grande sapienza. Non so come il Signore mi dia forza e coraggio per avvicinarmi a lui; se egli, che mi ha fatto e mi fa così straordinarie grazie, non me li desse, non mi sarebbe possibile dominarmi e rinunziare a proclamare a gran voce così grandi meraviglie. Cosa non deve, dunque, provare una miserabile come me, carica di abominazioni, che ha speso la sua vita avendo così poco timore di Dio, nell’avvicinarsi a questo Signore di così grande maestà, quando vuole che la mia anima lo veda? Come può accostare la sua bocca che ha proferito tante parole contro di lui a quel corpo gloriosissimo pieno di purezza e di misericordia? L’anima che non lo ha servito prova più rammarico e afflizione per l’amore che manifesta quel volto di tanta bellezza con quella sua espressione tenera e dolce, di quanto non provi timore per la maestà che in lui vede. Che cosa, allora, avrò provato io che ho visto due volte ciò che dirò?

22. Certo, mio Signore e gloria mia, starei quasi per dire che, in qualche modo, in queste grandi afflizioni della mia anima ho fatto qualcosa in vostro servizio. Ahimè! Non so cosa dico, quando scrivo queste cose e mi sembra, quasi, di non esser io a parlare, perché, richiamandole alla memoria, mi sento turbata e quasi fuori di me; ma, poiché non possiamo avere neppure un pensiero buono se voi non ce lo date, non c’è motivo per alcuna gratitudine; io sono la debitrice, Signore, e voi l’offeso.

23. Un giorno, mentre andavo a comunicarmi, vidi con gli occhi dell’anima, più chiaramente che con quelli del corpo, due demoni, di un aspetto abominevole. Mi pareva che le corna cingessero la gola del povero sacerdote e vidi il mio Signore con la maestà che ho detto, fra quelle mani, nell’ostia che egli si preparava a darmi, segno evidente che erano mani di uno che lo offendeva: capii che quell’anima si trovava in peccato mortale. Come poter dire, Signor mio, l’orrore di vedere la vostra bellezza in mezzo a così abominevoli figure? I demoni stavano innanzi a voi come sbigottiti e tremanti ed era evidente che sarebbero fuggiti volentieri, se voi li aveste lasciati andar via. Ne ebbi tale turbamento che non so come potei comunicarmi e rimasi in gran timore ritenendo che, se si trattava di una visione proveniente da Dio, egli non avrebbe permesso che io vedessi lo stato peccaminoso di quell’anima. Ma il Signore stesso mi disse di pregare per lui, aggiungendo che l’aveva permesso per farmi conoscere il valore delle parole della consacrazione, in virtù delle quali Dio è lì presente, per quanto possa essere indegno il sacerdote che le pronuncia e per mostrarmi la sua grande bontà nel porsi fra le mani di un suo nemico, pur di operare il mio bene e quello di tutti. Mi resi conto allora di quanto i sacerdoti siano obbligati più degli altri ad essere virtuosi, di come sia atroce ricevere indegnamente questo santissimo Sacramento e di quanto potere abbia il demonio su un’anima in peccato mortale. Ne trassi gran vantaggio e più chiara conoscenza di ciò che dovevo a Dio. Sia egli benedetto per sempre!

24.Un’altra volta mi accadde una cosa analoga che mi spaventò moltissimo. Mi trovavo in un luogo dov’era morta una certa persona che, a quanto seppi, era vissuta assai male e per molti anni; ma negli ultimi due anni era stata inferma e in alcune cose sembrava si fosse emendata. Morì senza confessarsi; ciò nonostante, mi pareva che non avrebbe dovuto dannarsi. Senonché, mentre ne vestivano e avvolgevano la salma nel lenzuolo funebre, vidi una quantità di demoni che prendevano quel corpo come se volessero giocarci, ma anche farne giustizia, perché con grossi arpioni se lo passavano l’un l’altro, il che fu causa di un grande spavento. E, vedendolo portare alla sepoltura con gli onori e le cerimonie d’uso per tutti, pensavo alla bontà di Dio che, non volendo che quell’anima fosse infamata, faceva rimanere occulto il fatto che gli era stata nemica.

25. Ero quasi inebetita per quello che avevo visto. Durante tutto l’Ufficio non notai alcun demonio, ma quando il corpo fu calato nel sepolcro, era tale il numero di quelli che stavano già dentro per prenderlo, che io rimasi come fuori di me di fronte a tale spettacolo e mi ci volle non poco coraggio per dissimulare il mio turbamento. Mi chiedevo che cosa avrebbero fatto di quell’anima, se s’impadronivano in quel modo del suo misero corpo. Piacesse al Signore che questo che io vidi – spettacolo davvero spaventoso – potessero vederlo tutti coloro che si trovano in peccato mortale, perché mi pare che sarebbe assai efficace per indurli a vivere come si deve. Tutto ciò mi ha fatto conoscere meglio quanto debba a Dio e da quali mali egli mi abbia liberata. Finché non ne parlai con il mio confessore mi rimase una gran paura, nel dubbio che fosse un inganno del demonio per infamare quell’anima, benché non fosse proprio in fama di santità; è certo che, quando me ne ricordo, inganno o no, mi si rinnova la paura.

26. Giacché ho cominciato a parlare di visioni di morti, voglio dire alcune cose che il Signore si è compiaciuto di farmi conoscere a proposito di qualche anima. Ne dirò poche, per essere breve, e perché non le ritengo necessarie, cioè di alcun profitto. Mi annunciarono che era morto un religioso nostro ex provinciale, che al momento del decesso lo era di un’altra provincia, col quale io avevo avuto rapporti e a cui ero debitrice di alcuni buoni servigi. Era un uomo pieno di virtù, ma non appena seppi della sua morte, rimasi molto turbata, temendo della sua salvezza, perché era stato superiore per vent’anni, il che mi è sempre causa di gran timore, sembrandomi assai pericoloso aver la direzione delle anime. Pertanto, in grande agitazione, mi recai in un oratorio, ove offrii in suo suffragio tutto il bene che avevo fatto nella mia vita, ed essendo ben poca cosa, supplicai il Signore di supplire con i suoi meriti a ciò di cui aveva bisogno quell’anima per uscire dal purgatorio.

27. Mentre stavo chiedendo questo al Signore con tutto il fervore possibile, mi sembrò di vederlo uscire dalla terra, alla mia destra, e salire al cielo con indicibile letizia. Egli era ormai molto vecchio, ma io lo vidi dell’età di circa trent’anni, e forse anche meno, con un grande splendore nel viso. Questa visione scomparve presto; ne rimasi, però, così confortata, che la sua morte non poté più darmi pena, malgrado vedessi molte persone assai afflitte per lui, che era molto amato. Era così grande la consolazione della mia anima, che non me n’importava più nulla, né era possibile dubitare che la visione fosse buona, voglio dire che non fosse un’illusione. Non erano passati più di quindici giorni dalla sua morte; tuttavia, non trascurai di raccomandare che si pregasse per lui, e lo feci anch’io, salvo che non potevo farlo con quell’impegno che ci avrei messo se non avessi avuto quella visione. Quando, infatti, il Signore mi mostra l’ascesa al cielo di un’anima, e poi voglio raccomandargliela, non posso fare a meno di pensare che è come fare elemosina a un ricco. Seppi in seguito – perché morì assai lontano da qui – quale morte Dio gli aveva concesso. Fu di così grande edificazione che lasciò tutti pieni di meraviglia, così per la lucidità di mente come per le lacrime e l’umiltà con cui era spirato.

28. Era morta in questa casa da poco più di un giorno e mezzo una monaca che era una gran serva di Dio. Mentre una religiosa stava leggendo una lezione dell’Ufficio dei defunti che si recitava nel coro per lei, io stavo in piedi, per aiutarla a dire il responsorio. A metà della lezione la vidi e mi parve che la sua anima uscisse dalla stessa parte della precedente visione e se ne andasse in cielo. Questa non fu una visione immaginaria, come la prima; fu come le altre di cui ho parlato, ma sono tutte visioni che non lasciano dubbi.

29. Sempre in questa mia stessa casa morì un’altra monaca, di circa diciotto o vent’anni. Era stata sempre ammalata, ma, ciò nonostante, gran serva di Dio, sempre assidua al coro e molto virtuosa. Pensai che, certamente, non sarebbe passata per il purgatorio, avendo sofferto tante malattie da avere molti meriti perché le fosse risparmiato. Infatti, circa quattro ore dopo la sua morte, mentre si recitavano le Ore prima di seppellirla, la vidi uscire dal medesimo luogo e andarsene in cielo.

30. Un giorno, mentre ero in un collegio della Compagnia di Gesù, in preda a quelle grandi sofferenze di anima e di corpo che qualche volta, come ho detto, avevo e tuttora ho, mi sentivo talmente affranta da essere incapace – a quanto ricordo – anche di concepire un buon pensiero. La notte stessa era morto in quella casa un fratello della Compagnia: mentre lo raccomandavo a Dio come potevo e ascoltavo la Messa che un altro padre gesuita celebrava in suo suffragio, caddi in un profondo raccoglimento e lo vidi salire in cielo con molta gloria, accompagnato dal Signore. Capii che egli lo accompagnava per un particolare favore.

31. Era molto ammalato anche un religioso del nostro Ordine, di straordinaria virtù: mentre ascoltavo la Messa, entrai in raccoglimento e vidi che era morto e che saliva al cielo senza passare per il purgatorio. A quanto seppi dopo, era morto nella stessa ora in cui l’avevo visto. Mi stupii del fatto che non fosse passato per il purgatorio; ma mi fu detto che, essendo stato un religioso fedelmente rispettoso della sua Regola, le Bolle dell’Ordine gli erano state utili a renderlo esente dal purgatorio. Non so perché mi fu rivelato questo, ma credo perché capissi che l’abito non fa il monaco; voglio dire che non basta portare l’abito religioso per godere dei benefici di questo stato di maggior perfezione che è la vita monastica.

32. Non voglio parlar oltre di queste cose perché, come ho detto, non c’è motivo di farlo, anche se sono molte le visioni di cui il Signore mi ha fatto la grazia. Ma in tutte quelle che ho avuto non ho mai visto nessun’anima che abbia evitato di entrare nel purgatorio, tranne quella del padre anzidetto, quella del santo fra Pietro d’Alcántara e quella del padre domenicano di cui ho parlato. Di alcuni il Signore si è compiaciuto di farmi vedere il grado di gloria che hanno e il posto che occupano in cielo, e grande è la differenza che c’è tra gli uni e gli altri.

CAPITOLO 39

Prosegue sullo stesso argomento delle insigni grazie che il Signore le ha fatto e dice come le abbia promesso di aiutare le persone che ella gli avrebbe raccomandato, segnalando vari casi in cui il Signore le ha concesso questo favore.

1. Un giorno stavo pregando insistentemente il Signore perché restituisse la vista a una persona a cui ero molto obbligata, che l’aveva perduta quasi del tutto. Mi faceva una gran pena, ma temevo che, per i miei peccati, il Signore non mi avrebbe ascoltata. Mi apparve allora come altre volte e, mostrandomi la piaga della mano sinistra, con l’altra ne tirò fuori un grosso chiodo che vi era infilato. Mi sembrava che, insieme al chiodo, tirasse fuori la carne; il suo grande dolore, che mi straziava, era evidente. Mi disse di non temere, perché chi aveva tanto sofferto per me, a maggior ragione avrebbe fatto quello che gli chiedevo. Mi promise che non ci sarebbe stato nulla che io gli chiedessi che egli non avrebbe fatto, ben sapendo che io non gli avrei mai chiesto alcuna cosa che non fosse conforme alla sua gloria. Pertanto avrebbe esaudito la preghiera che in quel momento gli rivolgevo; anche quando non lo servivo, potevo vedere io stessa che non gli avevo mai chiesto nulla che egli non mi avesse concesso, meglio e più di quanto avessi potuto chiedere; a maggior ragione l’avrebbe fatto ora che sapeva che io l’amavo, perciò non ne dovevo dubitare. Non erano ancora passati, credo, otto giorni, che quella persona riacquistò la vista. Il mio confessore lo venne a sapere subito. Può anche darsi che ciò non fosse per le mie preghiere, ma siccome io avevo avuto quella visione, ne fui così certa che ne ringraziai Sua Maestà come di una grazia fatta a me.

2. Un’altra volta c’era una persona molto ammalata di una malattia assai penosa, che non dico per non sapere di che genere fosse. Era intollerabile ciò che soffriva da due mesi, in preda ad un tormento da cui si sentiva dilaniare. Andò a vederla il mio confessore, che era quel rettore già ricordato, e, avendone gran pena, mi pregò di farle una visita, anche perché si trattava di una persona per la quale potevo farlo, essendo mia parente. Ci andai e ne ebbi tanta compassione, che cominciai a pregare il Signore con molta insistenza per la sua salute. La grazia mi parve molto evidente, questa volta, perché subito, il giorno dopo, era completamente guarita da quel male.

3. Un giorno mi sentivo profondamente afflitta, perché avevo saputo che una persona, verso la quale ero molto obbligata, voleva fare una cosa assolutamente contraria a Dio e al suo stesso onore, ed era ormai ben decisa a ciò. Era tanta la mia pena che non sapevo cosa fare, perché non pareva ci fosse più alcun rimedio a cui ricorrere per distoglierla dal suo proposito. Supplicai Dio con tutto il mio cuore che trovasse lui un rimedio, ma finché non mi fossi vista esaudita, la mia pena non poteva certo calmarsi. Me ne andai, così sconvolta, in uno di quei romitori ben appartati di questo monastero e precisamente in quello in cui è dipinto Cristo alla colonna; e mentre supplicavo il Signore di farmi questa grazia, udii il suono di una voce soavissima, come una musica sottile. Mi si rizzarono i capelli in testa dallo spavento: avrei voluto capire quello che mi diceva, ma non mi fu possibile, perché durò solo un attimo. Passata poi la paura, che passò ben presto, mi rimase una tale serenità, una tale gioia e una tale dolcezza nell’anima, che io mi stupii che soltanto l’udire una voce, percepita con le orecchie del corpo, senza capire nulla, avesse potuto operare in essa tutto questo. Ciò mi fece intendere che lamia preghiera sarebbe stata esaudita e, pertanto, sparì del tutto l’angoscia dal mio cuore, come se ciò fosse già avvenuto, benché ancora non lo fosse e solo più tardi io l’ottenessi. Lo dissi ai miei confessori perché allora ne avevo due, molto dotti e gran servi di Dio.

4. Seppi di una persona che, dopo essersi decisa a servire fedelmente Dio ed aver praticato per qualche tempo l’orazione, in cui Sua Maestà le faceva molte grazie, l’aveva abbandonata per via di certe occasioni in cui era incappata, dalle quali non sapeva ancora allontanarsi e che erano molto pericolose. Mi dispiacque moltissimo, perché era una persona che amavo molto e alla quale dovevo molto. Credo che per più di un mese non feci altro che supplicare Dio di richiamarla a sé. Un giorno, mentre ero in orazione, vidi accanto a me un demonio che, pieno di rabbia, faceva a pezzi certi fogli che aveva in mano; ne fui molto consolata, sembrandomi che la mia preghiera fosse stata esaudita. E, infatti, fu così, perché seppi in seguito che quella persona aveva fatto con profonda contrizione una confessione generale ed era ritornata così sinceramente a Dio, che spero in lui perché debba sempre grandemente progredire. Sia egli per tutto benedetto! Amen.

5. Questa grazia di togliere alcune anime da gravi peccati e di trarne altre a maggior perfezione per le mie suppliche, il Signore me l’ha concessa molte volte. Se dovessi raccontare tutte quelle che egli mi ha fatto, liberandone molte dal purgatorio, e le altre cose straordinarie che mi ha concesso, finirei per stancarmi e stancherei chi mi legge, e molto più per quanto riguarda la salute delle anime che per quella dei corpi. È cosa notoria, della quale esistono parecchi testimoni. Da principio ne avevo molto scrupolo perché – a prescindere dal fatto di riconoscere che tali grazie dipendevano soprattutto dalla bontà di Dio – non potevo rinunziare a credere che il Signore le facesse per le mie preghiere, ma sono ormai tante queste cose e così conosciute da altre persone che non mi dà pena la mia convinzione, ne lodo Sua Maestà e, se mi sento confusa per vedermi ancor più debitrice verso di lui, ciò, a quanto mi sembra, fa crescere il mio desiderio di servirlo e avviva il mio amore. Quel che più mi stupisce è che le cose che il Signore non ritiene conveniente accordare, non posso, pur volendo, chiedergliele se non con grande debolezza, senza energia né calore e, per quanti sforzi faccia, non riesco a pregarlo come per altre cose di cui accoglierà la richiesta, che sento di poter sollecitare spesso e con grande insistenza. Anche se mi accade di trascurare di farlo, sembra che qualcuno me lo richiami alla mente.

6. La differenza di questi due modi di pregare è così grande che non so come spiegarla: nel primo caso, pur pregando per cose che mi toccano da vicino (perché non tralascio di supplicare il Signore, anche se non sento in me quel fervore che ho per le altre cose), mi avviene come a chi ha la lingua impacciata, il quale vuol parlare e non può e, se parla, lo fa in modo tale da rendersi conto di non esser capito. Invece, nel secondo caso, sono come chi parla chiaro e spedito e sente di essere ascoltato volentieri. Nel primo caso è come chiedere, tanto per intenderci, con orazione vocale; nell’altro come farlo in una di quelle elevate contemplazioni nelle quali il Signore si manifesta in modo tale da far capire che ci ascolta, che si compiace delle nostre richieste e che le vuole esaudire. Sia benedetto per sempre chi mi dà tanto mentre io gli do così poco! Infatti, mio Signore, che cosa fa chi non si consuma tutta per voi? E quanto, quanto, quanto – potrei dirlo altre mille volte – sono ancora lontana da ciò! Per questo (e per molti altri motivi) non dovrei più voler vivere, perché non vivo in conformità di quel che vi devo. Con quante imperfezioni mi vedo! Con quanta rilassatezza nel servirvi! Non c’è dubbio che, a volte, vorrei proprio esser priva di sentimento, per non sentire tutto il male ch’è in me. Vi rimedi colui che lo può!

7. Mentre ero in casa di quella signora di cui ho parlato, dovevo stare molto attenta e aver sempre presente la vanità che comportano tutte le cose umane, perché lì ero molto stimata e molto lodata e mi si offrivano tante cose alle quali avrei ben potuto attaccarmi, se avessi guardato a me, ma colui che vede con gli occhi della verità badava a non ritirare da me la sua mano.

8. Ora che parlo di «occhi della verità», ricordo le grandi pene che soffrono le anime a cui Dio ha svelato la verità, nell’occuparsi delle cose di quaggiù, dove essa è tanto oscurata, come mi disse una volta il Signore. Infatti, molte delle cose che qui scrivo non vengono dalla mia testa, ma dettate dal mio divino Maestro; perciò, quando dico: «ho inteso così» oppure «il Signore mi ha detto», mi faccio grande scrupolo di aggiungere o di togliere anche una sola sillaba. Quando, invece, non ricordo esattamente tutto, parlo in nome mio, perché qualcosa di mio può anche darsi che ci sia. Non chiamo mio quello che v’è di buono, ben sapendo che in me non c’è nulla di buono, tranne ciò che mi ha dato il Signore senza alcun merito mio, ma quanto «è detto da me» senza che ne abbia avuto conoscenza per via di rivelazione.

9. Ma ahimè, Dio mio, quante volte vogliamo giudicare anche le cose spirituali come quelle del mondo, in base alle nostre vedute personali, che spesso ci discostano molto dalla verità! Ci sembra di dover valutare il nostro profitto in rapporto agli anni che abbiamo trascorso in qualche esercizio di orazione, pretendendo quasi di stabilire una misura per colui che senza alcuna misura dà i suoi doni quando vuole, e che può dare a uno in sei mesi più che a un altro in molti anni. Questa è una cosa che ho costatato in modo così evidente in tante persone che mi meraviglio come si possa ancora cadere in errore.

10. Sono certa, però, che non cadrà in quest’inganno chi possieda il talento di conoscere gli spiriti e a cui il Signore abbia dato una vera umiltà, perché egli giudica dagli effetti, dalle risoluzioni e dall’amore, e Dio gli infonde luce per conoscerli. In base a ciò fa stima del progresso e del profitto delle anime, non in base agli anni, poiché, ripeto, in sei mesi uno può aver progredito di più che non un altro in venti; il Signore, come ho detto, dà i suoi doni a chi vuole, e anche a chi meglio si dispone a riceverli. Ecco perché io vedo ora venire in questa casa alcune ragazze giovanissime, le quali, non appena Dio le tocca con la sua grazia, dando loro un po’ di luce e di amore, non appena, dico, le favorisce dei suoi doni, non aspettano più altro, né badano a nulla e, incuranti di quel che mangeranno, si chiudono per sempre in una casa senza rendite, come chi non fa stima della vita per amor di colui da cui sa d’essere amato. Abbandonano tutto, non vogliono più aver volontà, né pensano che una così stretta clausura potrebbe renderle infelici, ma si offrono tutte quante in sacrificio a Dio.

11. Con quanto piacere le riconosco in ciò superiori a me e come dovrei essere piena di vergogna dinanzi a Dio! Infatti, quello che Sua Maestà non è riuscito a ottenere da me in tanti anni, quanti ne son passati da quando ho cominciato a praticare l’orazione e a ricevere grazie, l’ha ottenuto da loro in tre mesi e anche, da qualcuna, in tre giorni, nonostante che le grazie ad esse concesse siano inferiori alle mie; ma pur sempre egli le ricompensa con generosità, e certamente non sono pentite di quanto hanno fatto per lui.

12. Per questo io vorrei che ricordassimo i molti anni – noi che molti ne abbiamo – di professione o, chi no sia religioso, di orazione, e non per tormentare coloro che in poco tempo ci sorpassano, facendoli tornare indietro, perché si adeguino al nostro passo e voler che chi vola come un’aquila, con le grazie che riceve da Dio, cammini come un pulcino impastoiato. Volgiamo, invece, lo sguardo a Sua Maestà e, se vedremo che quelle anime sono umili, allentiamo le briglie, perché il Signore, che fa loro tante grazie, non permetterà che precipitino in basso. Esse confidano in Dio, appoggiandosi alla conoscenza della verità della fede, e perché non dovremo fidarci di loro e vogliamo misurarle col nostro metro, in base alla bassezza dell’animo nostro? Non è così che si deve fare; se non riusciamo a conseguire i loro grandi effetti ed emularle nelle determinazioni, che senza esperienza non si possono intendere, umiliamoci e non condanniamole, altrimenti, mirando apparentemente al loro profitto, finiremo col toglierlo a noi e perderemo l’occasione che il Signore ci offre per umiliarci e conoscere quel che ci manca e quanto più di noi queste anime siano staccate dal mondo e vicine a Dio, poiché Sua Maestà si unisca a loro così intimamente.

13. Io l’intendo soltanto così e non vorrei pensarla diversamente. Un’orazione di data recente, che produce effetti straordinari, subito riconoscibili (essendo impossibile rinunziare a tutto, solo per contentare Dio, senza la forza di un grande amore), io la preferisco a quella che dura da vari anni, ma che non è mai riuscita, alla fine come al principio, a indurci a far qualcosa per Dio, tranne che non si ritengano per effetti di gran virtù e mortificazione certe inezie, piccole come granelli di sale, che non hanno peso né volume, tanto che un uccellino se le potrebbe portare via nel becco. Fa pena l’importanza che diamo a certe piccole cose che facciamo per il Signore, fossero pur molte. Eppure, io mi comporto così e dimentico ad ogni istante le grazie ricevute. Non dico che Sua Maestà, nella sua bontà, non apprezzi tali atti, ma vorrei io non tenerli in alcun conto e neppure accorgermi di farli, perché non sono nulla. Voi perdonatemi, mio Signore, e non vogliate farmene una colpa, perché, siccome non vi servo in nulla, con qualche piccola cosa mi debbo consolare. Se, invece, vi servissi in cose maggiori, non farei caso di questi nonnulla. Beate le persone che vi servono con grandi opere! Se l’invidia e il desiderare d’essere simile a loro potessero valermi a qualcosa, non resterei molto indietro alle altre nel contentarvi; ma non sono buona a nulla, mio Signore. Datemi un po’ di forza voi che tanto mi amate.

14. Uno di questi giorni, dopo l’arrivo da Roma del Breve che autorizzava il nostro monastero a vivere senza rendite e concludeva l’affare di questa fondazione, che mi pare sia costato non poche tribolazioni, mentre, assai consolata da tale conclusione, lodavo il Signore che si era compiaciuto di servirsi di me, mi accadde di cominciare a ripensare alle cose che mi erano accadute. In ognuna di quelle in cui mi sembrava d’aver fatto qualcosa di buono, trovavo una quantità di difetti e di imperfezioni, a volte per mancanza di coraggio, e spesso per poca fede, perché fino ad oggi, in cui vedo adempiuto tutto ciò che il Signore mi diceva circa l’immancabile fondazione di questa casa, non sono mai riuscita a persuadermene con certezza, sebbene, al tempo stesso, non potessi dubitarne. Non so come ciò fosse, perché molte volte, mentre da una parte la fondazione mi pareva impossibile, dall’altra mi sembrava una cosa talmente sicura da non poter credere che non si sarebbe fatta; infine, pervenuta alla conclusione che quanto c’era di buono l’aveva fatto il Signore e io il cattivo, smisi di pensarci e non vorrei più ricordarmene, per non ritrovarmi innanzi a tanti difetti. Sia benedetto colui che, quando vuole, sa ricavare il bene da tutto! Amen.

15. Dicevo, dunque, che è pericoloso calcolare gli anni passati in orazione perché, anche se si abbia umiltà, può forse restare una certa persuasione di meritare qualcosa per aver servito Dio. Non dico che non ci sia merito, e sarà ben ricompensato, ma sono certa che qualunque persona spirituale pensi di meritare i favori di Dio per i molti anni trascorsi nell’orazione, non arriverà mai alla vetta della perfezione. Non è già molto che Dio l’abbia sostenuta con la sua mano, precludendole la possibilità di arrecargli offesa, come faceva prima di praticare l’orazione? E vuole, come suol dirsi, intentargli un processo per il suo stesso denaro? Non mi sembra, questa, profonda umiltà. Può anche essere che lo sia, ma per me è vera temerarietà; io, invece, quantunque abbia poca umiltà, non credo di aver mai osato fare una cosa simile. Sarà certo perché, non avendo mai servito davvero, non ho mai chiesto nulla; se per caso l’avessi fatto, ne vorrei forse più di tutti gli altri la ricompensa da lui.

16. Non dico che un’anima non faccia progressi e che Dio non le darà una ricompensa, se l’orazione è stata umile; dico che deve dimenticare gli anni trascorsi in essa, perché tutto ciò che possiamo fare non è che uno schifo di fronte a una sola goccia di sangue sparsa dal Signore per noi. E se, quanto più lo serviamo, tanto più il nostro debito aumenta, che mai chiediamo, dunque, visto che per un maravedì in acconto del nostro debito, ci dà in cambio mille ducati? Per amor di Dio, lasciamo stare questi calcoli che spettano a lui. Se i confronti sono sempre odiosi, anche nelle cose di quaggiù, che sarà in quelle che Dio solo conosce? Sua Maestà ce lo ha dimostrato chiaramente quando pagò agli ultimi la stessa somma che ai primi.

17. Ho scritto questi tre fogli in tanti giorni e in tante volte diverse – perché ho avuto e ho poco tempo, come ho detto – da essermi dimenticata di quello che avevo cominciato a dire, cioè la seguente visione. Mentre ero in orazione, mi vidi sola, in un gran campo, attorniata da una moltitudine di gente di diversa condizione; mi sembrava che tutti avessero armi in mano per colpirmi: alcuni lance, altri spade, altri daghe e altri stocchi molto lunghi. Insomma, io non potevo fuggire da nessuna parte senza espormi a un pericolo di morte, ed ero sola, senza poter trovare alcuno che mi difendesse. Con l’anima stretta d’angoscia e non sapendo che fare, alzai gli occhi al cielo, e vidi Cristo, non nel cielo, ma librato nell’aria, ben alto su di me, che di là mi tendeva la mano e mi proteggeva, tanto che io non temevo più tutta quella gente la quale, anche volendolo, non avrebbe potuto farmi alcun male.

18. Questa visione, che potrebbe sembrare di nessuna utilità, mi fu invece di grandissimo profitto perché riuscii a capirne il significato. Poco dopo, infatti, mi vidi quasi in quella stessa situazione e capii che quella visione rappresentava il mondo, dove sembra che ogni cosa sia armata per colpire la povera anima nostra. Lasciamo da parte coloro che sono tiepidi nel servizio di Dio, gli onori, le ricchezze, i piaceri e altre cose simili da cui l’anima, senza rendersene conto, si trova irretita, o per lo meno è chiaro che tutte quante tentano d’irretirla. Io parlo di amici, parenti e, quel che più mi stupisce, di persone assai virtuose; mi vidi così assediata da ogni parte che, pur pensando tutti, certo, di fare il mio bene, io non sapevo come difendermi né a che partito appigliarmi.

19. Oh, Dio mio, se dovessi dire quanti generi e qualità di tribolazioni ebbi a soffrire in quel tempo, oltre quelle che ho già raccontato, che grande ammonimento sarebbe per disprezzare senza eccezione ogni cosa di questo mondo! Fu questa, credo, la maggiore persecuzione, fra quante ne ho sofferte. Alle volte, ripeto, mi vedevo così incalzata da ogni parte che il mio unico rimedio era quello di alzare gli occhi al cielo e d’invocare Dio. Ricordavo bene quanto avevo appreso da questa visione. E mi fu di gran profitto per non fidarmi troppo di nessuno perché, all’infuori di Dio, non c’è nessuno che sia fedele. In queste grandi tribolazioni egli, come mi aveva mostrato in quella visione, mi mandava sempre qualcuno a tendermi una mano da parte sua e, non essendo io attaccata a nulla che non fosse il desiderio di compiacere il Signore, tale aiuto bastava a sostenere quel po’ di virtù che avevo nel nutrire tale desiderio. Sia benedetto per sempre!

20. Una volta, mentre ero molto inquieta e turbata, in preda a una battaglia e a una lotta interiore che m’impedivano di raccogliermi, mentre il pensiero se ne andava dietro cose imperfette (mi sembrava di non sentire ancora quel distacco che adesso sono solita avere), vedendomi così misera, ebbi paura che le grazie ricevute dal Signore fossero illusioni; in conclusione, la mia anima era immersa nelle più fitte tenebre. Mentre ero in tale angoscia, il Signore cominciò a parlarmi e mi disse di non affliggermi, perché, vedendomi in quello stato, avrei capito quale misera cosa fossi, senza di lui, e come non ci sia alcuna sicurezza finché viviamo in questa carne mortale. Mi fece comprendere il valore della nostra lotta e dei nostri contrasti in vista del premio che ci attende e mi parve che avesse compassione di tutti noi che viviamo in questo mondo. Mi esortò a non pensare che egli mi avesse dimenticato, perché non mi avrebbe mai abbandonato, ma era necessario che facessi quanto era in me per servirlo. Questo mi disse il Signore con bontà ed amore e aggiunse altre parole, che non credo sia il caso di ripetere e che mi furono di grande gioia.

21. Sua Maestà, dimostrandomi grande amore, ecco quali parole mi dice spesso: «Ormai sei mia e io sono tuo». Quelle che io sono solita ripetergli e, a mio giudizio, le dico con sincerità, son le seguenti: «Che m’importa, Signore, di me? M’importa solo di voi». Quando ricordo che cosa sono io, le sue parole e la gioia che esse comportano mi riempiono di tale confusione che, come credo d’aver detto altre volte e come dico ora alcune volte al confessore, mi pare sia necessario più coraggio per ricevere queste grazie che per sopportare i più grandi tormenti. Allorché accade ciò, perdo quasi il ricordo delle mie azioni e non vedo che la mia miseria, senza intervento dell’intelletto; pertanto, a volte, mi sembra cosa soprannaturale.

22. Talora sono presa da una così viva ansia di comunicarmi, che non so come descriverla. Avvenne una mattina che piovesse tanto da non farmi ritenere possibile uscire di casa. Ma, una volta uscita, l’impeto di quel desiderio mi travolse a tal punto che, anche se mi avessero puntato lance al petto, non mi sarei fermata, tanto meno poteva trattenermi un po’ d’acqua! Giunta in chiesa, fui presa da un gran rapimento. Mi parve di vedere aprirsi il cielo, e non per un semplice varco, come altre volte. Mi fu mostrato il trono che ho detto alla signoria vostra di aver già visto, e sopra quello un altro, dove, per una rivelazione che non so dire, anche se non lo vidi, capii che stava la Divinità. Mi sembrava che il trono fosse sorretto da certi animali di cui credo di aver udito la descrizione, e pensai che essi fossero il simbolo degli evangelisti. Non vidi né come fosse il trono, né chi vi sedesse sopra, ma solo una moltitudine di angeli che mi parvero di una bellezza senza confronto, superiore a quella degli angeli fino allora visti in cielo. Pensai che fossero serafini o cherubini, perché la loro gloria è assai diversa da quella degli altri, e mi apparivano infiammati d’amore di Dio. La differenza, come ho detto, è grande e così grande anche il gaudio che allora sentivo in me, da non potersi descrivere né dire, né poter mai essere immaginato da chi non ne abbia fatto esperienza. Mi resi conto che lì era riunito tutto quanto di meglio si possa desiderare, pur non vedendo nulla. Mi fu detto, non so da chi, che l’unica cosa ch’io allora potessi fare era capire che non capivo nulla e considerare che tutto è niente in paragone di quel bene. Fu così che, dopo, la mia anima si vergognava al pensiero di potersi soffermare in qualsiasi cosa terrena, tanto più, poi, di legarsi ad essa, perché l’universo intero mi sembrava, ormai, un formicaio.

23. Mi comunicai, ascoltai la Messa, e non so come potei ascoltarla. Mi parve che la visione fosse durata pochissimo tempo; fu grande, quindi, la mia meraviglia quando, al battere dell’orologio, mi accorsi d’essere rimasta due ore in quel rapimento e in quella gloria. Ero, poi, stupita del fatto che, avvicinandosi questo fuoco di vero amore di Dio, che sembra venire dall’alto (infatti, per quanto lo desideri, lo cerchi e mi consumi per averlo, se non è per volere di Dio, come ho detto altre volte, non posso far nulla per ottenerne nemmeno una scintilla), par quasi che esso estingua nel vecchio uomo i difetti, la tiepidezza e le miserie e, al modo della fenice che – a quanto ho letto – rinasce diversa dalla stessa cenere dopo che il fuoco l’ha bruciata, così si trasforma l’anima in questo fuoco, uscendone con nuovi desideri e con grande forza. Non sembra più quella di prima, ma sembra che cominci con rinnovata purezza a percorrere il cammino del Signore. Mentre pregavo Sua Maestà che fosse così anche per me, e che potessi ritornare a servirlo con nuovo ardore, mi disse: «Hai fatto un bel paragone; bada di non dimenticarlo, per cercare di migliorarti sempre più».

24. Un’altra volta, mentre ero nello stesso dubbio di cui ho parlato poco fa, cioè se queste visioni provenissero o no da Dio, mi apparve il Signore il quale mi disse severamente: «Oh, figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore?». Mi esortò, poi, ad esaminare bene una cosa in me: se mi ero data a lui totalmente o no; se sì, come era in effetti, dovevo tenere per certo che non avrebbe mai permesso che mi perdessi. Quella esclamazione mi aveva procurato grande sofferenza. Egli, allora, tornò a dirmi con gran tenerezza e bontà che non mi affliggessi, che ormai sapeva che da parte mia avrei affrontato qualunque cosa per il suo servizio; che avrebbe esaudito ogni mio desiderio (e fu infatti così per quello di cui allora lo supplicavo); che considerassi come in me l’amore per lui andasse sempre aumentando, per convincermi che non c’era di mezzo il demonio; che non pensassi che Dio avrebbe mai consentito al demonio di aver tanta parte nell’anima dei suoi servi da potermi dare così grande chiarezza di intelligenza e tranquillità d’animo com’era quella che avevo. Mi fece infine osservare che, dopo l’assicurazione avuta da tante e tali persone circa la divina provenienza delle mie visioni, avrei fatto male a non crederlo.

25. Un giorno, mentre recitavo il salmo Quicumque vult, riuscii a capire così chiaramente esservi un Dio solo in tre Persone, che ne rimasi assai sorpresa e consolata. Ciò mi aiutò molto a meglio conoscere la grandezza di Dio e le sue meraviglie; così, quando penso alla santissima Trinità o ne sento parlare, mi sembra di capirne qualcosa e ne sono felice.

26. Un giorno in cui ricorreva la festa dell’Assunzione della Regina degli angeli e nostra Signora, il Signore volle farmi questa grazia: in un rapimento mi fece vedere la sua ascesa al cielo, la letizia e la solennità con cui fu ricevuta e il posto che occupa. Non saprei dire come ciò sia avvenuto. Fu una gioia straordinaria per il mio spirito la vista di tanta gloria; me ne rimasero grandi effetti e progredii molto nel desiderare maggiormente di soffrire grandi pene e di servire questa Signora che tanto ha meritato.

27. Stando un giorno in un collegio della Compagnia di Gesù, mentre i fratelli di quella casa prendevano la comunione, vidi sulle loro teste un sontuoso baldacchino. Lo vidi due volte. Quando, invece, si comunicavano altre persone non lo vedevo.

CAPITOLO 40

Prosegue nel descrivere le grandi grazie che il Signore le ha fatto. Da alcune si possono ricavare insegnamenti molto utili; questo, infatti, è stato, come si è detto, il suo principale intento, dopo quello di obbedire: scrivere cose che possono giovare alle anime. Con questo capitolo termina il racconto scritto della sua vita. Sia esso a gloria del Signore! Amen.

1. Una volta, mentre ero in orazione, sentivo in me una così grande dolcezza che, considerandomi indegna di tal bene, cominciai a pensare quanto avrei meritato piuttosto di stare in quel luogo che avevo visto preparato per me all’inferno, giacché – come ho detto – non dimentico mai la triste situazione in cui allora mi vidi. Con questa considerazione la mia anima andò infiammandosi sempre più e mi venne un tale rapimento che non so descriverlo. Mi sembrò che il mio spirito si riempisse e compenetrasse di quella maestà che avevo veduto altre volte, e in essa compresi una verità che è il compimento di tutte le verità. Non so dire come ciò sia avvenuto, perché non vidi nulla; mi fu detto, senza che vedessi da chi, ma ben comprendendo che era la stessa Verità a parlare: «Non è poco quello che faccio per te, anzi, è una delle grazie per cui tu mi devi molto, perché tutto il male del mondo deriva dal non conoscere chiaramente le verità della sacra Scrittura; di quanto è lì detto non mancherà di avverarsi neanche una virgola». A me pareva di aver sempre creduto così e che così credessero tutti i fedeli. Allora mi disse: «Ahimè, figlia mia, come son pochi quelli che mi amano veramente! Se mi amassero, infatti, io non nasconderei loro i miei segreti. Sai tu che cosa vuol dire amarmi veramente? Comprenderai chiaramente ciò che ora non intendi, dal profitto che ne trarrà la tua anima».

2. E infatti l’ho visto; sia lodato il Signore, perché da allora in poi mi appare così pieno di vanità e di menzogna tutto ciò che non è rivolto al servizio di Dio, che non saprei dire come lo intendo e la pena che mi fanno coloro che vedo all’oscuro di questa verità. Con questo ebbi altri vantaggi di cui ora parlerò, anche se molti non saprò descriverli. Il Signore, in tale circostanza, mi disse una parola speciale, di grandissimo favore. Non so come ciò sia avvenuto, perché non vidi nulla, ma rimasi in una condizione di spirito che mi è ugualmente impossibile descrivere: con una enorme forza, sinceramente disposta a far di tutto per adempiere gli insegnamenti della sacra Scrittura nei minimi particolari. Per questo fine, mi pare, non sarei indietreggiata di fronte a nessun ostacolo.

3. Mi rimase impressa una tale cognizione di questa divina verità apparsami nel rapimento, senza sapere né come né perché, da farmi sentire uno straordinario rispetto per Dio, di cui rivela la maestà e la potenza in modo ineffabile; posso, quindi, capire che è una gran cosa. Mi restò un vivo desiderio di non parlare se non di cose indubitabili, di gran lunga superiori a quelle che sono oggetto delle conversazioni del mondo, pertanto cominciai a soffrire di vivere in esso. Mi lasciò anche in cuore una gran tenerezza, gioia e umiltà; mi sembra proprio che, pur senza che abbia capito come, il Signore in questo rapimento mi favorì molto. Non mi sorse alcun sospetto che potesse trattarsi di illusione; non vidi nulla, ma capii il gran bene che si ricava dal non far conto di ciò che non possa avvicinarci di più a Dio e che cosa sia per un’anima procedere nella verità alla presenza della stessa Verità. Capii, cioè, che il Signore volle farmi intendere di essere la stessa Verità.

4. Tutto quello che ho detto d’aver inteso mi fu comunicato a volte per mezzo di parole. Intesi altissime verità circa questa verità, meglio che se me l’avessero insegnato molti dotti. Non credo, infatti, che costoro in nessun modo avrebbero potuto imprimermele così profondamente nell’anima, né darmi una così chiara convinzione della vanità di questo mondo. La verità cui faccio riferimento nel dire d’averla capita è l’essenza della Verità, senza principio né fine, da cui dipendono tutte le altre verità, come tutti gli altri amori da questo Amore e tutte le grandezze da questa Grandezza, benché sia un parlare oscuro il mio, in confronto alla chiarezza con cui il Signore si degnò di farmi intendere tutto ciò. E come appare evidente la potenza di questa Maestà che, in così breve tempo, lascia grandi effetti e tali verità impresse nell’anima! Oh Grandezza e Maestà mia! Che fare mai, mio onnipotente Signore? Considerate a chi state dando grazie così sublimi! Non vi ricordate che questa mia anima fu un abisso di menzogne e un pelago di vanità, e per mia esclusiva colpa perché, pur avendomi voi dato una naturale avversione per la menzogna, io stessa ho procurato in molte cose di coltivarla? Come si può mai sopportare, mio Dio, come si può indulgere a dare tanto amore e tante grazie a chi se ne è resa così immeritevole?

5. Una volta, mentre stavo recitando le Ore con la comunità, l’anima mia si sentì improvvisamente raccolta e mi parve che fosse come uno specchio luminoso in ogni parte, senza nulla, né dietro né ai lati né in alto né in basso, che non risplendesse. Al suo centro mi apparve nostro Signore Gesù Cristo, come sono solita vederlo. Mi sembrava riflesso in ogni parte della mia anima così chiaramente come in uno specchio, e a sua volta lo specchio – io non so come – si rifletteva tutto nel Signore stesso, per una comunicazione altamente amorosa che non so riferire. So che questa visione mi fu di gran profitto e lo è sempre quando mi ricordo di essa, specialmente dopo la comunione. Mi resi conto che, se un’anima è in peccato mortale, questo specchio si copre di una fitta nebbia e diventa assai scuro, cosicché il Signore non vi può più apparire né essere visibile, sebbene sia sempre presente quale datore della vita. Negli eretici lo specchio è come se fosse rotto, il che è assai peggio che se fosse oscurato. Ma è difficile far capire queste cose, perché altro è vedere e altro è dire. Io ne trassi, ripeto, gran profitto e mi rammaricai molto di aver oscurato tante volte con il peccato la mia anima, privandomi della vista del Signore.

6. Questa visione mi sembra assai proficua per le anime che si danno al raccoglimento, perché insegna a contemplare il Signore nell’intimo di se stessi, considerazione che colpisce di più ed è molto più fruttuosa che non il pensare a lui fuori di noi, come ho detto altre volte, e com’è scritto in alcuni libri di orazione che insegnano il modo di cercare Dio. Lo dice specialmente il glorioso sant’Agostino, il quale non lo trovava né nelle pubbliche piazze, né tra i piaceri né ovunque lo cercasse, come dentro se stesso. Ed è evidente che questo è il modo migliore, perché non occorre andare in cielo né uscire da noi stessi, cosa che stanca lo spirito, distrae l’anima e non dà risultati altrettanto vantaggiosi.

7. Voglio qui dare un avviso a chi avesse un grande rapimento: che in esso accade, trascorso quel momento in cui l’anima è nello stato di unione (quando le potenze sono completamente assorte, il che, come ho detto, dura poco), che l’anima rimanga ancora raccolta e neanche esteriormente possa tornare in sé, restando le due potenze, memoria e intelletto, come in preda a delirio, specialmente all’inizio. Mi chiedo se provenga dal fatto che la nostra naturale debolezza non può sopportare una così intensa attività dello spirito che infiacchisce l’immaginazione. So che ciò accade ad alcune persone le quali farebbero bene, a mio parere, a sforzarsi sospendere, per il momento, l’orazione, ricuperando più tardi quel tempo che perdono, non subito, perché potrebbero averne molto danno; l’esperienza fa fede di questo e di quanto sia opportuno controllare le nostre forze fisiche.

8. In tutto ci vuole esperienza e un maestro, perché, una volta che l’anima sia giunta a questo stato, le si presenteranno molte circostanze in cui sarà necessario confidarsi con qualcuno. Se, pur cercandolo, non lo trova, non le mancherà l’aiuto del Signore, come non è mancato a me, essendo quella che sono. Credo, infatti, che siano pochi ad aver fatto esperienza di tante cose, e se manca l’esperienza è escluso che si possa porgere aiuto ad altri, senza esser causa d’inquietudine e di tormento. Ma il Signore terrà conto anche di questo, pertanto è meglio trattare con il proprio confessore, che sia sperimentato. L’ho già detto altre volte, come, forse, avrò anche fatto per tutto ciò che vado scrivendo, ma non essendone sicura, lo ripeto, perché è molto importante, specialmente per le donne. Infatti, sono molto più numerose le donne che gli uomini che ricevono queste grazie da Dio, come udii dal santo fra Pietro d’Alcántara (e ho visto io stessa), il quale diceva che le donne in questo cammino fanno maggiori progressi degli uomini, e recava di ciò eccellenti ragioni, che qui non è il caso di riferire, tutte in favore delle donne.

9. Stando un giorno in orazione, mi fu mostrato in rapidissima visione, senza che vedessi nulla di preciso, ma con assoluta chiarezza, come tutte le cose si vedano in Dio e come egli le contenga in sé. Io non so proprio spiegarlo, ma restò bene impresso nella mia anima, ed è una delle grandi grazie che il Signore mi ha fatto e che più mi è causa di confusione e di vergogna, al ricordo dei peccati commessi. Credo che se il Signore mi avesse concesso prima tale visione e se la concedesse a coloro che l’offendono, non si avrebbe più il cuore né l’ardire di farlo. Ripeto, non posso affermare di aver visto nulla di preciso, ma credo che qualcosa si debba vedere, tant’è vero che posso fare un paragone; solo che tutto si svolge in modo così sottile e delicato che l’intelletto non può arrivare a comprenderlo, o io non me ne intendo di queste visioni che non mi sembrano immaginarie, anche se qualcuna deve esserlo, almeno in parte. Poiché l’anima è in rapimento, le potenze non sanno poi configurare le cose come lì il Signore le presenta e vuole che se ne goda.

10. Diciamo che la Divinità è simile a un fulgidissimo brillante, molto più grande dell’universo, oppure a uno specchio, secondo quanto ho detto dell’anima nella precedente visione, tranne che è assai più rilucente, superiore a ogni possibile descrizione. Tutto quello che facciamo si vede in esso, essendo tale che racchiude tutto in sé e non c’è nulla che esorbiti dalla sua grandezza. Mi fu causa d’immensa meraviglia vedere in così breve spazio di tempo tante cose riunite qui, in questo splendido brillante, e mi è anche di enorme pena il pensiero che in quella purezza di luce si riflettono cose tanto ripugnanti quali i miei peccati. Ogni volta che me ne ricordo, non so come sopportarlo, e allora rimasi così piena di vergogna da non sapere, mi pare, dove nascondermi. Oh, se potessi far capire questa verità a coloro che commettono peccati assai gravi e disonesti, affinché sappiano che non sono occulti e che giustamente Dio se ne offende, perché commessi sotto i suoi occhi, senza alcun rispetto della sua presenza. Mi resi conto con quanta ragione si meriti l’inferno anche per un solo peccato mortale, perché non si può capire quale grave oltraggio sia commettere davanti a così grande maestà cose tanto lontane dalla sua divina essenza. E vidi anche meglio la sua misericordia, poiché continua a sopportarci pur sapendo che questo ci è noto.

11. Considerai che, se una cosa come questa lascia così sgomenta l’anima, che sarà mai il giorno del giudizio, quando la divina Maestà ci si mostrerà chiaramente e vedremo le offese che le abbiamo fatto? Oh, Dio mio, in che cecità sono vissuta finora! Molte volte mi sono spaventata ricordando quello che ho scritto, e la signoria vostra non si meravigli d’altro che di sapermi ancora viva, dopo che ho visto tali cose e ho considerato che cosa io sono. Sia benedetto per sempre chi mi ha tanto sopportata!

12. Un giorno, mentre attendevo all’orazione in grande raccoglimento, soavità e quiete, mi parve d’essere circondata dagli angeli e molto vicina a Dio. Cominciando a supplicare Sua Maestà in favore della Chiesa, mi fu reso noto il gran bene che un certo Ordine avrebbe fatto negli ultimi tempi e il coraggio con cui i suoi uomini avrebbero sostenuto la fede.

13. Una volta, mentre pregavo innanzi al santissimo Sacramento, mi apparve un santo il cui Ordine era stato alquanto rilassato. Teneva tra le mani un gran libro; lo aprì e mi disse di leggere alcune parole scritte a grossi caratteri e ben leggibili, che dicevano: «In futuro quest’Ordine fiorirà e avrà molti martiri».

14. Un’altra volta, stando in coro a Mattutino, mi si presentarono, ponendomisi di fronte, sei o sette religiosi, che sembravano di questo medesimo Ordine, con le spade in mano. Penso che ciò voglia significare che devono difendere la fede; infatti, un’altra volta, mentre ero in orazione, ebbi un rapimento e mi parve di stare in aperta campagna, dove molti uomini combattevano fra loro, e i religiosi di quest’Ordine lottavano con grande impeto: avevano volti bellissimi e pieni di fuoco; molti nemici vinti erano gettati a terra, altri uccisi. Mi sembrava che tale battaglia fosse contro gli eretici.

15. Questo santo glorioso l’ho visto più volte; mi ha detto varie cose, mi ha ringraziato delle preghiere che faccio per il suo Ordine e mi ha promesso di raccomandarmi al Signore. Non voglio dire quali siano questi Ordini, perché altri non abbiano ad offendersi (se il Signore vorrà, lo rivelerà), ma ogni Ordine o, per meglio dire, ciascun religioso che vi appartiene, per se stesso, dovrebbe procurare che il Signore, giovandosi di lui, concedesse al suo Ordine la fortuna di servirlo in così grave situazione quale è quella in cui si trova oggi la Chiesa. Felici quelle vite che saranno spese a questo scopo!

16. Una volta un tale mi disse di pregare il Signore perché gli facesse conoscere se adempiva il suo servizio accettando un vescovato. Dopo la comunione, il Signore mi disse: «Quando avrà capito con assoluta verità e chiarezza che la vera signoria sta nel non aver nulla, allora potrà accettarlo», facendo così intendere che chi deve assumere qualche dignità prelatizia deve essere ben lontano dal desiderarla o volerla, tanto meno ricercarla.

17. Queste e molte altre grazie, che qui non credo utile raccontare, il Signore ha fatto e fa di continuo a questa peccatrice. quanto ho detto, infatti, può bastare a far conoscere la mia anima e lo spirito che Dio mi ha dato. Sia benedetto per sempre colui che ha avuto tanta cura di me!

18. Una volta, per consolarmi, mi disse con molto amore di non affliggermi, perché in questa vita non si può essere sempre allo stesso modo: alcune volte avrei avuto molto ardore, altre sarei stata del tutto priva di esso, alcune volte mi sarei sentita calma, altre inquieta e fra tentazioni, ma dovevo sperare in lui e non temere.

19. Un giorno stavo pensando se non fosse una forma di attaccamento il compiacermi di stare con le persone con le quali tratto della mia anima e nutrire affetto per coloro che vedo gran servi di Dio, dai quali traggo motivo di conforto. Il Signore, allora, mi disse che se a un malato, giunto in pericolo di morte, sembra di dovere a un medico la sua guarigione, non sarebbe un segno di virtù non dimostrargli gratitudine e affetto. E io che cosa avrei fatto se non ci fosse stato l’aiuto di quelle persone? La conversazione con i buoni non è dannosa, solo le mie parole dovevano essere ponderate e sante; pertanto continuassi a trattarli: che non avrei certo avuto danno, ma vantaggio. Ne rimasi molto consolata perché a volte, sembrandomi, la mia, una forma d’attaccamento, volevo troncare ogni rapporto con loro. Il Signore mi ha consigliato sempre in tutto, fino a dirmi come comportarmi con i deboli e con alcune altre persone, né ha mai distolto la sua attenzione da me.

20. Spesso mi affligge vedermi così poco dedita al suo servizio e vedermi obbligata a occuparmi più di quanto vorrei nei bisogni di questo mio corpo così debole e misero. Una volta, mentre ero in orazione, venne l’ora di andare a dormire: io soffrivo grandi dolori e stavo per essere colta dal mio consueto vomito. Vedendomi così schiava del corpo, mentre il mio spirito, da parte sua, reclamava tempo per sé, mi sentii tanto oppressa che cominciai a piangere dirottamente e accoratamente. Questo mi è accaduto non una, ma, come dico, molte volte. E mi pareva di provare una tale irritazione contro me stessa da avermi, per così dire, in odio. Ma di solito capisco di non odiarmi e non manco di procurarmi quello che vedo essermi necessario. E piaccia al Signore che io non dedichi a me stessa molte più cure del necessario, come forse faccio qualche volta! Questa volta di cui parlo, mentre ero in tale pena, mi apparve il Signore e mi consolò molto, dicendomi che facessi e sopportassi quelle cure per amor suo, perché la mia vita era ancora necessaria. E così, dal giorno che mi son decisa a servire con tutte le mie forze questo mio Signore e consolatore, credo di non aver più provato alcuna pena, perché anche se egli mi lascia alquanto soffrire, non tarda a consolarmi, in modo che il mio desiderio di patire non vale proprio nulla. Ora, quindi, mi sembra che non ci sia altro scopo di vivere che questo, ed è quanto chiedo a Dio con più decisa volontà. Gli dico a volte con tutta l’anima: «Signore, morire o patire; non vi chiedo altro per me». Mi conforta sentir battere l’orologio, perché mi sembra di avvicinarmi un pochino di più al momento di vedere Dio, costatando che è passata un’ora di vita.

21. Altre volte mi sento in tale stato che né mi dispiace di vivere né mi sembra di aver voglia di morire, immersa in una tiepidezza e in una oscurità totali; è uno stato in cui, come ho detto, mi trovo spesso a causa di grandi sofferenze. E avendo voluto il Signore che si conoscano pubblicamente le grazie che egli mi fa (quando mi predisse, alcuni anni fa, che così sarebbe stato, io me ne afflissi molto e fino ad ora non ho sofferto poco a causa di ciò, come la signoria vostra sa bene, perché ognuno le interpreta a modo suo), mi è di conforto pensare che non è stato per mia colpa, perché ho avuto grande cura ed estremo scrupolo di non parlarne se non con i miei confessori o con persone a cui essi le riferivano, e non per umiltà, ma perché, come ho detto, mi costava fatica parlarne con i miei stessi confessori. Ormai, però, grazie a Dio, anche se la gente, animata da buone intenzioni, mormora molto di me, e c’è chi teme di trattarmi e perfino di confessarmi, e chi mi carica di accuse, m’importa poco di tutto, perché capisco che in questo modo il Signore ha voluto salvare molte anime (avendolo visto chiaramente e sapendo quanto egli sarebbe pronto a soffrire per una sola di esse). Non so se a ciò contribuisca il fatto che Sua Maestà mi abbia rinchiusa in un angolino di così stretta clausura, dove ormai pensavo che, come se fossi morta, nessuno si sarebbe più ricordato di me. L’isolamento, però, non è stato quale avrei voluto, perché sono pur costretta a parlare con qualche persona, ma, stando al riparo da ogni sguardo, ho l’impressione che il Signore si sia compiaciuto di farmi entrare in un porto, dove spero nella sua bontà di essere al sicuro.

22. Trovandomi ormai fuori dal mondo e in piccola e santa compagnia, vedo le cose come dall’alto e m’importa ben poco di ciò che si possa dire o sapere sul mio conto. Più di tutto quel che si può dire di me, m’interessa anche il minimo progresso di un’anima, perché da quando sono in questa casa, il Signore si è compiaciuto di far sì che tutti i miei desideri mirino a tale scopo. E mi ha concesso una vita ch’è una specie di sogno, tanto che quasi sempre mi sembra di sognare ciò che vedo: non sento più né grandi gioie né grandi dolori. Se alcunché talvolta me li procura, passano in così breve tempo che ne resto stupita, lasciandomi l’impressione di una cosa sognata. E ciò è tanto vero che, anche se dopo volessi rallegrarmi di quella gioia o affliggermi di quel dolore, mi sarebbe impossibile, come lo sarebbe a una persona saggia addolorarsi o bearsi di un sogno fatto. Il Signore ha ormai affrancato la mia anima da ciò che, per il fatto di non esser io mortificata né morta alle cose del mondo, mi suscitava quelle impressioni, e non vuole ch’io ritorni nel mio accecamento.

23. In questo modo ora io vivo, signore e padre mio. La signoria vostra supplichi Dio o di chiamarmi a sé o di darmi la possibilità di servirlo. Piaccia a Sua Maestà che questo mio scritto sia di qualche utilità alla signoria vostra. A causa del poco tempo disponibile, l’ho composto a fatica, ma sarebbe una fatica benedetta se fossi riuscita a dire qualcosa per la quale si renda lode al Signore, sia pure una sola volta. Con questo mi riterrei ben ricompensata, anche se la signoria vostra lo bruciasse poi subito.

24. Non vorrei, però, che ciò fosse prima che lo vedessero le tre persone che la signoria vostra sa, perché sono stati e sono i miei confessori. Se merita disapprovazione, è bene ch’essi perdano la buona opinione che hanno di me; altrimenti, essendo dotti e virtuosi, so che ne riconosceranno l’ispiratore e glorificheranno colui che ha parlato per mezzo mio. Sua Maestà tenga sempre la signoria vostra sotto la sua mano e ne faccia un così gran santo che con la luce del suo spirito possa illuminare questa miserabile creatura, poco umile e molto audace, che ha osato indursi a scrivere di cose tanto sublimi. Piaccia al Signore che in ciò non abbia errato, avendo avuto l’intento e il desiderio di far bene, obbedire e procurare che per mio mezzo si lodasse alcun poco il Signore, cosa di cui da molti anni lo supplico. E, poiché per la realizzazione di tale scopo mi mancano le opere, mi sono arrischiata a mettere un po’ d’ordine in questa mia vita disordinata, non impiegandovi più cura e tempo di quello che è stato necessario per scriverla, ma adoperandomi a raccontare le mie vicende con tutta la semplicità e la verità possibili. Il Signore, che è potente e può fare quel che vuole, mi conceda di riuscire a compiere in tutto la sua volontà e non permetta che si perda quest’anima che egli con tanti accorgimenti e per tante vie ha strappato tante volte all’inferno e ricondotto a sé! Amen.

LETTERA CONCLUSIVA DI TERESA

NELL’INVIARE IL LIBRO DELLA VITA

JHS

1. Lo Spirito santo sia sempre con la signoria vostra! Amen. Non sarebbe inopportuno far rilevare alla signoria vostra il servizio resole con questo scritto, per obbligarla ad avere molta cura di raccomandarmi a nostro Signore. Potrei ben farlo, avuto riguardo a quello che ho sofferto nel ritrarmi per iscritto e nel ricordare tante mie miserie, benché, per esser sincera, posso dire di aver sofferto più nello scrivere le grazie che il Signore mi ha fatto che non le offese da me arrecate a Sua Maestà.

2. Mi sono dilungata secondo l’ordine della signoria vostra; ora, però, la signoria vostra deve fare quanto mi ha promesso, cioè strappare tutto ciò che non le sembrerà conveniente. Non avevo ancora finito di rileggere il manoscritto, quando la signoria vostra ha mandato a ritirarlo. Può darsi che alcune cose siano mal dette e altre ripetute, perché ho avuto così poco tempo a disposizione, che non potevo mai rivedere quanto scrivevo. Supplico la signoria vostra di correggerlo e di farlo ricopiare, nel caso che debba essere inviato al padre Maestro d’Avila, perché può darsi che qualcuno riconosca la mia grafia. Desidero molto che quel padre lo veda, poiché con questo intento ho cominciato a scriverlo. Se, infatti, a lui sembrerà ch’io segua la strada giusta, ne sarò assai consolata. Da parte mia, ormai, non mi resta altro da fare. La signoria vostra si regoli in tutto e per tutto come meglio crede, ma consideri d’essere obbligato a chi le affida così la sua anima.

3. Quella della signoria vostra io la raccomanderò tutta la mia vita a nostro Signore. Pertanto, lei si affretti a darsi al suo servizio, per venirmi meglio in aiuto. La signoria vostra vedrà, da quanto è scritto qui, il gran bene che si acquista nel darsi del tutto – come lei ha già cominciato a fare – a chi si dà a noi senza misura.

4. Sia benedetto per sempre! E io spero nella sua misericordia perché possiamo ritrovarci dove la signoria vostra ed io vedremo più chiaramente i grandi favori che ci ha fatto e dove lo loderemo per sempre. Amen.

Questo libro fu terminato nel giugno del 1562