martedì 26 maggio 2015
Unità della Chiesa e pace tra i popoli
Il sogno di La Pira.
(Gualtiero Bassetti) Raccontare le divisioni, vere o presunte, all’interno della Chiesa è da sempre un argomento di grande successo nell’opinione pubblica. Far riferimento all’unità della Chiesa, invece, come ha fatto Papa Francesco — proprio in questi giorni che precedono il suo viaggio a Sarajevo, città simbolo del martirio contemporaneo e luogo storico della convivenza di islam, cristianesimo ed ebraismo — significa voler sottolineare un aspetto decisivo per il futuro.
Significa ribadire l’assoluta importanza, per tutti i cattolici, di vivere concretamente la fede in una forma che Chiara Lubich non esitava a definire «spiritualità dell’unità».
Una spiritualità che produce frutti preziosi, il più importante dei quali è senza dubbio la pace. Dapprincipio una pace interiore che permette di vivere la propria fede con umiltà, senza scadere in quella tentazione ricorrente di pensare se stessi sempre migliori degli altri. E poi una pace pubblica che, invece, favorisce la costruzione di quel «vincolo di perfezione» rappresentato dalla carità, la quale permette l’unità della Chiesa.
Naturalmente l’unità nella Chiesa non significa ricercare un inutile unanimismo di facciata né un ipocrita conformismo omologante. È del tutto ovvio, infatti, che le diversità di opinioni rappresentano sempre un momento di crescita e di sviluppo. Se però le differenze si trasformano in uno «spirito di divisione», caratterizzato da «invidie e gelosie», allora significa che sta prevalendo quello «spirito del mondo» denunciato in più occasioni dal Pontefice. Uno spirito mondano che, di fatto, ferisce l’unità del corpo di Cristo, si oppone all’azione salvifica di Dio e rischia di neutralizzare ogni opera di rinnovamento pastorale.
Mai come in questo momento storico, dunque, la «spiritualità dell’unità» assume una grande importanza e si collega direttamente con la grande eredità del Vaticano II. Non casualmente, infatti, Giovanni XXIII, quando annunciò il concilio, fece riferimento sia alla necessità di saper discernere «i segni dei tempi» che alla promozione di un moto di concordia tra i cristiani per favorire l’unità di tutti gli esseri umani. L’unità cristiana venne in quel momento rappresentata come un modello per la realizzazione della pace universale.
Lo stesso modello avrebbe ispirato anche Giorgio La Pira, il quale, in una lettera a Papa Montini, scrisse con grande lungimiranza che questo «movimento interiore» dei popoli cristiani verso l’unità non limitava «i suoi effetti nell’orbita della vita spirituale ed ecclesiastica» ma investiva l’intero processo storico e agiva «come lievito efficace per la rigenerazione totale del mondo, per la edificazione della pace e dell’unità del mondo».
Queste parole sono attualissime perché, da un lato, rimandano alla vocazione di ogni cristiano di essere compartecipe, docile al soffio vitale del Spirito santo, della costruzione dell’unità della Chiesa; e, dall’altro lato, perché richiamano alla necessità del dialogo con le donne e gli uomini di tutte le religioni per rompere quello che Papa Francesco ha definito «muro dell’indifferenza e del cinismo». Il prossimo viaggio del Pontefice a Sarajevo, nella Gerusalemme d’Europa, una periferia del vecchio continente, assume dunque anche questo grande significato: costruire quel «ponte di preghiera, unità e pace tra oriente ed occidente» sognato da La Pira. Ovvero la capacità di abbracciare tutti gli uomini al di là di ogni differenza, per realizzare il testamento di Gesù ut omnes unum sint, «perché tutti siano una sola cosa».
L'Osservatore Romano