lunedì 18 febbraio 2013

Dedicato ai politici. Proprio a tutti.

Di seguito il Vangelo di oggi, 19 febbraio, martedi della I settimana di Quaresima, con un commento.
Vedi anche in questo blog tutti i post con l'etichetta "Commenti al Pater".


Silenzio e contemplazione.
Nella loquacità del nostro tempo, e di altri tempi,
nell’inflazione delle parole,
rendere presenti le parole essenziali.
Nelle parole rendere presente la Parola,
la Parola che viene da Dio, la Parola che è Dio.

Benedetto XVI


Mt 6, 7-15 


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: 
Padre nostro che sei nei cieli, 
sia santificato il tuo nome; 
venga il tuo regno; 
sia fatta la tua volontà, 
come in cielo così in terra. 
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 
e rimetti a noi i nostri debiti 
come noi li rimettiamo ai nostri debitori, 
e non ci indurre in tentazione, 
ma liberaci dal male. 
Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe». 


Il commento
Ci piace seminare parole, troppo spesso vane, ma così tronfie che sembrano autentiche. Talk-show e salotti, il piacere della parola, ancor più appetitosa se gridata, brandita come un'arma, la regina di questa società travestita come uno show, apparenza pura spacciata per "reality". Mentre la Scrittura ci rivela che il reale nasce sì da una Parola, ma dall'unica autentica, la Parola di Dio: "Sia la luce", e la luce fu. Una Parola che si compie, fatta carne nella pienezza dei tempi. Una Parola, l'unica, che salva smascherando le vuote parole di tutti noi, quelle mai pensate, sempre buttate. Purtroppo le infiliamo spesso alla rinfusa anche nelle preghiere che sembrano sgorgare da cuori impazziti di orfani senza certezze, mentre per pregare davvero occorre averne. Ne basta una sola. Che siamo figli. «Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia» (Charles Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù, in I Misteri). Per sperare e pregare senza dubitare è necessaria l'esperienza di avere un Padre nel Cielo che ci ama infinitamente, e sa tutto di noi. “Niente è più decisivo in una vita delle proprie origini. Per questo il padre rappresenta molto di più di un uomo in carne e ossa che ci ha generati. Ci dà un nome.[...] La nostra individualità, così concreta, è legata al nome che riceviamo da nostro padre, per noi sigillo, segno distintivo. Prima che esseri di ragione o di coscienza, d’istinto o di passione, siamo infatti figli" (Maria Zambrano, Verso un sapere dell’anima). Alla nostra origine vi è il perdono che ha cancellato il peccato d'origine. Siamo figli della misericordia, e questo è il nome che ci distingue, il nome stesso di Dio sigillato in noi, sorgente inesauribile della nostalgia di Lui. Perché Dio è Padre soprattutto perdonando. Basta alzare gli occhi del cuore e sussurrare "Papà", il perdono è lì. Come ha sperimentato il figliol prodigo che s'era preparato un bel discorso, parole da dire, parole per spiegare, parole per implorare. Mentre il Padre, già da tempo alla finestra, aspettava suo figlio con il cuore traboccante di compassione, sapendo già ciò di cui egli aveva bisogno, il suo perdono gratuito e rigenerante. Il Padre che gli si fa incontro e, accogliendolo gli permette una sola parola, "Padre", che declina perdono per ciascun figlio, perché il suo abbraccio spegne ogni altra parolaCome ricorda il Talmud, Abbà - papà era l’invocazione con la quale i piccoli bambini ebrei si rivolgevano al loro padre: "quando un bambino gusta il sapore del grano (cioè, quando comincia a farfugliare le prime parole), impara a dire Abbà e imma, (mamma)". Papà, si compia in me il tuo volere, è la preghiera del Figlio nel Giardino dell'angoscia, l'obbedienza fatta amore confidente. Il Padre nostro ci conduce nella stessa obbedienza del Figlio, la consegna di tutto noi stessi alla Verità che ci fa liberi. "Castificantes animas nostras in oboedentia veritatis (1 Pt. 1,22). L'obbedienza alla verità dovrebbe "castificare" la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione" (Benedetto XVI, omelia nella messa con i membri della Commissione Teologica Internazionale, 6 aprile 2006). Il Padre Nostro è la preghiera che ci fa casti nel cuore, nella mente e nella carne, per vivere e parlare rettamente, come figli di Dio che rimangono sempre nella casa di loro Padre, liberi nel suo amore. 

"Amare un essere è sperare da esso qualcosa di indefinibile, di imprecisabile, e, nello stesso tempo, è dargli, in certo modo, il modo di rispondere a tale aspettativa" (Gabriel Marcel): attraverso la preghiera del Padre Nostro Gesù ci insegna ad offrire a Dio il modo di rispondere alle nostre aspettative più profonde. Più dell'aria che respiriamo abbiamo bisogno d'amore, di misericordia e di perdono. Nostro Padre attende uno sguardo per donarci quanto ci appartiene per natura, quella nuova conquistataci dal Figlio, l'eredità che spetta ai figli. Sì, la preghiera del Padre Nostro ci svela l'immensità della nostra elezione, i tesori di Grazia preparati per i figli di Dio. E' per noi la santità del nome di Dio, la vita celeste, divina che si incarna nella nostra vita terrena, povera, fragile: ogni istante ci è dato perché in esso "sia santificato il nome di Dio", capace di strappare ogni aspetto della nostra vita alla corruzione per rivestirlo di incorruttibilità, separato (santo) dal mondo pur essendo nel mondo. E' per noi "il pane quotidiano" imprescindibile per vivere, la croce ricolma dell'amore di Dio, il cibo della fede adulta, la storia trasformata in un altare dove donarsi per la salvezza del mondo; il pane sconosciuto di cui si è nutrito il Signore, che è stato compiere l'opera del Padre suo, consegnarsi per amore senza difendere nulla, nella certezza che al di là della croce vi è il cuore di Dio, l'intimità eterna con Lui. E' nostra eredità "il suo Regno" che giunge tra noi, il suo potere su ogni demonio, sul peccato, sul regno del male; è per noi la dignità regale, una nuova forma di pensare, di guardare, di studiare, di fidanzarsi, di sposarsi, di vivere la sessualità, il rapporto con il denaro e i beni di questo mondo, con la salute e la malattia: "il Regno di Dio viene" come rugiada ad estendere il suo dominio sul giorno che ci attende ogni mattina, perché la nostra vita sia un frammento di Cielo. E' nostra eredità di figli "il compiersi della volontà di Dio" in noi: la casa, la famiglia, la scuola, il lavoro, l'ospedale, ogni angolo di questo mondo nel quale siamo chiamati a vivere è trasfigurato dal compiersi in noi dell'originaria volontà del Padre, note di amore che compongono la sinfonia celeste anticipo della contemplazione eterna; è parte che ci spetta la "liberazione dalla tirannia del maligno" che ci fa dubitare e mormorare; è nostra sorte deliziosa "il perdono dei peccati", la guarigione profonda dell'anima; "come insegna sant’Agostino, Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a noi la sua vittoria" (Benedetto XVI, Angelus del 17 febbraio 2013): in Lui ci è donata la forza per non cadere nelle trappole disseminate 
ogni giorno dal tentatore: il demonio, nascondendosi nel dolore, nella precarietà e negli insuccessi, "non spinge direttamente verso il male, ma verso un falso bene, facendo credere che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. In questo modo, Dio diventa secondario, si riduce a un mezzo, in definitiva diventa irreale, non conta più, svanisce" (Benedetto XVI, ibid). Proprio pregando e compiendo la sua preghiera, il Signore giunge per noi e con noi all'ultima petizione consegnandocela come il frutto maturo dell'intimità con il Padre implorata con le altre domande. Il figlio di Dio, infatti, proprio perché desidera la santificazione del Nome di Dio, il compiersi della sua volontà nella storia terrena come nel Regno eterno di cui auspica la venuta, è affamato del pane che non perisce e cerca la pace e il perdono in ogni relazione, proprio perché immagine di Cristo è attaccato ogni istante dal demonio che spera la sua caduta per trascinare in essa chiunque ad egli è legato. Per questo, "nelle tentazioni è in gioco la fede, perché è in gioco Dio. Nei momenti decisivi della vita, ma, a ben vedere, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che realmente è bene?" (Benedetto XVI, ibid). Come i leviti, siamo nati per non possedere nulla in questo mondo, per vivere nella precarietà totale della lotta quotidiana con il tentatore, accettando la debolezza che ci spinge ad alzare lo sguardo e chiedere a nostro Padre la nostra eredità, il suo Figlio: è Lui la parte che ci è riservata; è Cristo nascosto in ciascuna domanda del Padre Nostro, il Figlio nel quale si compie ogni pensiero del PadreSolo in Cristo vittorioso nel deserto e sulla Croce possiamo far scorrere la nostra vita come dentro una corazza di fronte alle tentazioni, la preghiera fiduciosa del figlio che conosce il potere amorevole del Padre. Quando preghiamo allora, "non sprechiamo parole" come chi è orfano e non sa a chi rivolgersi; imploriamo solo di vivere con Gesù, di essere in Lui, per Lui, con Lui, il vero Beneche ci chiama a seguirlo per salvare questa generazione.