sabato 26 gennaio 2013

Umanesimo integrale.



Il sostituto della Segreteria di Stato sul messaggio pontificio per la Giornata mondiale della pace. 

(Arcivescovo Anelo Becciu) Parlare di umanesimo aperto alla trascendenza significa fare riferimento a questo fondamentale dato dell’esperienza: l’essere umano è intrinsecamente relazionato a un assoluto che lo trascende, e ciò si manifesta in particolare nel rapporto con la verità e il bene. Accade infatti la medesima cosa nell’esperienza morale: il bene si manifesta come ciò che esige di essere perseguito, anche a prezzo della vita: attrae la nostra volontà, ma non è in nostro potere definirlo e non possiamo configurarlo a nostro piacimento, né come singoli né come comunità.
La pace, a sua volta, è un bene fondamentale, che si presenta come vitale, desiderabile, da perseguire, ma che non può essere plasmato secondo il proprio volere. Se per costruzione della pace intendessi il dedicarmi ad assicurare il mio quieto vivere, finirei per assaporare altro dalla vera pace. La pace chiede di essere riconosciuta e perseguita per ciò che essa è in verità, e in questo senso presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza: un umanesimo che non faccia dell’io la misura di tutte le cose, ma si lasci plasmare dall’appello che gli giunge dalla coscienza propria e dell’altro, che chiede di essere riconosciuto come fratello e non come nemico.
Tutti aneliamo alla pace, ma il darsi da fare concretamente per costruirla, nelle relazioni umane più prossime, in quelle sociali e in quelle tra popoli, richiede sempre una dedizione autentica, e la disponibilità al sacrificio. Ma ciò che esige il nostro sacrificio è esattamente ciò che ci trascende. Nell’essere operatori di pace, noi accettiamo che a misurare la nostra vita sia una realtà altra da noi, che ci supera e per cui la vita vale la pena di essere spesa.
Ciò non significa, evidentemente, che non possano essere veri costruttori di pace coloro che non sono credenti. Significa invece che ogni uomo, anche chi non crede, è “esposto” alla trascendenza del vero e del bene come a un mistero, e di fronte a tale mistero finisce inevitabilmente per pronunciarsi con il proprio agire. La condizione per costruire un futuro di pace e di collaborazione tra uomini di culture e religioni diverse è quella di mantenere aperta la domanda sul senso ultimo di questo riferimento. 
L’umanesimo aperto alla trascendenza di cui ci parla il messaggio per la Giornata mondiale della pace è un richiamo a sintonizzarci, credenti e non credenti, sulla lunghezza d’onda del servizio alla verità, che conosce la gioia della scoperta ma anche la sofferenza della ricerca e talora la prova dell’oscurità. La verità è un orizzonte di riferimento ineludibile, si tradirebbe la nostra dignità di uomini se rinunciassimo a esso. La collaborazione alla costruzione della pace non implica il mettere tra parentesi la questione della verità, ma, al contrario, il riconoscerci a essa relazionati. Da questo punto di vista, il dialogo non è un gioco per gli scettici o per chi non è sicuro della propria strada. Non è mettendo tra parentesi la questione della verità che potremo costruire pace e comunione, ma riconoscendoci «pellegrini della verità e pellegrini della pace», per usare la formulazione usata da Papa Benedetto per il raduno di Assisi.
La pace abbraccia l’intero spettro dell’esistenza umana: la sua costruzione deve pertanto riguardare tutti i beni fondamentali che concorrono a realizzare l’uomo nella sua integrità, per questo parlo di «umanesimo integrale», parafrasando il titolo della celebre opera di Maritain. 
L’idea di un umanesimo integrale si declina oggi in una condizione storica di grande complessità e pluralismo, nella quale potrebbe sembrare arduo volersi richiamare a dei principi universalmente validi. Eppure, se vi rinunciassimo, cadremmo inevitabilmente nella deriva dell’incomunicabilità tra i singoli soggetti, i quali, rivendicando di poter stabilire in completa autonomia in che cosa consista il bene e il vero, finirebbero per comprendersi come delle monadi, delle realtà in sé chiuse e autosufficienti. E sulla base di un tale relativismo sarebbe impossibile fondare un tessuto sociale, una convivenza in vista del bene comune.
Quello che, come cristiani, siamo chiamati a fare, è rendere testimonianza alla comprensione integrale della natura umana, che la luce della fede ci aiuta a meglio percepire. Si tratta di un’autentica opera in favore della pace, che si realizza sia quando i cristiani apportano il proprio contributo alla discussione pubblica, sia quando mostrano «con i fatti e nella verità» (1 Gv 3, 18) che la vita umana possiede la stessa dignità in ogni fase del suo percorso; che la famiglia fondata sul matrimonio è il nucleo della struttura sociale; che la causa del bene comune è degna di impegno e sacrificio. In questo senso, promozione di un umanesimo integrale e costruzione della pace camminano insieme. Certo, il contesto odierno mostra che tale umanesimo è destinato a convivere con visioni diverse e anche con molte forme di anti-umanesimo.
Dobbiamo riconoscere che il terreno in cui si incontrano le diverse “cosmovisioni” non è un asettico laboratorio, ma il mondo travagliato nel quale viviamo. Il cammino dell’uomo verso la verità è arduo, perché obbliga a mettere in gioco se stessi. Come ha più volte richiamato il Papa, non siamo noi a possedere la verità ma è la verità a possedere noi. L’apertura alla trascendenza è garanzia di questa impossibilità di possedere la verità e perciò dell’impossibilità di possedere l’altro. Qui è la radice della costruzione di una pace autentica. Indubbiamente la situazione non è esente da pericoli: quando l’uomo si incammina su vie sbagliate davvero può arrivare a distruggersi ed è questo, in fin dei conti, il reale pericolo della deriva antropologica attuale. 
Come cristiani, ci rimane la fiducia, anzi la fede nella forza inerme ma potente della verità, il cui richiamo la coscienza non può mai spegnere. È per questo, non per un ingenuo ottimismo, che crediamo nel dialogo, e che ci sforziamo di testimoniare un umanesimo aperto alla trascendenza, un umanesimo integrale, certi che esso possa parlare a ogni uomo e donna anche nel nostro tempo.
L'Osservatore Romano, 27 gennaio 2013.