CONGRESSO INTERNAZIONALE
SS. CIRILLO E METODIO FRA I POPOLI SLAVI: 1150 anni dall’inizio della missione
SS. CIRILLO E METODIO FRA I POPOLI SLAVI: 1150 anni dall’inizio della missione
25 Febbraio - Pontificio Istituto Orientale
26 Febbraio - Pontificia Università Gregoriana
26 Febbraio - Pontificia Università Gregoriana
Di seguito il testo dell'intervento di Gianfranco Ravasi
in “Corriere della Sera” di oggi, 21 febbraio 2013
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Ogni traduzione delle Sacre Scritture non è solo un fenomeno pastorale pratico, è anche un evento
culturale, interculturale e di inculturazione. Questo fenomeno è tipizzato in una trilogia esemplare,
composta dall'esperienza della versione greca dei Settanta che fu di grande rilievo per il Nuovo
Testamento e il Cristianesimo delle origini, dalla Vulgata che fu decisiva per la cristianità
successiva e per la stessa cultura occidentale e, infine, da alcune versioni in lingue moderne tali da
segnare una tappa per quelle stesse lingue e le nazioni relative.
Le versioni delle Sacre Scritture nelle lingue moderne fanno la loro prima apparizione già nel
Medioevo nelle forme più diverse e parziali e costituiscono un complesso delta ramificato.
L'esempio più noto è la versione tedesca della Bibbia eseguita da Lutero, «il più grande dono» fatto
dal Riformatore al popolo tedesco, come fu definita quest'opera che lo impegnò per oltre vent'anni
(1521-1545). Non entriamo ora nel merito della traduzione dal punto di vista esegetico, la quale, pur
essendo condotta sull'originale ebraico e greco, lascia intravedere non poche incomprensioni.
L'elemento decisivo, però, fu di indole culturale più generale: essa, infatti, divenne la madre della
lingua tedesca nobile e moderna. Allora dominavano vari idiomi e dialetti locali germanici: la
lingua adottata da Lutero divenne quella propria e unica della nazione. Si compiva così
un'operazione analoga all'ancor più ampia e complessa azione culturale e religiosa dei santi Cirillo e
Metodio sei secoli prima.
Un parallelo minore per l'effetto registrato, ma altrettanto significativo per mostrare il nesso intimo
tra versione della Sacra Scrittura e sviluppo di una cultura nazionale, è certamente la King James
Version, detta anche più solennemente l'Authorized Version, che porta il nome del re Giacomo I
Stuart (1566-1625), grande protettore degli anglicani e avversario dei cattolici. Il sovrano britannico
costituì una serie di commissioni con cinquanta membri in totale che lavorarono per sette anni alla
versione basandosi su un testo precedente, sottoponendola a una forte revisione nella comparazione
con gli originali, ma soprattutto ponendo grande cura all'aspetto linguistico e letterario. Pubblicata
nel 1611 a Londra, divenne un vero e proprio monumento della lingua inglese classica, influendo
fortemente nella letteratura inglese.
È in questa linea, ma in modo ancor più radicale e globale, che si colloca l'opera dei santi Cirillo e
Metodio, dei quali questo Congresso celebra ben 1.150 anni dall'inizio della loro missione.
In particolare brilla la figura di Cirillo che a Cherson si era attrezzato con lo studio dell'ebraico e
dell'aramaico samaritano e forse del siriaco e che attuò il progetto grandioso di creare un alfabeto
specifico, il glagolitico. La sua traduzione slava della Bibbia e dei libri liturgici fu un evento
epocale. La scelta dei due santi fu culturalmente e religiosamente impressionante e formidabile,
capace di anticipare di secoli alcune opzioni ecclesiali e di creare una sorgente viva ed esemplare
per la civiltà slava nella sua polimorfa fisionomia, pur ancorandosi idealmente a un modello
primigenio, quello dell'evangelizzazione «inculturata» dell'apostolo Paolo.
La necessità di inculturare la fede cristiana nelle diverse civilizzazioni, oltre che in san Paolo, aveva
un antesignano anche in sant'Agostino che, commentando il Salmo 44 (45), 10 dedicato alle vesti
splendide della regina, affermava allegoricamente che esse incarnano «i misteri della dottrina in
tutte le varie lingue. C'è una lingua africana, ce n'è una siriaca, un'altra greca e molte altre: queste
lingue fanno il tessuto variopinto di questa regina. Ma come la varietà delle vesti s'accorda con una
unità, così anche tutte le lingue convergono in un'unica fede. Vi sia pure varietà nella veste, ma
nessuno squarcio!».
L'enciclica «Slavorum Apostoli», pubblicata da Giovanni Paolo II nell'XI centenario della morte di
san Metodio, riserva al tema dell'inculturazione una sorta di attenzione costante, che ha nel n. 21 il
suo apice. L'attività missionaria dei due santi, infatti, era retta da questo programma: «innestare
correttamente le nozioni della Bibbia e i concetti della teologia greca in un contesto di esperienze
storiche e di pensieri diversi» (n. 11). Essi, in verità, recavano nella loro mente e nella loro anima
una sorta di imprinting marcato dalla lingua greca e dalla teologia bizantina. Eppure «desiderarono
diventare simili sotto ogni aspetto a coloro ai quali recavano il Vangelo; vollero diventare parte di
quei popoli e condividerne la sorte» (n. 9), per cui si fecero «slavi di cuore» (n. 10). Anzi,
simbolicamente diventarono un emblema di «cattolicità», perché la loro identità polimorfa
permetteva — come suggeriva ancora Giovanni Paolo II nel discorso tenuto nel 1981 ai partecipanti
al Colloquio internazionale «Le comuni radici cristiane delle nazioni europee» — a loro «come
greci di origine, slavi di cuore, inviati canonicamente da Roma, di essere un fulgido esempio di
universalismo che abbatte le barriere».
Il metodo da essi adottato si reggeva su una premessa indispensabile: conoscere idee, lingua,
tradizioni, simboli, prassi, concezioni dei popoli che accostavano, rispettandoli, perché nei valori da
essi custoditi si potevano intuire quei «semi del Verbo» o quella praeparatio evangelica a cui li
aveva abituati la stessa tradizione teologica patristica. Anche in questo si rivela un atteggiamento
straordinariamente anticipatore e prefiguratore della teologia che il Vaticano II ha espresso in
molteplici attestazioni. Il loro annuncio del Vangelo — è stato ancora Giovanni Paolo II a ricordarlo
nella sua omelia nella Basilica di san Clemente del 14 febbraio 1981 — «non mortificava,
distruggeva o eliminava, bensì integrava, elevava ed esaltava gli autentici valori umani e culturali
tipici dei paesi evangelizzati».
È appunto il processo di inculturazione che lo stesso Pontefice aveva già delineato nel maggio 1980
parlando all'episcopato del Kenya: «L'acculturazione o inculturazione sarà realmente un riflesso
dell'incarnazione del Verbo quando una cultura, trasformata e rigenerata dal Vangelo, produce dalla
sua propria tradizione espressioni originali di vita, di celebrazione e di pensiero cristiano».
Si tratta, dunque, di un'operazione di reciprocità: se, da un lato, le culture autoctone ricevono dal
fermento evangelico un principio di rigenerazione e di trasformazione, d'altro lato, la stessa Chiesa
universale acquisisce una nuova ricchezza che le permette di approfondire e di incarnare
ulteriormente il suo messaggio.
Emblematico in questo senso è san Paolo con la sua predicazione al mondo greco-romano, con
l'adozione di un linguaggio modulato sulla cultura greca e con la sua rielaborazione teologica del
Vangelo di Gesù Cristo. In questo processo, condotto dai santi Cirillo e Metodio con sistematicità e
rigore fin dalle radici — l'invenzione dell'alfabeto ne è la prova evidente —, la componente
fondamentale fu espletata appunto dalla traduzione della Sacra Scrittura e dalla relativa versione dei
testi liturgici, un evento il cui effetto fu «pari a quello della lingua latina in Occidente», come nota
ancora la Slavorum Apostoli (n. 21). È indubbio che l'operazione linguistica inaugurata dai due
fratelli di Tessalonica fu anche un'impresa di tipo culturale, tant'è vero che fu proprio la versione
slava della Bibbia l'atto generativo che «conferì capacità e dignità culturale alla lingua liturgica
paleoslava e divenne per lunghi secoli non solo la lingua ecclesiastica, ma anche quella ufficiale e
letteraria» (n. 21).
C'è stato, perciò, chi ha voluto ricondurre la missione dei due santi entro il perimetro di un'azione
esclusivamente culturale che usò solo accidentalmente lo strumento religioso, biblico-liturgico. Ora,
è indiscutibile che essi sono padri della cultura anche per quelli che non si riconoscono più nella
fede cattolica. Tuttavia, la loro fu un'opera in prima istanza evangelizzatrice che — per
l'incarnazione propria del Cristianesimo — non poteva non essere anche civilizzatrice.
Missione e cultura s'intrecciavano nel loro impegno, anche perché ogni autentico messaggio
religioso è al tempo stesso informativo e performativo, dotato com'è di una sua fecondità intrinseca.
Per questo, l'azione di Cirillo e Metodio può essere assunta, pur nella differenza evidente dei
contesti storico-culturali, come un modello esemplare sia per il dialogo interculturale sia per la
nuova evangelizzazione nella società contemporanea.