“Perché il mondo ha tanta paura della sofferenza? Perché ha così bisogno di chiudere una ferita?”
si domanda l’autore. “Forse perché sconvolge la vita, le nostre visioni, i nostri progetti. La
sofferenza chiede amore, tanto amore, e non è facile amare così.”
La vita di Antonio Socci e della sua famiglia viene travolta nel 2009 dal dramma improvviso della
primogenita Caterina, entrata in coma dopo un inspiegabile arresto cardiaco. Tutto sembra perduto,
resta solo il grido di una preghiera che coinvolge un mare di persone. E Caterina si risveglia
dal coma. Ma la gioia per questo miracolo viene messa alla prova dall’enormità dei problemi che la
ragazza si trova ad affrontare.
Tuttavia la forza e la fede con cui Caterina percorre un cammino così duro sono travolgenti per il padre, che scopre anche la bellezza di un mondo sconosciuto, eroico e affascinante, fatto soprattutto di giovani, che sono per l’autore la “meglio gioventù”.
È l’incontro con volti di persone normali che l’amore di Gesù Cristo rende capaci perfino di sacrificare silenziosamente la propria esistenza. Storie che testimoniano un coraggio e una letizia
più forti del dolore e della morte. Ne scaturisce una lunga lettera in cui l’autore,
cristiano controcorrente da sempre, scrive alla figlia non solo per accompagnarne la rinascita,
ma anche per raccontare a tutti il miracolo che una giovinezza piena di fede può compiere. “Abbiamo
bisogno di uomini e donne indomiti” scrive Socci “che ci mostrano che non si deve aver paura del cammino della vita, delle sue fatiche e delle sue prove. Perché è questo brevissimo cammino che ci fa guadagnare la felicità per sempre.”
Riporto di seguito dal blog dell'autore.
* * *
Oggi è uscito il mio libro “Lettera a mia figlia (sull’amore e la vita al tempo del dolore)”, (Rizzoli). Quello che segue è il capitoletto finale del libro
LETTERA A MIA FIGLIA
«Mentre ancora parlava, dalla casa del capo
della sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia
è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”.
Ma Gesù, udito quanto dicevano,
disse al capo della sinagoga: “Non temere,
continua solo ad aver fede!”. […] Presa la
mano della bambina, le disse: “Talità
kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico,
alzati!”. Subito la fanciulla si alzò.»
Mc 5,35-43
Carissima Caterina,
c’è sempre un immenso struggimento in ciò che un padre vorrebbe dire a una figlia e ancora di più nel nostro caso perché quello che ci è accaduto e che viviamo ha ingigantito tutti i sentimenti e ora non riescono più a stare dentro le parole.
E nemmeno dentro ai silenzi.
È difficile per tutti, in questi casi, aprire il proprio cuore perché quei sentimenti straripano fuori alla rinfusa e cozzano fra loro. E lo è per me specialmente, perché conosco la tua assoluta refrattarietà a questo tipo di confessioni e dichiarazioni. Che certo tu, per sottrarti alla commozione, bolleresti – con un incurante sorriso – come «enfatiche».
Tu che ridendo mi «ordini» sempre di volerti bene stando zitto. Hai ragione. Ma voglio abbracciarti egualmente con la gioia di queste parole, perché quel giorno atroce pensai…
“Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai nulla può giovare” (1).
Mentre oggi che sei tornata, oggi che ci sei stata restituita, su ogni alba trovo scritto il tuo nome, per me ogni sole a mezzogiorno brilla con i tuoi occhi, ogni brezza mi ricorda il tuo pianto, ogni notte fa riecheggiare il tuo canto e il tuo sorriso illumina e cura tutte le mie ferite.
No, la Felicità non si è scordata di noi. È sulla strada, sta tornando, ci ha già fatto arrivare i suoi messaggeri e io su ali d’aquila andrò a cercarla affinché non si attardi.
Perché affretti il suo passo chiederò ai venti di aiutarne il cammino, alle stelle di segnarle la via, incaricherò la luna di non farla assopire, alla primavera domanderò di vestirla a festa.
Colui che ha promesso, Colui a cui sei cara, manterrà la Sua parola, perché essa non può fallire, è stabile più della terra, certa più della luce del sole. Perché è già realtà.
Supplicherò tutte le schiere degli angeli perché la loro Regina ci renda pronti e degni. Perché affretti i giorni della consolazione. Mentre noi – che apprendemmo un po’ di umiltà dal dolore – impariamo ora la saggezza dal tuo silenzio, Caterina, la fede dal tuo coraggio, la speranza dalla tua allegria, la carità dalla tua pazienza.
Tua mamma un giorno ti ha detto: «Cate, sei un mito, per me. Sei il mio mito!». E tu sai di esserlo per tutti noi. Sei il nostro orgoglio e la nostra forza. Non finirò mai di ringraziare il Cielo per averci dato una figlia come te. E per averti ridonata a noi quando sembrava che ci fossi stata tolta.
Io ho riempito il mondo del tuo nome, l’ho scritto in cielo e in terra, sui libri e nei cuori, lo scriverò su ogni fiore che spunterà la prossima primavera e lo farò sussurrare al mare.
E sono certo che…
“Il più bello dei mari e quello che non navigammo.
[…] I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto” (2).
il tuo babbo
(1) Wystan Hugh Auden, Blues in memoria, in La verità, vi prego,
sull’amore, Adelphi 1994.
(2) Nazim Hikmet, Il più bello dei mari, in Poesie d’amore, Mondadori 2002