martedì 26 maggio 2015

Don Ciotti: «Killer per me, mamma non ha retto»



di Antonio Maria Mira
«Anche mia mamma è una vittima della violenza mafiosa». Non lo aveva mai detto don Luigi Ciotti. Parla dei progetti di attentati nei suoi confronti, dei tentativi di ucciderlo, fin dentro casa. «Mamma stava male, è crollata». È successo tanti anni fa ma non ne aveva mai parlato. Ed è per tutti una sorpresa, anche quelli che lo conoscono da tanti anni, quando il presidente di Libera affida queste inedite parole alle centinaia di ragazzi delle scuole superiori della Locride che affollano l’aula magna dell’Istituto tecnico commerciale 'Guglielmo Marconi' di Siderno. Terra di ’ndrangheta ma anche di speranza e di impegno. 

È qui invitato dal vescovo di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva. «Abbiamo bisogno di ascoltare esperienze di vita – spiega – e don Luigi ci porta la sua esperienza sacerdotale. Abbiamo scelto appositamente una scuola perché proprio i giovani hanno più bisogno di testimonianze. Quello di oggi è un segno, un messaggio di speranza, un richiamo ai valori alti della vita». E don Luigi non si tira indietro, dialoga coi ragazzi, li chiama sul palco, si siedono a terra per ascoltare un prete che racconta del padre che a 14 anni «venne a lavorare col fratello come manovale in Calabria dove fu accolto con grande calore». Poi della sua scelta a 17 anni a fianco degli ultimi, il Gruppo Abele e poi Libera. In prima fila ci sono alcuni familiari delle vittime di ’ndrangheta: Mimma e Deborah Cartisano, Stefania Grasso, Marisa Quattrone, Donata la mamma di Gianluca Congiusta, ucciso a Siderno il 24 maggio 2005 «perché non si è voltato dall’altra parte», dice don Luigi. Domenica è stato ricordato con un’intensa e giornata, tanta gente, e ancora don Ciotti, poi corso coi suoi «angeli custodi» della scorta fino a Calimera in privincia di Lecce per ricordare Antonio Montinaro, uno degli agenti morti con Giovanni Falcone. E poi di nuovo in Calabria per raccogliere l’invito del vescovo. «Abbiamo solo questa vita, non ne avremo un’altra. Non consumiamola ma spendiamola insieme. Cacciamo la rassegnazione. Anche in questa terra c’è tanta gente che ci crede. Ma c’è anche chi vuole distruggere questo sogno». Ed è proprio a questo punto che parla dei primi progetti per ucciderlo, più di venti anni fa. «Un giorno mi stavano aspettando sul pianerottolo di casa e solo la curiosità di una vicina 'pettegola' mi ha salvato... ». Ma la mamma che già «stava male dopo aver saputo del primo progetto di attentato, è crollata». Fino, poco dopo, alle drammatiche conseguenze. «È morta tra le mie braccia». Parole che le centinaia di giovani accolgono con un intenso silenzio. Mentre chi lo conosce bene rimane stupito di un don Luigi che mette a nudo la sua vita privata. Ma che torna a incitare. «Dobbiamo unire tutte le nostre forze per dire basta alla violenza della ’ndrangheta, ma anche alla corruzione e alla cattiva politica. La parola Calabria vuol dire 'far risorgere il bene'. Tocca a voi, tocca a noi, tutti insieme far sì che questo possa continuare ad essere». Cita l’impegno dei familiari delle vittime, quello delle cooperative che coltivano i beni confiscati «che subiscono attentati ma non si sono mai fermate». E la bella esperienza della scuola calcio etica Seles di Gioiosa Ionica. I ragazzi ascoltano e domandano. Alessia: «Come mai lo Stato spende più per la repressione che per il lavoro? ». Marilena: «Abbiamo bisogno dell’aiuto di voi adulti per non perdere la speranza. I sogni li abbiamo, dateci la speranza». Anche il vescovo torna a riflettere con parole molto nette, sottolineando «il grande significato educativo dell’incontro, un richiamo ai valori alti della vita, un’iniziativa che va moltiplicata in un territorio che ha tanti problemi ma soffre anche di rassegnazione. Così la gente delega ad altri la soluzione dei problemi». 

Altri che spesso hanno il volto della ’ndrangheta. E al vescovo, qui da un anno, si rivolge don Luigi. «Sei un privilegiato, Dio ti vuole un sacco di bene perché ti ha mandato in una terra meravigliosa ma anche amara, ferita, che ha bisogno di vita e di speranza». E così gli augura «la dolce pedata di Dio, perché nessuno sia mai lasciato solo». Mentre ai giovani augura «una sana testardaggine: non fermiamoci di fronte alle difficoltà anche se la strada è in salita. Vi lascio tre parole: continuità, condivisione, corresponsabilità. La speranza ha bisogno di ognuno di noi. Forza ragazzi!» E la risposta è un lunghissimo applauso.
Avvenire