Che c’è di nuovo nel mondo dei giovani? Cosa dicono le ricerche e gli studi sociologici sulla loro condizione? Quali sono le principali sfide che caratterizzano questa età? Sono alcuni degli interrogativi ai quali tenterà di rispondere la prossima assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, in programma dal 6 al 9 febbraio, per una più piena integrazione delle nuove generazioni nella vita della Chiesa.
E se l’accesso ai lavori sul tema «culture giovanili emergenti» sarà riservato ai membri e ai consultori del dicastero — una sessantina, provenienti dai cinque continenti — è però prevista anche una seduta pubblica il giorno dell’apertura. Tutti i dettagli saranno resi noti giovedì 31 gennaio, nella Sala Stampa della Santa Sede, nel corso di una conferenza di presentazione (con la partecipazione del cardinale presidente Gianfranco Ravasi, del vescovo delegato Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, e di due giovani, Alessio Antonielli e Farasoa Mihaja Bemahazaka), ma è già disponibile su internet il documento preparatorio.
Nell’Anno della fede, a pochi mesi dalla Giornata mondiale della gioventù che sarà celebrata a Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio prossimi, la «questione giovanile» è dunque al centro della riflessione della Chiesa. E la specifica lente con cui il Pontificio Consiglio mette a fuoco il fenomeno è quello dell’analisi culturale. Il quadro delineato rimanda a una condizione di frammentarietà, in cui manca un modello omogeneo di riferimento; una realtà insomma molto variegata, condizionata com’è da vari fattori quali l’influsso familiare, quello economico, l’ambiente sociale e quello formativo. Lo studio prende in considerazione le culture adolescenziali e giovanili — riferite a soggetti tra i 15 e i 29 anni — caratterizzate dalle enormi possibilità comunicative offerte dalla cultura visiva dominante. Ciò provoca il paradosso della contemporanea anticipazione dell’uscita dall’ambito parentale, da un lato, e dal posticipo del raggiungimento della vera indipendenza, soprattutto per mancanza di occupazione, dall’altro.
Il Pontificio Consiglio della Cultura nel documento si sofferma in particolare sull’evidente difficoltà nella trasmissione della fede ai giovani. Per questo, «al fine di produrre buone pratiche evangelizzatrici», rilancia la necessità di una visione completa dei problemi della famiglia e dei conflitti intergenerazionali, perché i giovani sono «spie sensibili» delle contraddizioni in cui viviamo e non degli «analfabeti emotivi», come troppo riduttivamente e semplicisticamente vengono descritti. Il loro disagio è alimentato infatti da due fattori: le trasformazioni in atto e l’inadeguatezza delle idee e dei discorsi degli adulti per interpretare tali cambiamenti. Ecco allora l’urgenza di interrogarsi su alcune questioni cruciali: come il mutamento culturale investe le nuove generazioni, quanto si sa delle loro logiche esistenziali, come comunicano, quali sono i valori, le tendenze, nella ricerca di identità e nelle relazioni col mondo adulto, quale modello di vita viene imposto loro, come si sviluppa il rapporto con la fede e in che modo esse con il loro protagonismo possono costituire una risorsa strategica per la società e per la Chiesa.
E proprio per cercare di capire il fenomeno a partire dai giovani, il Pontificio Consiglio della Cultura rende noti dati particolarmente interessanti, secondo i quali più della metà dei 5 miliardi di persone che vivono nei Paesi in via di sviluppo hanno meno di 25 anni e costituiscono il 50 per cento della popolazione; in pratica l’85 per cento dei giovani del mondo vive in tali nazioni. Al contempo essi risultano il gruppo più vulnerabile della società: circa 238 milioni di loro sopravvivono con meno di un dollaro al giorno, costituendo così il 25 per cento degli individui che vivono in condizioni di estrema povertà.
I dati rivelano che 133 milioni di persone tra i 15 e i 24 anni non sanno leggere né scrivere; tra un terzo e la metà dei giovani della stessa età non ha impiego in molti Paesi in via di sviluppo; mentre a livello globale, i giovani costituiscono il 41 per cento del totale dei disoccupati. Non va meglio sul fronte sanitario, visto che la metà dei nuovi infettati dal virus Hiv hanno meno di 25 anni e 12 milioni di essi sono sieropositivi o ammalati di Aids.
Dagli elementi in mano al dicastero appare chiaramente come in questi tempi fluidi, fugaci, di instabilità politica, educativa ed economica, non è troppo lontana dalla realtà la caratterizzazione dell’essere umano contemporaneo come «uomo alle intemperie»; espressione coniata dalla letteratura per descrivere quel sentimento di angoscia e smarrimento, le cui conseguenze più negative ricadono sulla vita delle persone particolarmente deboli e svantaggiate, tra le quali ci sono appunto i giovani. Di contro, l’essere «giovane» si è trasformato in uno dei grandi referenti quasi mitici della cultura contemporanea, praticamente l’unico modello socialmente disponibile, specie in Occidente. Tuttavia, il primato simbolico del giovanilismo nasconde una società che invece abbandona i giovani, confinandoli agli ultimi posti nella gerarchia di interessi che la muovono. Tra i motivi di preoccupazione, la crisi del sistema educativo, gli abbandoni scolastici, le difficoltà del mercato del lavoro.
Sul versante più psicologico le cronache presentano una generazione attraversata da dolorose tensioni e da profondi turbamenti, descrivendo teenager annoiati che danno fuoco ai barboni, ragazze che vendono le proprie fotografie intime per una ricarica del cellulare, adolescenti che si impasticcano il sabato sera. Per questo il Pontificio Consiglio della Cultura esorta ad aprire una breccia nel pessimismo, forte della convinzione che «le nuove generazioni sono una preziosa opportunità e un’esigenza per gli adulti e per le comunità cristiane». Anche per questo il cardinale presidente ha aperto un dialogo su Twitter tramite l’hashtag #Reply2Ravasi, dove è possibile inviare domande e osservazioni sulle culture giovanili emergenti.
L'Osservatore Romano, 30 gennaio 2013.
E se l’accesso ai lavori sul tema «culture giovanili emergenti» sarà riservato ai membri e ai consultori del dicastero — una sessantina, provenienti dai cinque continenti — è però prevista anche una seduta pubblica il giorno dell’apertura. Tutti i dettagli saranno resi noti giovedì 31 gennaio, nella Sala Stampa della Santa Sede, nel corso di una conferenza di presentazione (con la partecipazione del cardinale presidente Gianfranco Ravasi, del vescovo delegato Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, e di due giovani, Alessio Antonielli e Farasoa Mihaja Bemahazaka), ma è già disponibile su internet il documento preparatorio.
Nell’Anno della fede, a pochi mesi dalla Giornata mondiale della gioventù che sarà celebrata a Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio prossimi, la «questione giovanile» è dunque al centro della riflessione della Chiesa. E la specifica lente con cui il Pontificio Consiglio mette a fuoco il fenomeno è quello dell’analisi culturale. Il quadro delineato rimanda a una condizione di frammentarietà, in cui manca un modello omogeneo di riferimento; una realtà insomma molto variegata, condizionata com’è da vari fattori quali l’influsso familiare, quello economico, l’ambiente sociale e quello formativo. Lo studio prende in considerazione le culture adolescenziali e giovanili — riferite a soggetti tra i 15 e i 29 anni — caratterizzate dalle enormi possibilità comunicative offerte dalla cultura visiva dominante. Ciò provoca il paradosso della contemporanea anticipazione dell’uscita dall’ambito parentale, da un lato, e dal posticipo del raggiungimento della vera indipendenza, soprattutto per mancanza di occupazione, dall’altro.
Il Pontificio Consiglio della Cultura nel documento si sofferma in particolare sull’evidente difficoltà nella trasmissione della fede ai giovani. Per questo, «al fine di produrre buone pratiche evangelizzatrici», rilancia la necessità di una visione completa dei problemi della famiglia e dei conflitti intergenerazionali, perché i giovani sono «spie sensibili» delle contraddizioni in cui viviamo e non degli «analfabeti emotivi», come troppo riduttivamente e semplicisticamente vengono descritti. Il loro disagio è alimentato infatti da due fattori: le trasformazioni in atto e l’inadeguatezza delle idee e dei discorsi degli adulti per interpretare tali cambiamenti. Ecco allora l’urgenza di interrogarsi su alcune questioni cruciali: come il mutamento culturale investe le nuove generazioni, quanto si sa delle loro logiche esistenziali, come comunicano, quali sono i valori, le tendenze, nella ricerca di identità e nelle relazioni col mondo adulto, quale modello di vita viene imposto loro, come si sviluppa il rapporto con la fede e in che modo esse con il loro protagonismo possono costituire una risorsa strategica per la società e per la Chiesa.
E proprio per cercare di capire il fenomeno a partire dai giovani, il Pontificio Consiglio della Cultura rende noti dati particolarmente interessanti, secondo i quali più della metà dei 5 miliardi di persone che vivono nei Paesi in via di sviluppo hanno meno di 25 anni e costituiscono il 50 per cento della popolazione; in pratica l’85 per cento dei giovani del mondo vive in tali nazioni. Al contempo essi risultano il gruppo più vulnerabile della società: circa 238 milioni di loro sopravvivono con meno di un dollaro al giorno, costituendo così il 25 per cento degli individui che vivono in condizioni di estrema povertà.
I dati rivelano che 133 milioni di persone tra i 15 e i 24 anni non sanno leggere né scrivere; tra un terzo e la metà dei giovani della stessa età non ha impiego in molti Paesi in via di sviluppo; mentre a livello globale, i giovani costituiscono il 41 per cento del totale dei disoccupati. Non va meglio sul fronte sanitario, visto che la metà dei nuovi infettati dal virus Hiv hanno meno di 25 anni e 12 milioni di essi sono sieropositivi o ammalati di Aids.
Dagli elementi in mano al dicastero appare chiaramente come in questi tempi fluidi, fugaci, di instabilità politica, educativa ed economica, non è troppo lontana dalla realtà la caratterizzazione dell’essere umano contemporaneo come «uomo alle intemperie»; espressione coniata dalla letteratura per descrivere quel sentimento di angoscia e smarrimento, le cui conseguenze più negative ricadono sulla vita delle persone particolarmente deboli e svantaggiate, tra le quali ci sono appunto i giovani. Di contro, l’essere «giovane» si è trasformato in uno dei grandi referenti quasi mitici della cultura contemporanea, praticamente l’unico modello socialmente disponibile, specie in Occidente. Tuttavia, il primato simbolico del giovanilismo nasconde una società che invece abbandona i giovani, confinandoli agli ultimi posti nella gerarchia di interessi che la muovono. Tra i motivi di preoccupazione, la crisi del sistema educativo, gli abbandoni scolastici, le difficoltà del mercato del lavoro.
Sul versante più psicologico le cronache presentano una generazione attraversata da dolorose tensioni e da profondi turbamenti, descrivendo teenager annoiati che danno fuoco ai barboni, ragazze che vendono le proprie fotografie intime per una ricarica del cellulare, adolescenti che si impasticcano il sabato sera. Per questo il Pontificio Consiglio della Cultura esorta ad aprire una breccia nel pessimismo, forte della convinzione che «le nuove generazioni sono una preziosa opportunità e un’esigenza per gli adulti e per le comunità cristiane». Anche per questo il cardinale presidente ha aperto un dialogo su Twitter tramite l’hashtag #Reply2Ravasi, dove è possibile inviare domande e osservazioni sulle culture giovanili emergenti.