Nell’uomo si staglia l’impronta di Dio ed il Signore accompagna ogni istante dell’esistenza umana. E’ la riflessione del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nella sua meditazione questa sera, durante gli esercizi spirituali in Vaticano alla presenza del Papa e della Curia.
Dopo le epifanie di Dio della Parola, della Creazione, del ‘tempio’ della sua Liturgia, della storia della salvezza e del Messia, il Signore ‘tappare nella sua creatura’. Come si legge nella Genesi – ricorda il cardinale Ravasi – “Dio creò l’uomo a sua immagine”:
“A immagine di Dio lo creò. Che cosa corrisponde, a questo punto, 'a immagine di Dio'? Corrisponde maschio e femmina, li creò. E quindi l’immagine di Dio che è in noi, è forse la bipolarità sessuale? Dio è sessuato? Il significato è abbastanza semplice: quando l’uomo e la donna si amano e generano, continuano la Creazione. Sono l’immagine del Creatore”.
Già verso l’incipit assoluto della creatura umana, l’embrione nel grembo della madre, è proteso lo sguardo di Dio:
“Dio vede già, di questa creatura minima, tutta la sua storia, tutta la sequenza dei giorni futuri; vede già gli splendori e le miserie di questa creatura. Ed è per questo motivo che allora - io direi - la creatura umana è da questo inizio assoluto sempre sotto lo sguardo di Dio, che si stende per tutto l’itinerario della sua esistenza”.
Ed è per questo – prosegue il cardinale Ravasi - che la creatura umana diventa “il luogo in cui intercettare la presenza di Dio”:
“È per questo che la creatura umana deve essere per noi oggetto ininterrotto di attenzione, di passione, di amore. Ma noi cristiani aggiungiamo anche il fatto che lo stesso Figlio di Dio ha percorso l’intero itinerario della concezione, della gestazione, della nascita, della crescita e della morte”.
L’uomo - afferma il cardinale Ravasi - è chiamato a “rappresentare il suo Sovrano Supremo”:
“Per cui l’uomo è così perché ha un mandato divino da custodire, perché ha un incarico divino, ha un’alleanza con Dio. Ed è questo, perciò, il compito che egli ha sulla terra: rappresentare il suo Signore”.
Nelle meditazioni di questa mattina, il cardinale Ravasi si è infine soffermato sulla storia, come luogo di incontro con Dio, e sulla figura di Cristo, il Messia che ha in sè tutto “il respiro dell?Antico testamento e lo porta alla pienezza”.
Fonte: Radio vaticana
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Camminare con integrità, praticare la giustizia e la verità del cuore; ma anche lottare contro la calunnia, rispettare il prossimo, tutelare la dignità della persona, rifiutare ogni collusione col male, scegliere il bene e la fede, rigettare ogni frode, cancellare l’usura, eliminare la piaga della corruzione. È l’«endecalogo», una sorta di esame di coscienza, che i leviti esigevano dai fedeli prima che varcassero il confine del tempio. Lo ha riproposto il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nel corso della terza meditazione degli esercizi spirituali, tenuta lunedì sera, 18 febbraio, nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, alla presenza di Benedetto XVI.
Questo testo — ha affermato — può diventare anche per noi una sorta di «trama» per l’esame di coscienza prima di riconciliarci con Dio nel sacramento della confessione o prima della liturgia della Parola e dell’Eucaristia. Sono elementi su cui riflettere per non trasformare il culto «in un rito esteriore» e «la celebrazione in una farsa».
Dopo le due precedenti “teofanie”, quella della parola e del creato, il porporato ha preso in considerazione il tempio, dove Dio si «lascia comprimere» per incontrare la creatura umana prigioniera del limite spaziale. È la «tenda dell’incontro», come la Bibbia definisce il santuario nel suo culmine sacro, il luogo in cui il fedele viene convocato da Dio. Nell’anagrafe spirituale di Sion, ha detto il cardinale, sono registrati tutti i popoli della terra delineati attraverso i quattro punti cardinali: Rahab, l’Egitto, la potenza occidentale; Babilonia, il polo orientale; Tiro, il centro commerciale settentrionale; la Palestina/Filistea, il sud.
Si tratta di una straordinaria visione «ecumenica», ha notato il porporato, che vede confluire verso Sion con canti e danze tutti i popoli della terra che gridano gioiosamente. Avviandosi come pellegrini verso il monte santo, intonando i «canti delle ascensioni», ci si imbatte nella «sede della teofania cultica, cioè dello svelarsi di Dio durante la liturgia».
Due sono le coordinate fondamentali di ogni celebrazione liturgica: «La prima — ha sottolineato il cardinale — è orizzontale e riguarda l’assemblea che accede al tempio ed è bene espressa attraverso quelle che vengono denominate come “le liturgie d’ingresso”». Esiste, però, ha aggiunto, un’altra fondamentale e primaria dimensione della liturgia: quella verticale, che «ci invita a riconoscere la presenza di Dio stesso e della sua epifania nella liturgia».
Il protagonista del culto è il Signore, con la sua presenza che in ebraico è chiamata Shekinah, cioè la Presenza divina, come l’anima stessa del tempio. L’umanità di Cristo è «la sede suprema della Shekinah, la tenda perfetta, il tempio vivo dell’incontro con il Padre».
Il tempo, quarta teofania di Dio, è stato al centro della prima meditazione di martedì mattina, 19 febbraio. Il cardinale Ravasi ha invitato a cercare Dio nel quotidiano, non nella natura, ma nella storia. Nel cristianesimo Dio viene scoperto in un uomo che è anche Dio, Gesù Cristo, la cui storia è «irradiata di eterno», e lo si intuisce «nel prossimo e nei semplici fatti della quotidianità». Il Dio del salterio «è il Signore della storia, la quale cessa di essere una nomenclatura di date e di dati soltanto, ma si trasforma in storia santa». Questo accade nella linea della tradizione biblica che professa il «Credo storico».
Nel salmo 136, chiamato il «Grande Hallel», l’inno di lode pasquale per solista e coro, in ventidue distici, «tanti quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico», c’è «quasi una sintesi gioiosa di tutte le azioni divine e di tutte le nostre parole di ringraziamento». L’epifania di Dio nella storia contiene un duplice appello spirituale: l’invito a considerare Dio come un compagno di viaggio potente e amoroso, e ad avere fiducia in Lui. L’uomo non è «in balia di un fato imponderabile». Da qui la fiducia, che è «fonte di speranza».
La figura del Messia è stata invece al centro della seconda meditazione di martedì mattina, 19 febbraio. Al Messia, cioè «consacrato», le tradizioni giudaica e cristiana «hanno applicato tutta la serie abbastanza ampia dei carmi regali presenti nel salterio». Il cardinale ha spiegato tre lineamenti del Messia, attingendo ai testi salmici: giusto, sacerdote e figlio di Dio.
L'Osservatore Romano, 20 febbraio 2013.
Questo testo — ha affermato — può diventare anche per noi una sorta di «trama» per l’esame di coscienza prima di riconciliarci con Dio nel sacramento della confessione o prima della liturgia della Parola e dell’Eucaristia. Sono elementi su cui riflettere per non trasformare il culto «in un rito esteriore» e «la celebrazione in una farsa».
Dopo le due precedenti “teofanie”, quella della parola e del creato, il porporato ha preso in considerazione il tempio, dove Dio si «lascia comprimere» per incontrare la creatura umana prigioniera del limite spaziale. È la «tenda dell’incontro», come la Bibbia definisce il santuario nel suo culmine sacro, il luogo in cui il fedele viene convocato da Dio. Nell’anagrafe spirituale di Sion, ha detto il cardinale, sono registrati tutti i popoli della terra delineati attraverso i quattro punti cardinali: Rahab, l’Egitto, la potenza occidentale; Babilonia, il polo orientale; Tiro, il centro commerciale settentrionale; la Palestina/Filistea, il sud.
Si tratta di una straordinaria visione «ecumenica», ha notato il porporato, che vede confluire verso Sion con canti e danze tutti i popoli della terra che gridano gioiosamente. Avviandosi come pellegrini verso il monte santo, intonando i «canti delle ascensioni», ci si imbatte nella «sede della teofania cultica, cioè dello svelarsi di Dio durante la liturgia».
Due sono le coordinate fondamentali di ogni celebrazione liturgica: «La prima — ha sottolineato il cardinale — è orizzontale e riguarda l’assemblea che accede al tempio ed è bene espressa attraverso quelle che vengono denominate come “le liturgie d’ingresso”». Esiste, però, ha aggiunto, un’altra fondamentale e primaria dimensione della liturgia: quella verticale, che «ci invita a riconoscere la presenza di Dio stesso e della sua epifania nella liturgia».
Il protagonista del culto è il Signore, con la sua presenza che in ebraico è chiamata Shekinah, cioè la Presenza divina, come l’anima stessa del tempio. L’umanità di Cristo è «la sede suprema della Shekinah, la tenda perfetta, il tempio vivo dell’incontro con il Padre».
Il tempo, quarta teofania di Dio, è stato al centro della prima meditazione di martedì mattina, 19 febbraio. Il cardinale Ravasi ha invitato a cercare Dio nel quotidiano, non nella natura, ma nella storia. Nel cristianesimo Dio viene scoperto in un uomo che è anche Dio, Gesù Cristo, la cui storia è «irradiata di eterno», e lo si intuisce «nel prossimo e nei semplici fatti della quotidianità». Il Dio del salterio «è il Signore della storia, la quale cessa di essere una nomenclatura di date e di dati soltanto, ma si trasforma in storia santa». Questo accade nella linea della tradizione biblica che professa il «Credo storico».
Nel salmo 136, chiamato il «Grande Hallel», l’inno di lode pasquale per solista e coro, in ventidue distici, «tanti quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico», c’è «quasi una sintesi gioiosa di tutte le azioni divine e di tutte le nostre parole di ringraziamento». L’epifania di Dio nella storia contiene un duplice appello spirituale: l’invito a considerare Dio come un compagno di viaggio potente e amoroso, e ad avere fiducia in Lui. L’uomo non è «in balia di un fato imponderabile». Da qui la fiducia, che è «fonte di speranza».
La figura del Messia è stata invece al centro della seconda meditazione di martedì mattina, 19 febbraio. Al Messia, cioè «consacrato», le tradizioni giudaica e cristiana «hanno applicato tutta la serie abbastanza ampia dei carmi regali presenti nel salterio». Il cardinale ha spiegato tre lineamenti del Messia, attingendo ai testi salmici: giusto, sacerdote e figlio di Dio.