Un incontro promosso dalla Delegazione presso la Santa Sede.
(Pierluigi Natalia) La libertà di religione o di credo come componente irrinunciabile della convivenza civile è stata argomento di un approfondito confronto, ieri a Roma, tra il rappresentante speciale dell’Unione europea per i diritti umani, Stavros Lambridinis, e una folta platea di diplomatici, rappresentanti della società civile e giornalisti, in un incontro organizzato a Roma dalla Delegazione dell’Ue presso la Santa Sede.
Dopo che Lambridinis ha presentato le linee guida varate in materia dal Consiglio europeo dello scorso 24 giugno, il dibattito si è concentrato soprattutto sugli strumenti per renderne sempre più efficace l’attuazione e per bloccarne le violazioni.
Nel documento approvato a giugno dai capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Unione europea si sottolinea che l’affermazione della libertà di credo contribuisce direttamente alla democrazia, allo sviluppo, allo Stato di diritto, alla pace, alla stabilità. L’Ue si è data tre anni di tempo prima che un’apposita commissione valuti l’azione dei singoli Stati per applicare tale principio. Quelle fissate dall’Ue, infatti, sono linee vincolanti sul piano politico, ma non lo sono legalmente. Spetta cioè ai singoli Stati recepirle negli ordinamenti.
Questo comporta necessariamente una difficoltà di azione unitaria europea sia sul piano interno, sia soprattutto su quello dei rapporti internazionali. Vale per tutti l’aspetto del diritto di cambiare culto, una scelta che in molte aree del mondo implica tuttora mettere a rischio la vita. In merito, Lambridinis ha riferito delle missioni che lo hanno condotto, da quando ha assunto l’incarico, in Cina, Tibet, Egitto, Bahrein, Myanmar, rivendicando un’accresciuta incisività dell’azione europea contro le discriminazioni che hanno tra le cause principali proprio l’appartenenza religiosa.
Ampio spazio, sia nella relazione introduttiva del rappresentante speciale sia negli interventi dei partecipanti all’incontro, ha avuto l’esame delle profonde differenze culturali in materia di religione che si registrano nelle diverse aree del mondo. Secondo Lambridinis, pur in presenza di limiti e compromessi, non è accettabile un relativismo generalizzato che pone ogni opzione sullo stesso piano. Certamente, le violazioni e gli abusi delle libertà religiose, commesse da attori statali e non statali, sono diffuse anche in Europa, come riconoscono, peraltro, le stesse linee guida. Così come non è ignorabile un rigurgito e un aumento in Europa di posizioni xenofobe e razziste. Tuttavia, l’Ue dispone di rigorose leggi in materia, probabilmente le più avanzate del mondo.
A giudizio del rappresentante speciale, lo specifico della posizione europea, ma anche del diritto internazionale per quanto riguarda la libertà di culto sta nel fatto che non è il culto stesso a essere protetto, ma gli individui. Non si tratta, dunque, di una prerogativa confessionale, ma al tempo stesso non è una libertà illimitata che può entrare in conflitto con altri diritti fondamentali. In particolare, sono inaccettabili le violenze contro la persona giustificate con pretesti pseudoreligiosi, dai matrimoni coatti alle mutilazioni genitali, dalle limitazioni dei diritti politici alle discriminazioni sociali.
I limiti alla libertà di culto, cioè, sono quelli posti dal diritto internazionale così come si è andato configurando a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Dal dibattito è emerso un consenso di massima su questo punto, ma non sono mancate puntualizzazioni. Come detto, l’incontro era promosso dalla Delegazione dell’Unione europea presso la Santa Sede: gli intervenuti hanno una sostanziale adesione alle posizioni proprio della Santa Sede, sulla necessità di non tralasciare alcuna via di dialogo nella costruzione di rapporti internazionali rispettosi delle diversità culturali, oltre che religiose, ma non proni all’omologazione di un pensiero unico.
In questo senso, Lambridinis ha valutato positivamente il dibattito in sede di Assemblea generale dell’Onu volto a cancellare dal diritto internazionale il cosiddetto divieto di diffamazione della religione, che in più aree del mondo si traduce in una sovrapposizione di principi confessionali alle legislazioni civili.
Tuttavia, l’incontro è stato anche occasione per contestare la critica, ricorrente in questi decenni, di quanti considerano la dottrina dei diritti umani basata sostanzialmente su valori occidentali e, di conseguenza, uno strumento per imporre questi ultimi a livello mondiale. In merito, è stato sottolineato come i grandi movimenti anticolonialisti del Novecento, tutt’altro che filo-occidentali, abbiano radice nei movimenti per i diritti dell’uomo.