lunedì 10 ottobre 2011

L'arte di trarre profitto dai nostri peccati




Nella catechesi fatta durante la Convivenza di Inizio Corso di quest'anno, il p. Mario Pezzi (il presbitero che insieme a Kiko Arguello e a Carmen Hernandez forma l'equipe che guida il Cammino Neocatecumenale in tutto il mondo) fa riferimento ad un libretto che ho trovato davvero interessante, scritto alla fine del XIX secolo da un missionario francese della congregazione di san Francesco di Sales. Corredato da una prefazione del noto teologo gesuita Jean Galot, che riporto di seguito, il volumetto propone in termini molto semplici e pedagogici una dottrina puramente evangelica, espressa nella forma di un commento all’insegnamento ascetico di san Francesco di Sales, dottore della Chiesa.

L’autore intende soprattutto esortare il lettore ad aver fiducia in Dio, affidandosi pienamente alla celeste misericordia. Una volta che il fedele ha riconosciuto di essere un peccatore e ha fatto il fermo proposito di emendarsi, egli non deve più aver paura dei propri stessi peccati, ma deve usarli come una occasione di umiltà, di penitenza e di perfezionamento.
La santità umana è una santità di redenzione, che ordinariamente non consiste nel mantenere una innocenza e perfezione originaria, ma nel recuperare la sanità purificandosi mediante una graduale e paziente ascesi. Ciò non può avvenire senza una dura lotta spirituale, e lottando càpita spesso di cadere e di ferirsi; ma non è questo che deve spaventare.
Chi non si è mai esposto e non ha mai lottato può forse evitare cadute e ferite, ma non può nemmeno vincere, meritare e salvarsi. Chi invece, pur cadendo e ferendosi nella lotta, si rialza e si risana, curandosi col divino farmaco (la Confessione) e ristorandosi col divino cibo (L’Eucaristia), costui merita, si santifica e si salva.
Non bisogna quindi pretendere di non cadere o ferirsi, ma bisogna solo lottare, prendere tutte le precauzioni possibili e avere piena fiducia nell’aiuto della divina provvidenza e misericordia. La colpa peggiore è quella di scoraggiarsi, di rinunciare alla lotta, di rifugiarsi in una nicchia evitando d’impegnare i propri talenti, il che conduce a rassegnarsi alle proprie miserie, offendendo Dio e degradando la propria dignità cristiana. Se invece avrà piena fiducia in Dio e piena diffidenza di sé, il fedele potrà trarre profitto dai propri stessi peccati, ottenendo una guarigione forse lenta e faticosa ma sicura e definitiva.

Insomma, si diventa santi non tanto commettendo meno peccati, quanto reagendovi con maggior coraggio e costanza; il “prendere la propria croce” può consiste anche nell’usare i propri difetti come mezzi per diventare umili, prudenti e santi. Se è vero che chi spera ma non teme rischia di dannarsi, lo rischia anche chi teme ma non spera: peccato questo tipico della nostra epoca, abitata da fedeli deboli e sfiduciati che ritengono il male inevitabile e Dio meno potente che nel passato. Di seguito pubblico la Presentazione del libro.

* * *


Il titolo del piccolo libro: "L’arte di trarre
profitto dai nostri peccati" può destare
meraviglia. Il peccato è un male per
l’uomo; ha degli effetti nocivi, distruttivi. Tante
vite umane vengono rovinate dai peccati. Come
questi peccati possono procurare un profitto e
come è possibile l’arte di assicurarlo?
È vero che il peccato ci porta un grave
danno. La sua malizia consiste prima di tutto
nel fatto che offende Dio; più esattamente
offende il Padre nel suo amore per noi. Ma siccome
il nostro destino si compie nelle nostre
relazioni di amore filiale verso il Padre, l’inimicizia
causata dal peccato danneggia la
nostra esistenza. Lo stato di peccato rende
l’uomo profondamente infelice; suscita in lui
un grande disturbo e stimola dei sentimenti di
timore e di tristezza.
Questa condizione sarebbe stata irreparabile
se non ci fosse stata una suprema iniziativa
divina per salvare l’uomo, procurargli il
perdono divino, operare la riconciliazione,
restituire pace e gioia. Quando pensiamo al
peccato, dobbiamo sempre tenere sotto gli
occhi la risposta della bontà divina alle colpe
dell’umanità. Questa risposta è stata posta in
luce da Cristo nella parabola conosciuta come
parabola del figliuol prodigo e più giustamente
chiamata parabola del Padre misericordioso.
In termini molto semplici ma molto
commoventi, la parabola ci ha rivelato il volto
autentico del Padre, pieno di compassione per
suo figlio smarrito. Gesù mostra che il Padre
non cessa di amare il figlio che l’ha abbandonato,
che aspetta il suo ritorno e desidera dargli
il perdono più sincero e più completo.
Quando il figlio torna a casa, viene accolto in
modo meraviglioso: il Padre gli corre incontro,
gli si getta al collo e lo bacia; gli restituisce
tutto ciò che aveva perduto, con tutti i suoi
privilegi di figlio. Il Padre non viene presentato
come un Dio adirato che riceve con severità la
sua creatura.

La certezza che per parte sua il Padre non
ha ritirato il suo amore a coloro che hanno
seguito la via del peccato, anzi che egli testimonia
un amore particolarmente tenero e
misericordioso a coloro che hanno bisogno di
perdono, permette ai peccatori di “trarre profitto”
dai loro peccati per riavvicinarsi al
Padre, per amarlo più sinceramente e più
generosamente.
La dottrina sviluppata nel libretto è stata
soprattutto ispirata dagli scritti di san Francesco
di Sales e trova un fondamento sicuro nell’insegnamento
del vangelo. Il vangelo è la
buona novella dell’amore divino che offre la
salvezza ai peccatori. Gesù stesso ha detto: “Il
Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare
ciò che era perduto” (Lc 19,10); illustrava
così il significato della sua visita a Zaccheo,
pubblicano considerato come un grande peccatore.
Altri episodi confermano la dichiarazione:
“Io sono venuto a chiamare non i giusti
ma i peccatori” (Mt 9,13 par). Costatiamo che
coloro che si pretendevano giusti non hanno
accolto Cristo e non hanno beneficiato della
sua opera salvatrice; pensavano che non avevano
bisogno di un Salvatore.

Per essere salvati da Cristo, tutti gli uomini
vengono chiamati a riconoscere che sono
peccatori. L’esortazione rivolta a tutti all’inizio
della predicazione di Gesù è caratteristica:
“Convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc
1,15). Si tratta di convertirsi, cioè di rinunciare
a tutto ciò che allontana da Dio per credere
alla salvezza offerta da Cristo. I peccatori
traggono profitto dai loro peccati quando si
convertono e collocano tutta la loro fede e
tutta la loro speranza in Cristo.
Nessuno può proclamarsi senza peccato.
Ognuno fa l’esperienza del peccato, come l’ha
espressamente affermato il concilio di Trento:
nessuno “può evitare, nella sua vita intera,
ogni peccato anche veniale, se non in virtù di
un privilegio speciale, come la Chiesa lo ritiene
nei riguardi della beata Vergine” (DS
1573). Maria è la sola eccezione: in virtù del
privilegio dell’immacolata concezione, è stata
preservata dalla macchia originale; in virtù di
un privilegio connesso, ha potuto evitare ogni
peccato anche veniale. Non riceviamo la grazia
di una preservazione simile, e dobbiamo
riconoscere i nostri peccati. Secondo il piano
divino, la nostra santità è una santità di
redenzione, nella quale facciamo l’esperienza
del peccato, legata all’esperienza della grazia
che ci fa superare il peccato.
Trarre profitto dai nostri peccati significa
dunque diventare più consapevoli del nostro
stato di peccatori, scoprire più chiaramente la
verità delle nostre disposizioni intime e del
nostro comportamento. Il nostro amor proprio
ci impedisce molto spesso di riconoscere la
nostra colpevolezza, i nostri errori e i nostri
difetti. L’esperienza delle nostre debolezze ci
aiuta a progredire nell’umiltà, a riconoscere
ciò che è imperfetto in noi e ha bisogno della
forza superiore della grazia. La consapevolezza
della nostra impotenza umana ci apre più
ampiamente alla potenza divina.
L’approfondimento dell’umiltà nel riconoscimento
della nostra miseria personale
sarebbe male capito e vissuto se fosse fonte di
scoraggiamento. Il pericolo di scoraggiamento
esiste, più specialmente per colui che fa
l’esperienza di cadute frequenti o per colui
che dopo aver preso forti risoluzioni per un
comportamento migliore deve confessare
nuove debolezze. Scoraggiarsi non è un rimedio;
colui che è vittima di queste esperienze
negative è tentato di rinunciare a nuovi sforzi;
la rinuncia non procura nessuna soluzione,
anzi aggrava la difficoltà. Il torto dello
scoraggiamento è di chiudersi nella propria
debolezza nel momento che un ricorso all’onnipotenza
divina appare più necessario. Trarre
profitto dai propri peccati è rinunciare alla
fiducia in se stesso per concentrare la fiducia
sull’intervento divino. Quello che noi non
possiamo ottenere con la nostra volontà, con
i nostri sforzi, dobbiamo chiederlo a colui che
ha ogni potere sulla nostra vita.
Così in nessuna situazione lo scoraggiamento
può essere giustificato. Non manca mai
la grazia del coraggio per riprendere la lotta.
Si tratta di un coraggio soprannaturale, in
quanto sorge dall’influsso della grazia. A questo
coraggio alludeva Gesù quando prometteva
ai suoi discepoli la forza che viene dallo
Spirito Santo (At 1,8). Con questo coraggio la
perseveranza negli sforzi per il bene è sempre
possibile e l’esperienza dei peccati o delle
imperfezioni è il punto di partenza per un
nuovo slancio verso l’alto. Ogni esperienza
negativa sbocca su una nuova esperienza che
produce frutti.
In realtà la perseveranza nella via del bene
ha sempre come primo appoggio e prima
garanzia la perseveranza dell’amore del
Padre. Con il suo amore permanente il Padre
pone i suoi figli al riparo dei turbamenti che
vengono dal peccato. Egli assicura un clima
di pace e di serenità. Con il suo perdono che
è totale, toglie ogni fondamento a inquietudini
o angoscie. Egli ha voluto escludere ogni
timore; il timore crea una distanza e non
lascia l’uomo libero di avvicinarsi al massimo
a un Dio che egli deve amare con tutto il
suo cuore e le sue forze. Trarre profitto dai
propri peccati significa superare le barriere
del timore raccogliendo l’amore del Padre
che perdona e vivendo nella pace di una vera
intimità con lui.
Quando, nella sua prima lettera, Giovanni
afferma la sua fede nell’amore del Padre che
ha mandato suo Figlio come Salvatore del
mondo, egli attira l’attenzione sull’effetto di
questo amore, che esclude il timore. I Giudei
erano stati invitati a temere il giudizio divino,
ma la rivelazione dell’amore fatta da Gesù
inaugura un nuovo regime, una nuova mentalità.
“In questo l’amore ha raggiunto con noi
la sua perfezione, che abbiamo fiducia nel
giorno del giudizio, perché, come è lui, così
siamo anche noi, in questo mondo. Nell’amore
non c’è timore, al contrario l’amore perfetto
scaccia il timore, perché il timore suppone un
castigo e chi teme non è perfetto nell’amore”
(1Gv 17–18). Per una unione di più intenso
amore, il Padre ha voluto che la sua sovranità
sulla vita umana non fosse motivo di timore.
L’assenza di timore sviluppa la pace intima
dell’anima. In questa pace può fiorire la speranza.
Trarre profitto dai propri peccati è sviluppare
e rafforzare la speranza. Le esperienze
deludenti del passato non possono chiudere la
via a un futuro migliore.
Già nell’antica alleanza Dio aveva voluto
suscitare una grande speranza. Rimproverava
al popolo i suoi peccati, ma partendo da questa
evidenza annunziava una salvezza che
doveva scendere dall’alto. Stimolando questa
speranza e guidandola fino al suo scopo, il
Padre ha preparato il popolo alla venuta di
suo Figlio. Quando accusava questo popolo
per la sua condotta, non voleva soltanto provocare
un pentimento, ma soprattutto rendere
più viva la speranza della salvezza e della
venuta di un Salvatore. Per determinare il
momento di questa venuta, egli ha aspettato
che la speranza fosse abbastanza matura.
In ogni situazione di peccato, il Padre ha
voluto una apertura a un futuro più confortante;
attraverso la tristezza dei peccati, fa crescere
la gioia della speranza, di una speranza
che non può essere delusa.
Concentrando il nostro sguardo su questo
amore permanente del Padre, manifestato nel
dono del Figlio, fonte di speranza, potremo
sempre meglio trarre profitto dai nostri peccati.
JEAN GALOT

L'arte di trarre profitto dai nostri peccati

Joseph Tissot - Chirico, Napoli 2005, pp. 160, € 9,30