Intervento del cardinale segretario di Stato. Per un rinnovato impegno della Chiesa
«Non solo una sconfitta dei principi cristiani, ma una sconfitta dell’umanità». Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha commentato così l’esito del referendum che in Irlanda ha legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. «Sono rimasto molto triste di questo risultato» ha detto, aggiungendo — con riferimento alle dichiarazioni dell’arcivescovo di Dublino — che «la Chiesa deve tener conto di questa realtà, ma deve farlo nel senso di rafforzare tutto il suo impegno per evangelizzare anche la nostra cultura».
Sull’argomento il porporato è stato interpellato dai giornalisti martedì pomeriggio, 26 maggio, in margine alla conferenza internazionale sul tema «Ripensare le caratteristiche chiave della vita economica e sociale» promossa a Roma dalla fondazione Centesimus annus pro Pontifice.
Rispondendo a una domanda sul prossimo Sinodo dei vescovi, il cardinale Parolin ha ribadito che «la famiglia rimane il centro, e dobbiamo veramente fare di tutto» per difenderla, tutelarla e promuoverla «perché ogni futuro dell’umanità e della Chiesa, anche di fronte a certi avvenimenti di questi giorni, dipende dalla famiglia». E ha chiarito: «Non appoggiare la famiglia è come togliere la base di quello che dovrebbe essere l’edificio del futuro».
Il porporato ha anche fatto riferimento all’imminente pubblicazione dell’enciclica di Francesco dedicata alla custodia del creato, ipotizzando che «il Papa richiamerà i principi morali che sono alla base anche di un impegno nei confronti dell’ambiente e che potranno essere condivisi da tutti». Quindi ha proseguito affermando che «l’idea di sempre che la Chiesa propone e ripropone e su cui tutte le encicliche sociali dei Papi hanno fortemente insistito, è la centralità della persona umana. Questa è l’idea antropologica e morale: che al centro della finanza, al centro del mercato di ogni sviluppo ci deve essere la persona umana concreta». Del resto, ha chiarito, «tante volte noi astraiamo troppo: quando si parla di centralità della persona umana pensiamo a un concetto, invece è la persona umana concreta. Sono milioni, miliardi di uomini che vivono in questo mondo e che devono essere l’oggetto e il soggetto di uno sviluppo che permetta a tutti di vivere in maniera degna e umana».
Quanto alla possibilità di introdurre la Tobin tax, una tassa sulle transazioni finanziarie per aiutare i bisognosi, il cardinale Parolin ha osservato che «si può discutere; è il tempo di mettere in atto tutti quegli strumenti che sono stati individuati per aiutare i poveri a uscire dalla loro situazione e farli diventare protagonisti del loro sviluppo».
Infine il porporato si è detto preoccupato per le difficoltà economiche della Grecia: «Penso che sia una situazione che potrebbe portare a una certa destabilizzazione, dunque ci auguriamo che al più presto si possa chiudere l’accordo e si possa giungere a una soluzione».
Apertasi nel pomeriggio di lunedì 25 nell’aula nuova del Sinodo in Vaticano, la conferenza sulla dottrina sociale della Chiesa e il mondo degli affari ha affrontato in particolare due domande che riguardano tanto le economie ricche quanto quelle indigenti: se sia possibile cioè una crescita che non implichi necessariamente un consumo compulsivo e il futuro dell’occupazione e l’economia “informale”.
Prima di partecipare mercoledì mattina, 27 maggio, all’udienza generale in piazza San Pietro, i convegnisti avevano assistito durante la sessione di martedì 26 al palazzo della Cancelleria alla cerimonia di conferimento del premio internazionale «Economia e società», assegnato ad autori di tesi e pubblicazioni sull’insegnamento sociale della Chiesa. Alla presenza, tra gli altri, dei cardinali Reinhard Marx e Domenico Calcagno, presidenti rispettivamente del Consiglio per l’economia e dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa), il segretario di Stato ha pronunciato un intervento nel quale ha ricordato che «le attività finanziarie sono realizzate con mezzi complessi e rischiano di far perdere la visione del bene comune e della dignità umana». Citando l’Evangelii gaudium, nella quale il Pontefice parla dell’attuale sistema economico al centro del quale c’è “l’idolatria del denaro”, il porporato ha quindi messo in luce che il concetto di “strutture di peccato” è stato «utilizzato dai Papi ed è entrato nella dottrina sociale e dunque possiamo utilizzarlo per le nostre analisi. Nel rapporto tra persona e struttura, la proposta cristiana insiste fortemente sulla conversione personale come strada e cammino per giungere alla riforma delle strutture. Se l’uomo è convinto della bontà di certe cose e della cattiverie di certe altre, certamente lavorerà a livello sociale e si metterà insieme ad altri, perché è importante non essere soli, ma essere insieme per cambiare certe strutture che opprimono l’uomo e non lo liberano». E poiché «le gravi distorsioni economiche pesano sulla salute del pianeta e influenzano negativamente la vita e la società umana», il segretario di Stato ha concluso rilanciando l’utilità «della dottrina sociale della Chiesa per rispondere a tali disfunzioni».
L'Osservatore Romano
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No al matrimonio tra persone dello stesso sesso: sarebbe una spesa enorme per lo Stato e una inaccettabile apertura alle adozioni gay.
Fratelli d'Italia si batterà in Parlamento contro il ddl Cirinnà che introduce la “stepchild adoption” e apre di fatto le porte all’utero in affitto.
Per noi le priorità sono altre:
sostenere la famiglia tradizionale e la natalità e difendere il sacrosanto diritto di un bambino ad avere un padre e una madre"
Fratelli d'Italia si batterà in Parlamento contro il ddl Cirinnà che introduce la “stepchild adoption” e apre di fatto le porte all’utero in affitto.
Per noi le priorità sono altre:
sostenere la famiglia tradizionale e la natalità e difendere il sacrosanto diritto di un bambino ad avere un padre e una madre"
Giorgia Meloni
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Saputo dell’esito referendario in Irlanda, mando una mail a Vittorio Messori. E gli dico, linkandogli l’articolo su John Waters (qui):
In questo articolo c’è tutto, c’è anche quell’idea che fu sua, reiteratamente ripetuta e sempre presa sottogamba, dell’implicita debolezza delle cristianità, dei cattolicesimi “imperiali” e “patriottici”, che si sono vigorosamente tenuti in piedi aggrappati all’idea di nazionalità, di una certa idea di nazione, dove il nazionalismo si confondeva con la fede.
E inoltre, aggiungo io, il cattolicesimo irlandese altro non è stato che una strenua opposizione al dominio politico inglese e dunque anglicano, all’anglicanesimo non perché non romano ma perché inglese, resistenza dunque allo straniero barbaro e invasore che assumeva le sembianze stesse del Male. Venuto meno questo conflitto, è venuto meno anche il cattolicesimo irlandese. Ma soprattutto: gli irlandesi, beoni e sessuomani cronici (basti pensare ai Kennedy), mai furono veramente cattolici, sempre rimasero dei calvinisti, e questo fu l’andazzo nei suoi istituti religiosi ed educativi, la peggiore specie di puritani: doppi, bigotti, spietati. Ossessionati dalla stessa idea dei loro vizi endemici, il sesso e l’alcol in primis.
Per il resto, il silenzio totale della Chiesa irlandese durante i referendum, la dice lunga a cosa servono le campagne mediatiche sui preti “pedofili”: a condannarli alla morte sociale, a distruggerne le difese immunitarie, la capacità di reazioni, intimiditi dal complesso della vergogna. Che per giunta, nel caso irlandese, è del tutto giustificato, o quasi tutto.
MESSORI:
Sin da tempi non sospetti ho sempre guardato, e scritto, con diffidenza dei “Paesi cattolicissmi “: Spagna, Polonia, Irlanda, Québec canadese. Ci metta magari anche il Lussemburgo, primo al mondo ad avere un premier che ha sposato un altro maschietto. Il fatto è che conosco la storia e so come è andata.
Per stare all’Irlanda: quando giunsero i primi missionari (i benedettini mandati da Roma da Gregorio) non ci fu neanche bisogno di predicare, meno che mai di convincere il popolo. Il sistema sociopolitico era basato su un mosaico granitico di clan dove il Capo era onnipotente. Bastò convincere a battezzarsi quello che stava a capo della piramide e tutti gli altri seguirono a cascata. La gente non fu mai interpellata e poco o niente catechizzata, nei secoli: bapteme pour tous…
Prenda i polacchi : cattolicissimi? Certo, perché stretti tra Prussia luterana e Russia ortodossa. La religione ci entrava così poco che i più fedeli, sempre, a Napoleone furono proprio i volontari della legione polacca, pronti spesso e volentieri al saccheggio delle chiese e all’espulsione dei religiosi in tutta Europa. Il tutto in nome della promessa del Bonaparte di concedere, chissà quando, l’indipendenza alla Polonia.
Non parliamo poi della Spagna, per carità non di patria ma di Chiesa: ne avrei da dirne, a cominciare dalla leggenda della Reconquista, una sòla come dite voi a Roma pari solo a quella della nostra Resistenza.
IO:
Sto scrivendo un veloce articolo per il mio sito (ormai mi disturba interrompere il lavoro saggistico per dedicarmi agli articoli, il quotidiano al posto della storia… perché la vittoria cattolica la si vede solo “nella” storia, al presente è sempre una sconfitta), sto scrivendo, dicevo, un articolo sull’Irlanda, ha altro da dichiarare?
MESSORI:
A pensarci bene… ci metta questo, visto che mi cita il puritanesimo e le ossessioni sessuomani degli irlandesi e dei calvinisti in genere. I tèutoni alla Kasper, e alla Lutero, non hanno capito che la formula che ha permesso la durata e la grandezza della Chiesa – e che le ha permesso di diventare davvero cattolica – così suona: Saldi, anzi irremovibili, sui princìpi; tolleranti, comprensivi per l’uomo concreto. Proclamare sempre e comunque l’ideale ma non dimenticare mai le ferite che ci rendono infermi e spesso incapaci di seguire la Virtù. Solo la contraddizione è umana, la coerenza sempre e comunque è disumana e utopica.
IO:
Come sembra pensare il papa.
MESSORI:
In realtà non so se pensi questo, forse no. E stupisce che non l’abbia capito l’italo-sudamericano, per giunta gesuita, cioè formato al compromesso, all’inciucio, all’accomodamento. Ma probabilmente lo ha ben capito però… almeno in certi discorsi, preferisce aggregarsi all’ondata egemone ossessionata dall’eticismo, della quale però si è già impossessato il Pensiero Unico con tutte le ipocrisie del caso…
IO:
Quindi il papa cerca funghi in un bosco dove già sono passati tutti i santoni del Pensiero Unico Dominante, non cavalca l’onda, semplicemente s’aggrega…
MESSORI:
Siamo comunque a dei paradossi. Nel sito di Repubblica, accanto agli esaltanti, per loro, risultati irlandesi, c’è l’omelia domenicale di Scalfari tutta tesa a dimostrare che oggi non c’è al mondo un uomo cui guardare con maggiore fiducia e da imitare per tutti come il papa. Un panegirico imbarazzante. Forse perché papa Bergoglio sembra dargli ragione dicendo “buon pranzo” e “buongiorno”? Non del tutto, il problema è più complesso, direbbe un vecchio sessantottino.
IO:
Ma stiamo vivendo una rivoluzione, e il primo nemico della rivoluzione è la Chiesa: si può attaccarla oppure farsela amica.
MESSORI:
Quanto a questo, beh, ci vorrebbero libri. E alcuni li ho già scritti… Tenga presente che, nella storia, una sola rivoluzione ha avuto successo duraturo e crescente: quella sessuale. Che è anche questa. È chiaro: le altre fanno appello alle virtù, la rivoluzione sessuale al desiderio che diventa presto vizio. Per questo non poteva non vincere e passerà di trionfo in trionfo.
Termina lo scambio di vedute con Messori che mi dà delle “curiosità” sulla croce celtica degli irlandesi, che alla fine dopo tante ipotesi le più mistiche ed esoteriche, altro non risulta essere che una sintesi degli strumenti di navigazione che quel popolo di pescatori adoperava avventurandosi in mare. Tanto rumor per nulla…
http://www.papalepapale.com/
*«Anche molti fedeli vogliono le unioni civili. È tempo che la Chiesa accetti questa sfida». Intervista a Walter Kasper
(Gian Guido Vecchi) «Uno Stato democratico deve rispettare la volontà popolare, mi pare chiaro, se la maggioranza del popolo vuole queste unioni civili è un dovere dello Stato riconoscere tali diritti. Ma non possiamo dimenticare che anche una legislazione simile, pur distinguendo fra il matrimonio e le unioni omosessuali, arriva a riconoscere a tali unioni più o meno gli stessi diritti delle famiglie formate da uomo e donna. Questo ha un impatto enorme sulla coscienza morale della gente. Crea una certa normatività. E per la Chiesa diventa ancora più difficile spiegare la differenza».
Il cardinale Walter Kasper, grande teologo cui Francesco affidò la relazione introduttiva al Sinodo dell’anno scorso, e punto di riferimento dell’anima più riformista, tira un lungo sospiro: «Non sarà facile».
E perché, eminenza?
«Vede, io penso che il referendum irlandese sia emblematico della situazione nella quale ci troviamo, non soltanto in Europa ma in tutto l’Occidente. Guardare in faccia la realtà significa riconoscere che la concezione postmoderna, per la quale è tutto uguale, sta in contrasto con la dottrina della Chiesa. Non possiamo accettare l’equiparazione col matrimonio. Ma è una realtà anche il fatto che nella Chiesa irlandese molti fedeli abbiano votato a favore, e ho l’impressione che negli altri Paesi europei il clima sia simile».
E quindi, che farà la Chiesa?
«Si è taciuto troppo, su questi temi. Adesso è il momento di discuterne».
Al Sinodo di ottobre?
«Certo. Se il prossimo Sinodo vuole parlare della famiglia secondo la concezione cristiana, deve dire qualcosa, rispondere a questa sfida. L’ultima volta la questione è rimasta marginale ma ora diventa centrale. Io non posso immaginare un cambiamento fondamentale nella posizione della Chiesa. È chiara la Genesi, è chiaro il Vangelo. Ma le formule tradizionali con le quali abbiamo cercato di spiegare, evidentemente, non raggiungono più la mente e il cuore della gente. Ora non si tratta di fare le barricate. Dobbiamo piuttosto trovare un nuovo linguaggio per dire i fondamenti dell’antropologia, l’uomo e la donna, l’amore...Un linguaggio che sia comprensibile, soprattutto ai giovani».
All’ultimo Sinodo il tema dell’«accoglienza» degli omosessuali è stato controverso, ci sono stati contrasti tra le aperture europee e le posizioni più chiuse di episcopati come quello africano...
«No, non è che i vescovi europei e quelli africani la pensino diversamente, la posizione della Chiesa è sempre la stessa. Quello che differisce è il contesto, è la sensibilità della società, diversa in Africa e in Europa. E in Europa le cose sono cambiate».
In che senso?
«Non è più il tempo in cui la posizione della Chiesa su questi temi era più o meno supportata dalla comunità civile. Negli ultimi decenni la Chiesa si è sforzata di dire che la sessualità è una cosa buona, abbiamo voluto evitare un linguaggio negativo che in passato aveva prevalso. Ma ora dobbiamo parlare anche di che cosa sia la sessualità, della pari dignità e insieme della diversità di uomo e donna nell’ordine della creazione, della concezione dell’essere umano...».
A proposito di linguaggio, i documenti della Chiesa sull’omosessualità usano espressioni come «inclinazione oggettivamente disordinata...».
«Bisognerà fare attenzione a non usare espressioni che possano suonare offensive, senza peraltro dissimulare la verità. Dobbiamo superare la discriminazione che ha una lunga tradizione nella nostra cultura. Del resto è il catechismo a dire che non dobbiamo discriminare. Le persone omosessuali devono essere accolte, hanno un posto nella vita della Chiesa, appartengono alla Chiesa...».
E le coppie omosessuali? La Chiesa non può riconoscere anche a loro quell’idea di «bene possibile» di cui si parlava a proposito di divorziati risposati e nuove unioni?
«Se c’è una unione stabile, degli elementi di bene esistono senz’altro, li dobbiamo riconoscere. Però non possiamo equiparare, questo no. La famiglia formata da uomo e donna e aperta alla procreazione è la cellula fondamentale della società, la sorgente di vita per il futuro. Non è un problema interecclesiale, riguarda tutti, si devono valutare con la ragione e il buon senso conseguenze enormi per la società: pensi alle adozioni, al bene dei bambini, a pratiche come la maternità surrogata, alle donne che tengono un bambino per nove mesi sotto il loro cuore e magari vengono sfruttate perché povere, per qualche soldo. Non bisogna discriminare ma nemmeno essere ingenui».
Corriere della Sera
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La Stampa 27.5.15
Umanità
di Massimo Gramellini
Il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin ha definito le nozze gay «una sconfitta per l’umanità». Perbacco. Di solito l’attacco all’umanità si tira in ballo per crimini efferati come gli stermini di massa. Mentre qui il primo ministro del Papa considera l’essenza stessa dell’uomo messa a repentaglio da un desiderio naturale, espresso da persone adulte e consenzienti: che lo Stato legittimi la loro decisione di volersi bene per tutta la vita. Parolin parla sull’onda del referendum irlandese, dove il popolo più cattolico d’Europa ha votato a stragrande maggioranza per concedere a una minoranza di individui l’accesso a un diritto che era loro negato. L’Irlanda si è limitata a estendere una possibilità. Ed è sempre questo il punto che disorienta, quando si discute di diritti civili. Che da una parte c’è chi pretende di vietare qualcosa a qualcuno e dall’altra chi vuole soltanto aggiungere un’opportunità, senza nulla togliere, senza obbligare nessuno.
La Chiesa deve fare la Chiesa, si dirà, non può benedire atti che ritiene contrari alla morale, ancorché storicamente praticati con particolare assiduità nelle sacrestie. Ma allora, a rigore di logica, dovrebbe limitarsi a parlare di sconfitta dei propri valori. Non deplorare una sconfitta dell’umanità. A meno di volere un po’ presuntuosamente fare coincidere i precetti stilati nel corso dei secoli da una comunità religiosa (ispirata tra l’altro agli insegnamenti di un maestro di tolleranza come Gesù) con la natura profonda e insondabile dell’amore umano.