venerdì 22 novembre 2013

Accogliere lo straniero, nel nome dell'unico Dio



I vescovi della Comece sollecitano l’Europa anche a contrastare con forza il fenomeno della tratta. Agli immigrati serve più accoglienza

Più umanità, maggiore flessibilità e apertura nell’affrontare la questione delle migrazioni, maggiore cooperazione allo sviluppo con i Paesi d’origine dei flussi migratori, più accoglienza nelle comunità parrocchiali, lotta aperta alla tratta di esseri umani. Sono questi alcuni degli elementi distintivi che sono stati sottolineati dai vescovi europei al termine dell’assemblea plenaria della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), svoltasi nei giorni scorsi a Bruxelles. 
I lavori si sono concentrati in particolare sulle migrazioni e sono stati ricordati i recenti avvenimenti avvenuti lungo le coste del Mediterraneo, che sollecitano la comunità ecclesiale oltre che quella civile. 
Nel messaggio finale, la Comece ha sottolineato che è bene «distinguere tra migrazione regolare e irregolare»; i vescovi ritengono «che il quadro legale debba sempre essere rispettato», ma è necessaria «una maggior flessibilità e apertura alle situazioni umane particolari». In un quadro pacificato e di migliori condizioni economiche e sociali, ha affermato la Comece, le persone «candidate a emigrare resterebbero certamente nel proprio Paese, continuando a vivere con le proprie famiglie». In tal senso, «un maggior aiuto allo sviluppo verso i Paesi d’origine e di transito» potrebbe evitare l’ingigantirsi dei flussi migratori. I vescovi europei, inoltre, hanno chiesto «una politica europea delle migrazioni più coerente» e coordinata con le altre politiche comunitarie, come ad esempio la politica estera, quella commerciale e di cooperazione. La plenaria ha anche accolto un’esperienza sull’integrazione dei migranti proveniente dalla comunità cattolica di Madrid. 
Un ulteriore argomento affrontato a Bruxelles è stata la tratta di esseri umani, strettamente connessa con le migrazioni. Si stima — hanno appreso i vescovi — che in Europa siano 880.000 le persone vittime della tratta, sfruttate per il lavoro forzato, l’industria del sesso, il traffico di organi. «La schiavitù moderna — hanno affermato i presuli — è un’emanazione dell’immigrazione irregolare con effetti estremamente lucrativi».
Durante i lavori dell’assemblea, è risuonata la testimonianza di una donna vittima della tratta, ora aderente alla fondazione “Sophie Hayes”. Inoltre, è stata evidenziata la positiva esperienza di collaborazione tra la polizia di New Scotland Yard e la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, proprio nel settore del contrasto alla tratta e del sostegno e recupero delle vittime. 
In chiusura dei lavori, i vescovi della Comece si sono detti «particolarmente preoccupati dai fenomeni di xenofobia di cui sono spesso vittime i migranti, i quali invece rappresentano un’opportunità per le nostre società e le nostre comunità parrocchiali, considerando la varietà dei talenti, delle culture e delle conoscenze di cui sono portatori». Da qui l’invito alle comunità parrocchiali affinché accolgano i migranti, mettendo in campo «tutti i mezzi possibili per farli sentire a casa loro tra di noi». Un chiaro esempio è rappresentato dalla testimonianza di Cecilia Taylor Camara, consulente per le politiche migratorie del Catholic Trust for England & Wales, organismo caritativo britannico. «La vera svolta — ha raccontato — c’è stata quando mi è stato chiesto di diventare catechista. In quel momento mi sono sentita parte della comunità».
L’assemblea ha anche ascoltato la relazione di un funzionario della commissione Ue sulle regole relative all’asilo. D’altro canto, hanno evidenziato i vescovi, «gli Stati membri mediterranei sentono di portare in carico una parte troppo grande del problema». Secondo il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di München und Freising e presidente della Comece, «non dobbiamo limitarci ad aprire le case e le nostre chiese ai migranti, ma anche trovare e formare persone che siano in grado di accogliere queste persone con la sensibilità e la formazione necessarie, considerando ad esempio le differenze culturali, linguistiche e religiose. Un’attenzione specifica — ha spiegato il porporato — deve essere riservata al caso dei minori non accompagnati». Infine, la Comece ha reso noto che «i vescovi hanno ricevuto una lettera dai loro confratelli maltesi nella quale chiedono maggiore solidarietà verso il loro Paese». In questo senso «è essenziale che tutti i Paesi dell’Unione europea siano solidali tra loro».
L'Osservatore Romano

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È stato firmato questa mattina, a Vienna, nell'ambito di un incontro di Religions for Peace, un documento redatto dai leader delle principali religioni sul tema dell'accoglienza dei migranti, in particolari di coloro che fuggono da guerre e carestie. Pubblichiamo il testo integrale del documento e un'intervista alla persona che, per il Jesuit refugee service, ha partecipato alla sua elaborazione.

Un valore centrale della mia fede è accogliere lo straniero, il rifugiato, lo sfollato, l’altro. Io tratterò loro come vorrei essere trattato io stesso. E inviterò gli altri, compresi i leader della mia comunità religiosa, a fare lo stesso.
Insieme con le autorità religiose, con le organizzazioni confessionali e le comunità di coscienza del mondo affermo: Io accoglierò lo straniero.
La mia fede insegna che la compassione, la misericordia, l’amore e l’ospitalità sono per tutti: chi è nato nel mio Paese e lo straniero, il membro della mia comunità e chi è appena arrivato.
Ricorderò ai membri della mia comunità che tutti siamo considerati «stranieri» da qualche parte, che dobbiamo trattare lo straniero nella nostra comunità come vorremmo essere trattati noi stessi, e che dobbiamo sfidare l’intolleranza. Ricorderò alle altre persone nella mia comunità che nessuno lascia la propria casa senza una ragione: alcuni fuggono da persecuzione, violenza o sfruttamento; altri a causa di disastri naturali; e altri spinti dal desiderio di cercare una vita migliore per la propria famiglia.
Riconosco che tutte le persone hanno diritto alla dignità e al rispetto in quanto esseri umani. Tutti, nel mio Paese, compresi gli stranieri, sono soggetti alle sue leggi, e nessuno deve essere fatto oggetto di ostilità o discriminazione. Riconosco che accogliere lo straniero a volte richiede coraggio, ma le gioie e le speranze nel farlo superano di gran lunga i rischi e le sfide. Sosterrò coloro che con coraggio praticano nella propria quotidianità l’accoglienza verso lo straniero.
Offrirò ospitalità allo straniero, poiché ciò porta benedizione sulla comunità, sulla famiglia, sullo straniero e su me stesso. Rispetterò e onorerò il fatto che lo straniero possa essere di una fede diversa o avere convinzioni diverse della mia o da quelle di altri membri della mia comunità. Rispetterò il diritto dello straniero di praticare la sua fede con libertà. Cercherò di creare spazi in cui egli possa esercitare liberamente il proprio culto. Parlerò della mia fede senza disprezzare né mettere in ridicolo la fede di altri.
Costruirò ponti tra me e lo straniero. Attraverso il mio esempio incoraggerò gli altri a fare altrettanto. Mi sforzerò non solo di accogliere lo straniero, ma anche di ascoltarlo in profondità e di promuovere la comprensione e l’accoglienza nella mia comunità.
Prenderò apertamente posizione per promuovere la giustizia verso lo straniero, così come faccio per gli altri membri della mia comunità. Quando vedrò ostilità verso lo straniero nella mia comunità, che sia a parole o con i fatti, non la ignorerò, ma mi impegnerò per stabilire un dialogo e facilitare la pace.
Non resterò in silenzio quando vedrò altri, compresi i leader della mia comunità religiosa, parlare male degli stranieri, giudicandoli senza conoscerli, o quando vedrò che questi sono esclusi, maltrattati o oppressi. Incoraggerò la mia comunità di fede a collaborare con altre comunità di fede e organizzazioni religiose a trovare modi migliori per assistere lo straniero.
Io accoglierò lo straniero.
PRINCIPI FONDANTI
La chiamata ad «accogliere lo straniero», attraverso la protezione e l’ospitalità, e a onorare lo straniero e le altre persone di altra fede con rispetto e uguaglianza, è profondamente radicata in tutte le principali religioni.
Negli Upanishad (testi canonici dell’induismo), il mantra atithi devo bhava («l’ospite è come Dio») esprime l’importanza fondamentale dell’ospitalità nella cultura hindu. Nel Dharma, o legge hindu, sono centrali i valori di karuna (compassione), ahimsa (non violenza verso tutti) e seva (volontà di servire lo straniero e l’ospite sconosciuto). Offrire cibo e ospitalità allo straniero bisognoso era un dovere tradizionale di un padrone di casa e lo è ancora per molti. In modo più ampio, il concetto di Dharma comprende il compito di fare il proprio dovere, che include un obbligo verso la comunità il quale deve essere realizzato rispettando valori come la non violenza e il servizio disinteressato per il bene comune.
Nel buddhismo il Tripitaka sottolinea l’importanza di coltivare quattro stati della mente: metta (affettuosa amabilità), muditha (gioia empatica), upekkha (equanimità) e karuna (compassione). Ci sono molte tradizioni diverse nel buddhismo, ma il concetto di karuna è un precetto fondamentale in tutte. Comprende le qualità di tolleranza, non discriminazione, inclusione ed empatia per le sofferenze altrui, che riflette il ruolo centrale che la compassione ha in altre religioni.
Nella Torah ci sono trentasei riferimenti all’onorare lo «straniero». Il libro del Levitico contiene una delle affermazioni più importanti della fede ebraica: «Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto» (Lev 19,34). E ancora, la Torah comanda «non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d’Egitto» (Es 23,9).
Nel Vangelo di Matteo udiamo la chiamata: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato» (Mt 25,35). E nella Lettera agli Ebrei leggiamo: «Perseverate nell’amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Eb 13,1-2).
Quando il profeta Maometto fuggì dalla persecuzione alla Mecca cercò rifugio a Medina, dove fu accolto con ospitalità. La jijrah (migrazione) del Profeta simboleggia il movimento da terre di oppressione, e il trattamento ospitale incarna il modello islamico di protezione dei rifugiati. Il Corano sollecita la protezione del richiedente asilo, o al-mustamin, che sia musulmano o meno, la cui sicurezza è irrevocabilmente garantita sotto l’istituzione dell’aman (il fornire sicurezza e protezione). Come indica la sura Al anfál, «quelli che hanno dato loro asilo e soccorso, loro sono i veri credenti: avranno il perdono e generosa ricompensa» (8:74).
Nel mondo ci sono decine di milioni di rifugiati e sfollati interni. La nostra fede ci chiede di ricordare che siamo tutti migranti su questa terra, che viaggiano insieme nella speranza. 
Popoli
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