Alle ore 17.30 di oggi, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il
Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la celebrazione dei secondi
Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a
conclusione della XLVI Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani
sul tema: “Quel che il Signore esige da noi” (Michea 6, 6-8). Alla
celebrazione erano presenti i Rappresentanti delle altre Chiese e
Comunità ecclesiali. presenti a Roma. Di seguito il testo dell’omelia
che il Papa ha pronuncia nel corso dei Vespri.
Cari fratelli e sorelle!
E’ sempre una gioia e una grazia speciale ritrovarsi insieme, intorno
alla tomba dell’apostolo Paolo, per concludere la Settimana di preghiera
per l’unità dei cristiani. Saluto con affetto i Cardinali presenti, in
primo luogo il Cardinale Harvey, Arciprete di questa Basilica, e con lui
l’Abate e la Comunità dei monaci che ci ospitano. Saluto il Cardinale
Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità
dei Cristiani, e tutti i collaboratori del Dicastero.
Rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita
Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico, al Reverendo
Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di
Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità
ecclesiali, qui convenuti questa sera. Inoltre, mi è particolarmente
gradito salutare i membri della Commissione mista per il dialogo
teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ai
quali auguro un fruttuoso lavoro per la sessione plenaria che si sta
svolgendo in questi giorni a Roma, come pure gli studenti
dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire
la loro conoscenza della Chiesa cattolica, e i giovani ortodossi e
ortodossi orientali che qui studiano. Saluto infine tutti i presenti
convenuti a pregare per l’unità tra tutti i discepoli di Cristo.
Questa celebrazione si inserisce nel contesto dell’Anno della fede,
iniziato l’11 ottobre scorso, cinquantenario dell’apertura del Concilio
Vaticano II. La comunione nella stessa fede è la base per l’ecumenismo.
L’unità, infatti, è donata da Dio come inseparabile dalla fede; lo
esprime in maniera efficace san Paolo: «Un solo corpo e un solo spirito,
come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella
della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo
battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti,
opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6). La
professione della fede battesimale in Dio, Padre e Creatore, che si è
rivelato nel Figlio Gesù Cristo, effondendo lo Spirito che vivifica e
santifica, già unisce i cristiani. Senza la fede - che è primariamente
dono di Dio, ma anche risposta dell’uomo - tutto il movimento ecumenico
si ridurrebbe ad una forma di “contratto” cui aderire per un interesse
comune. Il Concilio Vaticano II ricorda che i cristiani «con quanta più
stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito
Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere la mutua
fraternità» (Decr. Unitatis redintegratio, 7). Le questioni dottrinali
che ancora ci dividono non devono essere trascurate o minimizzate. Esse
vanno piuttosto affrontate con coraggio, in uno spirito di fraternità e
di rispetto reciproco. Il dialogo, quando riflette la priorità della
fede, permette di aprirsi all’azione di Dio con la ferma fiducia che da
soli non possiamo costruire l’unità, ma è lo Spirito Santo che ci guida
verso la piena comunione, e fa cogliere la ricchezza spirituale presente
nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali.
Nella società attuale sembra che il messaggio cristiano incida sempre
meno nella vita personale e comunitaria; e questo rappresenta una sfida
per tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali. L’unità è in se stessa un
mezzo privilegiato, quasi un presupposto per annunciare in modo sempre
più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore, o
che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, hanno quasi dimenticato
questo dono prezioso. Lo scandalo della divisione che intaccava
l’attività missionaria fu l’impulso che diede inizio al movimento
ecumenico quale oggi lo conosciamo. La piena e visibile comunione tra i
cristiani va intesa, infatti, come una caratteristica fondamentale per
una testimonianza ancora più chiara. Mentre siamo in cammino verso la
piena unità, è necessario allora perseguire una collaborazione concreta
tra i discepoli di Cristo per la causa della trasmissione della fede al
mondo contemporaneo. Oggi c’è grande bisogno di riconciliazione, di
dialogo e di comprensione reciproca, in una prospettiva non moralistica,
ma proprio in nome dell’autenticità cristiana per una presenza più
incisiva nella realtà del nostro tempo.
La vera fede in Dio poi è inseparabile dalla santità personale, come
anche dalla ricerca della giustizia. Nella Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani, che oggi si conclude, il tema offerto alla nostra
meditazione era: «Quel che il Signore esige da noi», ispirato alle
parole del profeta Michea (cfr 6, 6-8). Esso è stato proposto dallo
Student Christian Movement in India, in collaborazione con la All India
Catholic University Federation ed il National Council of Churches in
India, che hanno preparato anche i sussidi per la riflessione e la
preghiera. A quanti hanno collaborato desidero esprimere la mia viva
gratitudine e, con grande affetto, assicuro la mia preghiera a tutti i
cristiani dell’India, che a volte sono chiamati a rendere testimonianza
della loro fede in condizioni difficili. «Camminare umilmente con Dio»
significa anzitutto camminare nella radicalità della fede, come Abramo,
fidandosi di Dio, anzi riponendo in Lui ogni nostra speranza e
aspirazione, ma significa anche camminare oltre le barriere, oltre
l’odio, il razzismo e la discriminazione sociale e religiosa che
dividono e danneggiano l’intera società. Come afferma san Paolo, i
cristiani devono offrire per primi un luminoso esempio nella ricerca
della riconciliazione e della comunione in Cristo, che superi ogni tipo
di divisione. Nella Lettera ai Galati, l’Apostolo delle genti afferma:
«Tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché
quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e
femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (3,27-28).
La nostra ricerca di unità nella verità e nell’amore, infine, non deve
mai perdere di vista la percezione che l’unità dei cristiani è opera e
dono dello Spirito Santo e va ben oltre i nostri sforzi. Pertanto,
l’ecumenismo spirituale, specialmente la preghiera, è il cuore
dell’impegno ecumenico (cfr Decr. Unitatis redintegratio, 8). Tuttavia,
l’ecumenismo non darà frutti duraturi se non sarà accompagnato da gesti
concreti di conversione che muovano le coscienze e favoriscano la
guarigione dei ricordi e dei rapporti. Come afferma il Decreto
sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, «non esiste un vero ecumenismo
senza interiore conversione» (n. 7). Un’autentica conversione, come
quella suggerita dal profeta Michea e di cui l’apostolo Paolo è un
significativo esempio, ci porterà più vicino a Dio, al centro della
nostra vita, in modo da avvicinarci maggiormente anche gli uni agli
altri. È questo un elemento fondamentale del nostro impegno ecumenico.
Il rinnovamento della vita interiore del nostro cuore e della nostra
mente, che si riflette nella vita quotidiana, è cruciale in ogni dialogo
e cammino di riconciliazione, facendo dell’ecumenismo un impegno
reciproco di comprensione, rispetto e amore, «affinché il mondo creda»
(Gv 17,21).
Cari fratelli e sorelle, invochiamo con fiducia la Vergine Maria,
modello impareggiabile di evangelizzazione, affinché la Chiesa, «segno e
strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere
umano» (Cost. Lumen gentium, 1), annunci con franchezza, anche nel
nostro tempo, Cristo Salvatore. Amen.