lunedì 28 gennaio 2013

I sentieri del silenzio



...come spazio dell'ascolto e del dialogo
di Bruno Forte
in “Il Sole 24 Ore” del 27 gennaio 2013
La campagna elettorale ci va inondando di parole, spesso dette più per attaccare qualcuno, che per
proporre qualcosa: parole a volte perfino gridate, quasi che la fragilità del contenuto possa essere
autenticata dal chiasso della declamazione. Mi sembra perciò utile, per amore specialmente dei
destinatari di tanto sciupio di parole, riflettere su una crisi, cui mi sembra si dedichi ben poca
attenzione: quella, appunto, della parola, connessa inevitabilmente al suo corrispettivo, che è la
paura del silenzio. La via di uscita che vorrei proporre, a prima vista paradossale specialmente se
indicata nel clima arroventato dell'attuale agone politico, sta nel riscoprire i sentieri del silenzio,
non certo di quello della rinuncia a parlare, ma come spazio dell'ascolto, del dialogo, del dono.
L'esperienza di un giusto silenzio mi sembra possa rispondere alle inquietudini del nostro tempo,
segnato dalla crisi del "logo-centrismo" delle ideologie, più di tante, vane parole. Per molti aspetti,
la modernità di cui siamo figli, è stata il tempo del "logos", della parola e della fiducia nella potenza
delle parole. Non a caso si usava dire - ai tempi dell'ideologia rampante - che le parole vanno usate
come pietre. La storia del secolo da poco concluso, il "secolo breve", schiacciato fra le grandi crisi
belliche e la parabola dei totalitarismi, è ricca di esempi, molte volte drammatici, di questo abuso
della parola: dagli "slogans" messianici dei regimi, ai discorsi dei dittatori, dalla retorica dei
totalitarismi, alle enfasi della propaganda.
I "grandi racconti" ideologici hanno prodotto una vera e propria ubriacatura di parole. Il crollo di
questi mondi, frutto della violenza da essi stessi prodotta, ha messo in crisi la fiducia nella parola,
come se la sua centralità fascinosa fosse stata spazzata via. Eppure, della parola non possiamo fare a
meno: non bisogna rinunciare alla sua potenza, ma bisogna fare chiarezza. Per riscoprire il vero
valore della parola ricorro, allora, alla tradizione biblica, che ha offerto al mondo il "grande Codice"
delle "dieci parole", i comandamenti del decalogo, e la buona novella dell'incarnazione del Verbo.
Nella Bibbia la Parola arriva dal Silenzio, è abitata, cioè, dal Silenzio divino da cui proviene, e
proprio così diventa una finestra sul mistero, che avvolge tutte le cose.
Anche il Verbo di cui parla il Vangelo, pur nel suo continuo dialogo con il Padre, è abitato dal
Silenzio e abita il Silenzio. Ne è prova la vita di Gesù: i suoi silenzi, i suoi momenti di preghiera,
preparano e fecondano le sue parole. I trenta anni del silenzio di Nazaret sono seguiti da appena tre
anni - o anche meno, se si accetta la cronologia del quarto Vangelo - della predicazione. E anche
questa è continuamente rapportata al silenzio, vissuto come preparazione, attesa e risonanza
feconda. In questa prospettiva, si comprende come la parola abbia bisogno del silenzio per essere
accolta, assimilata e vissuta. Un innamorato della Parola, San Giovanni della Croce, grandissimo
mistico e vertice della poesia spagnola, non esita a scrivere: «Il Padre pronunciò la sua Parola in un
eterno silenzio, ed è in silenzio che essa deve essere ascoltata dall'anima» (Sentenze e spunti
d'amore, 21). Il silenzio potrà, dunque, salvarci dallo sciupio delle parole.
L'obiezione che si affaccia a una simile apologia del silenzio, è che essa rischia di uccidere la parola
e di privare specialmente chi aspira all'esercizio del potere del suo strumento naturale: le parole di
cui sono intessuti programmi, agende, promesse, resoconti, e - ahimé! - non di rado imbonimenti. Il
risultato cui mira questa mia apologia del silenzio vorrebbe essere tutt'altro: essa vorrebbe aiutare
tutti a liberarci non solo del "politichese", ma anche e specialmente di quella forma adulterata di
parola, che è il parlare in maniera "politically correct". Così, per fare un esempio, nessuno vuol
mettere in discussione il rispetto della dignità della persona, quale che sia il suo orientamento
sessuale, ma tacere sul valore insostituibile della famiglia, fondata sul matrimonio fra uomo e donna
e grembo della vita e dell'educazione dei figli, in nome di una ricerca del consenso, è operazione
falsa e dannosa per tutti. Ciò di cui abbiamo bisogno è il silenzio che fa germinare le parole vere e
lascia risuonare senza infingimenti la verità e il dono di sé, un dono che si esprime con la silenziosa
eloquenza dei gesti e con la forza di pronunciamenti sinceri, fuori di ogni chiasso o parvenza