martedì 12 maggio 2015

La fanciulla guerriera

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Il mantello scarlatto attirava il nemico come la fiamma di una candela con le falene. Una dozzina di mani si allungò su di lei quando venne disarcionata. «Arrenditi» le ordinò un cavaliere borgognone. «Non a voi!» replicò Giovanna, in tono di sfida. «Mi sono già arresa a Dio, e manterrò la parola data a Lui». Poi le furono addosso. La Pulzella, la leggendaria creatura che alla testa di seicento cavalieri aveva liberato Orléans dall’assedio di inglesi e borgognoni e aveva condotto il delfino a Reims per essere incoronato, era caduta prigioniera.
Le vite dei santi appartengono alla storia, perché sono loro stessi a fare la storia e a farla come piace a Dio. La storia senza i santi si riduce a guerre e battaglie, nazioni soggiogate o liberate, leggi e decreti. A porte pesanti come quella della cella di Rouen che il 23 dicembre del 1430 si chiuse davanti a una ragazza incatenata in attesa di processo. «Di tanto in tanto, però, Dio mostra la strada e ogni volta per indicarla si avvale di un santo. I santi sono esseri umani, e non sempre sono persone pacifiche. Sanno combattere, e anzi, devono farlo quando si imbattono nel male» ricorda Louis de Wohl nelle pagine limpide e appassionate di Giovanna la fanciulla guerriera (da pochi mesi editato da Bur, 201 pagine, 11 euro), l’avventura della «dolcissima, giovane e gloriosa» santa Giovanna d’Arco. Accade allora che un evento diventi storia e che dietro quella pesante porta una ragazza in catene si prepari ad affrontare «ciò che verrà con letizia. Non arretrare davanti al martirio, perché sarà così che conquisterai il paradiso».

Giovanna sapeva che sarebbe stata catturata. Le Voci l’avevano avvertita, «verrai fatta prigioniera prima del Giorno di San Giovanni. È necessario. Affronta ciò che deve accadere senza opporti. Dio ti aiuterà». E lei aveva obbedito, come aveva obbedito quando, a soli 17 anni, aveva lasciato la casa dei genitori contadini, Jacques d’Arc e Isabelle Romée di Domrémy, con un semplice abito rosso e i lunghi capelli neri spettinati dal vento, una colonna di fuoco e fumo sospesa sul terreno, per raggiungere Vaucouleurs e chiedere al capitano Robert de Baudricourt un cavallo e alcuni uomini per recarsi dal suo gentile delfino e salvare la Francia. E lui, dopo averla cacciata per due volte, l’aveva esaudita. Perché? Perché centinaia di uomini valorosi come il giovane duca d’Alençon, il guascone Étienne de Vignolles, detto “La Hire”, il delfino Carlo VII, perfino la giuria di clerici e monaci eruditi presieduta dal temutissimo padre domenicano Turelure (che la sottopose ad esame prima di accordarle il comando), rimpiazzarono un ragionevole scetticismo con una inossidabile devozione per una contadinella che andava alla guerra dei Cent’anni?


Simile ad un angelo nella sua armatura lucente nelle mentite spoglie di una ragazzetta fiera e impavida, reggendo alto uno stendardo di seta bianca con il ritratto di Cristo, degli angeli e il motto “Jesus Maria”, e la spada di Fierbois che le Voci le avevano ordinato di brandire e non usare per uccidere, l’8 maggio del 1429 Giovanna rompeva l’assedio inglese di Orléans ed entrava nella storia della Chiesa e dell’Occidente europeo. Il suo mito avrebbe ispirato poeti e letterati, da Charles Péguy a Paul Claudel, registi, pittori, scultori; cristiani come de Wohl, così certo che l’essenziale per la vittoria sia sempre la fede, agnostici come Mark Twain, che alla libera, pura e altruista Pulzella d’Orléans dedicò dodici anni di intense ricerche. Come aveva fatto una ragazzina a conquistare capitani, prelati, nobili, uomini di cultura, re con le sue irremovibili convinzioni e la sua fede così ottusa da apparire dissennata?
«Nel nome di Dio, non sono venuta qui per esibirmi in miracoli. Conducetemi a Orléans, e vi darò i segni che volete»; «i soldati combatteranno nel nome di Dio e Lui concederà loro la vittoria»; «prima di partire voglio che ciascuno di voi si confessi e riceva il santo Sacramento. Chiunque si rifiuti di farlo non potrà marciare con noi». Dopo una vita trascorsa a studiare, insegnare e combattere non era facile per i dotti illustri e i capitani di guerra accettare gli ordini bruschi, quasi scortesi di Giovanna. Eppure tutti capivano che non avrebbe potuto parlare in quel modo senza l’aiuto di una forza superiore. Era una donna, ed era giovanissima. L’asprezza delle sue risposte non poteva dipendere dalla sua indole ma dalla forza alle sue spalle: a manifestarsi era l’impazienza divina e Giovanna ne traboccava. Colpita dalla freccia di un arciere inglese alla vigilia della presa di Les Tourelles, se la strappò dal petto e da sola si rimise in piedi. «Di cosa è fatta questa ragazza?» si chiedevano i suoi compagni d’armi, e «Dio solo lo sa» era davvero l’unica risposta ragionevole.
Fin dall’inizio aveva obbedito alle Voci. Quelle dell’arcangelo Michele e delle sante Caterina d’Alessandria e Margherita d’Antiochia: il capo degli angeli che sconfisse l’Avversario e due martiri coraggiose e come lei giovanissime. La prima volta che le aveva sentite aveva tredici anni: non sapeva cavalcare, leggere o scrivere, e loro le avevano chiesto di farsi carico del destino di Francia, incontrare il delfino e salvare il regno dall’assedio inglese. E Giovanna aveva accettato, ribellandosi al padre che la voleva sposata aveva fatto voto di castità consacrandosi alla volontà di Dio. Un sì da bambina: da allora non agì mai per propria gloria, ma obbedendo alle Voci che attraverso di lei ancora oggi parlano a chiunque si imbatte nella sua storia.
A giudizio degli uomini
Catturata a Margny dagli uomini di Jean de Luxembourg, vassallo del duca di Borgogna, alleato degli inglesi, Giovanna venne venduta al nemico e processata a Rouen da una giuria di teologi dell’Università di Parigi, presieduta dal vescovo di Beauvais Pierre Cauchon e dall’inquisitore Jean le Maistre. «Osi sostenere di essere in stato di grazia?» le chiese un giudice. «Se non lo sono, che Dio mi ci metta; se lo sono che Dio mi ci mantenga» rispose Giovanna prima di profetizzare la sconfitta degli inglesi entro lo scadere di sette anni. Minacciata, insultata, tempestata di domande, la ragazza venne torturata per mesi dalle domande dei giudici decisi a farla cadere nell’eresia. «Non si è mai vista un’ingiustizia simile da quando Anna e Caifa condannarono nostro Signore», sussurravano gli uomini semplici, ascoltando le risposte limpide di Giovanna, cariche di una ironia consapevole e disarmante come quelle di Cristo davanti al sinedrio e a Pilato.
Quando si dichiarò martire i suoi accusatori andarono su tutte le furie. Non poteva definirsi martirio una condanna comminata dalla Chiesa. Lo stesso Cauchon si contraddisse pubblicamente, non osando rifiutare la comunione a quella che aveva appena giudicato un’apostata e una strega. «Vescovo, muoio per colpa vostra. Per le vostre azioni in tutto questo, vi convoco al giudizio dei cieli», tuonò l’innocente con gli occhi infiammati. Quando il rogo iniziò a bruciare la ragazza invocò il Signore, santa Caterina, santa Margherita e l’arcangelo Michele. Poi, insieme alla croce arrangiata con due rami di fascine da un impietosito arciere inglese, Giovanna d’Arco morì, a soli diciannove anni bruciata viva col nome di Gesù sulle labbra.
«Siamo perduti. Abbiamo bruciato una santa» si sentì urlare nella piazza terrorizzata in silenzio. La voce era quella di John Tressart, segretario personale del re d’Inghilterra. Uno dei dotti canonici, Jean d’Alespée dichiarò: «Prego che un giorno la mia anima si trovi dov’è oggi quella della Pulzella». E la sera stessa del supplizio, il boia di Rouen si recò dai frati domenicani, tremante di terrore. «Ho bruciato una santa. Dio non mi perdonerà mai». Fu solo l’inizio dei giorni segnati dal declino dell’Inghilterra e dalla morte di chi aveva preso parte alla condanna di Giovanna.
Donne che salgono sulla Croce
Giovanna fece la storia come piace a Dio. E come con santa Caterina da Siena o Ildegarda di Bingen, Dio si era servito del cuore dei piccoli, di una donna, per confondere i potenti. Grandi cose erano avvenute durante i due anni di vita pubblica di Giovanna, ma a giudici e teologi mancò «la carità e l’umiltà di vedere in questa giovane l’azione di Dio» disse Benedetto XVI definendo il processo di condanna «una pagina sconvolgente della storia della santità e illuminante sul mistero della Chiesa». Nel 1455 Isabelle Romée, ormai settantenne, raggiunse Roma a piedi, ottenendo da papa Callisto III l’apertura di un’indagine ecclesiastica. Il 7 luglio 1456 la decisione del tribunale di Rouen venne annullata da una sentenza senza appello: l’innocenza di Giovanna sarebbe stata provata fino alla fine dei tempi. Nel 1909 Pio X la dichiarò beata. Il 9 maggio del 1920 Benedetto XV la proclamò santa. In una vita completamente diversa, un’altra santa, Teresa di Lisieux, esprimeva il desiderio di morire come Giovanna, pronunciando il nome di Gesù: oggi la Chiesa le ha riunite come Patrone della Francia, dopo la Vergine Maria.
Due ragazze diversissime e graziate dalla preferenza che Dio manifesta per la donna nel dolore e nella battaglia fin dal “sì” di un’altra giovane che diede inizio alla storia. Donne capaci di dare la vita o, come piacque scrivere a Claudel nell’Annuncio a Maria, di «morire, non digrossar la croce ma salirvi, e dare in letizia ciò che abbiamo». Per questo, tra le vite dei santi che appartengono alla storia, nessuno potrà dimenticare quella della «dolcissima, giovane e gloriosa» Giovanna d’Arco.