martedì 8 settembre 2015

LE SCELTE INCLUSIVE DI PAPA FRANCESCO



di Mario Adinolfi
Il lavoro che sta conducendo Papa Francesco per portare la Chiesa unita ai due grandi appuntamenti di questo storico 2015 (dal 5 ottobre il Sinodo sulla famiglia, dall'8 dicembre l'Anno Santo straordinario della Misericordia) non può passare inosservato: la decisione di consentire a tutti i sacerdoti di perdonare chi ha abortito o procurato aborti, la benedizione alla ragazza madre incinta di un figlio concepito fuori dal matrimonio, i due "motu proprio" con cui si è reso più agevole il percorso per arrivare alla nullità del matrimonio, sono scelte troppo evidenti, troppo comunicativamente forti, troppo ravvicinate anche temporalmente per non essere parte di un progetto consapevole di natura pastorale che Papa Francesco sta elaborando e portando avanti. La prima reazione può essere anche di sconcerto. Io stesso in redazione a La Croce ho proposto un editorialino intitolato "Santità, dacce tregua" che la prudente squadra che tutti i giorni costruisce questo quotidiano ha subito bocciato.
Qualche parola però voglio dirla comunque, stimolato dalla riflessione di un amico con cui raramente negli ultimi mesi sono stato d'accordo. Bruno Mastroianni, portavoce dell'Opus Dei, dopo la pubblicazione delle indulgenze giubilari e la notizia della concessione a tutti i sacerdoti di perdonare le abortiste e i procuratori d'aborti pentiti, ha scritto sui social network: "Per sicurezza: vi siete resi conto tutti che questa cosa dell'assoluzione da parte di ogni prete del peccato di aborto è una cosa grossa sì?". Aveva ragione Bruno di volersene sincerare, perché la cosa era talmente grossa che c'erano state reazioni istintive e ugualmente false delle due fazioni (semplifico) che animano il mondo cattolico: i "tradizionalisti" a dire che non era cambiato nulla, i "progressisti" a dire che era cambiato tutto.
Poi è arrivata anche la vicenda profughi, la foto di Aylan, la scelta della Merkel contrapposta a Orban, infine il richiamo di Papa Francesco ai Vescovi d'Europa affinché ogni diocesi, parrocchia, monastero diventasse luogo di accoglienza per i rifugiati. E allora la fotografia pastorale del pontificato di Francesco è diventata estremamente nitida, caratterizzabile persino con una sola parola: inclusione.
La Chiesa di Francesco è la Chiesa del riformare senza rinnegare, è pienamente dentro la tradizione dottrinale ma dal punto di vista pastorale ha un evidente elemento di innovazione. Il Papa si rivolge a persone che la vita porta inevitabilmente ai margini della Chiesa: divorziati, divorziati risposati, donne che hanno abortito, procuratori di aborti, omosessuali, transessuali, migranti anche di religioni apertamente ostili al cattolicesimo romano, ragazze madri, figli nati fuori dal matrimonio. Lo sforzo di Francesco è inclusivo ed è lasciare le novantanove pecore per la ricerca da pastore della pecora persa "finché non la ritrova".
C'è una parola che però la lettura laica e laicista dimentica nella narrazione interessata della pastorale di Francesco ed è "pentimento". Il Papa non propone una Chiesa inclusiva a tutti i costi, a prescindere dall'atteggiamento dei singoli. La proposta di Papa Francesco è una Chiesa materna, accogliente, solo a patto del riconoscimento del peccato compiuto. Non c'è quella "abolizione del peccato in nome della misericordia" che gli Eugenio Scalfari (alcuni dei quali anche senza la barba bianca si proclamano pure cattolici) vogliono far credere al mondo. La frase è sempre la più nota di questo pontificato e non è "chi sono io per giudicare?", ma "chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?".
E' nella ritrovata passione per la ricerca di Dio la chiave della salvezza dell'uomo contemporaneo e Papa Francesco lavora incessantemente per riattizzare questa passione, rimuovendo gli ostacoli più banali all'incontro possibile tra la persona e Cristo. Questa è la chiave della sua invocazione continua di misericordia, è il messaggio di Gesù all'adultera: "Va e non peccare più". Che non è il "va e fa come ti pare" che vuol far credere la vulgata corrente.
Devo qualche parola a me stesso, trovandomi personalmente a far parte di quell'esercito di pecorelle smarrite cercate da pastori che non dimenticano l'integrità da preservare del gregge. Sono un divorziato risposato e, contrariamente alla opinione che hanno molti, non sono un convertito. Sono un cattolico sempre stato cattolico, che ha attraversato la vita con la fede e la fede con la vita, ricavandone fasi di diversa intensità sia di fede che di vita. Quando la fede si è affievolita, per vicende molto dolorose e molto complesse, ho peccato molto. Quando la fede si è rafforzata, non ho smesso di peccare. La mia grazia, la mia fortuna, è stata l'incontro con uomini di Chiesa che non mi hanno proposto un perdono a buon mercato, ma un percorso di consapevolezza dell'incontro con Cristo e della ferita inferta dal nostro peccato.
Dico questo perché in questa stagione di novità inclusiva per la Chiesa, anche noi peccatori di lungo corso ne avvertiamo il fascino solo se l'incontro resta quello con Cristo, non con una generica filantropia buonista che è la lettura orrenda (e purtroppo che avrebbe l'effetto di svuotare le chiese, se non contrastata) della pastorale dell'attuale Papa. Francesco non sta proponendo un'idea di libertà che subisce le mode del mondo e considera dunque legittimo ogni comportamento, lavandolo alla fonte di una generica e indistinta misericordia tutta e solo umana. La proposta è quella di far bere all'uomo assetato contemporaneo l'acqua dell'incontro con Cristo, generando desiderio di verità e rimuovendo gli ostacoli più moralisti, perché la Chiesa non è mai stata moralista.
La sfida è enorme. Ma resterà deluso chi pensa o scrive che Papa Francesco apre al matrimonio gay o vara con i due "motu proprio" sulla Rota una sorta di "divorzio breve" in salsa cattolica o benedicendo una ragazza madre piuttosto che abbracciando un transessuale modifica in termini sostanziali la dottrina della Chiesa sulla famiglia. In tutti questi casi il Papa ripete sempre con nettezza i contorni del peccato e contro l'ideologia gender tuona con parole mai udite prima come quelle sulla "colonizzazione ideologica", "lo sbaglio della mente umana" o l'assimilazione dei metodi educativi riservati alla "gioventù hitleriana".
Questo Papa peraltro riafferma con grande insistenza il ruolo del magistero petrino, del Successore di Pietro, assumendosi responsabilità in termini personali che risuonano molto forti nei documenti che hanno apportato queste che certamente sono innovazioni (pastorali, non dottrinali, lo ripeto a scanso di equivoci). E' una Chiesa insomma più forte, non più debole, quella che propone al mondo l'incontro con la Verità e la lotta contro il Male e il peccato. A noi, anche a noi ultimi tra i peccatori, il compito di essere umili testimoni di quel che sta accadendo, comunicandone la forza, che alcuni interessati interpreti propagandano per debolezza o accondiscendenza. Tutto il contrario della misericordia.