Si è tenuto ieri, come anticipato dal vaticanista delFigaro, Jean-Marie Guenois, la riunione per pochi intimi (una cinquantina di invitati) all’Università Gregoriana di Roma. Tre sono le Conferenze episcopali interessate, che hanno spedito nell’Urbe propri rappresentanti di peso: Germania, Svizzera e Francia. I temi del dibattito sono quelli che più al Sinodo straordinario dello scorso ottobre hanno fatto discutere, dal riaccostamento alla comunione dei divorziati risposati alla possibilità di aprire le porte alle convivenze tra persone dello stesso sesso.
A guidare il tutto è stato il battagliero cardinale Reinhard Marx,arcivescovo di Monaco e Frisinga, nonchépresidente della Conferenza episcopale tedesca. Qualche mese fa, presentando le linee guida dei vescovi da lui rappresentati in vista della decisiva assise del prossimo autunno, Marx aveva chiarito che la Germania è comunque pronta ad andare avanti da sola, visto che «non è una filiale di Roma». Dichiarazioni riportate dalla stampa e mai smentite, al punto che l’ex presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, il cardinale Paul Josef Cordes – anch’egli tedesco – aveva definito le parole del confratello nient’altro che «chiacchiere da bar» degne di biasimo.
Ma il parterre presente all’incontro era nutrito anche di teologi che da tempo vanno perorando lacausa di una Chiesa chiamata ad aggiornare il proprio insegnamento in fatto di morale sessuale. La teologa Eva Maria Faber, rettore della Facoltà teologica cattolica di Coira (paradossalmente una delle diocesi più conservatrici della Svizzera), sostiene che il concetto di indissolubilità matrimoniale ha scarsi fondamenti teologici. Il celebre Eberhard Schockenhoff è favorevole a mutare l’approccio verso gli omosessuali – uno dei temi più controversi della discussione generale del Sinodo di ottobre – mentre un altro degli ospiti, Alain Thomasset, ritiene che la coscienza individuale debba entrare in «un dissenso responsabile» con il magistero ufficiale della Chiesa. Una posizione, quella dell’apertura alle unioni civili, sta iniziando a far breccia anche nelle gerarchie italiane. Il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, ha infatti spiegato alla Stampa che «anche in Italia il governo deve prendere atto che esistono centinaia di migliaia di convivenze tra persone dello stesso sesso».
Che sia un tentativo di far fronte comune in vista dell’appuntamento ordinario che si terrà traqualche mese, lo si capirà nelle prossime settimane. Quel che è certo è che le risposte ai questionari delle tre Conferenze episcopali interessate hanno come trait d’union la richiesta di aggiornare la prassi pastorale secondo le proposte contenute nella grande relazione esposta dal cardinale Walter Kasper nel Concistoro del febbraio 2014. I fedeli svizzeri – secondo quanto si legge nella sintesi diffusa alla stampa qualche settimana fa – osservano come il modello rappresentato dalla Sacra famiglia non sia più un ideale, e che dunque sia necessario esplorare altre strade. Di certo, i più determinati a “cambiare” sono i pastori tedeschi: un anno fa, il cardinale Marx annunciava che al Sinodo avrebbe portato un documento pro-Kasper recante in calce tutte le firme dei vescovi sostenitori, stavolta si prepara a unirsi con francesi e svizzeri per contrastare i settori più restii ad appoggiare un aggiornamento.
L’arcivescovo di Monaco, però, deve fare i conti anche con una parte (seppur minoritaria) dellapropria Conferenza episcopale, che di mutare l’approccio verso la morale sessuale fin qui seguita non ne vuole sapere. Capofila del “fronte ribelle” è il giovanissimo vescovo di Passau, Stefan Oster. É lui che, pubblicamente, ha demolito l’elenco di richieste presentato a Roma dal Comitato centrale dei cattolici tedeschi (Zdk), tra i cui punti spiccavano la benedizione in chiesa delle coppie omosessuali e dei divorziati risposati. Il presule, che ha deprecato la volontà di cancellare quel che si è sempre insegnato in duemila anni di storia per il solo fine di cogliere “i segni dei tempi”, lo scorso settembre aveva denunciato come la Chiesa si fosse ormai «ridotta a una dimensione sociologica» che ha l’obiettivo di «dar retta alla volontà della maggioranza dei fedeli». Assieme a Oster, nella critica del documento della Zdk, ci sono almeno altri quattro presuli: il vescovo di Ratisbona, Voderholzer, quello di Augsburg, Zdarsa, di Eichstatt, Hanke, di Wurtzbourg, Hofmann e di Gorlitz, Ipolt.
*Così il voto irlandese ci travolgerà
In un acuto e ben documentato articolo Massimo Introvigne su la Nuova Bussola Quotidiana ha messo bene in evidenza il trucco escogitato dalla leadership politica irlandese per avvelenare i pozzi dell'accampamento pro-family. Se è vero che la maggioranza è contro il matrimonio omosessuale perché esso implica l'adozione omosessuale e l'eterologa (di fatto una fabbricazione e compravendita di bambini), allora non si deve fare altro che seguire la tecnica della rana bollita scaldando l'acqua a poco a poco perché la rana non guizzi fuori della pentola: prima hanno legiferato introducendo le unioni civili omosessuali, poi hanno stabilito che i membri di dette unioni possono adottare ed infine hanno fatto votare i cittadini perché tutto questo potesse essere chiamato matrimonio.
Il referendum irlandese ha sancito a larghissima maggioranza che gli irlandesi sono d'accordo: nella loro Costituzione il matrimonio non dovrà essere solo tra un uomo e una donna. Messaggio chiaro per noi: «se non si vogliono i ”matrimoni” e le adozioni bisogna fermare le unioni civili. Dopo è troppo tardi. In Italia il disegno di legge Cirinnà va fermato ora», scrive Introvigne. Umilmente sottoscrivo in pieno. Non di meno a onore del vero non si può tralasciare che gli attori di un disegno tanto perverso non sono alieni piovuti da Marte, ma eletti dal popolo. E non si può fare a meno di notare come dal 2010, anno in cui le unioni civili omosessuali furono introdotte, non si abbia avuto notizia di un qualche sommovimento contrario di adeguate proporzioni. La legge sulle unioni civili, denominata Civil Partnership and Certain Rights and Obligations of Cohabitants Act, fu approvata alla Camera senza nemmeno la necessità di un voto formale e passò al Senato l'8 luglio 2010 con una schiacciante maggioranza di 48 a 4, tanto che il ministro della giustizia di allora poté parlare di un «livello senza precedenti di unità e sostegno in entrambe le Camere».
Su una popolazione complessiva di 4 milioni e mezzo di irlandesi, i cattolici sono 3 milioni eottocentomila. Degli oltre tre milioni e duecentomila aventi diritto al voto solo il 60,52% ha espresso un voto valido di cui quelli a favore del matrimonio omosessuale sono stati 1.201.607, pari al 62,07% dei votanti e del 37,3% degli elettori. Che cosa ha da dirci dunque un processo di questa portata? Credo che una prima amarissima conclusione sia questa: l'Irlanda è oggi una nazione nella quale di fatto dilaga l’eresia (non sono in grado di dire eresia formale, ma almeno quella materiale). Se infatti «per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata» (Can. 750n - §1), se «si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la dottrina della fede e dei costumi» (Can. 750n - §2) e se infine «vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il Battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa» (Can. 751), allora non riesco a individuare una ragione per cui negare che «maschio e femmina li creò» e negare che «né effeminati, né sodomiti erediteranno il regno di Dio», affermando invece che il matrimonio possa essere anche tra uomo con uomo e donna con donna, non riduca tecnicamente alla condizione di eretico. Ovviamente non posso che augurarmi di tutto cuore di essere in errore nel trarre conclusioni di questo tenore da un fatto comunque moralmente gravissimo.
La seconda considerazione è questa: come hanno fatto i pastori a perdere una parte così grande delgregge? Essendo solo una delle pecore non spetta a me dare la risposta, ma qualsiasi pastore vorrà concedermi almeno il diritto di essere spaventato e di offrire il mio modesto suggerimento: mi sembrerebbe più sensato avviare un'ispezione generale del recinto per tappare tutte le falle e un esame accurato del vello di ogni singolo capo per distinguere, individuare ed espellere i lupi che dalle voragini sono entrati, piuttosto che abbattere l'intero recinto e dichiarare pecore e lupi la stessa cosa. Essere sbranato da un lupo camuffato da agnello non rende, infatti, la cosa meno dolorosa. Da umile pecorella mi augurerei che proprio dal prossimo Sinodo ordinario sulla famiglia partisse un tale intervento di restauro e bonifica.
Terza considerazione: se da una nazione che fu cattolicissima torna a ergersi l'antico vitello d'oro, se con una X referendaria si compiono un grave deragliamento della ragione e una eresia materiale, allora non riesco a non pensare alle parole del Vangelo di Luca: «Quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Quarto pensiero rivolto ai cantori cattolici della legalità e della democrazia: le schifezze decise a maggioranza rimangono schifezze. Cambiate registro e tornate a cercare la giustizia, non la legalità, anche perché mi pare che di giustizia si parli nel Vangelo. Il primo Papa, la roccia, quando rispose all'autorità che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29), doveva avere ancora ben vivido il ricordo della decisione "democratica" di salvare Barabba e condannare il Signore.
Vorrei infine indirizzare un pensiero a quanti si bevono la storia che offrire il matrimonio anche allepersone omosessuali non tolga nulla agli altri, vorrei dunque rivolgermi a quelli credono che si tratti di dare solo la possibilità a tutti di godere degli stessi diritti. Cari amici, la bevanda aromatica del «più diritti per tutti» che oggi vi bevete, avvelenerà voi, me, i nostri figli e le generazioni che verranno che giustamente malediranno la vostra scempiaggine di oggi. È questo l'ammonimento che da ormai alcuni anni giunge dal professor Robert P. George, docente di diritto all'Università di Princeton e dal suo ex allievo, Ryan T. Anderson, direttore della rivista Public Discourse e ricercatore alla fondazione Heritage. Che cosa significa, infatti, consentire il matrimonio fra persone dello stesso sesso, se non ridefinire attraverso la forza della legge il matrimonio stesso? Oggi il matrimonio che unisce me e mia moglie è l'istituto che unisce tra loro un uomo e una donna come marito e moglie per essere padre e madre dei loro figli, è fondato sulla realtà antropologica della complementarietà dell'uomo e della donna, si sviluppa dal fatto biologico che gli esseri umani nascano solo da un uomo e una donna, protegge l'esigenza umana di ogni figlio di avere un padre e una madre e assolve al bene sociale della tutela dell'interesse del figlio.
Con l'avvento del matrimonio omosessuale o col suo camuffamento temporaneo e furbastro delleunioni civili omosessuali, il legame che unisce me e mia moglie sarà trasformato in un'unione affettiva centrata sul desiderio e l'interesse degli adulti approvata dal governo e plasmabile a piacimento dallo stesso governo. La stragrande maggioranza delle persone sposate crederà che niente sia cambiato il giorno dopo l'approvazione del matrimonio o delle unioni omosessuali (che al matrimonio sono prodromiche), ma non si renderà conto che il vincolo che li univa è stato dissolto e sostituito da uno del tutto diverso. E non si renderanno conto che quel vincolo che li univa, proprio perché non esiste più, non sarà più disponibile neppure per i loro figli e per i figli dei loro figli.
Quel giorno non penseranno che la macchina dello Stato metterà in moto ogni suo tentacolo per imporre le nuove regole a livello educativo alla loro progenie, a livello culturale nella società e per prevenire e reprimere ogni possibile trasgressione. Non crederanno che anonimi burocrati di uno Stato che lascia a marcire in India per anni i suoi servitori in divisa, che rimette a piede libero i peggiori delinquenti e assassini, che fa delle sue frontiere marittime un colabrodo pseudoumanitario, saranno capaci con grande efficienza d'imporre lezioni obbligatorie di cosiddetta "uguaglianza di genere" ai loro figli e ai nipoti. Non immagineranno che quando affermeranno che un bimbo ha bisogno di un papà e di una mamma, ciò basterà a farli considerare retrogradi, incolti, gente da rieducare e che i primi a additarli come tali saranno proprio quei loro figli e nipoti che dietro ingente tassazione sono stati prelevati dallo Stato, affidati da questi al comparto scuola e che ora sono pronti a svolgere il ruolo di perfetti censori domestici delle loro idee nostalgiche. Non penseranno che già l'essere cattolici verrà visto come l'appartenenza ad una setta di infidi sovversivi del nuovo ordine. Non immagineranno di dovere stare bene attenti a non esternare alcunché d'interpretabile come minimamente critico alla condotta omosessuale per non essere oggetto di attenzione dell'apparato giudiziale e carcerario.
Quei vescovi e preti tremebondi, forse in qualche caso resi tali dal ricatto, non penseranno che il loro silenzio li condannerà a un provvisorio silenzio tombale e poi all'assenso benedicente delle omocoppie e del poliamore, o in alternativa, come predetto dal cardinale George, al prossimo martirio. No, non immagineranno tutto questo, penseranno solo di essere stati più buoni degli altri, alcuni crederanno di essere stati persino più cristiani, ma non ci vorrà molto perché i fatti mostrino che erano solo dei poveri illusi. Non lasciamoci angustiare da tutto questo però, pensiamo a fare bene il bene che ci sta di fronte, perché «non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo». Qualsiasi sia l'esito di questa battaglia, non lasciamoci spaventare dalle sconfitte provvisorie, perché l'esito della guerra è già stato vinto sulla Croce. Sulle orme di Enrico V nel giorno di San Crispino, ricordiamoci che se rimarremo saldi nella fede, «meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria; [...] noi pochi. Noi felici pochi. Noi manipolo di fratelli».