martedì 19 febbraio 2013

Verità, chiarezza e misericordia

<br>


L’arcivescovo presidente della Conferenza episcopale tedesca sul pontificato di Benedetto XVI.



(Robert Zollitsch) In un certo senso tutta la Germania è stata partecipe dell’onore che toccò in sorte al cardinale Joseph Ratzinger, quando il 19 aprile 2005 i cardinali riuniti in conclave lo elessero vescovo di Roma e successore di Pietro. «Siamo Papa» si sentì dire in un misto di orgoglio e di gioia. Oggi, otto anni dopo, prevale il senso di profondo rispetto e riconoscenza, al quale però si mescola anche una certa malinconia. Un commiato è sempre doloroso, soprattutto quando si tratta di una persona conosciuta e stimata.Papa Benedetto XVI ha lottato durante tutta la sua vita per cercare di penetrare nell’inafferrabile mistero di Dio. In grande umiltà vuole avvicinarsi a Dio e farsi svelare con tutti i sensi da Lui stesso chi è Dio e che cosa Dio vuole per gli uomini. Con la preghiera e nella celebrazione dei sacramenti, ma anche con i mezzi propri dell’uomo, quelli della ragione, e nella sempre nuova penetrazione della Sacra Scrittura, della dottrina dei Padri e delle regole della Chiesa, la sua vita è tutta dedicata all’avvicinamento a Dio.
Questa scelta fondamentale della sua vita segna il nostro Santo Padre in un modo così trasparente che tutti ne stimano l’autorità spirituale e intellettuale. Lo fa perfino la maggior parte di coloro che, a causa di singole decisioni o modi di vedere, non possono o non vogliono capirlo. Pertanto faremmo bene a vedere nella sua decisione di deporre tra qualche giorno la carica episcopale ciò che essa vuole essere: espressione di una vita di credente, che è ben consapevole di due cose: che conosce la dignità dell’uomo — la quale consiste nel testimoniare Dio in questo mondo, sostenuto dal mandato della Chiesa — ma che conosce anche la finitezza dell’uomo, che lo porta a riconoscere gli stretti limiti delle proprie forze e infine a vivere con la fiducia che è Dio, e non l’uomo, colui da cui dipende la riuscita.
Durante la sua visita in Germania di due anni fa, il Santo Padre ha ripetutamente affermato che la Chiesa attinge l’acqua della sua vitalità dalle proprie sorgenti trascendenti divine e non pesca nel torbido di un uso ingenuo e a rischio di delusioni delle forze di questo mondo. Ha particolarmente insistito sul giusto rapporto della Chiesa con il mondo nel suo discorso programmatico nella nostra Konzerthaus a Friburgo. Oggi sappiamo meglio di allora che egli voleva far risaltare il giusto e importante messaggio della sua vita: attingete alle sorgenti della salvezza e non accettate la salvezza da nessun altro che dal Signore.
In realtà questo messaggio ha caratterizzato i suoi discorsi e il suo comportamento durante tutto il periodo del suo pontificato. La concezione dell’uomo viene definita dalla fede in Dio e Benedetto XVI ha avuto una concezione dell’uomo molto positiva durante tutta la sua vita; l’uomo infatti rispecchia Dio, in quanto fatto a sua immagine, ed è stato redento e ricondotto vicino a Dio grazie a nostro Signore Gesù Cristo. Sono in particolar modo le forze estetiche e la ragione a caratterizzare l’uomo e Papa Benedetto XVI aggiungerebbe: la sua capacità d’amore. Per questo motivo è stato con tutto il cuore teologo: un uomo che vorrebbe comprendere e mettere in evidenza l’autorivelazione di Dio. Tutti noi ci siamo fatti guidare e prendere per mano dalla forza di persuasione e dell’espressione del-l’opera di Joseph Ratzinger, l’ultima volta in occasione dell’ultimo Natale, quando a conclusione della sua trilogia su Gesù ci ha regalato il prologo sulla storia dell’infanzia di Gesù.
Sono certo che l’alta opinione che il Santo Padre nutre nei confronti dell’uomo ha il suo fondamento nelle esperienze della sua casa paterna e nella vita religiosa del giovane Joseph Ratzinger. 
La sicurezza affettiva in uno spazio d’amore fa maturare in lui le convinzioni basilari della sua vita. Con altrettanta chiarezza Papa Benedetto XVI avverte anche ciò che è mortificante nella cattiveria e nel fallimento dell’uomo. Non che lui si limiti a condannare e a denunciare con freddezza sviluppi tragici e dolorosi nell’uomo e nella società. È andato a visitare in prigione chi in passato era stato uno dei suoi più stretti collaboratori. Ma ha voluto esprimere con chiarezza le sue valutazioni riguardo alla superficialità e alle deformazioni di una società che si separa dalle sue radici cristiane, così come sul fallimento di coloro che non lavorano per la riconciliazione e la pace giusta, ma che lasciano corso alla violenza nelle sue molteplici forme. No, Papa Benedetto XVI non ha voluto rinunciare a chiamare con il loro nome le forze distruttrici e ostili alla vita del mondo e degli uomini. 
Tutto ciò però nello spirito della sincerità e dell’autocritica. Nessuno come lui ha espresso apertamente il fatto che la Chiesa è fallibile e sottoposta a tentazioni. Con onestà ha parlato delle terribili, permanenti ferite, che sacerdoti e altri rappresentanti della Chiesa hanno inferto a giovani umiliandoli con atti di violenza sessuale. A Roma e nei suoi molti viaggi ha trovato chiare parole di condanna degli abusi sessuali e alle parole ha fatto seguire anche i fatti, incontrandosi con le vittime.
Se Papa Benedetto XVI, con la libertà che viene dalla fede, ha parlato apertamente di aspetti distruttivi e falsi della società e della vita religiosa, non lo ha mai fatto a voce alta e tanto meno con presunzione. Egli voleva — lo ha detto ripetutamente — essere «un umile operaio nella vigna del Signore» e uno che conosce la meravigliosa forza della misericordia. Anche la forza della compassione, per la quale ricordiamo quale esempio le belle parole pronunciate durante l’incontro delle famiglie a Milano nel 2012, quando raccontò di come lo tormentasse il fatto che nella società moderna la vita familiare fosse diventata così fragile e difficile e che la Chiesa deve essere vicina a tutte le vittime di queste situazioni come a fratelli e sorelle. Verità, chiarezza e misericordia sono le tre colonne del pensiero e del comportamento che ci restano particolarmente impresse da questo Pontificato che sta per terminare. Quanto può essere infinitamente difficile esercitare la compassione lo ha dovuto recentemente provare Benedetto XVI stesso quando venne ingannato da persone nella stretta cerchia dei suoi collaboratori: non gli fu concesso neppure questo importante spazio di protezione e di personale intimità.
Il Santo Padre è riuscito anche a porre accenti politici, innanzitutto in occasione dei suoi viaggi. Quali esempi vorrei citare solo i viaggi in Polonia dove lui, il Papa tedesco, ha visitato il campo di concentramento di Auschwitz, o i soggiorni nel Vicino Oriente, specialmente in Israele e Palestina o anche negli Stati Uniti d’America e in Australia. Ma anche in relazione all’avvicinamento ecumenico delle Chiese e delle comunità il Santo Padre non ha fatto mancare passi e iniziative coraggiose. Ciò vale soprattutto per le Chiese ortodosse, soprattutto della Russia. Il Papa è andato incontro alle grandi religioni, che gliene sono state grate, soprattutto gli ebrei e il mondo dell’islam.
Non tutto è andato bene a Papa Benedetto XVI. È stato criticato e naturalmente non poteva soddisfare le numerosissime aspettative, l’una dipendente dall’altra, di tante persone in tutto il mondo. Dirlo è una cosa ovvia e parte della sincerità che Papa Benedetto XVI desidera e pratica. Nel gesto dell’avvicinamento alla Fraternità sacerdotale San Pio X, ad esempio, ha investito molte energie, ma non ha raggiunto lo scopo. È esposto alla loro incomprensione come alla delusione di altri sull’altra sponda dello spettro religioso, che si aspettavano determinate riforme nella Chiesa.
Papa Benedetto XVI ne ha sofferto molto, pur portando avanti il suo servizio con fermezza e costanza, sapendo che lavora su mandato di un Altro, di Uno più grande. Sul modello di Cristo ha quindi sopportato anche ostilità e ingiustizia. Nel suo discorso di Roma, all’inizio della settimana, il Papa ha chiesto perdono per tutti i suoi errori. Nella mia qualità di presidente della nostra Conferenza episcopale vorrei invece chiedergli perdono per tutti gli errori che forse sono stati fatti nei suoi confronti dalla Chiesa in Germania. Mi faccio soprattutto portavoce dei molti milioni di persone in Germania e di tutti i credenti che sentono una grande gratitudine per il suo servizio, che si sentono spiritualmente nutriti e sostenuti nei loro sforzi di fede, che hanno visto il suo servizio come quello di un buon pastore e costruttore di ponti. Con grande forza vorrei dire anche grazie per il fatto che il nostro Santo Padre ha alimentato la nostra gioia di essere cattolici e di trovare nella Chiesa una patria che non ci possono togliere né la morte né nessuna potenza di questo mondo.
L'Osservatore Romano, 20 febbraio 2013.