«Missione in Europa: le linee guida della Commissione degli
episcopati della Comunità europea (Comece)» è il tema della relazione
tenuta dal vice presidente della Comece, il vescovo di Piacenza-Bobbio,
alla conferenza dei visitatori d’Europa e del Medio Oriente della
Congregazione della missione. Ne pubblico ampi stralci.
(Gianni Ambrosio) Il beato Giovanni Paolo II, facendo tesoro delle
proposizioni dei padri sinodali, pubblicò nel 2003 l’esortazione
apostolica Ecclesia in Europa, un testo che ritengo fondamentale per la
missione della Chiesa in Europa. La Comece ha in programma alcune
iniziative per ripresentarlo a dieci anni dalla sua pubblicazione,
sottolineando in questo modo il nesso tra l’esortazione apostolica e il
lavoro dei vescovi che operano in questo organismo. Sono personalmente
convinto che le considerazioni di Giovanni Paolo II mantengano tutta la
loro attualità. Semmai possono essere ulteriormente precisate e
approfondite in riferimento a ciò che è avvenuto in questi dieci anni.
«È compito urgente della Chiesa offrire nuovamente agli uomini e alle
donne dell’Europa il messaggio liberante del Vangelo», scrive Giovanni
Paolo II. Messaggio liberante, messaggio di speranza, quella speranza
che, afferma il Papa, l’Europa pare aver smarrito. Sono «numerosi i
segnali preoccupanti che all’inizio del terzo millennio agitano
l’orizzonte del continente europeo». Innanzitutto, «lo smarrimento della
memoria e dell’eredità cristiane», accompagnato «da una sorta di
agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cui molti
europei danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale, come
degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla
storia». Il Papa non si meraviglia più di tanto «per i tentativi di dare
un volto all’Europa escludendone l’eredità religiosa e, in particolare,
la profonda anima cristiana, fondando i diritti dei popoli che la
compongono senza innestarli nel tronco irrorato dalla linfa vitale del
cristianesimo». Non è stata una battaglia per un’eventuale egemonia
culturale quella che ha visto l’impegno del Papa stesso nel chiedere che
nel testo della cosiddetta Costituzione europea ci fosse un riferimento
alle comuni radici cristiane, ma è stata una proposta per aiutare
l’Europa a non smarrirsi: «il tempo che stiamo vivendo è una stagione di
smarrimento», dovuto fondamentalmente al «tentativo di far prevalere
un’antropologia senza Dio e senza Cristo».
Uno smarrimento che non riguarda solo le istituzioni europee o alcuni
Paesi europei ma coinvolge tutti e non risparmia neppure i cristiani:
«Tanti uomini e donne sembrano disorientati, incerti, senza speranza. E
non pochi cristiani condividono questi stati d’animo». Così si genera
«una sorta di paura nell’affrontare il futuro», che si manifesta «nella
paura di fare figli e nel rifiuto di impegni definitivi, nel sacerdozio
come nel matrimonio». Così si diffonde «il vuoto interiore che
attanaglia molte persone, e la perdita del significato della vita». In
questo contesto si diffonde l’individualismo: si assiste a «un crescente
affievolirsi della solidarietà inter-personale e molte persone si
sentono più sole, lasciate in balia di se stesse, senza reti di sostegno
affettivo».
Concludo questi rapidi cenni sulla situazione religiosa e culturale con
un’ultima affermazione: «La cultura europea dà l’impressione di
un’apostasia silenziosa da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio
non esistesse». A questa affermazione di Giovanni Paolo II aggiungo una
citazione tratta dal discorso di Benedetto XVI tenuto il 24 marzo 2007
in occasione del convegno organizzato dalla Comece e dedicato a «Valori e
prospettive per l’Europa di domani, a cinquant’anni dalla firma dei
Trattati di Roma». Anche Benedetto XVI ha fatto ricorso al termine
“apostasia”, ma con una formulazione diversa che tocca ancora di più la
questione antropologica. L’Europa sta attuando un’apostasia «da se
stessa prima ancora che da Dio», e questo porta l’Europa a «dubitare
della sua stessa identità».
Alla luce di questa situazione, vediamo alcune linee di intervento per
la missione della Chiesa in Europa. Ne sottolineo tre, sempre desunte da
Ecclesia in Europa, a cui aggiungo un’indicazione più ampia e in
qualche modo riassuntiva di Benedetto XVI. Innanzitutto, Giovanni Paolo
II richiama il bene più prezioso che la Chiesa può offrire e che nessun
altro può donare: «la fede in Gesù Cristo, dono che sta all’origine
dell’unità spirituale e culturale dei popoli europei, e che ancora oggi e
per il futuro può costituire un contributo essenziale del loro sviluppo
e della loro integrazione». La seconda indicazione riguarda lo stile
della missione. Il Papa afferma che «nella logica della sana
collaborazione tra comunità ecclesiale e società politica, la Chiesa
cattolica è convinta di poter dare un singolare contributo alla
prospettiva dell’unificazione». Si tratta di collaborare e di sostenere
il processo di unificazione europea, sapendo che è “singolare” ed
“essenziale” il contributo della Chiesa. La terza indicazione concerne
l’impegno fattivo e competenze, attuato a ogni livello, personale e
istituzionale, per favorire il bene comune nel rispetto dei corretti
dinamismi democratici: «è necessaria una presenza di cristiani,
adeguatamente formati e competenti, nelle varie istanze e istituzioni
europee, per concorrere, nel rispetto dei corretti dinamismi democratici
e attraverso il confronto delle proposte, a delineare una convivenza
europea sempre più rispettosa di ogni uomo e di ogni donna e, perciò,
conforme al bene comune».
L’ultima linea di intervento, che riassume e precisa quelle precedenti, è
indicata da Benedetto XVI nel discorso già citato: «So quanto difficile
sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non
stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di
contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica
ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata
alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti
in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli
che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a
tale impegno un’efficace azione culturale (…). Il Signore renda fecondo
ogni vostro sforzo e vi aiuti a riconoscere e valorizzare gli elementi
positivi presenti nell’odierna civiltà, denunciando però con coraggio
tutto ciò che è contrario alla dignità dell’uomo». Sottolineo solo i tre
ambiti di lavoro: l’azione culturale, il dibattito pubblico, il
discernimento, riconoscendo e valorizzando gli elementi positivi della
civiltà europea odierna e denunciando ciò che è contrario alla dignità
umana.
Queste indicazioni del magistero pontificio e dei vescovi sinodali
costituiscono i punti di riferimento dell’attuale impegno della missione
della Chiesa in Europa. Questo vale certamente per la Comece, così come
vale per il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa. Senza
addentrarmi nel lavoro piuttosto complesso della Comece, mi limito a
dire che essa segue con attenzione tutte le normative, attua e realizza
confronti su temi con le istituzioni europee, offre pareri e proposte su
diverse questioni che riguardano la vita dell’Europa, dal punto di
vista culturale e sociale, politico ed economico, non solo per favorire
il cammino di pace e di giustizia, ma anche, e soprattutto, per mettere
in luce ciò che è in gioco nelle scelte, e cioè la persona umana, la
visione dell’uomo. Il nesso tra la fede e la questione antropologica è
particolarmente importante nel nostro contesto pluralistico e
democratico. Allora la cura della persona umana in tutti i suoi aspetti e
risvolti deve essere al centro della comunicazione della fede.
Un’esistenza impoverita, incapace di generare, stanca e rassegnata,
chiusa nel suo piccolo mondo, non è degna della persona umana.
L’antropologia postmoderna genera un profondo disagio delle persone, un
senso di vuoto interiore. Ma la denuncia ecclesiale non è sufficiente.
La denuncia segnala la difficoltà, anzi l’impossibilità, di vivere bene
con un “cielo chiuso”, nella solitudine, nel narcisismo, nella libertà
illusoria: la felicità dell’io richiuso in se stesso è una felicità da
consumo, inseguita come l’istanza che giustifica ogni cosa. Una simile
antropologia narcisista e consumista non ha escluso la fede, ma ha posto
le condizioni per non avvertire quasi più la domanda di senso. Insieme
alla denuncia, occorre operare per offrire un orizzonte più grande,
aiutando a superare la frammentarietà che si accontenta dell’attimo, con
una progettualità della persona, con segni di continuità, di fedeltà e
di spessore che incidono nella vita e aiutano a guardare in alto al
futuro.
La fede cristiana è realtà personale e pubblica. Questo risvolto
pubblico della fede è essenziale per la vita, per la vita del credente e
per la vita stessa delle nostre società. Questa dimensione pubblica può
essere recuperata e affermata entrando nel dibattito pubblico con
competenza, con serietà, con rispetto. Le comunità religiose devono
essere accolte nello spazio pubblico, come Jürgen Habermas, per esempio,
ha più volte affermato. Da parte dei credenti e delle comunità
religiose si tratta di “rendere ragione”, di proporre, di dialogare, di
testimoniare la disponibilità al servizio e alla solidarietà. Questo
servizio che la fede cristiana e le comunità ecclesiali possono rendere
alla società è prezioso per consolidare le basi stesse delle società
pluraliste e democratiche.
L’ultima linea-guida che evidenzio è la trasparenza della Chiesa per la
missione in Europa. Ciò che costituisce la Chiesa nel suo intimo più
vero e più profondo non nasce dalla Chiesa e dai suoi progetti, ma
dall’azione di amore di Dio nei confronti dell’umanità. Gesù Cristo ha
portato a compimento il progetto di amore di Dio e ha reso noi, uniti a
Lui, creature nuove. Gesù Cristo è l’insuperabile compimento della
speranza dell’uomo. La Chiesa deve lasciar trasparire la bellezza e la
grazia di questo amore di Dio e annunciare il legame stretto tra Cristo e
l’uomo, legame che, secondo una densa formulazione del cardinale
Kasper, porta a riconoscere che la determinazione cristologica
dell’esser uomo non è qualcosa d’estraneo all’uomo. La Chiesa, e in essa
la Comece, svolge la sua missione in Europa e si pone al servizio della
persona e della società europea offrendo il suo contributo cercando di
essere sempre di più ciò che è nel disegno di Dio: e cioè di essere, «in
Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento
dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen
gentium, 1).
L'Osservatore Romano, 22 gennaio 2013.