sabato 23 maggio 2015

Il sangue e il seme


Una casa di cristiani "marchiata" a Mosul

​La gente ci crede in preda alla disperazione, in verità siamo orgogliosi dei nostri martiri. La Bibbia ci dice di amare i nostri nemici e di benedire chi ci maledice. Ringrazio l’Is per non avere tagliato nel montaggio le voci dei martiri quando, a pochi secondi dall’esecuzione, imploravano Gesù e ribadivano la fede in Cristo. In questo modo l’Is ha rafforzato la nostra fede». Beshir, egiziano copto, ha pronunciato queste parole intervenendo con una telefonata in un programma televisivo su "Sat Seven", un’emittente satellitare che diffonde i suoi programmi in Medio Oriente e Nordafrica. Parlava dei suoi due fratelli, due dei ventuno egiziani sgozzati in febbraio dai miliziani dello Stato Islamico su una spiaggia libica del Mediterraneo e ripresi in un video che ha fatto il giro del mondo. Parole dell’altro mondo, le sue: un pugno nello stomaco per tanti cristiani che, soprattutto in un Occidente sempre più scettico e rassegnato, non si capacitano che si possa pronunciare il nome di Dio davanti a un boia che pretende di uccidere in nome di Dio.

È tempo di martiri, oggi come agli albori del cristianesimo. Martire, in greco, significa "testimone", qualcuno che con la sua vita rende evidente ciò che la tiene in piedi. Uccisi «solo perché cristiani», ha più volte ricordato papa Francesco commentando gli episodi di questi mesi. Il rapporto "World Watch" documenta che il 2014 è stato l’anno con il più alto livello di persecuzione globale dei cristiani nell’era moderna. E i primi mesi del 2015 lasciano presagire un bilancio ancora più macabro per l’anno in corso. È di ieri la notizia del rapimento di padre Jacques Murad, rapito dai jihadisti in una piccola città della Siria centrale dove guidava la parrocchia siro-cattolica locale. 

Nonostante avvertisse la minaccia incombente, non ha voluto abbandonare i suoi fedeli e i tanti profughi che accoglieva, molti dei quali provenienti da Palmira, la città patrimonio dell’Unesco catturata dagli artigli dell’Is.

Scorrono davanti agli occhi i volti degli studenti cristiani massacrati nel campus universitario di Garissa, in Kenya, dopo che gli shabaab somali li avevano "scelti" separandoli dai musulmani. Il volto di Asia Bibi, che questo giornale illumina ogni giorno in ultima pagina, imprigionata in un carcere pakistano da 2.160 giorni con l’accusa di blasfemia. I volti delle migliaia di cristiani fuggiti da Mosul dopo che le loro case erano state marchiate con la lettera iniziale di Nazarat nell’alfabeto arabo, a indicare i seguaci di Gesù. Non avevano ceduto al ricatto: restare nelle loro terre in cambio della conversione all’islam, o del pagamento della tassa di sottomissione. «A Mosul abbiamo lasciato tutto, ma non abbiamo perso ciò che di più prezioso ci era rimasto: la nostra fede», aveva detto il vescovo Abel Nona, profugo con altri 100mila dalla Piana di Ninive. I fotogrammi di una persecuzione sempre più globalizzata si susseguono: le vessazioni imposte dal regime in Corea del Nord, gli attacchi dei fondamentalisti indù in India, gli assassini di sacerdoti in Messico, le stragi compiute delle bande di Boko Haram in Nigeria, il sangue versato sull’altare dal vescovo Romero mentre celebrava la Messa a San Salvador, oggi proclamato beato dalla Chiesa.
«Signore, manda lo Spirito Santo a dare consolazione e fortezza ai cristiani perseguitati», recita il tweet di papa Francesco diffuso in occasione della grande preghiera promossa dalla Chiesa italiana per oggi, vigilia di Pentecoste. Un’invocazione che si unisce agli sforzi diplomatici che la Santa Sede sta mettendo in campo perché venga rispettata la libertà religiosa, radice di tutti i diritti umani. 

Decine di veglie sono state promosse in tante città (non solo in Italia), come questo giornale ha documentato in parallelo con l’hashtag #free2pray.

È il tempo della prova, in cui la fede viene passata dentro un crogiuolo per provarne la consistenza. È il tempo della conversione, cioè della lunga strada che porta a riscoprire cosa permette di sperare contro ogni umana speranza. Mentre ci inchiniamo davanti al sacrificio di tanti fratelli, proviamo a pensare almeno per un momento quanto è grande l’Amore al quale sono avvinti i loro cuori. Allora, forse, la commozione di un momento comincerà a trasformarsi nella consapevolezza di avere un tesoro da offrire a tutti. E ritroveremo, come è accaduto all’egiziano Beshir, la verità della frase scritta da Tertulliano nel secondo secolo: «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani».
Avvenire


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Un genocidio come quello nazista. Ma nessuno si oppone
di Luigi Santambrogio
L’Isis in Siria e Iraq certo, ma anche Boko Haran in Nigeria o in Kenia dove i militanti islamici di al-Shabaab hanno massacrato due mesi fa 148 studenti universitari cristiani. Oppure in Pakistan, in Libia, Cina, dove vengono abbattute le croci o nel Nord Corea, dove le persecuzioni comuniste non sono meno crudeli di quelle islamiste. Perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Quella che papa Francesco ha più volte ricordato come la “più grande persecuzione” della storia del cristianesimo, superiore a quella dei primi secoli, oggi continua senza interruzioni, nonostante le denuncia e le drammatiche testimonianze che arrivano da quei luoghi. 
Lo Stato islamico, dalla Siria all’Iraq, è la principale minaccia all’esistenza del cristianesimo. A quasi un anno dalle prime notizie da Mosul, quando le loro case vennero marchiate con la “N” di nazareni, gli orrori, le stragi, le deportazioni si sono moltiplicate. Ma tutto era già pianificato: l’obiettivo dell’Is è sempre stato la pulizia etnica dei seguaci di Cristo. É la tesi che viene rilanciata da un libro del giornalista americano Johnny Moore: Defying Isis (recensito qualche giorno fa dal Foglio) dove in copertina c’è una croce formata da una sciabola rosso sangue. La prova? I cristiani decimati nella chiesa di Nostra Signora della Salvezza di Baghdad: «non vennero massacrati dallo Stato islamico nel 2013», scrive Moore, «neppure nel 2014, ma nel 2010, quando l’Occidente tutto non si accorse dell’ascesa di questo mostro». Quello che è in corso, avverte il giornalista, è un «genocidio di cristiani», perché lo scopo dell’islamismo è «sradicare il cristianesimo dal mondo». Non è una tesi “politica”, sono le cifre dirlo: ogni anno 100mila cristiani vengono assassinati a causa della loro fede, sono 273 al giorno, undici all’ora. E in questo sterminio, sono i fedeli delle Chiese mediorientali a pagare il prezzo più alto. Rivela Moore: «in molte città ci si è “presi cura” di ogni singolo cristiano, sfollato, ucciso o forzatamente convertito, e proprio come i nazisti dipingevano la stella di David sulle case degli ebrei, i jihadisti hanno dipinto la ‘N’ cristiana sulle case delle comunità autoctone per identificarli prima di distruggerli». 
Da Aleppo, in Siria, arriva anche l’avvertimento del vescovo caldeo Antoine Audo: «Siamo ogni giorno sotto le bombe. Aleppo sarà senza cristiani entro un mese». Alle stesse bandiere nere dell’islam e allo stesso genocidio appartiene ciò che succede anche Nigeria, dove il Califfato terrorizza attraverso Boko Haram. Più di cinquemila cattolici sono stati uccisi da questi sanguinari jihadisti nella sola diocesi di Maiduguri, nel nord del Paese a partire dal 2009. Nel complesso sono oltre 13 mila le vittime dei terroristi islamici. Ce lo ricorda un rapporto dell’associazione “Aiuto alla chiesa che soffre”: 100mila cattolici sono stati cacciati dalle loro case e 350 chiese sono state distrutte. Dei quaranta centri parrocchiali di questa sola diocesi, più della metà sono stati abbandonati dai fedeli, altri sono stati occupati dagli islamisti. Basterà, dunque, una sera di preghiera a spezzare questa invincibile catena di orrori e persecuzioni? La Chiesa la propone, perché la domanda al Signore resta la forma più adeguata e radicale per vincere l’odio e arrivare alla pace: alla fine tutto è consegnato nelle mani di Chi solo ha il potere di cambiare davvero le cose. Ma soprattutto, perché non si prega per loro, ma per noi, per domandare a questi martiri la forza e coraggio di imitarli. 
Non si può certo accusare la Chiesa di spiritualismo, incolparla di aver taciuto e non denunciato leresponsabilità di questo moderno sterminio. Lo ha fatto in diverse occasioni il Papa, lo hanno fatto i vescovi e le comunità cristiane sottoposte al martirio. Finora con scarsi risultati, perché tanti e intricati sono gli interessi che sostengono e coprono il nuovo olocausto mondiale. Contro i cristiani, ma non solo: contro ogni uomo e i suoi sacri diritti alla libertà e alla fede. È ancora Moore a ricordarlo: la minaccia dell’Isis per l’Occidente «è come quella del nazismo, ma senza una singola reazione di coscienza che resista al male. Il mondo è rimasto in silenzio mentre un milione e mezzo di cristiani in Iraq è stato cacciato, uno per uno». Siamo davanti «al mistero per cui così tanti cristiani in Occidente fanno fatica a vivere per quello per cui molti cristiani sono disposti a morire». Come quei 21 cristiani copti, lavoratori immigrati in Libia vestiti di arancione che, prima di venire decapitati dal boia del Califfo, invocavano in arabo il nome di Gesù e scandivano preghiere. Alcuni di loro avevano tatuato al polso fin dal loro battesimo un unico tatuaggio, la croce di Cristo, affinché, come qualcuno ha scritto, «se anche le parole non avessero potuto esprimere la loro fede, questa era testimoniata dalla loro carne». Con la loro morte hanno manifestato a tutti il senso che avevano dato alle loro vite. Per questo, anche una sola ora di preghiera può fare molto: a noi che vorremmo essere come loro.

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"Consolazione e fortezza ai perseguitati"
di Alfredo Mantovano*
"Signore, manda lo Spirito Santo a dare consolazione e fortezza ai cristiani perseguitati". Il tweet diffuso qualche ora fa Papa Francesco avvia la Veglia di Pentecoste che i Vescovi italiani dedicano in ogni Diocesi della Penisola ai martiri di oggi. Mentre l’attenzione dei media sembra concentrata sui resti – certo, importanti dal punto di vista storico e culturale – della città di Palmira, paiono contare solo delle pur rilevanti rovine, e non anzitutto migliaia di donne e uomini vittime dell’odio.
Vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi, uno dopo l’altro, vengono rapiti, torturati, eliminati: l’ultimo in ordine di tempo, a meno di due anni dal sequestro di padre Paolo Dall’Oglio (scomparso senza lasciare tracce a Raqqa il 29 luglio 2013), è il padre Jacques Mourad, rapito a Qaryatayn - piccola città della Siria centrale ad un centinaio di chilometri da Palmira - dove da dodici anni guidava la parrocchia siro-cattolica e viveva nel monastero Mar Elias. Il monaco si trovava assieme a un suo collaboratore quando due moto si sono accostate alla sua auto: i sequestratori si sono impadroniti dei veicolo, portando con loro il gesuita. Si colpisce chi resta, soprattutto se è un Pastore: chi ha parlato con padre Mourad negli ultimi giorni lo ha descritto come fortemente preoccupato per la presenza degli ultrafondamentalisti a Qaryatayn; eppure, nonostante avvertisse il pericolo, egli non ha inteso abbandonare i fedeli e i tantissimi rifugiati che accoglieva nel suo monastero: in passato aveva perfino negoziato con al Nusra la liberazione di alcuni ostaggi. Accanto ai rapimenti di padre Dall’Oglio e dei due vescovi di Aleppo, Yohanna Ibrahim e Bulos Yazigi, vanno ricordate solo in quell’area le uccisioni di padre François Mourad, assassinato a Ghassanieh il 23 giugno 2013, e di padre Frans Van Der Lugt, freddato ad Homs il 7 aprile dello scorso anno: i sacerdoti che operano lì sono consapevoli dei rischi, ma non lasciano i siriani, sia cristiani che musulmani. Sanno di essere spesso il loro unico punto di riferimento.
Secondo i dati forniti ad ACS-Aiuto alla Chiesa che Soffre dal patriarcato melchita di Damasco, almeno duemila cristiani sarebbero rimasti uccisi in quell’area dal 2011 ad oggi. La guerra ha distrutto più di cento chiese e costretto centinaia di migliaia di cristiani ad abbandonare il paese o a vivere in Siria nella condizione di rifugiati, cercando una pur minima tranquillità nelle regioni costiere o nella Valle dei Cristiani. L’ultimo nostro Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo documenta che i Cristiani rappresentano il gruppo religioso maggiormente discriminato e perseguitato: eppure sembriamo rassegnati e assuefatti di fronte all’orrore, nonostante il Santo Padre esorti a non abbandonare la preghiera per questi nostri fratelli della fede, oggi più numerosi che nei primi secoli della vita della Chiesa. La copertura mediatica, e quindi la sensibilità e la percezione della gravità della questione, restano quasi sempre circoscritte al momento immediatamente seguente a massacri, come quello di Garissa in Kenya. Ma i cristiani nel mondo sono perseguitati ogni giorno! E quindi ogni giorno devono essere nella nostra mente e nel nostro cuore.
ACS è stata fondata nel 1947 da padre Werenfriend van Straaten e conta attualmente 21 sedi nazionali. Da un lato essa svolge una organica e capillare informazione sui cristiani perseguitati, dall’altro raccoglie risorse finanziarie che indirizza a migliaia di progetti in oltre 140 Stati. Esempio di intervento del primo tipo è, fra gli altri, la pubblicazione biennale del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo: un volume articolato in schede-Paese, che dà conto nel dettaglio del livello di rispetto del diritto a professare la fede in ciascuno Stato. Esempi del secondo sono, fra tante altre, le strutture che attualmente permettono ai 50.000 Cattolici costretti a fuggire da Mosul di non morire per strada, e di avere scuole – oltre che cibo e riparo – per i loro 15.000 minori. Attualmente 250 fra sacerdoti, religiosi e seminaristi provenienti da aree nelle quali la Chiesa vive una condizione di persecuzione o di discriminazione, studiano in seminari o atenei pontifici a Roma grazie a borse di studio della Fondazione. Non si contano le chiese e i conventi ricostruiti, o realizzati ex novo, l’aiuto a media di impronta cattolica, la diffusione di testi religiosi, in primis la S. Bibbia, in versioni sintetiche e leggibili dai bambini.
Come ha ricordato Papa Francesco dopo il suo viaggio a Tirana nel settembre 2014, in Albania, come in tante Nazioni della ex Cortina di ferro, si sono vissuti “anni bui, durante i quali è stata rasa al suolo la libertà religiosa ed era proibito credere in Dio, migliaia di chiese e moschee furono distrutte, trasformate in magazzini e cinema che propagavano l’ideologia marxista, i libri religiosi furono bruciati e ai genitori si proibì di mettere ai figli i nomi religiosi degli antenati”.
Oggi il buio non è scomparso: si è spostato, dilatato ed esteso in molte altre zone del Globo. È un buio disumano che colpisce con virulenza le comunità cristiane, da quelle antiche, che parlano ancora l’aramaico, la lingua di Nostro Signore, a quelle di recente evangelizzazione, come in Kenia. La Veglia di oggi è un importante passo – di cui essere grati ai Vescovi italiani – perché si rinnovi e cresca la generosità nei confronti di questi nostri fratelli: per permettere a chi non ha più un luogo per pregare di vederlo ricostruito a breve, a chi preferisce morire piuttosto che non partecipare alla S. Messa di continuare ad avere sacerdoti, a chi spera contro ogni speranza di sapere che in un’altra parte del mondo c’è chi pensa a lui in modo concreto.
*Presidente Aiuto alla Chiesa che Soffre, Italia