mercoledì 23 gennaio 2013

Un gancio in mezzo al cielo




Giulia ha 14 anni, non ancora una donna, ma neppure una bambina ingenuamente infantile.
A 14 anni sei una ragazza,  un’adolescente. Una, cioè, il cui umore è un continuo saliscendi, la cui identità fisica e personale è un continuo divenire.
A 14 anni sei ancora un cantiere di pensieri e di esuberanza, ma il progetto comincia a prendere corpo. Giulia è una ragazza. Come ce ne sono altre, ma anche no. Giulia è una ragazza felice perché ha vissuto. Non è facile vivere specie se a 12 anni ti diagnosticano un tumore. E a 14 muore.  Eppure, Giulia ha vissuto una vita intera. Una vita vera. Una vita eterna.
Giulia non è una bambina, ma ha della bambina la capacità di stupirsi e di meravigliarsi. Ha il senso della fiducia e sa riconoscere a chi riporre la propria mano. Nei suoi genitori, negli insegnanti che le fanno scuola in ospedale, in quei banchi speciali che sono i letti e avendo come grembiule il
pigiama. Si affida ai medici, “supereroi” che l’hanno presa in cura. Con la sua mano, nella loro, Giulia, come ogni bambino cammina sicura nel sentiero oscuro tracciato da un sarcoma. Ma più di tutte, sono le mani di Dio quelle che sente come convincenti e forti e sicure. “Ogni giorno, le mie sofferenze e anche le mie gioie le affido tutte al Signore, perché so che lì sono nelle mani giuste…”.
Eppure, in Giulia ci sono i tratti della donna che affronta con paura (e chi non ne ha?) e coraggio il dolore. La serietà e la serenità con cui sta dinanzi all’urto della vita è
commovente. Dopo la Cresima si domanda continuamente “Cosa devo fare?”. La Cresima per questa ragazza di Bergamo non è la fine del percorso cristiano. E’ il compimento. La sua è la domanda di chi è profondamente consapevole che nella sua anima è sceso ad abitare lo Spirito che “è Signore è da la vita”. Nel mentre che vive l’ultimo anno di scuola media progetta sogni perché non siano evanescenti, ma segni di un futuro che l’attende.
La sua storia è una rivendicazione di maturità di una donna per come assolve ai doveri scolastici e vuole comprendere fino in fondo il contenuto della sua malattia.
Le molteplici testimonianze presso le scuola le hanno permesso, raccontando di sé, di fare quell’operazione che rende compiutamente adulti, ossia di prendere coscienza di sé, della propria piccolezza, così come della propria grandezza davanti a Dio. La maturità della vita è, infatti, la disillusione di sé, della propria onnipotenza e similmente l’intuire che la vita non trova in sé la propria risposta. Il cuore dell’uomo è come una scatola nella quale “più tu metti dentro roba e più diventa grande perché manca quella cosa, manca sempre il Signore”.
Giulia non afferma la propria femminilità nella rivendicazione di diritti, in una litania stancante del giusto e dell’ingiusto, del “perché?” o della lamentela continua. Questa quattordicenne riconosce che il proprio cuore è fatto per l’infinito che neppure un tumore è in grado di ridimensionare. Questo sguardo più grande su di sé, sulla realtà, sugli altri le offre la possibilità di guardare con una personalità, tutt’altro che ingenua, all’esito.
“La mia storia può finire solo in due modi: o grazie ad un miracolo con la completa guarigione, che io chiedo al Signore perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio io. Oppure incontro al Signore, che
è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali. L’importante è che, come dice Chiara Luce, sia fatta la volontà di Dio”.
Il compimento è un Altro. Giulia lo sa e non ha timore. Dentro la paura naturale della morte, è profondamente certa che sta andando incontro ad uno che la conosce, la stima, la ama così com’è. “Mi piacerebbe quando dovrà accadere che il Signore mi ricevesse per quello che sono, Giulia Gabrieli”.Conosciuta per nome e cognome. Così, avverte di essere davanti a Dio. Con fierezza.
Vorrei essere bella ed elegante, ma quella che sono. Niente trucco, niente di niente. Semplice”.
In questo, Giulia è un’adolescente meravigliosa. Questa stagione della vita così delicata e irrequieta, è in realtà la cifra del nostro essere. L’infanzia è segnata dalla fiducia e dalla dipendenza, la maturità consegna solidità ed equilibrio, l’adolescenza domanda senso, finché non trova tutto. Non si accontenta di tanto.
La storia di Giulia è la storia di una ragazza felice perché ha trovato questo tutto. Gli dà del Tu. E può sentire l’amarezza di  chi non solo non l’ha trovato, ma neppure lo cerca. “State facendo una caccia al tesoro, senza il tesoro”.  E’ il grido che lancia ai suoi coetanei già vecchi perché intorpiditi dal non senso e dallo scetticismo che affoga il tutto nel sesso mortifero, negli happy hour disperati, nelle ore tese a cercare il niente, unica certezza di una vita vissuta all’insegna del “voglio cercare un senso a questa vita anche se questa vita un senso non ce l’ha”. Il senso per Giulia è Dio. “Un gancio in mezzo al cielo” è il titolo di un libro che Giulia ha scritto senza scriverlo (ed.paoline, pag. 124, euro 12). E’ la raccolta di suoi interventi, di suoi scritti, di sue lettere che raccontano l’esperienza di una che dinanzi al dolore non ha trovato la disperazione ma un gancio, ossia un Dio che si lascia incontrare ed afferrare. Un gancio che Dio offre per il tramite di alcuni amici che ci conducono più in là di dove non saremmo capaci di arrivare. Chiara Luce Badano è il traino con cui Giulia vive l’esperienza del dolore. Con lei ripete “Se lo vuole Dio, lo voglio anch’io”. E il dolore diventa esperienza di offerta e di missione, di Grazia e di amore.
Stupisce come in una ragazza di quattordici anni , dilaniata da un male lacerante che la porta via dai suoi sogni e dai suoi cari, la parola più ricorrente, il pensiero più dirompente è “Grazie”. “Mi sono accorta che nelle corone del Rosario manca una preghiera così di puro ed esclusivo ringraziamento. La voglio scrivere io”. E con una faccia tosta come di chi è caparbia e desidera ciò che di vero ha intuito, scrive al Vescovo per sollecitarlo ad accogliere il suo proposito.
La sua storia è un infinito Grazie che merita di essere conosciuto per poter dire a lei, Giulia Gabrieli, il grazie di chi ha bisogno di sapere che è possibile vivere così. (M. Vacchetti)