venerdì 22 novembre 2013

La cura dell’anima


La misteriosa forza propulsiva, motrice ed organizzatrice della nostra vita, quell’energia spirituale, nascosta nel nostro intimo e dall’intimo proveniente, sparsa in tutto il corpo, la quale dà forma, movimento e vita al nostro corpo, ossia la nostra anima è certo in se stessa immortale, eppure ha bisogno di cure, va soggetta a ferite, malattie  e sventure, ha tendenze cattive  o devianti e da essa escono i nostri peccati. E’ ciò che Gesù chiama il “cuore” dell’uomo, dal quale escono sia le opere buone che i peccati.
Oggi malauguratamente anche in ambienti cattolici esiste una grande e spocchiosa ignoranza e girano nefasti e grossolani errori concernenti l’anima[1]. Sono diffuse dottrine moderniste o materialiste, le quali, credendo magari di interpretare meglio l’antropologia biblica, disprezzano la psicologia tradizionale della Chiesa sostanzialmente ispirata a quella di S.Tommaso d’Aquino, considerandola con orrore come inficiata dal “dualismo greco”.
Troppo lungo sarebbe qui confutare questi pericolosi errori, che compromettono gravemente l’opera di tutti coloro che in modo speciale e a vario titolo svolgono il delicato compito di prendersi cura dell’anima, di favorirne le normali funzioni, di guarirla quando è malata, di svilupparne al massimo le sue meravigliose potenzialità, che la rendono simile a Dio.
La cura dell’anima giustifica e fonda l’esistenza di una molteplicità di servizi sociali od umanitari, tutti motivati dalla molteplicità di facoltà, attività, inclinazioni, dimensioni vitali che emanano dall’anima come loro centro unico e propulsore, sicchè, se mancano le idee chiare e ben fondate su cosa sono l’anima, le sue funzioni e le sue finalità fondamentali, si capisce facilmente che tutta quella serie di compiti sociali di grande importanza perde la sua unitaria organizzazione e si smarriscono l’ordine e la distinzione reciproci delle rispettive competenze, con la conseguenza disastrosa di conflitti di competenza, che alla fine vanno a tutto danno della sanità mentale e del benessere spirituale, gettando discredito su coloro, come per esempio psicologi e sacerdoti, i quali professionalmente si dedicano alla cura dell’anima.
Così oggi abbiamo nella nostra società il persistere di queste diverse funzioni di fatto relative all’anima, senza però che si sappia con chiarezza e fondatezza qual è il centro – appunto l’anima -, dal quale tutte partono e che tutte mette in ordine. Cerchiamo in questo articolo di fare un po’ d’ordine alla luce della psicologia approvata dalla Chiesa, ossia quella di S.Tommaso d’Aquino.
Un segno preoccupante in campo cattolico di questo smarrimento del concetto stesso della cura dell’anima lo riscontrano facilmente i confessori, i quali spesso ricevono in confessionale persone che non hanno la minima idea di che cosa sia la confessione, nella completa ignoranza della funzione terapeutica in senso spirituale del sacramento della penitenza.
Da qui la necessità da parte del confessore di far precedere al sacramento una catechesi sulla natura e lo scopo dello stesso sacramento, inteso appunto come cura dell’anima, nel qual compito il confessore è facilitato paragonando la cura sacramentale dell’anima alla cura della salute fisica o psichica, cosa che tutti capiscono. Si tratta di ricordare alle persone che come esiste una cura del corpo, così esiste, ed è ben più importante, una cura dell’anima; e come si va dal medico per guarire dalle malattie del corpo, così si entra in confessionale per curare quella malattia dell’anima che è il peccato.
Così alcuni tra di noi si prendono  particolare cura della nostra anima in base ad una speciale preparazione o dopo approfonditi studi: sono soprattutto gli psicologi e i sacerdoti. Ma quanti di noi, non si contano, a vario titolo e in svariatissimi modi si prendono cura delle anime degli altri, oltre che della propria: medici, neurologi, genitori, insegnanti, moralisti, catechisti, educatori, amici, guide spirituali,  magistrati, poeti, artisti, scrittori, economisti, sindacalisti, politici, governanti.
Chi invece non ha idee chiare sulla propria anima, rischia oggi di rivolgersi a maghi, indovini, streghe, santoni, guru, astrologi, falsi esorcisti, falsi profeti o veggenti, parapsicologi, psicologi o preti impostori, pasticcioni, spiritisti, settari, eretici, “falsi cristi”, che finiscono per deludere e far danno anzichè guarire, spesso spillando soldi all’ingenuo malcapitato.
Vogliamo qui allora concentrare l’attenzione in modo particolare sulle due suddette categorie di persone particolarmente coinvolte in questo campo delicatissimo della formazione e del benessere dell’uomo, come ho detto: gli psicologi e i sacerdoti. Proprio di recente Papa Francesco ha tenuto a sottolineare la differenza tra il confessionale e la seduta dello psicologo, ricordando che non si deve ridurre il primo alla seconda.
Affrettiamoci pertanto a distinguere bene il compito dell’uno e quello dell’altro. Potremmo partire dalla famosa tripartizione che S.Paolo fa del nostro io: “spirito, anima e corpo” (I Ts 5,23) e dire che mentre il sacerdote si occupa del nostro spirito (pneuma) – salute spirituale -, lo psicologo cura la nostra psiche o “anima” (psychè) – sanità psichica -. Al corpo (soma) possiamo lasciare il medico – salute fisica, benchè anche il medico, curando il corpo, non possa non recar beneficio all’anima, secondo quell’antico adagio della sapienza romana mens sana in corpore sano.
Tuttavia il medico fisiatra opera direttamente e propriamente su quella dimensione della persona – la vita vegetativa -, che non dipende dalla volontà, se non si tratta, come nel caso dell’ortopedico, degli arti governabili dalla volontà.
Caso a parte è quello del neurologo, il quale viene ad essere una figura intermedia, di aiuto allo psicologo, tra il medico del corpo e lo stesso psicologo, in quanto il sistema nervoso agisce in parte indipendentemente dalla volontà e in parte è comandato, pur in una sua propria autonomia,  dalla volontà per i movimenti del corpo e la elaborazione dei dati del senso, i quali preparano, condizionano ed esprimono gli atti dell’intelletto e della volontà.
In tal modo la psicofarmacologia agisce per ordine dello psicologo sul sistema nervoso al fine di favorire la normalità psichica, mentre il neurologo ha un suo campo proprio d’azione indipendente da quello dello psicologo, per la cura della parte del sistema nervoso indipendente dalla volontà.
Le funzioni cerebrali sono di competenza dello psicologo in relazione ai comandi cerebrali governati dalla volontà, mentre cadono sotto l’interesse del neurologo per quanto riguarda la fisiologia del cervello. Insomma, la grande discriminante nel campo della cura dell’anima e dell’intera persona è data dal fatto che sia presente o assente l’influsso della volontà, sicchè potremmo dire in sintesi che laddove arriva la volontà, abbiamo la cura dell’anima; dove invece la volontà non comanda, abbiamo il medico del corpo, si tratti del fisiatra (internista o esternista), dell’ortopedico o del neurologo.
Tanto lo psicologo quanto il sacerdote si prendono cura delle facoltà dell’anima, intelletto e volontà: il primo nell’intento di assicurare ad esse e guarire il loro normale libero esercizio; il secondo, allo scopo di promuovere, purificare, correggere ed educare il loro normale esercizio rendendolo virtuoso in vista del conseguimento del fine ultimo dell’uomo che è la visione beatifica di Dio nella pienezza finale della vita di grazia. Lo psicologo promuove l’esercizio della libertà; il sacerdote promuove l’uso virtuoso e santo della libertà.
Il lavoro dello psicologo pertanto pone le basi e le condizioni per il ministero del sacerdote: il soggetto, infatti, per l’acquisto delle virtù naturali e soprannaturali, ha bisogno di un decente stato di salute o normalità psichiche, che sono oggetto delle attenzioni e delle cure dello psicologo, anche se è vero che un soggetto psichicamente labile o minorato non è impedito dal conseguimento della virtù, nella misura in cui conserva un minimo di libero arbitrio, di capacità di ragionare e di dominio sulle passioni. A parte il fatto che anche un demente totale battezzato possiede la grazia della salvezza.
Per questo, se il lavoro dello psicologo e il ministero del sacerdote devono essere accuratamente distinti, non c’è dubbio che è sempre auspicabile una loro stretta collaborazione per il bene delle anime, perché lo scambio di informazioni che può avvenire tra loro due sul medesimo soggetto, arricchisce in entrambi l’efficacia e la pertinenza della loro azione a servizio del detto soggetto.
Lo psicologo però assicura l’uso normale dell’intelligenza e della volontà del soggetto a prescindere da finalità morali, religiose o spirituali. Per questo lo psicologo può essere anche non credente. Esso è come il medico, che si limita a favorire la salute fisica ed a guarire dalle malattie organiche o nervose senza interferire sulle idee morali o religiose del paziente.
Infatti, se lo psicologo non credente si mantiene strettamente nell’ambito della sua scienza con oggettività e coscienziosità, non solo non intralcia l’opera del sacerdote, ma indirettamente anche se preterintenzionalmente la favorisce. Dannoso al soggetto invece può essere quello psicologo non credente che bloccasse positivamente con disprezzo a causa di un’impostazione materialistica l’accesso del soggetto ai valori morali e religiosi, fraintesi o calunniati in vari modi dal medesimo psicologo.
Invece lo psicologo competente nella sua professione, avendo cura dell’intelletto e della volontà del paziente, se è aperto ai valori trascendenti, risulta un ottimo collaboratore ed aiuto del sacerdote nel disporre il paziente all’esercizio della virtù e della vita spirituale, molto più del medico del corpo, il quale, limitandosi ad intervenire nelle funzioni biologiche e vegetative o della motilità fisica del soggetto, possiede agganci assai più blandi con       le idee morali o religiose del soggetto.
Mentre lo psicologo, in forza della sua stessa competenza, conosce meglio del sacerdote le infrastrutture psicoemotive del soggetto, per cui è maggiormente in grado di stabilire se e quanto il soggetto è frenato o limitato o condizionato dall’influsso di quelle strutture, – inconscio, immagini, istinti, passioni, ricordi, sentimenti, emozioni, pulsioni – il sacerdote, in forza del suo ministero e della sua grazia di stato, conosce meglio l’intimità spirituale del soggetto, i recessi della sua coscienza, le risorse dell’intelligenza e della volontà, i doni di grazia, le condizioni morali del soggetto, per cui, se lo psicologo è portato ad indulgere alle debolezze del soggetto, il sacerdote è autorizzato, in forza della fiducia della quale gode presso il penitente, a responsabilizzarlo paternamente e a stimolare le forze della sua intelligenza e della sua volontà e a progredire continuamente nel cammino della perfezione morale e della santità.
Inoltre, il sacerdote, ministro della misericordia, ha da Dio il potere di comunicare al pentente una forza divina, quella grazia, per la quale il penitente, benchè conscio delle due debolezze, magari conosciute dallo psicologo, può alimentare una forte speranza  di grandi progressi nella virtù.  Un esempio di ciò possiamo vederlo nei cammini di conversione o di soggetti che risorgono da gravi vizi.
Inoltre, in casi particolarissimi il sacerdote può essere chiamato ad una stretta collaborazione con lo psicologo e lo psichiatra quando si tratta dei fenomeni demonopatici, quella che comunemente si chiama possessione o  vessazione diabolica. In questo caso non si tratta di far leva sulla volontà del paziente, perché la sua condotta deviante non ha una causa volontaria, similmente alle psicopatologie, ma ha una causa di tipo patologico. In altre parole il comportamento dell’ossesso non è volontario, ma coartato dalla personalità demoniaca presente in lui, la quale si sostituisce al paziente nel farlo operare indipendentemente dalla sua volontà.
La differenza con la psicopatologia è data dal fatto che il fattore disturbante non è la malattia mentale, ma il demonio. Compito del sacerdote, in tal caso l’esorcista, è quello di cacciare il demonio dall’ossesso, mentre la consulenza psichiatrica può essere utile per una diagnosi esatta, perché in molti casi non è facile discernere, almeno agli inizi, se si tratta di demonopatia o di malattia mentale o nervosa.
Altra considerazione. Lo psicologo deve stare attento a non invadere il campo del sacerdote, così come questi deve guardarsi dall’improvvisarsi psicologo senza un’adeguata preparazione, né gli è lecito sottovalutare presuntuosamente il compito dello psicologo sostituendolo con un gratuito autoritarismo, che colpevolizza facilmente il penitente. Ma anche lo psicologo deve evitare la pericolosa illusione di sostituirsi al sacerdote considerando il compito di questi come qualcosa di antiquato o superato dalla moderna antropologia morale.
Soprattutto lo psicologo deve evitare la sottile tentazione di voler fare da educatore morale o addirittura da guida spirituale. Egli deve ricordarsi di non aver gli strumenti per entrare in questo campo, perché la psicologia promuove certo la dignità della persona, ma in quanto questa si limita all’autocoscienza come padrona dei suoi atti e non comesoggetto aperto al divino ed alla trascendenza. Questo invece è il campo del sacerdote, per il quale egli è specificamente preparato ed abilitato. Non sta allo psicologo ma al sacerdote guidare verso Dio. Allo psicologo basta guidare l’uomo alla maturità umana ed all’equilibrio psichico e ce n’é d’avanzo.
Se è ben distinta l’opera promotrice dello psicologo da quella del sacerdote, altrettanto ben distinta è la fenomenologia disordinata nell’uno e nell’altro campo. Mentre in psicologia abbiamo l’insieme delle patologie psichiche e dei disturbi mentali, la cura sacerdotale dell’anima prende in considerazione il vasto campo dei difetti morali, dei vizi e dei peccati.
Qui l’interesse dello psicologo verte sul campo della sofferenza psichica, – la volontà variamente oppressa o bloccata dal disordine dell’emotività -, mentre la cura sacerdotale è diretta all’annullamento della colpa morale, ovverosia del peccato, che è l’atto cattivo cosciente e volontario, di disobbedienza alla legge morale o divina.
Punto di confronto al riguardo tra sacerdote e psicologo, nel caso lo psicanalista, è la questione di distinguere lacoscienza della colpa, che è di competenza del confessionale, dal senso di colpa, come stato emotivo patologico, che è di competenza dello psicanalista, ciò che nell’ascetica tradizionale si chiama “scrupolo”.
C’è da notare infine che tende a diffondersi inoltre da tempo in certi istituti religiosi l’uso di affidare più allo psicologo che al sacerdote il discernimento della vocazione di coloro che chiedono di essere ammessi nell’istituto: questo è un procedimento che denota nei dirigenti di questi istituti una grave mancanza di senso del soprannaturale e della vera dinamica della vita spirituale, ridotta in termini secolareschi come se si trattasse di essere assunti in un’azienda o in un ufficio della pubblica amministrazione.
In conclusione, occorre con urgenza sia da parte del clero che degli psicologi una rinnovata presa di coscienza della loro grande responsabilità e della delicatezza della loro missione sulla base di una più sana psicologia  ed una più vera percezione del destino trascendente dell’uomo.
P. Giovanni Cavalcoli


[1] Si pensi solo al recente libro sull’anima di Vito Mancuso, che ha ottenuto un successo enorme.