Ana dei miracoli
di Massimo Gramellini
Ci prendiamo due minuti per una favola? Ana Dos Santos Cruz è la ragazza brasiliana con la fossetta sul mento e i lunghi capelli scuri che sta rovistando nei cassonetti della spazzatura di un quartiere elegante di San Paolo. Ha un compagno balordo in galera e un figlio di tre anni a cui ogni giorno deve trovare qualcosa da mangiare. Da un mucchio di cartacce spunta un libretto degli assegni. Sono già compilati per decine di migliaia di dollari, senza destinatario. Ma nel leggerne le causali Ana scopre che si tratta di donazioni per il Barretos Cancer Hospital. E qui si fa dura. La immaginiamo piantata in mezzo alla strada, con gli assegni in una mano e il bambino di tre anni nell’altra. Quale sarà la scelta giusta?
Il male è facile da raccontare e anche da leggere: il confronto con la parte peggiore degli altri ci fa subito sentire migliori. Per i motivi opposti, narrare il bene è un esercizio fastidioso. Perché appena uno scopre che Ana la barbona ha consegnato gli assegni all’ospedale senza provare a incassarne neppure uno per sé, pensa a come si sarebbe comportato al posto suo e non sempre trova risposte che lo fanno sentire tranquillo. Stavolta a toglierci dal disagio irrompe il lieto fine. Il direttore dell’ospedale ha raccontato la storia in giro, le tv hanno rintracciato Ana tra i cassonetti innalzandola a caso umano, un centro commerciale l’ha presa come modella per la sua campagna pubblicitaria e con i soldi dell’ingaggio Ana ha ripreso a studiare e soprattutto a sfamare regolarmente il figlio. Una scelta di rinuncia le ha donato un’inattesa abbondanza. Più che la morale della favola, è la favola della morale.