martedì 19 febbraio 2013

L'enciclica non scritta di Benedetto XVI

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(Jean-Marie Guénois) Pubblichiamo in una nostra traduzione un articolo apparso su «Le Figaro Magazine» del 15 febbraio con il titolo L’encyclique non écrite de Benoît XVI. -- Benedetto XVI non pubblicherà l’enciclica — seppur in stato avanzato — sulla fede che doveva presentare a primavera. Non ne ha più il tempo.
E nessun successore è tenuto a riprendere un’enciclica incompiuta del proprio predecessore. Ma esiste un’altra enciclica di BenedettoXVI, celata nel suo cuore, un’enciclica non scritta. O piuttosto scritta non dalla sua penna ma dal gesto del suo pontificato. Questa enciclica non è un testo ma una realtà: l’umiltà.
Il 19 aprile 2005 un uomo che appartiene alla razza delle aquile intellettuali, temuto dai suoi avversari, ammirato dai suoi studenti, rispettato da tutti per l’acutezza delle sue analisi sulla Chiesa e sul mondo, si presenta, appena eletto Papa, come un agnello portato al macello. Utilizzerà addirittura la terribile parola “ghigliottina” per descrivere il sentimento che lo ha invaso nel momento in cui i suoi fratelli cardinali, nella cappella Sistina, ancora chiusa al mondo, si sono voltati verso lui solo, eletto fra tutti, per applaudirlo. Nelle immagini riprese allora, la suo sagoma incurvata e il suo volto sorpreso lo testimoniano.
Poi ha dovuto imparare il mestiere di Papa. Ha strappato, quali radici rannicchiate sotto l’humus della terra, l’eterno timido, lucido nella mente ma maldestro nel corpo, per proiettarlo di fronte al mondo. È stato uno shock da entrambi le parti. Non riusciva a calarsi nella disinvoltura del compianto Giovanni Paolo II. Il mondo capiva male quel Papa senza effetto. Benedetto XVI non ha neppure avuto i cento giorni di “stato di grazia” che si attribuiscono ai presidenti profani. Ha avuto, senza dubbio, la grazia divina, fine ma così poco mondana. Ma ha avuto, ancora e sempre, l’umiltà di imparare sotto gli occhi di tutti.
Ci sono stati infine quei sette anni di pontificato, terribili. Mai un Papa aveva avuto, in un certo senso, così poco “successo”. È passato di polemica in polemica: crisi con l’islam dopo il suo discorso di Ratisbona dove ha evocato la violenza religiosa; deformazione delle sue parole sull’Aids durante il suo primo viaggio in Africa che ha suscitato una protesta mondiale; vergogna subita per l’esplodere della questione dei preti pedofili da lui affrontata; l’affare Williamson, dove il suo gesto di generosità verso i quattro vescovi ordinati da monsignor Lefebvre (il Papa revocava le scomuniche) si è trasformato in biasimo mondiale contro Benedetto XVI perché non era stato informato dei discorsi negazionisti della Shoah di uno di essi; incomprensione e difficoltà nel mettere in atto la sua volontà di trasparenza riguardo alle finanze del Vaticano; tradimento di una parte del suo entourage nell’affare Vatileaks, con il suo maggiordomo che ha sottratto lettere confidenziali per pubblicarle...
Non ha avuto un solo anno di tregua. Non gli è stato risparmiato nulla. Alle violente prove fisiche del pontificato di Giovanni Paolo II, attentato e malattia di Parkinson, sembrano corrispondere le prove morali di rara violenza di questa litania di contraddizioni subita da Benedetto XVI. Dimettendosi, il Papa dunque si eclissa. A immagine stessa del suo pontificato. Ma solo Dio conosce la potenza e la fecondità dell’umiltà.
L'Osservatore Romano 20 febbraio 2013