Pubblichiamo la rubrica di padre Aldo Trento contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Domenica 31 maggio, festa della Santissima Trinità, il Signore mi ha messo duramente alla prova. Carolina, dopo una lunga agonia, è morta a nove anni. La mamma l’aveva abbandonata con il papà appena nata e nella vita ha vissuto solamente dolore. Vederla nel letto, piena di sonde, mi suscitava una grande tenerezza: «Signore, perché lei e non me?».
Un’ora dopo la morte il suo letto era già occupato da un altro bambino ammalato di leucemia e di Aids, una malattia trasmessa dal papà che insieme ad alcuni pervertiti avevano abusato di lui sessualmente.
Al termine della giornata, prima di coricarmi, leggo uno scritto che dice: la vita è bella. Provo rabbia: come si può dire che la vita è bella quando hai ancora negli occhi la morte, la sofferenza? La vita è dura, terribilmente dura, per questo quasi nessuno va a trovare i malati terminali.
Anche Violeta Parra che, in un momento di euforia cantava «grazie alla vita che mi ha dato tanto», alla fine si è trovata a cantare «cuore maledetto perché palpiti, cuore maledetto perché vibri?», e rendendosi conto che la vita non è la risposta si è suicidata.
Mio fratello ha perso le sue figlie: una di 28 anni, morta di tumore, e l’altra, di 26, in un incidente stradale. Sono morte nello stesso anno: una in agosto e l’altra alla vigilia di Natale. Sono passati dieci anni e la vita continua insopportabile, piena di un dolore senza risposta. In nessuno dei due funerali mi è stata data la possibilità di presiedere la Messa. La mia sola presenza scatenava nei genitori la rabbia con Dio che aveva tolto loro le uniche due figlie. E la vita è bella?
Se la vita fosse bella in sé, sarebbe difficile spiegare il numero di disperati che riempie il mondo. Dopo il peccato originale la vita ha perso la sua bellezza: per questo il Verbo si è fatto Carne, e soltanto da quel momento, in cui la Madonna ha detto sì, la realtà è tornata a fiorire riempiendosi di positività. Il bello è incontrare Cristo: solo di conseguenza possiamo affermare che anche la vita è bella. La stessa malattia, se non fosse sostenuta da Cristo, sarebbe una tragedia, per questo non mi sorprende che esista una corrente di pensiero che sostiene l’eutanasia. La vita non trova una ragione in sé: viceversa, non capiremmo i martiri.
Spesso incontro persone fisicamente distrutte, ma appassionate alla vita, e all’origine di questa posizione c’è sempre una grande relazione personale con Cristo. Don José è da due anni nel letto, immobile, cieco e con le gambe piene di piaghe. A chi gli chiede come sta, risponde «molto bene». Come “molto bene”? Il suo corpo sembra un pezzo di marmo ma José ripete: «Io sto molto bene. Qui non mi manca nulla: ho da mangiare, ho molti amici, ma la cosa più importante è che ho Gesù e, grazie all’incontro con Lui, la mia vita è diventata bella». E a chi insiste chiedendogli se sarebbe felice di essere curato da Gesù, risponde: «Certamente, ma a condizione di non tornare alla mia vita disordinata di prima».
È solo l’incontro con Cristo che permette a Don José di affermare che la vita è bella. Anche io, verificando l’avanzamento della mia malattia, seguo offrendo tutto a Gesù e, in questa offerta, scopro che è bello vivere.
Cristo non può aspettare
In questi ultimi mesi ho un nuovo paziente al giorno. Non fa in tempo a liberarsi un letto che suona il mio telefono: è un missionario polacco, chiede «per piacere ha un letto libero per una ragazza di 17 anni, con un cancro al cervello? I medici la definiscono terminale, perché non c’è nulla da fare, e l’hanno dimessa dall’ospedale senza nemmeno verificare se ha una capanna dove vivere». Grazie al Signore, di solito c’è sempre un missionario che si occupa dei poveri e che quando c’è necessità si mette in contatto con noi.
In questi ultimi mesi ho un nuovo paziente al giorno. Non fa in tempo a liberarsi un letto che suona il mio telefono: è un missionario polacco, chiede «per piacere ha un letto libero per una ragazza di 17 anni, con un cancro al cervello? I medici la definiscono terminale, perché non c’è nulla da fare, e l’hanno dimessa dall’ospedale senza nemmeno verificare se ha una capanna dove vivere». Grazie al Signore, di solito c’è sempre un missionario che si occupa dei poveri e che quando c’è necessità si mette in contatto con noi.
Da dove arriva questa rapidità nell’abbracciare le persone che soffrono? San Paolo affermava: «Caritas Christi urget nos!» (l’amore di Cristo ci sprona). È bello vedere tutti i giorni che questa gente umile finisce sempre nelle nostre braccia, non importa l’ora. Cristo non può aspettare.
Spesso mi chiedo perché non seguiamo la testimonianza del Santo Padre, la sua passione per Cristo e per i poveri. Un giornalista del Vaticano raccontò un fatto: alcuni giovani drogati, non avendo un posto dove dormire, si avvicinarono ad una chiesa cattolica per ripararsi ma furono cacciati. Conobbero poi dei marocchini che li accolsero nella loro casa e nel tempo questi giovani si aggregarono all’Isis.
paldo.trento@gmail.com
Tempi