di Massimo Introvigne
L’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, che è tra l’altro presidente del Convegno Ecclesiale Decennale di Firenze 2015 della Conferenza Episcopale Italiana, scende in campo contro il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili. Lo fa con un’intervista concessa al settimanale diocesano di Torino La Voce del Popolo di domenica 31 maggio 2015.
A proposito del referendum irlandese, Nosiglia rileva che sbagliava chi pensava che «il popolo d’Irlanda fosse uno dei più cattolici in Europa». In realtà per l’Irlanda «questa qualifica di “cattolico” non regge alla prova dei fatti». Si deve parlare piuttosto di una «appartenenza debole alla fede cattolica», rispetto a cui sono prevalse «la cultura dell’individualismo e la martellante propaganda dei mass-media, tutti orientati al sì ai matrimoni omosessuali». Ma in fondo, ragiona il presule, lo avevamo già visto in Italia nei vecchi referendum su divorzio e aborto. «Molti, che pure si dichiarano cattolici, hanno ormai acquisito nella loro mentalità e costume di vita una netta separazione tra vita privata e vita pubblica, per cui la sfera dell’appartenenza religiosa è vissuta come una scelta individuale. Si ragiona così: “Io sono cattolico e credo nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ma se un altro la pensa diversamente, è giusto che lo Stato laico gli offra la possibilità di soddisfare i suoi desideri garantendogli uguali diritti”».
Questo ragionamento presentato come di buon senso, è però sbagliato e contrario alla“ragionevolezza” autentica. Infatti, argomenta Nosiglia, «considerare il matrimonio un fatto privato impedisce di coglierne il valore umano, naturale e sociale che esso ha, prima ancora che religioso o conseguente a una scelta dei singoli. In questo modo la vita comune, elemento insostituibile della convivenza sociale, si riduce alla somma di tanti individui separati l’uno dall’altro e autoreferenziali. Il compito dello Stato diventa quello di promulgare leggi che si limitano a riconoscere ogni scelta individuale o di gruppo invece di sostenere soprattutto quelle che contribuiscono a promuovere in modo determinante i valori comuni ritenuti essenziali per la l’intera società». Non si dovrebbe mai dimenticare che «l’attuale forma di matrimonio e di famiglia, mediante la procreazione e l’educazione dei figli che rappresentano il tesoro più prezioso di un Paese, garantisce il suo stesso futuro».
L’Italia deve seguire l’Irlanda? Lo afferma, rileva l’arcivescovo, «una martellante propagandastrumentale che si avvale di ogni circostanza favorevole per cercare di avallare le proprie idee, sottolineando il fatto che ormai sono poche le nazioni occidentali che non hanno ancora attivato una legislazione sui matrimoni omosessuali». L’Italia però ha una Costituzione che all’articolo 29 definisce la famiglia «società naturale fondata sul matrimonio», e che la famiglia di cui parla la carta costituzionale sia quella «uomo, donna e figli» sembra ovvio all’arcivescovo di Torino. Nosiglia non è contrario a che la legge, anche in Italia, ribadisca certi «diritti ritenuti essenziali a garanzia di ogni persona omosessuale e le sue concrete necessità». Ma non è questa, precisa subito, «l’impostazione» del disegno di legge Cirinnà, che «tende a equiparare il matrimonio tra uomo e donna con l’unione omosessuale, a parte il discorso delle adozioni. L’articolo 3 infatti è chiarissimo perché afferma che tutte le leggi e norme che sono presenti nel Codice Civile relative al matrimonio eterosessuale vanno attribuite e applicate anche per l’unione omosessuale. Di fatto dunque solo nominalmente tale unione non viene chiamata matrimonio».
Della Cirinnà al presule non piace neanche il «secondo titolo che riguarda le convivenze che in uncerto senso è addirittura più estensivo del precedente, perché riconosce ai conviventi molti dei diritti propri del matrimonio, senza però chiedere adeguati doveri da assumersi da parte di soggetti che peraltro non hanno scelto di regolare comunque la propria unione. In questo modo si depotenzia del tutto lo stesso matrimonio sia civile che religioso, con gravi conseguenze di allontanare sempre più i giovani da un istituto che è sempre stato e non può non restare un architrave fondamentale della nostra società».
Forse con riferimento anche alle aggressioni contro le Sentinelle in piedi, di cui l’Arcidiocesi di Torino aveva annunciato la veglia sul proprio sito ufficiale, Nosiglia nota che oggi «chi propugna una visione di matrimonio e famiglia costituzionale e tradizionale viene perfino impedito di dichiararlo con l’accusa di perseguire vie di discriminazione verso chi la pensa diversamente». E ammonisce senza mezzi termini «i politici che dovranno decidere in merito e si riconoscono nei principi cristiani, a mostrarsi coerenti con essi, anche in questa particolare circostanza in cui si richiede coraggio, unità e impegno responsabile». L’arcivescovo raccomanda «alle nostre comunità e a tutte le componenti cattoliche, le famiglie in primo luogo, le associazioni e movimenti laicali, di seguire con attenzione l’evolversi della situazione per conoscere bene quanto sta avvenendo al riguardo in Parlamento, con le molteplici posizioni dei vari senatori e deputati coinvolti». Non si tratta di mere minacce elettorali, ma di una doverosa resistenza «alla cultura e mentalità dominante, che escludono ogni visione di matrimonio e famiglia diversa da quella imposta dalla dittatura dell’individualismo e del “politicamente corretto”».
Questa dittatura non deve però farci paura. «All’inizio del cristianesimo», conclude Nosiglia, «la Chiesa si è trovata di fronte a situazioni molto simili a quella che oggi vengono propagandate come conquiste moderne (in realtà sono molto vecchie perché già ampiamente vissute nel mondo pagano) e le ha affrontate con l’annuncio del Vangelo del matrimonio e con la testimonianza delle coppie cristiane che subivano anche rifiuti e persecuzioni». È quanto i credenti sono chiamati a fare anche oggi.