venerdì 22 febbraio 2013

Il Papa della coerenza

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(Hilarion di Volokolamsk* ) L’11 febbraio scorso, l’inaspettato annuncio della rinuncia al ministero di Papa Benedetto XVI ha stupito profondamente non solo la Chiesa cattolica, ma tutta la cristianità e l’opinione pubblica mondiale. Nella sua condizione di progressivo declino delle forze, di cui ha egli stesso parlato, la decisione di lasciare il pontificato non può che essere considerata un atto di grande coraggio e di esemplare umiltà. 
In questo nostro mondo in cui tanti che non hanno il potere cercano spasmodicamente di impossessarsene, e tanti che lo hanno cercano a qualunque costo di non perderlo, la voce mite del primate della Chiesa cristiana più numerosa al mondo, che dice di rinunciare liberamente all’esercizio dell’autorità a causa dell’indebolimento fisico e per il bene della Chiesa, si pone in netto contrasto con la mentalità corrente. Ancora una volta Papa Benedetto XVI si è mostrato coerente con la propria linea di integrità morale e di rifiuto del compromesso. 
Siamo certamente ancora troppo vicini all’annuncio della rinuncia di Benedetto XVI per tentare un bilancio del suo pontificato. Direi però che una delle chiavi interpretative della figura di questo Papa e del suo pontificato è forse proprio questa della coerenza con se stesso e con la tradizione della Chiesa, del suo non cedere alle facili mode passeggere, alla forte pressione della cultura dominante. 
Papa Ratzinger è un teologo di alta levatura, senza dubbio uno dei più autorevoli teologi cattolici contemporanei. La sua opera di teologo, prima e dopo l’ascesa alla cattedra pontificia — dai suoi libri sulla figura di Gesù, alle sue encicliche ed esortazioni apostoliche, dalla dichiarazione Dominus Iesus, al Catechismo della Chiesa Cattolica — rappresenta un contributo di notevole importanza alla teologia cattolica moderna. Uno degli argomenti da lui più trattati, quello del rapporto tra fede e ragione, si pone in continuità con quanto già detto dal suo predecessore, Papa Giovanni Paolo II. 
Un altro tema caro a Papa Benedetto XVI, fin dall’inizio del pontificato, è quello della riaffermazione dei valori morali cristiani, il suo fermo no alla “dittatura del relativismo”. È una posizione che trova noi ortodossi pienamente consenzienti. Oggi nel mondo intero, ma soprattutto nella società occidentale, si assiste a una pericolosa perdita di ogni orientamento morale. La mentalità corrente vorrebbe cancellare ogni distinzione tra il bene e il male. Il liberalismo morale estremista e militante ha imposto il “politicamente corretto” come una nuova ideologia di massa, altrettanto assolutista dei massimalismi politici che hanno rattristato il XX secolo. Se leggiamo attentamente i vangeli, vediamo che la misericordia del Signore Gesù nei confronti dei peccatori non ha mai significato accondiscendere al peccato, né confondere il male col bene. Personalmente sono convinto che la Chiesa, oggi forse più che mai, pur rimanendo aperta al rapporto con chiunque e proponendo la via della salvezza a ogni uomo, debba offrire ai fedeli delle linee di comportamento molto chiare. Direi che l’attuale Pontefice ha mostrato chiaramente come l’apertura al dialogo non debba mai significare tradire i comandamenti di Cristo. 
Egli è stato frequentemente considerato un conservatore o un tradizionalista, e tale fama gli ha procurato critiche e una certa impopolarità. Credo sia importante in merito riflettere maggiormente su che cosa significa la tradizione per noi cristiani. Il cristianesimo è la religione del “già” e del “non ancora”, la religione in cui trascendenza e immanenza, vita terrena e vita eterna si incontrano. Cristo, infatti, è già risorto, una volta per tutte e come primizia della nostra generale risurrezione; ma la “divinizzazione” di ognuno di noi è un processo in corso. Per questo la Chiesa ha un rapporto particolare col tempo. La Chiesa, e con ciò intendo le chiese apostoliche, si pone sempre in quel continuum che è la tradizione. Questa parola, sia in latino (traditio) che in slavo (predanie), indica la trasmissione della fede. La testimonianza che abbiamo ricevuto dagli apostoli e da quanti ci hanno preceduto nel cammino verso Dio dobbiamo consegnarla, tutta intera, alle generazioni a venire. Abbiamo quindi una responsabilità di fedeltà. 
Senza dubbio Benedetto XVI in quanto Papa, esattamente come Joseph Ratzinger in quanto teologo, è l’uomo della continuità, della fedeltà a quella consegna che è la tradizione. Teologo della continuità egli è stato pure nella sua lettura del concilio Vaticano II. Anche dal punto di vista della teologia ortodossa l’ultimo concilio della Chiesa cattolica è apprezzabile non come momento di rottura col passato, ma esattamente per il contrario: in quanto e per quanto si rifà alla tradizione, e anzi, vorrei dire, fa ritorno a essa. 
Il pontificato di Benedetto XVI ha segnato un notevole miglioramento dei rapporti tra ortodossi e cattolici e, in particolare, tra Roma e la Chiesa ortodossa russa. Il Papa conosce bene l’ortodossia; il suo amore per la tradizione ce lo rende vicino. Bisogna poi dire che anche la conoscenza personale influisce positivamente sui rapporti interecclesiali. Il patriarca Cirillo, prima di venir eletto primate della Chiesa ortodossa russa, per ben quattro volte si è incontrato prima col cardinale Ratzinger e poi con Papa Benedetto XVI. Anche io, dopo esser succeduto all’attuale patriarca come presidente del Dipartimento per le relazioni esterne della nostra Chiesa, per tre volte sono stato accolto in udienza privata dal Papa. Conserverò sempre un ottimo ricordo di queste nostre conversazioni e della sua persona. Non credo si possa dire che il suo essere teologo, uomo di pensiero dalle posizioni nette, spesso opposte alla cultura dominante, sia stato a scapito del suo essere pastore. Benedetto XVI è un uomo mite, comprensivo, di grande umiltà e sapienza. 
Tra ortodossi e cattolici, ancor oggi, restano dei nodi teologici da sciogliere e delle ferite storiche da sanare. Ho avuto occasione di illustrare la mia personale visione dello stato dei nostri rapporti e delle prospettive del dialogo teologico ortodosso-cattolico direttamente al Papa, nelle conversazioni personali avute con lui. Devo dire che nutro qualche perplessità riguardo al dialogo portato avanti dalla Commissione teologica mista: credo che nell’immediato avvenire non ci possiamo aspettare progressi eclatanti. Ciononostante, le nostre posizioni in altri campi coincidono perfettamente, o quasi. Per esempio, le posizioni etiche. Dobbiamo quindi investire in questi campi, agire già insieme per riaffermare i valori etici del cristianesimo. L’ho detto al Papa e ho trovato da parte sua piena comprensione. 
Un altro campo in cui possiamo e dobbiamo agire insieme è quello della difesa dei cristiani perseguitati. E qui non mi riferisco solo all’Africa, al Medio Oriente o ad alcuni Paesi asiatici, ma anche alla stessa Europa, dove spesso i cristiani sono vittime di emarginazione culturale, ridotti al silenzio dal secolarismo dominante, per il quale la religione è qualcosa che riguarda solo la sfera della vita personale dell’individuo e non deve aver alcun riflesso nella vita sociale. Papa Benedetto XVI ha detto e fatto molto, sia in difesa dei cristiani perseguitati, che in difesa dei valori cristiani dimenticati o calpestati. In lui abbiamo avuto un buon alleato.
Ora, con la sua rinuncia all’esercizio del ministero, il Papa ha offerto al mondo una lezione di umiltà e saggezza. Qualche giorno fa nella Chiesa russa abbiamo festeggiato la Presentazione di Cristo al tempio. Come non ricordare qui il cantico del saggio Simeone, che la nostra tradizione definisce «colui che accolse Dio» (Simeon Bogopriimec): «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola». Al pastore e al cristiano Benedetto XVI auguriamo una lunga, feconda e pacifica ultima età della vita. Quanto a noi, ci auguriamo che la dinamica positiva nei rapporti tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica romana continui sotto il suo successore. 
*Metropolita di VolokolamskPresidente del Dipartimento per le relazioni esternedel Patriarcato di Mosca
L'Osservatore Romano, 22 febbraio 2013.