domenica 24 febbraio 2013

Gli attacchi alla Chiesa negli ultimi giorni

Piazza San Pietro

Lo denuncia la nota, davvero inconsueta, diffusa sabato dalla Segreteria di Stato: è un attacco inaudito. È quello cui è sottoposta la Chiesa in vista del Conclave, e che rappresenta il culmine di quanto è avvenuto durante tutto il pontificato di Benedetto XVI. Una persecuzione quotidiana, che non si è mai fermata. Non uso a caso la parola «inaudito». È una parola molto forte perché indica qualche cosa che non solo, con questa gravità, non si è mai verificato prima, ma di cui neppure prima d’ora si era sentito – propriamente – a parlare. «Inaudito»: che non è mai stato ascoltato prima. Uso questa parola perché è di Benedetto XVI. La usa, in un brano che sembra scritto per le vicende di questi giorni, nell’enciclica «Caritas in veritate» al n. 75: «Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite».  E di «inaudite sofferenze», con riferimento alle stragi di cristiani in Africa, il Papa aveva parlato in una lettera al presidente dei vescovi del Kenya nel 2008. 

A «inaudito» si deve affiancare un altro aggettivo di forza non comune: «terrificante». Il Papa lo ha usato nel viaggio a Fatima a proposito degli attacchi che gli venivano rivolti dall’interno stesso della Chiesa: «vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa». E – sempre a proposito degli attacchi interni – nella lettera del 10 marzo 2009 dove spiegava perché aveva rimesso la scomunica ai vescovi consacrati da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), Benedetto XVI aveva usato una terza espressione fortissima, desunta dalla Lettera ai Galati di san Paolo: c’è chi nella Chiesa vuole «mordere e divorare» coloro che percepisce come avversari e in ultimo lo stesso Pontefice. «“Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”. Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa».

Rivediamo tutto questo aprendo i giornali ostili alla Chiesa – sempre i soliti, da Repubblica al New York Times, cui però fanno eco in tanti, e sorprendentemente anche media che si dicono cattolici – a proposito del Conclave. Tutto è ridotto a scandalo, sporcizia, vergogna. Notizie vere come quelle che riguardano i preti pedofili sono amplificate a dismisura fino a perdere ogni contatto con la realtà, secondo il meccanismo di quelli che la sociologia chiama «panici morali». Né ci si vergogna d’inventare notizie totalmente false, come quelle che continuano a circolare su Internet di mandati d’arresto internazionali in arrivo per Benedetto XVI o della presunta menzione, nel rapporto dei tre cardinali che hanno indagato sul caso Vatileaks, del coinvolgimento di prelati vicini al Papa in scandali sessuali.

Appena un cardinale impegnato a difendere il Magistero del Papa è citato come possibile «papabile» – a torto o a ragione –, subito si denuncia qualche scandalo, preferibilmente collegato alla pedofilia e magari risalente a qualche decennio fa ma su cui – vedi caso – i giudici ritengono di sentire il porporato proprio in questi giorni. Sta capitando negli Stati Uniti al cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza Episcopale, secondo un modello di «giustizia a orologeria» inventato da certi pubblici ministeri italiani ma ormai diffuso in tutto il mondo. E non è l’unico caso.

Chi ha cospirato contro Benedetto XVI e ora cospira contro il Conclave? Chi «morde e divora»? Chi, con strategie «terrificanti», cerca di coprire le sue «ingiustizie inaudite»? La risposta è complessa, e certamente non c’è un unico «grande vecchio», un’unica regia. Per capire di più, possiamo esaminare la prima grande offensiva contro Benedetto XVI, che inizia con il discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, il quale contiene una citazione giudicata da alcuni offensiva nei confronti dell’islam e dei musulmani. 

Appena pronunciato questo discorso, inizia un processo in tre fasi. Prima fase: un buon numero di media occidentali, con alla testa il solito New York Times, estrapolano la citazione dal contesto e sbattono la notizia della presunta offesa ai musulmani in prima pagina. Seconda fase: al coro si uniscono esponenti cattolici ostili al Papa, compiacentemente intervistati dagli stessi media. Terzo: gli ultra-fondamentalisti musulmani diffondono la notizia nelle terre dove operano e si passa alla violenza, con suore e sacerdoti percossi e uccisi e chiese bruciate. 

Questo schema si ritrova in tanti altri episodi. Un esempio tipico è quello del marzo 2009 quando - sull’aereo che lo porta in Camerun - Benedetto XVI risponde a un cronista francese che gli pone una domanda sull’AIDS, spiegando che la distribuzione massiccia di preservativi non risolve ma aggrava il problema. La risposta del Papa, peraltro scientificamente corretta, occupa le cronache internazionali per tutto il viaggio, mettendo in ombra i suoi profondi insegnamenti sulle malefatte delle istituzioni internazionali e di alcune multinazionali in Africa – e forse era proprio questo lo scopo. Anche qui sono i grandi media laicisti a gridare allo scandalo, ma subito – seconda fase – intervengono a «mordere» il Papa i teologi progressisti e i «cattolici adulti». Quindi – terza fase – arriva la violenza, non fisica questa volta ma istituzionale di governi come quello del Belgio che censurano il Pontefice e annunciano misure contro la Chiesa. Si crea qui il contesto in cui dopo qualche mese la polizia belga, a caccia d’improbabili pedofili, sequestrerà fisicamente per ore i vescovi locali e aprirà le tombe di due cardinali, alla ricerca di documenti sulla pedofilia che lì avrebbero potuto essere nascosti solo in una delle pagine peggiori di Dan Brown.

Gli attacchi sono «inauditi» proprio perché non vengono da una parte sola. Contro Benedetto XVI e oggi contro la Chiesa e il Conclave si sono mossi cinque diversi nemici. 

Il primo, forse più potente e pericoloso, è costituito dalla galassia di organizzazioni laiciste, omosessuali, massoniche, femministe, delle cliniche dell’aborto e dell’eutanasia, delle case farmaceutiche che vendono prodotti abortivi, degli avvocati che chiedono risarcimenti miliardari per i casi di pedofilia. Questa lobby odia la Chiesa per la sua opposizione intransigente al relativismo e la sua difesa dei principi non negoziabili in tema di vita e di famiglia, che talora disturba anche affari molto lucrosi. Ed è una lobby che ha un’influenza davvero «inaudita» sui più potenti media mondiali. 

Il secondo grande nemico della Chiesa, spesso pericolosamente trascurato per malinteso spirito di dialogo e «buonismo», è l’ultra-fondamentalismo islamico. Illuso che sia davvero possibile per l’islam riprendere la conquista del mondo intero, entusiasmato dai suoi successi prima terroristici – a partire dall’11 settembre – e poi politici, il segmento più radicale dell’islam fondamentalista ha sofferto come una ferita intollerabile il sorpasso statistico dei cristiani sui musulmani nel continente africano – il dato riguarda l’Africa nel suo insieme, Maghreb compreso – e ha risposto con gli assassini e le stragi. A questo fondamentalismo radicale Benedetto XVI – pure così attento a non confonderlo con l’islam in generale – non ha mai fatto sconti. Certo, ideologicamente l’ultra-fondamentalismo islamico è lontanissimo dal laicismo. Ma è pronto a sfruttare gli assist dei media laicisti per attaccare la Chiesa, e a profittare del loro silenzio quando la sua violenza si dirige contro i cristiani.

Il terzo grande nemico di Benedetto XVI è stato il progressismo cattolico e l’azione insistita e fastidiosa di quei «cattolici adulti» e teologi i quali hanno visto la loro autorità e il loro potere nella Chiesa minacciato dallo smantellamento da parte di Benedetto XVI di quella interpretazione del Concilio Vaticano II in termini di discontinuità e di rottura con il Magistero precedente su cui avevano costruito per decenni carriere e fortune. E oggi, in vista del Conclave, questo progressismo – le cui lamentele trovano pronta eco nei media laicisti internazionali – tenta di aggredire preventivamente i cardinali più attivi e fedeli nel diffondere questi insegnamenti del Pontefice.

Ma l’«ermeneutica della riforma nella continuità» del Vaticano II di Papa Ratzinger, se ha sottolineato la continuità, ha anche sempre precisato che non è facoltativo accettare, del Concilio, l’elemento di riforma. Proprio sul punto secondo cui accettare il Concilio nei suoi documenti, e anche nel suo senso di evento storico globale, è obbligatorio, Benedetto XVI è stato attaccato con sempre maggiore acrimonia anche da un quarto fronte, quello degli ultra-conservatori che forse all’inizio si erano illusi di trovare in lui una sponda e un sostegno. Solo chi non conosce questi ambienti non si rende conto di quante voci e rumori – poi ripresi dai media anti-cattolici – siano stati inizialmente diffusi proprio qui, e di quanti danni abbiano fatto attacchi che hanno cercato di colpire Benedetto XVI sul punto grave e delicatissimo dell’ortodossia dottrinale, seminando dubbi e sospetti. E negli ultimi giorni abbiamo visto quanto fosse soltanto di facciata il rispetto ostentato da certi ambienti ultra-conservatori per il Papa, che alcuni, con un cattivo gusto violento, hanno paragonato addirittura al comandante Schettino, e di cui hanno attaccato senza ritegno il discorso ai parroci romani, dove Benedetto XVI ribadiva il dovere di tutti di fedeltà al Vaticano II reale, che fu ed è cosa diversa dalla sua rappresentazione spesso distorta nei media. 

Infine, Benedetto XVI ha avuto anche un quinto nemico, inconsapevole e involontario ma non per questo meno pericoloso. Si tratta delle imprudenze, ritardi ed errori di comunicazione degli stessi collaboratori del Papa. Nell’epoca di Internet e di Facebook se una notizia falsa non è smentita entro due o tre ore le possibilità di replica efficace si riducono a poco più di zero. Migliorare la comunicazione della Santa Sede è una delle grandi sfide che attendono il prossimo Pontefice.

I risultati di questi attacchi «inauditi», lo ha detto ancora il Papa nel viaggio a Fatima, sono a loro volta inauditi. Non solo leggendo i giornali o guardando la televisione ci si trova davanti a «ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita». Ma la stessa fede è in pericolo di morte. «La fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata». Non ci sono solo i corifei del secolarismo, «non mancano credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo». E il risultato è che la stessa verità naturale viene meno: e ogni «popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia».

Non è coltivazione della speranza cristiana, è soltanto imprudenza non vedere quanto gli attacchi siano «inauditi». «L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo», ha detto ancora il Papa a Fatima. Nello stesso tempo, proprio a Fatima, il Papa ha ricordato le parole della Madonna che, dopo avere preannunciato terribili tragedie, concluse il suo messaggio in Portogallo annunciando: «Infine il mio Cuore Immacolato trionferà». Sì, ripeteva allora Benedetto XVI, «nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa». Spetterà probabilmente al prossimo Pontefice celebrare nel 2017 il centenario delle apparizioni di Fatima. Vale allora la pena di rileggere, con trepidazione e speranza, quanto – dopo l’apprezzamento così realistico della crisi inaudita e «terrificante» – Benedetto XVI ebbe ad affermare a Fatima nel 2010, sette anni prima del centenario del 2017: «Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria, a gloria della Santissima Trinità». (M. Introvigne)

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La scena in cui Maurizio Crozza irride a Benedetto XVI – andata in onda nella sua trasmissione televisiva su La7 dello scorso venerdì 22 febbraio – merita di venire conosciuta ed esaminata, malgrado sia ripugnante, perché è a modo suo esemplare. E’ infatti un esempio di quanto la satira (di per sé un genere letterario-teatrale di grande tradizione) possa cadere in basso quando viene usata come strumento per diffamare e per calunniare impunemente.
“Scherza coi fanti e lascia stare i santi” è un antico proverbio che conserva ancora tutta la sua sapienza; e che dovrebbe spingere anche il più graffiante dei giullari a pensarci due volte prima di prendere di mira un’autorità morale di rilievo planetario come il Papa, per di più impersonata da una figura della statura umana e intellettuale di Benedetto XVI. Ciò premesso, non è tuttavia su questo che intendo qui soffermarmi bensì appunto sulla degradazione della satira a modo per diffamare e calunniare impunemente. Una degradazione di cui purtroppo Crozza, che è pur un comico di qualità, ora sta dando sempre più spesso prova.
Lo schema è il seguente: il comico inizia il suo numero con un sermone nel corso del quale, anche con l’aiuto di montaggi di immagini e testi (ad esempio titoli d’effetto de la Repubblica e di altre fonti avvelenate del genere), fornisce al suo pubblico tra allusioni e ammiccamenti notizie false o tendenziose spacciandole per indiscutibili.
Sono falsificazioni che se fossero fatte in forma seria egli sarebbe poi tenuto a provare, essendo esposto altrimenti al rischio di doverne rispondere in tribunale. Il fatto invece che abbiano luogo nel quadro di uno spettacolo satirico lo mette al riparo da qualsiasi responsabilità.
Concluso il sermone diffamatorio, il numero continua con una parodia, con un’imitazione comica o con qualcos’altro di divertente che serve a concluderlo tra allegre risate, e quindi indirettamente a stendere un ulteriore velo di simpatia e quindi di consenso sulle falsità comunicate al pubblico nel suo primo tempo. Il meccanismo è questo: impariamo a conoscerlo, ad analizzarlo, a smascherarne il trucco. Parliamone con gli amici, spieghiamolo ai figli. Insomma, visto che la cultura dominante dell’odierna comunicazione di massa è di questa pasta, almeno impariamo a riconoscerne le tecniche. Per potercene meglio difendere. (R. Ronza)

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Sapevamo che era solo questione di tempo: l’abdicazione di Benedetto XVI, benché totalmente imprevista, non poteva non provocare reazioni anche in chi, a livelli diversi, si pone fuori - o decisamente contro - la Chiesa Cattolica. Delle repliche degli Oddifreddi, delle Margherite Hack, dei compìti collaboratori di Micro/Mega, può importare fino ad un certo punto. Interessa rilevare invece la reazione di quel mondo culturale che avversa - in modo più profondo e finanche «occulto» - il Papa romano: filosofi, cattedratici, capitani di industria, giornalisti, scrittori, editori elegantissimi, riuniti in precise cerchie culturali, sulle quali non moltissimo si sa, perché non fanno dell’antipapismo il loro vessillo diretto, ma che più di qualcuno ha potuto definire come seguaci di una Gnosi rinata, e moderna: cioè di quella antica, mai sopita eresia che negava in toto il Cristianesimo petrino invertendone diabolicamente tutti gli assunti.
Interessa rilevare queste reazioni in ispecie quando vengono pubblicate con ampio spazio sul maggior quotidiano nazionale, Il Corriere della Sera, che certo non è nuovo a simili operazioni, ma che questo 19 febbraio pare avere sul serio la tentazione di gettare via ogni maschera.
Sul paginone degli editoriali, ecco che il Corrierone sbatte in tutta evidenza un lungo e densissimo articolone filosofico del prof. Emanuele Severino dal titolo “Nella nobile rinuncia di Benedetto il grande turbamento della Fede”.
Il titolo in realtà è fuorviante, perché non lascia minimamente immaginare gli abissi di pensiero in cui ci si inoltra con codesta lettura. «Il mondo cristiano, tanto meno un Pontefice, possono riconoscere che il turbamento della fede è ben più profondo di quello visibile, dovuto alla corruzione all'interno della Chiesa (...) ll “relativismo” è stato l'avversario di Benedetto XVI (...) Il semplicismo concettuale e l'ingenuità del relativismo ne favoriscono infatti la diffusione presso le masse, e tale diffusione è tutt'altro che irrilevante per la vita della fede. Giovanni Paolo II si avvicinava maggiormente all'avversario autentico quando individuava negli inizi della filosofia moderna (...) la matrice di tutti i grandi «mali» del secolo XX (...) lo stesso relativismo può essere inteso come un parto di quella matrice». Ma l’apertura al pensiero dei Papi dura poco: «tutte queste interpretazioni non riescono ancora a guardare in faccia l'avversario autentico (...) se vogliono vivere un po' più a lungo, non accada loro di combattere i nani, quando invece il gigante pesa già su di esse e toglie loro il respiro. Il gigante che possiamo chiamare “Prometeo”».
Chiunque abbia un minimo di interesse per i temi di filosofia, religione e politica, non può non drizzare le orecchie quando sente parlare di Prometeo. Prometeo, il portatore del fuoco, il titano spesso ricondotto a Lucifero, il quale è anche lui portatore della luce, anche lui fallito nel suo tentativo di assaltare il Cielo. Prometeo, per una vasta convergenza di pensiero che va dagli illuministi ai neopagani ai satanisti ai tecnocrati (guardatevi su YouTube il video “Prometeus - la Rivoluzione dei Media” confezionato dalla Casaleggio Associati, la società dietro Grillo, per averne un terrificante esempio), è il dio alleato dell’uomo contro il Dio-padre oscurantista, come nell’idea che fonda la Gnosi.
Continua Severino: «L'uomo può incominciare a vivere solo se vuole trasformare se stesso e il mondo da cui è circondato. Se non fa questo non può nemmeno compiere quella trasformazione di sé che è il respirare in senso letterale. E muore. Vive solo se si fa largo nella Barriera che gli impedisce di trasformare sé e il mondo». Prometeo ci lancia oltre la Barriera in cui la nostra umanità è compressa. In pratica, l’uomo deve trascendere la realtà e le sue leggi. L’uomo deve stuprare la Legge Naturale per poter passare oltre. «La Barriera è l'Ordine immutabile della natura. Solo se la penetra, la sfonda, la squarta, e comunque la fa arretrare, può liberarsi un poco alla volta dal suo peso e ottenere ciò che egli vuole».
Il quadro si completa: «così come Adamo, cibandosi del frutto proibito, frantumando cioè l'icona stessa del divino, può diventare Dio (“Eritis sicut dii”, «sarete come dei», dice il serpente). (...) La Barriera divina vive inviolata solo se uccide l'uomo; l'uomo vive soltanto se uccide Dio». Il deicidio come atto fondativo dell’umanità: né più ne meno. Un’ accorata apologia del Serpente dell’Eden. Adamo ed Eva, prometeicamente ispirati dal buon Satana, hanno fatto un gesto che è naturale come il respirare. «Prometeo è l'uomo. Soprattutto da due secoli egli è l'avversario della tradizione. Mostra infatti che il divino merita di tramontare».
I presagi che lancia il filosofo si fanno davvero oscuri: «Prometeo, ora, ruba il fuoco dell'alleanza dell'uomo con Dio. È la potenza di questo furto a nascondersi, per lo più inesplorata, sotto le “rapide mutazioni” del nostro tempo». Qualsiasi cosa voglia dire questa frase, non possiamo non sentire come essa trasmetta una opaca, esoterica lucidità. L’idea che chi scrive - e chi pubblica - abbia chiara in mente la gestione della fine del Cristianesimo, o forse ancor più sinistramente, si tratta addirittura di una gestione ancor più apocalittica: la fine dell’Alleanza tra l’uomo e il Dio cristiano. Ad essere adorato, nel nuovo mondo di cui parla Severino, è Prometeo, il dio dell’avanzamento, del futuro, della guerra contro il Dio Padre.
A esser adorato, sarà il Serpente; ad essere santificato è l’atto di mordere la mela dell’Eden. In soldoni, parliamo di un rovesciamento totale della religione cristiana: cioè, di una religione satanica. Il serpente, Lucifero il portatore del fuoco, sono i nuovi dei di Severino. Che il Corriere della Sera stia giocando una partita importante con il Cattolicesimo lo si era capito. Lo aveva scritto, con la consueta prontezza, Antonio Socci. Nell’articolo “Attenti a chi fomenta le divisioni”, apparso su libero il 14 febbraio: «Perché una corazzata come il “Corriere della sera” sta così amplificando il presunto smarrimento della Chiesa in seguito alle dimissioni del Papa? (...) Spero che la scelta “interventista” del “Corriere” non sia una replica – in grande – dell’ “operazione Todi” con cui il quotidiano di via Solferino teleguidò dove voleva le organizzazioni cattoliche nell’autunno 2011».
Sì, ricordiamoci di Todi. Un evento dal quale, secondo alcuni, è uscito il governo Monti. Il gioco del Corriere è pesante e amplissimo. Ora però, grazie a questo abbagliante articolo di Severino, abbiamo qualche tassello in più per capire cosa ci aspetta se i loro desideri si dovessero esaudire: una religione della distruzione, contraria alla legge naturale, contraria al creato, che arriva a istigare l’uomo ad uccidere il proprio Dio. Una religione diabolica tout court. Voilà, sdoganata la gioia deicida, de facto satanica, del prof Severino. Ecco la sostituzione di Cristo con Satana, sul maggior quotidiano del Paese. (R. Dal Bosco)


Fonte: La nuova bq