lunedì 21 gennaio 2013

Il Volto di Dio e dell'uomo nel libro dei Salmi



Ho scelto il Libro dei Salmi perché in esso Dio e l’uomo sono in stretto dialogo. Il cardinale Gianfranco Ravasi spiega così in sintesi l’ispirazione che ha dato origine alle sue meditazioni, con le quali guiderà gli esercizi spirituali della prossima Quaresima in Vaticano. Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura li predicherà al Papa e alla Curia dal 17 al 23 febbraio, sul tema “Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e dell’uomo nella preghiera salmica”. Nell’intervista di Fabio Colagrande, il porporato spiega come abbia accolto l’invito di Benedetto XVI:

R. – Sicuramente, l’impressione è sempre quella di emozione, un po’, anche se in verità devo dire che per me l’aver pensato tra le tante strade possibili a un percorso sulla Parola di Dio, sulla Bibbia rende questo impegno anche più sereno. Devo dire che durante gli auguri che abbiamo rivolto al Papa – come Curia Romana – alle soglie del Natale, nell’incontrarmi Benedetto XVI mi ha sollecitato quasi idealmente ad essere contento di compiere questo atto anche perché – sono le sue parole – “sono curioso di vedere come lei svilupperà un percorso abbastanza lungo che è fatto di ben 17 tappe”. E questa curiosità spirituale, umana, culturale anche è in un certo senso qualcosa che può emozionarmi ma che dall’altra parte suggerisce anche una sorta di dimensione di intimità. Questo dialogo viene fatto all’interno di persone che lavorano, naturalmente, con il Santo Padre e che quindi sono, in un certo senso, anche miei colleghi. E’ un’atmosfera, quindi, da un lato emozionante ma anche, forse, familiare.

D. – “Ars orandi, ars credendi: il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica”: è il tema che lei ha scelto per questi esercizi. Perché ha voluto concentrarsi proprio sui salmi?

R. – Ho pensato a tante possibilità. Poi, ho pensato che proprio il Salterio avrebbe potuto essere la rappresentazione perfetta del volto di Dio e del volto dell’uomo. Dietrich Bonhöffer, il celebre teologo martire sotto il nazismo, ha una considerazione molto curiosa a questo riguardo. Dice: la Bibbia non è Parola di Dio? E come mai nella Bibbia ci sono i salmi, che sono preghiere e quindi evidentemente parole dell’uomo? Proprio per dimostrare che la rivelazione di Dio non è un soliloquio solitario di Dio nel suo orizzonte dorato, ma è un dialogo e nel dialogo ci dev’essere anche la risposta. E la risposta è, forse, proprio quella che Dio si attende da noi, perché ha messo il sigillo della sua ispirazione. Ecco, per questo motivo – direi – ho scelto per l’Anno della Fede, per parlare della fede, proprio un libro in cui della fede parla Dio, e al tempo stesso anche per l’uomo, che reagisce e risponde con la sua fede.

D. – Lei, però, introdurrà questi suoi esercizi sul Salterio con una riflessione sui verbi della preghiera: respirare, pensare, lottare, amare. Perché questa introduzione?

R. – Questa introduzione evidentemente è anche un po’ quasi provocatoria, perché di solito i verbi della preghiera che si usano sono – appunto – orare, lodare, invocare, supplicare… Mentre l’anima profonda della preghiera è molto più complessa, è, prima di tutto, certamente respirare: il respiro dell’anima. Lo afferma già Kirkegaard, il filosofo danese, il quale dice: ma perché noi respiriamo? Perché altrimenti non vivremmo. Ecco, lo stesso vale per la preghiera: è come il respiro dell’anima. Non dimentichiamo mai che proprio nel Salterio, ma proprio nell’esperienza di tutte le grandi culture religiose, c’è una dimensione fisica, corporale del pregare. Poi, pensiamo che cosa significhi per esempio anche il mistero di Dio: qualche volta è una lotta. Noi tutti ricordiamo la celebre lotta che Giacobbe stabilisce con Dio, l’Essere misterioso, lungo il fiume Iabbok, in quella notte. Ebbene, Osea dice che in quella notte, quella scena era la preghiera “invocare pietà”, la preghiera di Giacobbe. Quindi, qualche volte il cercare il mistero – pensiamo alle domande: “Fino a quando, Signore, te ne stai a guardare inerte?” (Salmo 13). Per quattro volte urla questo grido. E possiamo nella stessa maniera riferirci anche al pensare, perché – diceva Wittgenstein, un filosofo – “pregare è pensare al senso della vita”. E, con un gioco di parole in tedesco, un altro filosofo lontano da questioni strettamente religiose, come Heidegger, diceva: “Denken ist danken”, pensare è ringraziare. Perché è la grande scoperta che ti fa felice. Ecco perché allora la preghiera è anche pensiero. E da ultimo, però, bisogna dire che è un incrocio di dialoghi, è un incontro. Di fatti, l’elemento fondamentale è l’incontro e l’abbraccio. E io citerò anche qualche volta testimonianze che non appartengono alla cultura solo religiosa nostra. C’è una bellissima espressione di una mistica musulmana dell’VIII secolo – Rabia – la quale, sotto il cielo stellato di Bassora, la sua città in Iraq, dice: è sera. Sta scendendo la notte. Le stelle brillano in cielo. Ogni innamorato è con la sua amata e io sono qui, sola con Te, o Signore. Cioè, il linguaggio d’amore e il linguaggio della mistica. (R. V)