martedì 8 settembre 2015

La riforma del processo matrimoniale per la dichiarazione di nullità




Voluta e decisa da Papa Francesco. La riforma del processo matrimoniale per la dichiarazione di nullità
L'Osservatore Romano
(Pio Vito Pinto - Decano della Rota romana) La competenza di riformare l’ordinamento canonico riguardante la validità o nullità del vincolo sacramentale matrimoniale appartiene strettamente al Romano Pontefice. Essa è espressione della “potestà delle chiavi” affidata da Cristo a Pietro e ai suoi successori, secondo il magistero di Leone Magno, primo Papa a esprimere la chiara consapevolezza che appunto ai successori di Pietro è passata tutta la potestà per il governo delle anime della Chiesa, che è di Cristo.
Scopo della commissione speciale istituita da Papa Francesco il 27 agosto 2014 era la revisione del solo ordine processuale. Nella storia la Chiesa ha sempre inteso rendere visibile ed efficace la grazia salvifica di Cristo, pur nel mutare delle epoche e attraverso le vicende caduche degli uomini peccatori, ma con lo scopo costante di operare la salvezza (salus animarum). Così, tre Papi — Benedetto XIV nel 1741, Pio X nel 1908 e ora Francesco — hanno avuto l’ispirazione di una riforma profonda del processo matrimoniale, per servire questo supremo scopo in tempi molto diversi fra loro.
Con le decretali precedenti Benedetto XIV, la sentenza affermativa di nullità del matrimonio non appellata era immediatamente esecutiva dopo una sola istanza, con la conseguenza dello stato libero e della possibilità di un nuovo matrimonio.
Papa Lambertini, sommo giurista, da una parte consolidò il sistema dello scioglimento pontificio per grazia del vincolo rato e non consumato; dall’altra, per fermare gli abusi commessi da vescovi e tribunali soprattutto in Polonia nel dichiarare le nullità di matrimonio, con la costituzione apostolica Dei miseratione, promulgata il 3 novembre 1741, decise la necessità della doppia sentenza conforme, nel medesimo capo di nullità matrimoniale giudicato in prima istanza, per poter celebrare un nuovo matrimonio canonico.
Questo sistema ha retto fino ai giorni nostri. Unica eccezione fu quella delle facoltà concesse ad experimentum da Paolo VI alla conferenza episcopale statunitense, concluse con la norma comune, dapprima del motuproprio Causas matrimoniales (28 marzo 1971) e quindi con il sistema processuale proprio del Codex iuris canonici del 1983. In verità, pur mantenendo la doppia conforme, il nuovo sistema codiciale rendeva più agile, secondo l’auspicio di Papa Montini, la possibilità di ottenere la nullità matrimoniale con la procedura detta breve in seconda istanza, secondo il canone 1682 § 2.
Pio X, fedele al suo motto reformare omnia in Christo, pur conservando nella sostanza il sistema processuale di Papa Lambertini, si distinse grazie all’impulso espresso da un suo illuminato collaboratore. Secondo Michele Lega, primo decano della Rota restituta e poi cardinale, i processi canonici devono infatti preferibilmente celebrarsi nelle diocesi, limitando al massimo gli appelli e i ricorsi alla Sede apostolica. È quanto si propongono i motupropri Mitis iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus.
La riforma di Papa Francesco, mossa dal medesimo spirito che sostenne Benedetto XIV e Pio X, si distingue però non soltanto per una vera e propria rifondazione del processo matrimoniale canonico, ma innanzi tutto per i principi teologici ed ecclesiologici che la sostengono.
Bisogna partire da quanto è stato già delineato con chiarezza nell’arco di quasi mezzo secolo — dal pontificato di Paolo VI a quello di Benedetto XVI — ed espresso nella quarantesima proposizione finale del Sinodo dei vescovi del 2005. Questa raccomandava “di approfondire ulteriormente gli elementi essenziali per la validità del matrimonio, anche tenendo conto dei problemi emergenti dal contesto di profonda trasformazione antropologica del nostro tempo, dal quale gli stessi fedeli rischiano di essere condizionati specialmente in mancanza di una solida formazione cristiana”. E nell’introduzione all’istruzione della Congregazione per la dottrina della fede sulla pastorale dei divorziati risposati il cardinale Ratzinger osservava: “Si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramento. All’essenza del sacramento appartiene la fede”. Proprio questo è il punto sulla questione che ha mantenuto sempre come teologo, da arcivescovo di Monaco e Frisinga, come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e infine da Papa.
C’è un punto dell’analisi comune tra Benedetto XVI e Francesco sul sacramento celebrato senza fede da un gran numero di divorziati e risposati civilmente, costretti a vivere nelle periferie, lontani dalle porte delle nostre chiese (cfr. Evangelii gaudium, n. 46). Ma c’è una novità essenziale che va delineando la missione propria di Papa Francesco. Non è più l’ora soltanto delle analisi, è l’ora dell’agire, di iniziare quell’opera di giustizia e di misericordia da troppo tempo attesa, riordinando la prassi pastorale e canonica sostanzialmente in vigore da poco meno di tre secoli. Così annunciava Francesco già all’inizio del pontificato, il 28 luglio 2013, concludendo la giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro.
Per comprendere la tensione teologico-giuridica che anima il motuproprio sul nuovo processo di nullità matrimoniale è indispensabile accogliere la novità del pontificato di Francesco, che risulta da una duplice centralità. Da una parte, il Vangelo di Cristo pone al centro i poveri. Dall’altra, come risulta chiaro dalla promulgazione di questa nuova legge di giustizia e di misericordia, vi è la comprensione dell’esercizio del ministero come diakonìa (“servizio”), in comunione indispensabile con i vescovi a capo delle Chiese nel mondo.
Francesco nel discorso conclusivo del Sinodo straordinario ha affermato che Pietro non intende governare da solo la Chiesa e che i vescovi devono a loro volta governare le Chiese in comunione con Pietro, che vive nel Romano Pontefice. Di questo tutti risponderanno a Cristo, supremo pastore.
Così Francesco, con questa legge fondamentale dà il vero inizio alla sua riforma: ponendo al centro i poveri, cioè i divorziati risposati tenuti o considerati lontani, e chiedendo ai vescovi una vera e propria metànoia. Cioè una “conversione”, un cambiamento di mentalità che li convinca e sorregga a seguire l’invito di Cristo, presente nel loro fratello, il vescovo di Roma, di passare dal ristretto numero di poche migliaia di nullità a quello smisurato di infelici che potrebbero avere la dichiarazione di nullità — per l’evidente assenza di fede come ponte verso la conoscenza e quindi la libera volontà di dare il consenso sacramentale — ma sono lasciati fuori dal vigente sistema.
Papa Francesco promulga il nuovo ordinamento processuale canonico di nullità matrimoniale auspicato da una larga maggioranza dei Padri sinodali. Ma questo per essere applicato in verità e giustizia ha bisogno della libertà del cuore e della mente dei vescovi, nel segno di una collegialità non di principio, ma nei fatti.
La prima grande novità è l’invito del Pontefice nel motuproprio che i vescovi riassumano l’esercizio dei santi vescovi dei primi secoli della Chiesa, che tenevano a manifestare personalmente la potestà sacramentale — ricevuta con l’imposizione delle mani nell’ordinazione episcopale — di padri, maestri, giudici.
Francesco, Pontefice “servo con i servi”, chiede ai vescovi di esercitare e vivere la loro potestà sacramentale, ricevuta non da Pietro ma dallo Spirito Santo. Il vescovo, dunque, servo delle anime, è chiamato a svolgere il ministero della diakonìa per la salvezza dei fedeli, rendendosi disponibile all’ascolto, in tempi e modi che sottolineino il valore della misericordia e della giustizia. In particolare, come si evince dalla preghiera di ordinazione episcopale, il vescovo riceve il triplice potere di rimettere i peccati, affidare i ministeri, sciogliere dai vincoli.
Nei due motupropri — posti dal Papa sotto la protezione della Madre di Dio — il vescovo diocesano, o l’eparca, è l’anima del processo cosiddetto breve, che potrà attuarsi secondo le strette condizioni indicate: l’evidente nullità nei fatti incontestabili (già sopra accennati), l’accordo delle parti (o per lo meno l’assenza dichiarata della parte convenuta dal processo), l’immediata sentenza affermativa, considerate con gravità le scritture delle parti e del difensore del vincolo; oppure egli rinvia al processo ordinario, nel caso in cui, assistito sempre dall’istruttore e dall’assessore, non sia in grado di raggiungere la certezza morale per la dichiarazione di nullità. 
Ma come potranno i vescovi, o gli eparchi, soprattutto nelle grandi diocesi, assicurare, almeno in parte e come segno, questo loro compito di pastori giudici? Ciò che importa è che lo spirito di collegialità e comunione dei vescovi con quanto disposto dal Pontefice inizi a permeare il cuore e la mente dei pastori. I fedeli attendono con ansia e amore tale metànoia e saranno comunque pazienti nel Signore davanti alla buona fede dei loro pastori. L’anno del giubileo della misericordia attende questo segno di umile obbedienza da parte dei pastori delle Chiese allo Spirito che parla loro attraverso Francesco.
Apre il cuore alla speranza il recente corso di formazione della Rota romana a Città del Messico, con la partecipazione di circa quattrocento preti e laici, donne e uomini provenienti da tutte le Nazioni centroamericane, inviati dai loro pastori ed entusiasti di poter servire nelle loro Chiese i poveri, assistendo il ministero giudiziario dei vescovi. Francesco ha inviato una lettera esprimendo la fiducia che tali corsi possano moltiplicarsi come “servizio del Papa alle Chiese particolari, facendo memoria del primo Pietro” secondo la testimonianza del “suo terzo successore, il Papa Clemente I, che nella sua lettera ai Corinzi interviene regolando le distinte materie di quella comunità locale”.
La comunione e la collegialità richieste dal nuovo processo avranno certo bisogno di tempo per lo studio e la formazione. Ma quel che conta è l’accoglienza del nuovo espresso da Papa Francesco: il servizio e la misericordia verso questa categoria di poveri, il grande numero di divorziati che attendono, se possibile, un nuovo matrimonio canonico. La formazione permanente aiuterà a far sì che ogni vescovo, avendo il proprio tribunale per le cause di nullità matrimoniale, riscopra il ministero, affidatogli nell’ordinazione, di giudice dei suoi fedeli.
In sintesi, la riforma è caratterizzata dalla centralità del vescovo diocesano, o dell’eparca, nel segno della collegialità. I vescovi non potranno tuttavia fare sconti sul vincolo matrimoniale se esso fosse valido, perché sarebbe un tradimento nei confronti non del Papa ma di Cristo. Infatti, maestro della loro potestà sacramentale è Cristo stesso, che li aiuterà a evitare eventuali abusi.
In caso di evidenti nullità di matrimonio il processo è breve — bisogna evitare i termini “sommario” e “amministrativo” — e qui il giudice è il vescovo, che si serve di due assessori con i quali discute sulla certezza morale dei fatti addotti per la nullità matrimoniale. Se il vescovo raggiunge questa certezza, pronuncia la decisione, altrimenti invia la causa al processo ordinario.
Nel processo breve raro è l’appello, perché vi sono l’accordo delle parti ed evidenti fatti circa la nullità; e in presenza di elementi che inducono a ritenere l’appello meramente dilatorio e strumentale, questo potrà essere rigettato per mancanza dei presupposti giuridici.
Il processo ordinario invece può durare un anno al massimo, viene abolita la doppia conforme e infine la sentenza affermativa non appellata diviene ipso facto esecutiva. Se si propone l’appello dopo una sentenza affermativa, questo può essere respinto in caso di evidente mancanza di argomenti, per esempio in caso di appello strumentale per nuocere alla controparte.
La riforma tiene conto del motivo precipuo della richiesta di nullità matrimoniale: questa viene chiesta per motivi di coscienza, per esempio vivere i sacramenti della Chiesa o perfezionare un nuovo vincolo stabile e felice, a differenza del primo.
La speditezza del processo va poi verso una maggiore limitazione degli appelli alla Santa Sede, cioè alla Rota romana, o del ricorso alla Segnatura apostolica per la nuova proposizione della causa negata dalla Rota.
Il Papa auspica infine che si giunga appena possibile alla piena gratuità delle cause, secondo il principio della Scrittura: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. E le persone abbienti potranno essere invitate a contribuire con donazioni a beneficio dei più poveri.
Secondo sant’Ireneo, gloria di Dio è l’uomo vivente. Sia concesso di aggiungere: l’uomo salvato dal ministero sollecito di giustizia e di misericordia della Chiesa.

L'Osservatore Romano