martedì 26 maggio 2015

«Quando volemo cominciare a fare il bene?»




"Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato!"
San Filippo Neri (1515 - 1596)

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“Con San Filippo Neri, la salvezza delle anime tornò ad essere priorità per la Chiesa”

La lettera di papa Francesco in occasione del V centenario della nascita del fondatore della Confederazione dell’Oratorio


Riportiamo di seguito la lettera di papa Francesco on occasione del V centenario della nascita di San FIlippo Neri.
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Al Reverendo Mario Alberto Avilés, C.O., Procuratore Generale della Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri
Il quinto centenario della nascita di san Filippo Neri, nato a Firenze il 21 luglio 1515, mi offre la felice occasione di unirmi spiritualmente all’intera Confederazione dell’Oratorio, per ricordare colui che ha vissuto per sessant’anni nell’Urbe meritando l’appellativo di “Apostolo di Roma”. Il suo percorso esistenziale è stato profondamente segnato dal rapporto con la persona di Gesù Cristo e dall’impegno di orientare a Lui le anime affidate alla sua cura spirituale; in punto di morte raccomandava: «Chi cerca altro che Cristo, non sa quel che si voglia; chi cerca altro che Cristo, non sa quel che dimandi». Da questa fervida esperienza di comunione con il Signore Gesù nasceva l’Oratorio, realtà ecclesiale caratterizzata da intensa e gioiosa vita spirituale: preghiera, ascolto e conversazione sulla Parola di Dio, preparazione a ricevere degnamente i Sacramenti, formazione alla vita cristiana attraverso la storia dei Santi e della Chiesa, opere di carità a favore dei più poveri.
Grazie anche all’apostolato di san Filippo, l’impegno per la salvezza delle anime tornava ad essere una priorità nell’azione della Chiesa; si comprese nuovamente che i Pastori dovevano stare con il popolo per guidarlo e sostenerne la fede. Filippo fu guida di tanti, annunciando il Vangelo e dispensando i Sacramenti. In particolare, si dedicò con grande passione al ministero della Confessione, fino alla sera del suo ultimo giorno terreno. La sua preoccupazione era quella di seguire costantemente la crescita spirituale dei suoi discepoli, accompagnandoli nelle asperità della vita e aprendoli alla speranza cristiana. La sua missione di “cesellatore di anime” era favorita certamente dall’attrattiva singolare della sua persona, contraddistinta da calore umano, letizia, mitezza e soavità. Queste sue peculiarità trovavano la loro origine nell’ardente esperienza di Cristo e nell’azione dello Spirito divino che gli aveva dilatato il cuore.
Padre Filippo, nel suo metodo formativo, seppe servirsi della fecondità dei contrasti: innamorato dell’orazione intima e solitaria, egli insegnava nell’Oratorio a pregare in fraterna comunione; fortemente ascetico nella sua penitenza anche corporale, proponeva l’impegno della mortificazione interiore improntata alla gioia e alla serenità del gioco; appassionato annunciatore della Parola di Dio, fu predicatore tanto parco di parole da ridursi a poche frasi quando lo coglieva la commozione. Questo è stato il segreto che fece di lui un autentico padre e maestro delle anime. La sua paternità spirituale traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona.
San Filippo Neri rimane inoltre un luminoso modello della missione permanente della Chiesa nel mondo. La prospettiva del suo approccio al prossimo, per testimoniare a tutti l’amore e la misericordia del Signore, può costituire un valido esempio per vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici. Fin dai primi anni della sua presenza in Roma, egli esercitò un apostolato della relazione personale e dell’amicizia, quale via privilegiata per aprire all’incontro con Gesù e il Vangelo. Così attesta il suo biografo: «Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici». Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane, al tempo stesso proponeva una sana disciplina che implica l’esercizio della volontà per accogliere Cristo nel concreto della propria vita. Sua profonda convinzione era che il cammino della santità si fonda sulla grazia di un incontro — quello con il Signore — accessibile a qualunque persona, di qualunque stato o condizione, che lo accolga con lo stupore dei bambini.
Lo stato permanente di missione della Chiesa richiede a voi, figli spirituali di san Filippo Neri, di non accontentarsi di una vita mediocre; al contrario, alla scuola del vostro Fondatore, siete chiamati ad essere uomini di preghiera e di testimonianza per attirare le persone a Cristo. Ai nostri giorni, soprattutto nel mondo dei giovani, tanto cari a Padre Filippo, c’è un bisogno grande di persone che preghino e sappiano insegnare a pregare. Con il suo «intensissimo affetto al Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, senza del quale non poteva vivere» — come dichiarò un teste al processo di canonizzazione — egli ci insegna che l’Eucarestia celebrata, adorata, vissuta è la fonte a cui attingere per parlare al cuore degli uomini. Infatti, «con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Evangelii gaudium, 1). Questa gioia, caratteristica dello spirito oratoriano, sia sempre il clima di fondo delle vostre comunità e del vostro apostolato.
San Filippo si rivolgeva affettuosamente alla Madonna con l’invocazione «Vergine Madre, Madre Vergine», convinto che questi due titoli dicono l’essenziale di Maria. Vi accompagni Lei nel cammino di una adesione a Cristo sempre più forte e nell’impegno di uno zelo sempre più vero nel testimoniare e predicare il Vangelo. Mentre vi chiedo di pregare per me e per il mio ministero, accompagno queste riflessioni con una speciale Benedizione Apostolica, che imparto di cuore a tutti i membri delle Congregazioni oratoriane, ai laici degli Oratori secolari e a quanti sono associati alla vostra famiglia spirituale.
Dal Vaticano, 26 maggio 2015

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L’avventura di un ragazzo fiorentino che visse l’umanesimo cristiano. 
L'Osservatore Romano 
(Edoardo Aldo Cerrato) Firenze ospiterà nel prossimo novembre il quinto convegno della Chiesa italiana. La scelta della sede è significativa in relazione al tema: «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo», ma a chi conosce san Filippo Neri non sfugge una coincidenza.
Proprio a Firenze, cinque secoli fa, il 21 luglio 1515, nasceva il santo che ha profondamente vissuto l’umanesimo cristiano in tutta la sua dimensione, e la cui “fiorentinità” non è elemento marginale: «Sì come egli era fiorentino, così haveva caro che gli altri sapessero ch’ei fusse» afferma un testimone, e Giovanni Papini scrisse: «Filippo deve la sua originalità, e quasi unicità, la sua fisionomia riconoscibile fra tutte quelle di tutti i Santi del mondo, all’impronta incancellabile della sua nascita fiorentina. San Filippo è un ragazzo fiorentino che, per l’intervento soprannaturale d’un amore immoderato per Cristo, s’è innalzato fino ai vertici della santità, rimanendo in parte quel che era, cioè fanciullo, faceto e oltrarnino».
Il convegno di Firenze affronterà le «sfide nuove che chiamano in causa la nostra passione educativa, la nostra intelligenza e creatività pastorale, per promuovere l’incontro tra le persone e il Vangelo di Gesù, che rende piena la vita e le dà significato» e propone «cinque vie», ovvero «uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare» a percorrere le quali Papa Francesco costantemente ci invita e nelle quali chi davvero conosce Filippo Neri non fatica a vedere un appropriato schema della biografia del santo. Laico per trentasei anni e sacerdote per i restanti quarantaquattro, egli le percorse in modo originalissimo, suscitando lo stupore e l’attrazione testimoniati da tutti coloro che lo incontrarono.
Lasciò Firenze diciottenne, inviato dal padre a Cassino a far fortuna presso un ricco parente che gli offriva considerevoli possibilità; lasciò anche Cassino, poco dopo, e giunse a Roma ventenne, dove, per mantenersi con il minimo indispensabile, fece il precettore nella casa del capo della Dogana, mentre alla Sapienza seguiva corsi di filosofia e nello Studium degli agostiniani quelli di teologia. Lasciò anche quegli studi e non per scarso interesse (ne portò il gusto per tutta la vita), ma «ut vocantem Christum sequeretur» scrive, con mirabile sintesi, il primo biografo.
Non pensava al sacerdozio: diventerà prete a trentasei anni, e «per mandamento del suo padre spirituale»; la vocazione che sentiva era la chiamata a una intensa adesione a Cristo nel mondo, «abitando» la città con i suoi problemi e bisogni, amandola nella realtà del presente e del suo passato: pregava, soprattutto di notte, davanti alle chiese, in compagnia dei tanti poveri che vi sostavano; di giorno, la preghiera nelle basiliche e l’adorazione eucaristica — una passione che segnò tutta la sua vita — accompagnava e nutriva il servizio ai malati poveri negli ospedali; senza preordinati programmi, passando per le strade «si accostava alla spicciolata, ora a questo ora a quello» scrive il Bacci e aggiunge: «Tutti diventavano presto suoi amici».
Suscitava stupore la sua bella umanità, la freschezza con cui diceva: «Beh, fratelli, quando volemo cominciare a far il bene?». L’attrazione nasceva spontanea: si percepiva che quel giovane simpatico e lieto viveva con Cristo un rapporto che plasmava la sua umanità: «Chi vuol altro che non sia Cristo — ripeteva — non sa quel che si voglia, chi cerca altro che Cristo non sa quel che dimanda, chi fa e non per Cristo non sa quel che si faccia».
L’Oratorio, che avrebbe preso forma con l’ordinazione sacerdotale, in questo «annunciare» ha le sue radici. Inventione fu detto dai primi discepoli per la novità che manifestava. Ma ad attirare in quella proposta di preghiera semplice e fervorosa; di dialogo familiare sulla Parola di Dio accolta nella Scrittura, nella vita dei santi, negli scritti spirituali; di laudi nella lingua parlata, ricche di verità di fede e del calore del sentimento; di liete passeggiate verso una basilica o nell’agro romano; di umile servizio ai poveri negli ospedali e nelle loro case era la persona di Filippo, la sua ricchezza interiore, la gioia cristiana di cui l’«Apostolo di Roma» fu ed è «profeta», come disse san Giovanni Paolo II quando sottolineò che «l’intento di san Filippo fu di rispondere fedelmente, in modo originale e coinvolgente, alla missione di sempre: condurre l’uomo all’incontro con Gesù Cristo, realmente presente nella Chiesa e “contemporaneo” di ogni uomo» e indicò nel «favorire un personale incontro con Cristo, testimoniando la bellezza di un simile incontro» il fine e il metodo dell’Oratorio.
Volere Cristo in ogni cosa, cercarlo in tutto e fare tutto per lui non era per Filippo una formula per anime speciali: era semplicemente la via evangelica su cui tutti potevano camminare. Giovani e adulti, di ogni condizione, chiamati a diventare, nell’incontro con Cristo, persone libere e vere, capaci di relazioni mature; persone di comunione, capaci di dialogo, di accoglienza.
«Lo spirito filippino — scrive Braudrillart — consiste nel mettere a proprio agio, nel non costringere, nel lasciar che ciascuno, nell’ambito del bene, manifesti l’originalità del suo pensiero e del suo carattere, nel compiacersi tanto nella diversità che nell’unità, nel rispettare l’originalità delle anime».
«Il programma spirituale del Neri si nutre di fiducia nella natura umana e di amore per l’arte, si caratterizza per l’equilibrio del rapporto tra Dio e l’uomo, tra natura e grazia; rifugge dai toni foschi e accigliati, si illumina di festosità e di gioia. Questo programma è influenzato dall’umanesimo cristiano, il cui retroterra teologico è il principio che la Grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce, la perfeziona. L’orientamento spirituale di Filippo scorre dunque nell’alveo della normalità, diffida degli atteggiamenti sublimi e straordinari, esalta la ragionevolezza, fa l’apologia del quotidiano. Alla singolarità contrappose la semplicità, intesa come gusto dell’essenzialità, ripudio degli atteggiamenti tortuosi e degli arrovellamenti della coscienza, trasparenza interiore, infanzia spirituale» (Massimo Marcocchi).
Riuscì uno splendido educatore, capace di seguire personalmente la crescita dei suoi amici e discepoli, di valorizzare, in modo così moderno, la loro coscienza e la loro libertà. Un padre. «Solamente si lassava chiamar Padre perché questo sonava amore» ricordano i discepoli. «La persona cresce nella sua umanità soltanto se incontra una testimonianza più grande di se stessa, una paternità, una presenza straordinaria che le indichino il cammino di crescita, i crocevia della propria libertà, le esigenze della responsabilità, senza restar irretita nei propri limiti, nelle proprie passioni e giustificazioni» (Guzmán Carriquiry).
Colui che mai avrebbe accettato la qualifica di “riformatore”, appare — sostiene il Brémond — «il più grande forse, giacché nessuno sembra aver lavorato con maggior successo a cambiare il volto della Città eterna». Lo fece attraverso il suo apostolato, animato dal più puro affetto per l’uomo concreto, non vagheggiato alla luce di un’ideologia. Ma la radice di tutto è in quell’«amore immoderato per Cristo» che aveva manifestazioni straordinarie nella celebrazione eucaristica, senza la quale «li pareva di non poter vivere» e nella quale era evidente che egli «piutosto agebatur, quam ageret», come testimoniano i discepoli: si lasciava fare, in una disponibilità totale all’agire di Dio.
Umiltà, mansuetudine, sobrietà mascherata da una battuta scherzosa, calore dell’amicizia, gioia cristiana, generosità nel donarsi senza riserve, nascevano di lì, da quella “passività” che è quanto di più attivo ci sia.
L'Osservatore Romano

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Quella Pentecoste indimenticabile di san Filippo Neri

L’episodio narrato dallo storico don Antonio Cistellini


di R. Cheaib
Fu verso la fine del primo decennio di vita romana che a Filippo cominciò a farsi chiara la sua vocazione: e lo fu per un evento straordinario, di cui egli stesso lasciò irrefragabile memoria. Lo narrò un testimone di certa attendibilità: il cardinale Federico Borromeo, la cui deposizione in proposito dirada un po’ il buio di quegli anni con rapidi cenni di sicure notizie.
«Nel principio della sua conversione — gli aveva riferito Filippo “con grande umiltà” — pregò lo Spirito Santo che “gli desse spirito”». L’episodio a cui preludono queste parole si colloca nel 1544, all’incirca sul trentesimo della sua vita. È allora «al principio della sua conversione»; a questo accenna pure padre Francesco «Essendosi convertito a Dio, piangeva molto peccati».
Non si tratta sicuramente d’un passaggio da vita peccaminosa a pratica della virtù, si allude piuttosto alla “conversio morum” della benedettina Regula monacorum: una decisa scelta del servizio di Dio, in attesa di più preciso indirizzo. Non era infatti «anco in tutto sicuro della vita che dovea tenere». La risposta gli venne immediatamente, lucida e perfino violenta. Secondo la narrazione del Borromeo, dopo un’apparizione di san Giovan Battista, lo colpì un empito di ardore, una irruzione di Spirito Santo, da farlo gettare a terra e da segnarlo nel fisico. Fu quella la sua transverberazione, una specie di stigmatizzazione che quasi a sua insapute lo introdusse in una sfera di esperienza mistica.
Lo confessò egli stesso anche al suo medico, il Vittori: «Mi diceva che di trent’anni stava in gran fervore e pregava lo Spirito Santo che li desse cumulo di spirito; e mi disse che gliene aveva dato tanto che si buttasse in terra e, rilevato, sentì alzate le coste e una concussione dentro, la quale è durata sino che visse». Due costole - come sarà verificato anche dall’esame della salma rimasero staccate dalle cartilagini e formarono un groppo visibile sul fianco sinistro.
Da allora egli sperimentò per tutta la vita singolari e violente palpitazioni di cuore, da non pochi testimoniate, e estenuanti calori anche m inverno. Più tardi si suppose che l’episodio fosse avvenuto nella Pentecoste di quell’anno 1544, ambientato nelle catacombe di San Sebastiano (dove ne fu collocato il ricordo) e si parlò d’un globo di fuoco che dalla bocca fosse entrato nelle viscere di Filippo. Tutti particolari cari a certa tradizione e devozione filippina (e raccolti ingenuamente pure dal Bacci), anche se privi di alcuna seria documentazione.
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Questa pagina è tratta dal libro San Filippo Neri. Breve storia di una grande vita, di Antonio Cistellini edito dalla San Paolo.

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Un Santo da ammazzare. Oscar Romero beato trentacinque anni dopo il martirio in spregio alla fede 
 Il Foglio 
(Matteo Matzuzzi) “Quando la politica tocca l’altare, la Chiesa difende il suo altare” (Pio XI) --Ci sono voluti trentacinque anni per riconoscere che Oscar Arnulfo Romero fu martirizzato in odium fidei e quindi degno d’essere proclamato beato, cosa che avverrà oggi a San Salvador. (...)