A proposito della "sedazione terminale" lanciata da Hollande...
Pubblico di seguito un intervento del gran rabbino di Francia Gilles Bernheim accessibile sul suo sito. Il rapporto presentato il 18 dicembre dal professor Sicard al presidente della Repubblica propone la “sedazione terminale” da parte dei medici e apre la via al dibattito sul suicidio assistito. A seguito della richiesta fatta dall’Eliseo al Comitato nazionale consultivo di etica, un progetto di legge sarà sottoposto al Parlamento nel giugno 2013. È un’occasione per riflettere qui sul nostro rapporto con la morte e con i morenti e per formulare i primi termini di un dibattito sulla fine della vita.
Da sempre l’uomo si è dovuto confrontare con il mistero della morte. Forse oggi come non mai si è sentito disorientato da questo dato peraltro fondamentale della sua condizione. Molteplici progressi hanno permesso di prevenire o di curare malattie un tempo fatali. Nello stesso tempo, i cambiamenti socio-culturali e gli imperativi di una medicina tecnicizzata hanno fatto sì che la morte abbia generalmente smesso di essere un evento sociale, ritualizzato, integrato nella vita delle famiglie e delle comunità umane.Pubblico di seguito un intervento del gran rabbino di Francia Gilles Bernheim accessibile sul suo sito. Il rapporto presentato il 18 dicembre dal professor Sicard al presidente della Repubblica propone la “sedazione terminale” da parte dei medici e apre la via al dibattito sul suicidio assistito. A seguito della richiesta fatta dall’Eliseo al Comitato nazionale consultivo di etica, un progetto di legge sarà sottoposto al Parlamento nel giugno 2013. È un’occasione per riflettere qui sul nostro rapporto con la morte e con i morenti e per formulare i primi termini di un dibattito sulla fine della vita.
Questa perdita dell’esperienza di prossimità, persino di familiarità con la morte, è una delle cause di una banalizzazione della vita che perde di serietà e di profondità e che contribuisce a rafforzare in ognuno l’angoscia riguardo alla propria fine.
Si arriva a pensare che un abbreviazione di questa fase dell’esistenza, una morte accelerata procurata dalla mano stessa di quanti hanno come compito quello di curare, sarebbe a volte preferibile, sarebbe addirittura un gesto di umanità.
Si sta diffondendo la convinzione e si sta affermando con sempre maggiore insistenza che sarebbe auspicabile dare la morte ai malati incurabili che dichiarano di non sopportare più le proprie sofferenze o la degradazione del proprio stato.
Bisogna però fare alcune osservazioni poiché la percezione dell’evidenza fondata sull’emozione rischia sempre di essere ingannevole. Il fatto di potere dare la morte direttamente, anche se a chiederlo è il paziente, rischia di distruggere la fiducia indispensabile nei rapporti del malato e della sua famiglia con l’èquipe che lo ha in cura. Delegare questo ruolo al corpo medico conferirebbe a quest’ultimo un potere esorbitante nella società. La “morte dolce” concessa ad alcuni potrebbe divenire fonte di un’angoscia insostenibile per molti malati.
Si cerca di legittimare l’eutanasia presentandola come una richiesta di colui che soffre. Certo, quest’ultimo deve essere ascoltato. È fondamentale percepire meglio la sua sofferenza, la sua disperazione, il suo sentimento di decadenza per confortarlo meglio, per testimoniargli l’affetto che si prova nei suoi confronti, rimettendolo così in contatto con il mondo dei vivi.
Come molti sottolineano, le richieste di eutanasia sono in maggior parte interrogativi sulla stima degli altri, richieste di amore. La società risponderà con un gesto di morte?
La morte provocata non rappresenta però un atto di pietà? Noi siamo stati testimoni della prova e degli interrogativi angosciati delle famiglie e del personale sanitario, e sappiamo che essi possono suscitare il desiderio di accorciare la sofferenza di un morente.
Le situazioni estreme vengono ampiamente sfruttate nelle campagne di opinione. La pietà è un sentimento molto profondo che testimonia la sensibilità verso la sofferenza altrui; ma può assumere diverse forme. Quella passiva si lascia invadere da quella sofferenza, la fa propria, ne è ossessionata. Quella attiva diviene compassione, ricerca la comunicazione con il morente, affrontando il rischio di soffrire essa stessa maggiormente di questa vicinanza.
Alcuni si lasciano sconvolgere dal cambiamento dell’altro che rovina la sua vecchia immagine. Colui o colei che ha compassione postula, cerca e percepisce, quali che siano le apparenze, la dignità, o persino la grandezza, di colui o colei che resta un fratello o una sorella in umanità. L’emozione viscerale fa dire che l’esistenza di quel malato non è più umana.
Colui o colei che s’innalza fino alla compassione riconosce l’umanità persino sotto forme ripugnanti. La pietà che dispera del valore della vita altrui, della sua sacralità, può diventare omicida per sbarazzarsi, tra le altre cose, della propria sofferenza. La pietà compassionevole invece cerca umilmente di amare.
Siamo consapevoli che il compito è molto difficile perché è l’esatto contrario delle tendenze di una società come la nostra. La presenza attenta accanto a chi sta per andarsene è un’esperienza che mette a dura prova.
Quanti hanno saputo superare le proprie paure e rendersi così disponibili, riconoscono però di aver ricevuto più di quanto hanno dato. Quanti lo hanno fatto hanno realizzato una delle forme più alte della fraternità umana. Quanti hanno saputo dimostrare una vera compassione verso coloro che stavano per lasciare questo mondo nel dolore e sotto le sembianze della decadenza hanno risposto alla parola della Torah: «Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita» (Deuteronomio,30, 19).
Si è parlato qui più delle motivazioni delle persone sane che delle sofferenze di quelle malate. Ma sono le persone sane che legiferano e che, domani forse, disporranno della vita di quelle malate.
L'Osservatore Romano 20 febbraio 2013
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Hollande lo aveva promesso, durante la campagna, ai suoi elettori: «Proporrò che tutte le persone malate in fase avanzata o terminale di una malattia incurabile, che provoca una sofferenza fisica o psicologica insopportabile, possano domandare, a delle precise e strette condizioni, di beneficiare di un'assistenza medica per terminare la propria vita con dignità». Sulla scorta di tali promesse, si è mosso l'Ordine dei Medici francesi, in un documento adottato dal Consiglio dell'Ordine lo scorso 8 febbraio, ma reso noto solo ieri: sì alla sedazione terminale per i casi più gravi, sì alla revisione della legge Leonetti che vieta l'eutanasia.
Nel comunicato dell'Ordine leggiamo che, dopo lunga riflessione, il Consiglio ha deciso di apportare il proprio contributo al dibattito legislativo attorno alle ultime volontà e all'eutanasia, precisando che l'intervento dell'Ordine è sempre improntato ai principi di etica professionale e per la salvaguardia «della dignità del paziente». Necessaria quindi, secondo i medici, una riforma della Legge Leonetti del 2005 che, attualmente, vieta nel Paese l'eutanasia e il suicidio assistito ma nulla dice su casi particolarmente gravi, in cui lo stato di dolorosa incoscienza può prolungarsi anche per molto tempo.
L'apertura auspicata dall'Ordine Nazionale è quella verso la c.d. “sedazione terminale”, ossia la somministrazione di farmaci particolari, in grado di alleviare il dolore acuto delle fasi terminali, accompagnando così il paziente dall'incoscienza alla morte «dignitosa e tranquilla». Il pronunciamento del Consiglio è incentrato su due questioni cruciali: libertà di coscienza e riforme legislative. Va innanzitutto salvaguardato – conferma il Consiglio dell'Ordine – l'irrinunciabile principio deontologico della clausola di coscienza: medici e infermieri, seguendo i dettami della propria etica professionale, debbono essere liberi di scegliere come e se intervenire di fronte alla sofferenza del paziente.
Per questo le disposizioni anticipate di trattamento espresse dal paziente, in stato di autonoma lucidità, devono essere chiaramente comunicate al medico curante per permettergli d'esercitare liberamente l'obiezione di coscienza. Ma l'Ordine si premura anche di ribadire che, in caso di rifiuto del medico di procedere con la “sedazione naturale”, il paziente non deve essere abbandonato, bensì accompagnato «con umanità??» da un medico non obiettore. Sembra quasi di percepire un giudizio di problematicità nei confronti di coloro che esercitano l'obiezione: umanità e dignità sono i due termini chiave, frequentemente citati nel comunicato dell'Ordine, proprio per mostrare la convinzione che aiutare il paziente a morire rapidamente sia un vero esercizio di pietà e che, viceversa, negare la sedazione ai malati terminali per dovere di coscienza esponga il malato a un trattamento disumano.
Pare anche che a invertirsi sia il concetto stesso di libertà di coscienza, per cui a essere tutelato non è più solo l'astensione legittima del medico di fronte a quelle pratiche che violerebbero le proprie convinzioni morali (aborto o eutanasia), bensì la garanzia della possibilità di scegliere, in tutta libertà, se “aiutare” il paziente sofferente, intervenendo con la sedazione terminale.
Successivamente i medici chiedono una corretta applicazione della legislazione attuale sulle dichiarazioni anticipate di trattamento e sulla fornitura di cure palliative, auspicando interventi di riforma che prevedano «per soli casi ritenuti eccezionali» la possibilità di un «accompagnamento medico alla morte nei casi di insopportabili sofferenze psico-fisiche».
Successivamente i medici chiedono una corretta applicazione della legislazione attuale sulle dichiarazioni anticipate di trattamento e sulla fornitura di cure palliative, auspicando interventi di riforma che prevedano «per soli casi ritenuti eccezionali» la possibilità di un «accompagnamento medico alla morte nei casi di insopportabili sofferenze psico-fisiche».
Michel Legmann, presidente del Consiglio dell'Ordine dei medici, ha subito precisato che la proposta dell'Ordine si basa sulle medesime riflessioni che hanno originato la Legge Leonetti, della quale si chiede solo una parziale modifica: nessuna decisione discrezionale sulla morte, ma anche nessuna ostinazione terapeutica.
Giuridicamente permangono, come sempre in questi casi, troppi dubbi irrisolti: chi e in base a cosa sceglie i cc.dd. casi eccezionali, quali sono le soglie della non-sopportazione e in base a quali parametri vengono stabilite? Varieranno per età del paziente, cosicchè ad un certo punto si potrà dire “ha vissuto già abbastanza”? Si considererà il costo per la società nel mantenere in vita il parente terminale, andando incontro ai disagi di chi si deve prendere cura del malato? Si tenterà di accelerare la dipartita di coloro che non hanno famiglia, o non l'hanno in grado di prendersi economicamente cura di lui? La sofferenza psicologica come potrà essere valutata, specie se il soggetto è incosciente? Quale commissione di medici potrà sostituirsi alla volontà del paziente, nel caso in cui egli si sia espresso favorevolmente alla sedazione ma in tempo precedente la caduta in uno stato di incoscienza? Potranno decidere anche i parenti? E sulla base di quale istituto giuridico, se in Francia il suicidio assistito è negato?
Giuridicamente permangono, come sempre in questi casi, troppi dubbi irrisolti: chi e in base a cosa sceglie i cc.dd. casi eccezionali, quali sono le soglie della non-sopportazione e in base a quali parametri vengono stabilite? Varieranno per età del paziente, cosicchè ad un certo punto si potrà dire “ha vissuto già abbastanza”? Si considererà il costo per la società nel mantenere in vita il parente terminale, andando incontro ai disagi di chi si deve prendere cura del malato? Si tenterà di accelerare la dipartita di coloro che non hanno famiglia, o non l'hanno in grado di prendersi economicamente cura di lui? La sofferenza psicologica come potrà essere valutata, specie se il soggetto è incosciente? Quale commissione di medici potrà sostituirsi alla volontà del paziente, nel caso in cui egli si sia espresso favorevolmente alla sedazione ma in tempo precedente la caduta in uno stato di incoscienza? Potranno decidere anche i parenti? E sulla base di quale istituto giuridico, se in Francia il suicidio assistito è negato?
Quelle espresse dall'Ordine sono solo direttive al legislatore per un intervento specifico nel settore delle riforme sanitarie; se accolte, dovranno attendere comunque – con tutta probabilità – il lavoro di una Commissione che predisponga il testo della riforma e poi l'iter di approvazione. Risalta comunque alla cronaca l'apertura, per la prima volta, dell'autorevole Consiglio alla “dolce morte” che, stando alle note posizioni già espresse da Hollande, potrebbero trovare pieno appoggio da parte del Governo.
Rimanendo in attesa – e superando il fragore di questa notizia che ha sollevato cori di approvazione da parte di molti italiani quale vittoria della dignità e dell'umanità – possiamo riflettere quanto meno sul titolo del documento pubblicato dall'Ordine francese dei medici: “Assistenza alla morte”. Perchè, allora, non parlare piuttosto di vera assistenza alle famiglie dei pazienti, di incentivi per chi cura da casa il proprio caro, di accompagnamento spirituale garantito in tutti gli ospedali, di conforto e sostegno psicologico per pazienti e familiari? (D. Fontana)
Fonte: La nuova bq