giovedì 28 febbraio 2013

Con Benedetto XVI compagni sul cammino verso Dio

Islam e cristianesimo religioni per l’uomo.


(Mouhanad Khorchide - Docente di pedagogia religiosaislamica presso il Centro di studireligiosi della WestfälischeWilhelms-Universität di Münster) Nell’ottobre 2007, centotrentotto rinomati studiosi musulmani scrissero la lettera aperta Una parola comune tra Noi e Voi, lunga ventinove pagine e indirizzata a tutti i capi religiosi cristiani, nella quale invitavano al dialogo sugli aspetti comuni delle due religioni. Papa Benedetto accettò questa proposta di dialogo. Nacque così in Vaticano un Forum cattolico-musulmano.Da allora ci sono stati importanti incontri tra studiosi cristiani e musulmani, durante i quali è stato evidenziato soprattutto l’amore di Dio e del prossimo come colonna portante comune delle due religioni. Durante la sua visita in Turchia nel 2006, Papa Benedetto XVI pregò “l’unico Dio” dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani. In occasione dell’incontro, nel 2011, con i rappresentanti musulmani nel corso della sua visita in Germania, invitò i musulmani e i cristiani a una collaborazione feconda. Come persone di fede potevano, secondo il Papa, dare un’importante testimonianza, per esempio nell’ambito della tutela del matrimonio e della famiglia. Per questo era necessario «crescere nel dialogo e nella stima reciproca». Il discorso di Ratisbona del Papa, che aveva dato adito a fraintendimenti, e le sue affermazioni sul tema dell’islam e della violenza, come anche l’ondata d’indignazione che, nella sua scia, aveva attraversato il mondo musulmano, sono stati superati ormai da molto tempo. Con il senno di poi si potrebbe perfino dire che il discorso di Ratisbona del Papa ha dato spunto alla promozione del dialogo tra cristiani e musulmani.
In occasione dell’incontro tra il Papa e i rappresentanti della comunità musulmana del 2011 in Germania ho tenuto un discorso a nome dei musulmani. Nel mio intervento ho evidenziato l’amore e la misericordia di Dio quali criteri comuni dell’islam e del cristianesimo; il Papa sottolineò che, in molti ambiti della vita sociale, cristiani e musulmani devono dare un’importante testimonianza della loro fede. Tra questi menzionò la tutela della famiglia fondata sul matrimonio, il rispetto della vita in ogni fase del suo naturale decorso e la promozione di una più ampia giustizia sociale. Il Papa evidenziò così la necessità di creare un riferimento alla vita della religione.
Sia l’islam sia il cristianesimo si trovano oggi dinanzi alla sfida di dimostrare il riferimento alla vita dei loro messaggi. Proprio i giovani si interrogano sull’importanza dei contenuti religiosi per il loro progetto di vita. Se le religioni si limitano soltanto ai dogmi e ad affermazioni distanti dalla vita, rischiano di far sì che le persone si allontanino sempre più da esse. Invece di domandare «che cosa vogliono le religioni dall’uomo?», esse dovrebbero chiedere «che cosa vogliono le religioni per l’uomo?». La religiosità, infatti, non viene trasmessa dall’esterno, ma è una cosa di cui ci si appropria, e lo si fa attraverso un processo aperto. Questo discorso sul processo di appropriazione evidenzia due aspetti fondamentali: in primo luogo, al centro c’è la persona stessa. L’uomo non viene considerato come oggetto delle religioni, bensì come soggetto, che contribuisce con le proprie esperienze, attese, desideri e speranze. In secondo luogo, la religiosità è un processo. Tale processo accompagna l’uomo per tutta la vita.
La grande importanza della famiglia, della vita e della giustizia sociale, sottolineata dal Papa, vale tanto per l’islam quanto per il cristianesimo. Nessuna delle due religioni può chiudersi alla realtà di vita delle persone. Entrambe nascondono in sé un grande potenziale per arricchire la società, ricordandoci valori come l’amore del prossimo, il volontariato, l’amore incondizionato e la bontà. Sia i cristiani sia i musulmani credono che Dio cerchi persone capaci d’amare, che rendano il suo amore e la sua misericordia una realtà vissuta ed esperibile. Il profeta Maometto raccontava: «Nell’aldilà Dio chiederà all’uomo: “Ero malato e non mi hai visitato, avevo fame e non mi hai dato da mangiare, avevo sete e non mi hai dato da bere”. Allora l’uomo domanderà sorpreso: “Ma tu sei Dio, come puoi essere malato, avere sete o avere fame?”. Allora Dio gli risponderà: “In un certo giorno, un tuo conoscente era malato e tu non sei andato a fargli visita; se lo avessi fatto, mi avresti trovato presso di lui. Un giorno, un tuo conoscente aveva fame, e non gli hai dato da mangiare; un giorno, un tuo conoscente aveva sete e non gli hai dato da bere”» (come tramandato da Muslim, hadith n. 2569). Questo racconto ricorda il vangelo di Matteo, al capitolo 25, che riporta un racconto analogo e alla fine sottolinea: «Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me».
Le religioni, però, non possono essere ridotte alla loro funzione, poiché hanno una dimensione spirituale importante, che vuole legarci a Dio.
Sia che siamo musulmani, sia che siamo cristiani, tutti aneliamo la comunione con Dio. Ed è proprio questo anelito a unirci. Siamo compagni sul cammino verso Dio. L’umiltà del Papa, che ho potuto vedere e sperimentare incontrandolo, ancora oggi suscita in me la convinzione che Dio, nella sua misericordia, ha lasciato aperte molte strade per raggiungerlo. Dio ci invita su diversi cammini.
«Troverai che i più prossimi all’amore per i credenti sono coloro che dicono “In verità siamo nazareni”, perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia» (Corano, 5, 82).
L'Osservatore Romano, 28 febbraio 2013.

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 Lettera del segretario generale del World Council of Churches, Olav Fykse Tveit.  Enorme contributo all’unità dei cristiani


Profonda gratitudine a Benedetto XVI per il suo contributo all'unità dei cristiani e per il ministero petrino fin qui svolto è stata espressa dal segretario generale del World Council of Churches (Wcc o Consiglio ecumenico delle Chiese) reverendo Olav Fykse Tveit, in una lettera indirizzata al Papa in occasione dell'ultima udienza generale del svoltasi mercoledì.
«In occasione delle Sue dimissioni dalla Sede Apostolica di Roma e del ministero petrino — scrive Fykse Tveit, che è alla guida di una organizzazione di 349 fra Chiese e comunità religiose per una rappresentanza di milioni di cristiani di un centinaio di Paesi — noi del movimento ecumenico ci soffermiamo a ricordare i Suoi numerosi contributi alla vita della Chiesa e del mondo e Le auguriamo ogni bene mentre prosegue il suo ministero di preghiera e di meditazione».
Rendendo omaggio all’immenso contributo offerto dal Papa all'unità dei cristiani, Tveit ha ricordato come Benedetto XVI conosca molto bene il Consiglio ecumenico delle Chiese essendo stato membro tra la fine degli anni ‘60 e agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso della commissione del Wcc, Fede e Costituzione, come professore cattolico di teologia all’università di Tubinga.
«Analizzando tutto il suo servizio alla Chiesa da una prospettiva ecumenica — prosegue Tveit — il World Council of Churches è estremamente grato per la Sua immensa e profonda dedizione alla ricerca dell’unità dei cristiani come un modello per l’unità di tutta l’umanità».
Nella lettera, ricordando i benefici ricevuti dal Wcc per mezzo del ministero di Benedetto XVI, si esprime anche ringraziamento per il sostegno dato agli incontri fra rappresentanti cattolici e il Wcc, in particolare, al gruppo misto di lavoro tra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese, alla commissione Fede e Costituzione, alla commissione sulle Missioni nel mondo e l’evangelismo, così come alle numerose iniziative indipendenti promosse dal Global Christian Forum. Il segretario generale del Wcc ha anche fatto riferimento ai suoi precedenti incontri con Benedetto XVI a Roma, nel 2010, e in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la pace ad Assisi, nel 2011. «Le nostre conversazioni — prosegue la lettera di Fykse Tveit — mi hanno lasciato con la convinzione dell’importanza di rafforzare le relazioni già forti che consentono ai cristiani di varie confessioni di pregare insieme, lavorare e dedicarsi insieme all’unità nella fede».
Inoltre, il segretario generale del Wcc ha tenuto a sottolineare che la stretta collaborazione di Benedetto XVI con l’allora presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, cardinale Walter Kasper, abbia ispirato importanti capitoli nel pensiero ecumenico e la raccolta dei frutti del dialogo è proseguita nella sua cooperazione con l’attuale presidente del dicastero, il cardinale Kurk Koch. «È stato durante il Suo pontificato — si legge ancora nella lettera — che la commissione Fede e Costituzione nel suo testo condiviso “La Chiesa verso una visione comune” ha posto la seguente domanda: “Se secondo la volontà di Cristo le attuali divisioni vengono superate, come si può intendere ed esercitare un ministero che serva ad alimentare e promuovere l’unità della Chiesa a livello universale?”. Per tutto il suo pontificato Lei ha cercato di vivere quotidianamente in risposta a tale domanda».
«La Chiesa: verso una visione comune» è il secondo documento detto di "convergenza" nella storia ultracentenaria della commissione Fede e Costituzione, composta non solo da rappresentanti delle comunità membro del Wcc, ma anche da chi non ne fa parte, come la Chiesa cattolica.
Anche in occasione della rinuncia al papato, annunciata l’11 febbraio scorso, il reverendo Tveit aveva espresso l’apprezzamento per l’impegno profuso in questi anni dal Papa. «Dobbiamo rispettare pienamente la decisione di Sua Santità. Con profondo rispetto — aveva dichiarato il segretario generale del Wcc — abbiamo visto come egli abbia preso la responsabilità e i pesi del suo ministero in età avanzata, in un momento molto impegnativo della Chiesa. Esprimo tutto il mio apprezzamento per il suo amore e per l’impegno speso per la Chiesa e il movimento ecumenico. Chiediamo a Dio che lo benedica in questo momento e in questa fase della sua vita e che guidi e benedica anche la Chiesa cattolica romana in questo tempo importante di transizione».
L'Osservatore Romano 1° marzo 2013