Cristian Martini Grimaldi
Ero Bergoglio, sono Francesco
Casa editrice Marsilio
Ero Bergoglio, sono Francesco
Casa editrice Marsilio
Un reportage da Buenos Aires, tra immagini e parole, nelle stesse ore in cui il nuovo papa Francesco sale al soglio pontificio. L’autore parte verso quella “fine del mondo”, evocata proprio dal Santo Padre il giorno della sua elezione, per constatare quanto sapore di frontiera si respiri realmente in quella terra. E scopre una realtà sociale alquanto inquieta. L’Argentina è un paese che potrebbe sfamare oltre trecento milioni di individui ma che al suo interno contiene sacche di povertà assoluta. Un paese dove la delinquenza di strada è fenomeno comune anche nei quartieri più rinomati e dove il paco (la droga) miete giovani vittime. Nel libro vengono intervistati due parroci di periferia che, anche attraverso il contributo personale di papa Francesco, oggi si dedicano al recupero e al reinserimento sociale di questi ragazzi. Jorge Mario Bergoglio nel suo percorso, prima di provinciale dei gesuiti, poi come vescovo ausiliare di Buenos Aires e quindi come cardinale, è sempre stato vicino agli emarginati. Ha fatto della predicazione del Vangelo il cuore stesso del suo stile di vita. Uno stile sobrio, semplice, umile. Molti degli aneddoti riferiti confermano questa immagine arricchendola di nuove storie e curiosità. Numerose sono le conversazioni che l’autore ha avuto con moltissima gente comune e con i tanti amici del Santo Padre: i compagni di studio negli anni del seminario a Villa Devoto e quelli della Facoltà di filosofia e teologia a San Miguel. Quello che emerge è il ritratto di un uomo che comunica più con le azioni che con le parole, rifugge dalle teorizzazioni, e quando parla utilizza spesso esperienze personali, storie realmente accadute, perché è solo attraverso la testimonianza di vita vissuta che si può trasmettere la vera esperienza del Vangelo.
INTERVISTA A CRISTIAN MARTINI GRIMALDI, VENERDI’ 22 NOVEMBRE 2013 (a cura di Luca Balduzzi)
In che maniera Buenos Aires e l’Argentina hanno reagito all’elezione del loro Cardinale Jorge Mario Bergoglio?
Molti di coloro che ho intervistato l’hanno paragonata a una vittoria calcistica, ma non come la vittoria del Boca alla Coppa Libertadores, che poi sarebbe la nostra Champions League, ma la più ambita, quella di un mondiale di calcio. Il popolo argentino è cosi, istintivo e appassionato.
Molti di coloro che ho intervistato l’hanno paragonata a una vittoria calcistica, ma non come la vittoria del Boca alla Coppa Libertadores, che poi sarebbe la nostra Champions League, ma la più ambita, quella di un mondiale di calcio. Il popolo argentino è cosi, istintivo e appassionato.
Perché i detrattori di Papa Francesco hanno avuto gioco facile, subito dopo la sua elezione, nel criticarlo per la sua presunta connivenza con la dittatura del generale Jorge Rafael Videla durante gli anni in cui Bergoglio era Provinciale dei Gesuiti? In che maniera la chiesa argentina ha vissuto quel periodo?
Il periodo storico che viveva allora l’Argentina era davvero difficile. Chi non è argentino difficilmente può farsi un’idea. E i preti erano tra le categorie che più rischiavano la vita, perché erano tra i pochi a parlare di libertà in un momento in cui la libertà non esisteva.
Bergoglio era allora provinciale dei gesuiti d’Argentina. Un ruolo importante. E nelle mura gesuitiche del Collegio Máximo, a San Miguel, Bergoglio diede ospitalità a numerose persone invise alla dittatura, compresi alcuni laici. Diceva loro: «Venite pure qui, venite a fare un ritiro spirituale a San Miguel». Era un modo per metterli a riparo dai militari. Oggi queste cose sono abbastanza conosciute, ma la notizia l’abbiamo data all’Osservatore Romano appena due settimane dopo l’elezione al soglio pontificio di Bergoglio, quando appunto, come lei ben ricorda, molti giornali facevano a gara a riesumare vecchie calunnie sulla connivenza di Bergoglio con la dittatura.
La campagna contro Bergoglio risaliva già a diversi anni prima infatti. Ma evidentemente certi giornali sono come Victor Frankenstein, riescono a dare vita a creature grottesche mettendo insieme pezzi di cadavere. Se poi il mostro cosi partorito fa presa sul pubblico, non ci si deve stupire. È la logica del giornalismo twittato (e uso Twitter qui sia in senso letterale che metaforico): come attirare l’attenzione del pubblico in 140 battute? Perché poi l’ottanta per cento di chi legge i giornali legge solo i titoli, figuriamoci chi legge le news online. Ma tanto basta a diffondere il rumor. Bastava poi leggere la dichiarazione di padre Lombardi del 15 marzo, cioè due giorni dopo l’elezione del papa, per avere qualsiasi chiarimento su quella vecchia storia: «Non vi è mai stata -ha detto padre Lombardi- un’accusa concreta credibile nei confronti di Bergoglio. La giustizia argentina lo ha interrogato una volta come persona informata sui fatti, ma non gli ha mai imputato nulla. Egli ha negato in modo documentato tutte le accuse».
Si fa tanto parlare della macchina del fango qui in Italia ma una stampa calunniosa e diffamatoria esiste anche in Argentina. Per lo più sono anticlericali militanti. Ma sa, come mi disse il Rettore della Cattedrale metropolitana di Bueno Aires Alejandro Russo, di papa Pacelli dicevano che era amico di Hitler, di papa Roncalli dicevano che era modernista, di papa Montini dicevano che era comunista, sono diffamazioni frutto di uno spirito nemico della Chiesa, che va diffondendo notizie immaginarie per lucrare sugli scoop. È la stessa ragione per cui si parla tanto dei preti pedofili ma non dei pediatri pedofili.
Il periodo storico che viveva allora l’Argentina era davvero difficile. Chi non è argentino difficilmente può farsi un’idea. E i preti erano tra le categorie che più rischiavano la vita, perché erano tra i pochi a parlare di libertà in un momento in cui la libertà non esisteva.
Bergoglio era allora provinciale dei gesuiti d’Argentina. Un ruolo importante. E nelle mura gesuitiche del Collegio Máximo, a San Miguel, Bergoglio diede ospitalità a numerose persone invise alla dittatura, compresi alcuni laici. Diceva loro: «Venite pure qui, venite a fare un ritiro spirituale a San Miguel». Era un modo per metterli a riparo dai militari. Oggi queste cose sono abbastanza conosciute, ma la notizia l’abbiamo data all’Osservatore Romano appena due settimane dopo l’elezione al soglio pontificio di Bergoglio, quando appunto, come lei ben ricorda, molti giornali facevano a gara a riesumare vecchie calunnie sulla connivenza di Bergoglio con la dittatura.
La campagna contro Bergoglio risaliva già a diversi anni prima infatti. Ma evidentemente certi giornali sono come Victor Frankenstein, riescono a dare vita a creature grottesche mettendo insieme pezzi di cadavere. Se poi il mostro cosi partorito fa presa sul pubblico, non ci si deve stupire. È la logica del giornalismo twittato (e uso Twitter qui sia in senso letterale che metaforico): come attirare l’attenzione del pubblico in 140 battute? Perché poi l’ottanta per cento di chi legge i giornali legge solo i titoli, figuriamoci chi legge le news online. Ma tanto basta a diffondere il rumor. Bastava poi leggere la dichiarazione di padre Lombardi del 15 marzo, cioè due giorni dopo l’elezione del papa, per avere qualsiasi chiarimento su quella vecchia storia: «Non vi è mai stata -ha detto padre Lombardi- un’accusa concreta credibile nei confronti di Bergoglio. La giustizia argentina lo ha interrogato una volta come persona informata sui fatti, ma non gli ha mai imputato nulla. Egli ha negato in modo documentato tutte le accuse».
Si fa tanto parlare della macchina del fango qui in Italia ma una stampa calunniosa e diffamatoria esiste anche in Argentina. Per lo più sono anticlericali militanti. Ma sa, come mi disse il Rettore della Cattedrale metropolitana di Bueno Aires Alejandro Russo, di papa Pacelli dicevano che era amico di Hitler, di papa Roncalli dicevano che era modernista, di papa Montini dicevano che era comunista, sono diffamazioni frutto di uno spirito nemico della Chiesa, che va diffondendo notizie immaginarie per lucrare sugli scoop. È la stessa ragione per cui si parla tanto dei preti pedofili ma non dei pediatri pedofili.
L’invito che il Vescovo e poi Cardinale Bergoglio rivolgeva ai suoi sacerdoti era quello di non stancarsi mai di andare in strada ed incontrare le persone… com’’è l’attività dei preti che operano nei quartieri operai o nelle villas de emergencia?
Villa 21 è uno dei quartieri più poveri di Buenos Aires. Qui “padre” Bergoglio si recava per portare aiuto ai ragazzi tossicodipendenti. Qui il cardinale arcivescovo, con un gruppo di sacerdoti, organizzava attività di emergenza per la lotta all’uso e allo spaccio della droga e per il recupero dei giovani. Perché a Villa 21 la droga arrivava in quantità gigantesche a cominciare dal periodo di forte crisi economica. E la povertà è indissolubilmente legata alla diffusione della droga che viene vista come un palliativo, come una via di fuga da un destino sfortunato. Ma la strada giusta per affrontare queste situazioni l’ha proprio indicata Bergoglio quando era rettore al Collegio di San Miguel. Ho recentemente intervistato il direttore del museo dei 26 Martiri di Nagasaki che al tempo era seminarista di quel Collegio. Beh mi ha detto che su iniziativa di Bergoglio non si aspettava più che la gente si presentasse di sua spontanea volontà in chiesa, ma la si andava a cercare. Era anche un modo per tener fuori i ragazzi dalla strada, cioè dalla droga. E la gente rispondeva alla chiamata. Allora nel quartiere in cui operavano, San Alonso, non c’era neppure una parrocchia, ma in poco tempo non solo costruirono la chiesa, ma centinaia di persone cominciarono a prendere parte alla messa ogni domenica. In pochi anni quello che era un centro degradato e senza alcun ‘collante sociale’ era diventata una comunità vivace e compatta.
Villa 21 è uno dei quartieri più poveri di Buenos Aires. Qui “padre” Bergoglio si recava per portare aiuto ai ragazzi tossicodipendenti. Qui il cardinale arcivescovo, con un gruppo di sacerdoti, organizzava attività di emergenza per la lotta all’uso e allo spaccio della droga e per il recupero dei giovani. Perché a Villa 21 la droga arrivava in quantità gigantesche a cominciare dal periodo di forte crisi economica. E la povertà è indissolubilmente legata alla diffusione della droga che viene vista come un palliativo, come una via di fuga da un destino sfortunato. Ma la strada giusta per affrontare queste situazioni l’ha proprio indicata Bergoglio quando era rettore al Collegio di San Miguel. Ho recentemente intervistato il direttore del museo dei 26 Martiri di Nagasaki che al tempo era seminarista di quel Collegio. Beh mi ha detto che su iniziativa di Bergoglio non si aspettava più che la gente si presentasse di sua spontanea volontà in chiesa, ma la si andava a cercare. Era anche un modo per tener fuori i ragazzi dalla strada, cioè dalla droga. E la gente rispondeva alla chiamata. Allora nel quartiere in cui operavano, San Alonso, non c’era neppure una parrocchia, ma in poco tempo non solo costruirono la chiesa, ma centinaia di persone cominciarono a prendere parte alla messa ogni domenica. In pochi anni quello che era un centro degradato e senza alcun ‘collante sociale’ era diventata una comunità vivace e compatta.
Due settimane fa, nel corso della 106° Assemblea plenaria a Pila, i vescovi dell’Argentina hanno lanciato l’allarme anche sulla delocalizzazione della produzione della droga da parte dei narcotrafficanti messicani…
La droga è un problema endemico in tutto il Sudamerica. E lo è da decenni. Dieci anni fa ero ad Ushuaia, un piccolo centro alla punta più estrema dell’Argentina, e se lei va su Google Maps si rende conto che si trova nel bel mezzo del nulla: un oceano davanti e la Patagonia alle spalle. Beh in questo paese geograficamente appartato dal resto del mondo il gestore dell’ostello in cui mi trovavo, un argentino di trent’anni dal carattere gioviale, ogni due settimane faceva una passeggiata sino al porto e in tutta nonchalance ritornava con un “sasseto bianco” di un centinaio di grammi. La roba arrivava direttamente dalla Colombia. Per dire che anche allora senza l’aggravante della delocalizzazione della produzione messicana la droga era diffusa come il sale.
Ma un altro problema serio dell’Argentina è quello della prostituzione, soprattutto minorile. Pensi che moltissime ragazze ogni anno vengono rapite dal racket, e tanto per darle un’idea di quanto ben organizzati siano queste bande di criminali le racconto un episodio avvenuto a Rosario. In un centro commerciale una madre perde di vista la bambina di 8 anni. Passano pochi secondi e la madre avverte la polizia la quale fa immediatamente chiudere tutte le porte di accesso e di uscita dal centro. Scatta una minuziosa ricerca e la bambina viene subito ritrovata dentro un camerino interamente rapata a zero e con addosso vestiti del tutto diversi da quelli che aveva. Da quando era stata sottratta alla madre sino al momento del ritrovamento non erano passati più di una manciata di minuti. E non stiamo parlando di zingari “a caccia” di bebè. Ma di organizzazioni che pattugliano le strade alla ricerca di adolescenti (ma spesso anche più giovani) da immettere nel circolo della prostituzione. E le ragazze dei quartieri poveri sono i target più sensibili.
La droga è un problema endemico in tutto il Sudamerica. E lo è da decenni. Dieci anni fa ero ad Ushuaia, un piccolo centro alla punta più estrema dell’Argentina, e se lei va su Google Maps si rende conto che si trova nel bel mezzo del nulla: un oceano davanti e la Patagonia alle spalle. Beh in questo paese geograficamente appartato dal resto del mondo il gestore dell’ostello in cui mi trovavo, un argentino di trent’anni dal carattere gioviale, ogni due settimane faceva una passeggiata sino al porto e in tutta nonchalance ritornava con un “sasseto bianco” di un centinaio di grammi. La roba arrivava direttamente dalla Colombia. Per dire che anche allora senza l’aggravante della delocalizzazione della produzione messicana la droga era diffusa come il sale.
Ma un altro problema serio dell’Argentina è quello della prostituzione, soprattutto minorile. Pensi che moltissime ragazze ogni anno vengono rapite dal racket, e tanto per darle un’idea di quanto ben organizzati siano queste bande di criminali le racconto un episodio avvenuto a Rosario. In un centro commerciale una madre perde di vista la bambina di 8 anni. Passano pochi secondi e la madre avverte la polizia la quale fa immediatamente chiudere tutte le porte di accesso e di uscita dal centro. Scatta una minuziosa ricerca e la bambina viene subito ritrovata dentro un camerino interamente rapata a zero e con addosso vestiti del tutto diversi da quelli che aveva. Da quando era stata sottratta alla madre sino al momento del ritrovamento non erano passati più di una manciata di minuti. E non stiamo parlando di zingari “a caccia” di bebè. Ma di organizzazioni che pattugliano le strade alla ricerca di adolescenti (ma spesso anche più giovani) da immettere nel circolo della prostituzione. E le ragazze dei quartieri poveri sono i target più sensibili.
Che speranze ripone l’Argentina nel “suo” Papa?
Immagino molte se un Presidente come la Kirchner, che da presidentessa non aveva mai partecipato a un Te Deum presenziato da Bergoglio, alla sua elezione al soglio pontificio si è precipitata sul primo aereo per venire a Roma a incontrarlo. Battute a parte… Come mi disse una studente venuta a Buenos Aires per assistere all’insediamento del Papa: «Questo è un papa che non è solo un testimone di umiltà, come dimostra tutta la sua biografia, ma è una speranza di unità per tutto il Sudamerica».
Immagino molte se un Presidente come la Kirchner, che da presidentessa non aveva mai partecipato a un Te Deum presenziato da Bergoglio, alla sua elezione al soglio pontificio si è precipitata sul primo aereo per venire a Roma a incontrarlo. Battute a parte… Come mi disse una studente venuta a Buenos Aires per assistere all’insediamento del Papa: «Questo è un papa che non è solo un testimone di umiltà, come dimostra tutta la sua biografia, ma è una speranza di unità per tutto il Sudamerica».