giovedì 21 novembre 2013

Così parlò Eugenio Scalfari il 21 novembre 2013



Giovedì 21 novembre 2013 Eugenio Scalfari è venuto a via dell’Umiltà, presso la Sala Stampa estera, per rispondere alle domande di una quindicina di corrispondenti là accreditati. Sono state due ore seguite dai presenti con molta attenzione: quasi tre quarti del tempo il fondatore di ‘Repubblica’ li ha dedicati a evocare e precisare origini, sviluppi, forme e contenuti dei suoi rapporti con papa Francesco. E qui due almeno sono stati i momenti scalfariani di grande interesse.
Il primo – rispondendo a una nostra domanda - quando ha detto che le sue interviste sono fatte senza registratore e neppure bloc-notes: “Cerco di capire la persona intervistata e poi scrivo le risposte con parole mie”. Anche con papa Francesco è andata così: “Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite, il Papa non le condivida, ma credo anche che ritenga che, dette da un non-credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge”. 
Secondo momento di grande interesse quando Scalfari ha dato lettura di uno scritto inviatogli da papa Bergoglio in data 23 ottobre (un mese dopo l’intervista e tre settimane dopo la pubblicazione su ‘Repubblica’), in cui Francesco ringrazia per aver ricevuto l’ultimo libro dell’intellettuale liberal “L’amore, la sfida, il destino”, anche avendo “apprezzato molto la dedica autografa”. Aggiunge poi il Papa: “Piacerebbe anche a me incontrarci ancora per approfondire i temi su cui abbiamo iniziato la nostra conversazione durante la Sua recente visita”. Segue una contro-proposta del figlio di Sant’Ignazio, riferita a una proposta di nuovo argomento di discussione avanzata dall’intellettuale liberal-democratico: invece di “Chi ha creato il male?” il Papa suggerisce “Chi ha causato il male?”. E prosegue: “Vediamo se la Provvidenza mi permetterà di trovare un momento libero” per proseguire la conversazione. La conclusione richiama come sempre la preghiera: Francesco pregherà per Scalfari e per la sua “ricerca interiore” e chiede che Scalfari preghi per lui (Scalfari: “Sono un non-credente; dunque non prego, ma lo penso”).
Bisogna evidenziare che non necessariamente, se Scalfari ha riportato ‘creativamente’ alcune frasi di Francesco, le ha sostanzialmente travisate. Le ha certo interpretate. Qui però si pone un problema: per molti la parola del Papa è guida preziosa: se la vedono riportata tra virgolette, deducono che sia stata pronunciata effettivamente. L’interpretazione qui – e quella di Scalfari non fa eccezione – è rischiosa, poiché comporta il sorgere di malintesi e confusione tra i fedeli. Il che può essere anche una spiegazione del ritiro dell’intervista scalfariana dal sito internet del Vaticano (www.vatican.va) che riporta gli scritti papali.
Nella conversazione con i corrispondenti dei giornali esteri Eugenio Scalfari ha detto anche molte altre cose su papa Francesco e dintorni, rievocando vivacemente alcuni momenti dei suoi rapporti con lui. Dopo la pubblicazione dei due editoriali di domande al Papa (7 luglio e 7 agosto), Scalfari riceve una lettera da Giovanni Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato, in cui l’arcivescovo sardo riferisce che il Papa aveva letto gli articoli e avrebbe risposto per iscritto, non subito perché aveva molto da fare. Ringraziamenti di Scalfari, con l’aggiunta che il fondatore avrebbe preferito un incontro faccia a faccia.
Più nulla per qualche settimana. Ma… Scalfari era in vacanza all’Argentario, quando gli telefona la colf ecuadoregna: “E’ arrivata una lettera con stemma vaticano”. La apra. “C’è un primo foglio firmato da Becciu, in cui dice di trasmettere una lettera di papa Francesco”. Quante cartelle? “Sono nove cartelle”.
Scalfari torna a Roma e manda a prendere la lettera, datata 4 settembre, di cui prende visione.  Telefona allora a Santa Marta: gli passano il segretario particolare mons. Alfred Xuereb (“E’ un maltese, con quel cognome deve avere antenati arabi”), Scalfari ringrazia e preannuncia la pubblicazione della lettera papale su ‘Repubblica’. Ciò che avviene l’11 settembre. Passa qualche giorno e poi, il 20 settembre, Scalfari riceve una telefonata dalla segretaria dalla “voce affannata”: “C’è il Papa al telefono!”. Scalfari in un primo tempo dice di aver pensato a uno scherzo di un imitatore. Poi dalla cornetta fuoriesce una “voce inconfondibile”: “Sono papa Francesco, buongiorno”.  Santità, sono molto confuso. “Perché confuso? Lei mi ha chiesto un colloquio…” Il Papa, racconta Scalfari, “parla tra sé: mercoledì no, martedì… martedì Le va bene? L’orario è un po’ scomodo, è alle 15.00. Se non Le va bene, cerchiamo un altro giorno”. No, non è affatto scomodo. “Deve venire a Santa Marta”. Da dove devo entrare? “Dal Sant’Uffizio, troverà qualcuno ad aspettarLa”. Santità, ho letto proprio ieri l’intervista a ‘Civiltà Cattolica’…”L’ha letta tutta? Sì. “E non si è addormentato”? No, mi sembra importantissima. Scalfari vorrebbe abbracciare il Papa telefonicamente. Il Papa rimanda all’abbraccio fisico del martedì successivo, il 24 settembre.
A Santa Marta la conversazione dura ottanta minuti. Alla fine Scalfari chiede al Papa: “Santità, Lei mi permette di dare pubblica notizia della conversazione e mi permette anche di raccontarla?”. E il Papa: “Certo, la racconti”. Scalfari: “Le mando la copia prima”. Francesco: “Mi sembra tempo perso”. Scalfari: “Non mi sembra tempo perso. Io ricostruisco, Lei fa le correzioni”. Francesco: “Se Lei insiste… ma, ripeto: è una perdita di tempo. Di Lei mi fido”.
Elaborata l’intervista (che Scalfari preferisce chiamare “conversazione” o “dialogo”), il fondatore la invia al Papa scrivendo tra l’altro in allegato: “Le debbo comunicare che ho ricostruito in modo che il racconto del dialogo sia compreso da tutti. Tenga conto che alcune cose che Lei mi ha detto non le ho riferite. E che alcune cose che Le faccio riferire, non le ha dette. Ma le ho messe perché il lettore capisca chi è Lei”. Passa un paio di giorni, poi telefona mons. Xuereb. “Il Papa mi ha dato l’o.k. per la pubblicazione” . Ma il Papa ha letto la lettera accompagnatoria?“Questo non me l’ha detto”. Glielo domandi, per favore. “Questa mattina è in giro. Torna alle due. Poi La richiamo”.
In effetti Scalfari viene richiamato alle due e un quarto: “Il Papa ha detto: Ridagli l’o.k.”. E il giorno dopo, primo ottobre, l’intervista/conversazione/dialogo appare su ‘Repubblica’. Così parlò Eugenio Scalfari il 21 novembre 2013 nella sala Biblioteca della Stampa estera di Roma, via dell’Umiltà 83c.
G. Rusconi

*

Quanta confusione su coscienza e misericordia

di Marco Guzzi

Uno degli aspetti più inquietanti di questo tempo convulso e faticoso è la spaventosa confusione mentale in cui stiamo precipitando giorno dopo giorno, per cui risulta sempre più difficile non dico concordare su qualsiasi punto di discussione, ma perfino intenderci sui concetti basilari su cui impostare un qualunque discorso.
Credo che la recente controversia nata dalla conversazione tra il Papa ed Eugenio Scalfari sul tema del primato della coscienza individuale mostri con chiarezza il livello di fraintendimento concettuale in cui continuiamo a comunicare. I due interlocutori infatti parlavano evidentemente di due cose del tutto diverse: uno si riferiva alla coscienza come sacrario ultimo dello spirito umano, come cioè spazio di ascolto della voce di Dio in noi, e l'altro intendeva invece quel mutevolissimo discorso interiore dell'individuo, che il più delle volte legittima tutti i nostri più grossolani errori. Il Papa pensava probabilmente alla coscienza illuminata dalla fede, e cioè resa giusta, giustificata appunto dalla luce della Rivelazione di Cristo (come precisa il Catechismo della chiesa Cattolica al n. 1794: "La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera", e come Papa Francesco ci illustra in tutta la sua Enciclica Lumen fidei), mentre l'altro difendeva semplicemente quell'arbitrario e superficiale opinare individualistico, irrelato e rigidamente a-teo, privo cioè di qualsiasi autentica umiltà e disponibilità all'ascolto e alla conversione, in base al quale, come dice san Paolo gli uomini "hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa" (Rm 1,21).
Papa Ratzinger ha chiarito molto bene questi fraintendimenti nel suo saggio su "L'elogio della coscienza", dove per esempio scrive: "Chi fa coincidere la coscienza con convinzioni superficiali, la identifica con una sicurezza pseudo-razionale, intessuta di autogiustificazione, conformismo e pigrizia". (sulla complessità e sull'ambiguità del concetto di "coscienza" vi segnalo anche questo mio scritto).
Ma questo è solo uno dei molteplici esempi della confusione mentale in cui stiamo annegando. Ogni giorno assistiamo infatti a dibattiti in cui letteralmente non si capisce più di che cosa si discuta, in cui cioè gli interlocutori non hanno più quasi nessun punto in comune, nessun concetto condiviso, per cui semplicemente si attaccano e si azzannano come cani rabbiosi, alla cieca.
Ciò risulta particolarmente drammatico nelle sempre più accese discussioni intorno alle questioni morali, alla valutazione cioè di ciò che sia bene e di ciò che sia male. Qui davvero le acque già torbide delle nostre menti contemporanee si fanno tenebrose, assumendo la densità e la pesantezza del petrolio.
Ci si chiede, ad esempio, in ogni talk show e ormai da anni: ma è bene andare con le ragazzine a settant'anni come fa Berlusconi, ed è bene andare con vecchi ricconi se sei una ragazzina emancipata e scaltra che vuole fare rapida carriera? E perché no, che male c'è, se sono tutti adulti e consenzienti? È bene poi sposare una persona del proprio stesso sesso, e magari produrre qualche figlio affittando un utero di qualche giovane ragazza indiana? E perché no? Se vogliono un figlio? Chi sei tu per giudicare? Sei forse meglio tu? E perché un ricco anziano non può spassarsela un po' anche con un ragazzino? Come facevano Pasolini o Whitman o Caravaggio o papa Giulio III che nominò addirittura cardinale e segretario di stato il suo amante diciassettenne? E a che età poi l'amore diventa pedofilia? Il grande poeta protoromantico tedesco Novalis amava Sophie che aveva solo 12 anni, e allora? Non basta l'amore a giustificare ogni cosa, come dice Obama? E perché impedire allora l'amore per due persone contemporaneamente? Perché dovrei amare solo una donna o solo un uomo, e non una donna e un uomo insieme? E perché non posso sposarmeli entrambi? Non è questa una violenta prevaricazione, un voler imporre un arcaico moralismo monogamico agli aneliti più liberi e polimorfi del cuore? Chi sono io per giudicare un bigamo o un poligamo o un evasore fiscale o lo stesso Priebke che in fondo ha semplicemente obbedito alla propria coscienza, come tutti i membri delle SS d'altronde che, come scrive ancora Papa Ratzinger «portarono a compimento le loro atrocità con fanatica convinzione ed anche con un'assoluta certezza di coscienza», e che quindi dovrebbero essere giustificati e dovremmo cercarli in paradiso?
E via così confondendo ogni cosa, servendosi perfino della dolcissima misericordia di Gesù per legittimare la propria corruzione e l'ostinazione impenitente e piena di orgoglio a non cambiare vita. Ma il Cristo accoglie tutti noi peccatori e stanchi, per curarci e per guarirci dal cancro dei nostri peccati, sui quali emette da lucido chirurgo diagnosi prive di qualsiasi indulgenza, col suo stile come sempre politicamente scorretto: "Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno" (Mt 18,8).
Senza questa durezza terapeutica si rischia di confondere la misericordia di Dio con la legittimazione del peccato, causando così la rovina del peccatore, che prima o poi purtroppo pagherà comunque amaramente e, come dice Gesù, "fino all'ultimo spicciolo" (Lc 12,59), il prezzo salato della propria menzogna non riconosciuta come tale: "E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia" (Rm 1,28-31).... Ottima descrizione di tutti noi, fratelli, non vi pare? di una società mostruosamente ipocrita, moralista e oscena al contempo.
No, fratelli, siamo seri e non inganniamoci: la misericordia di Dio è il dono costante della vita per chi, pentendosi delle proprie follie, ritorna liberamente nel regno di amore e di abbondanza del Padre. Senza questa conversione/ritorno restiamo imprigionati nei nostri inferni di menzogna, e rifiutando il dono della grazia rifiutiamo noi stessi il perdono. Questo rifiuto è infatti la vera bestemmia contro lo Spirito Santo, quell'unico peccato cioè che, secondo il Cristo, non verrà perdonato "né in questo mondo né in quello futuro" (Mc 3,29). Chi rifiuta la conversione e il perdono, in altri termini, non vuole e quindi non può essere perdonato. Sant'Agostino, nel suo LXXI Discorso, è molto preciso su questo punto: "Contro questo dono gratuito, contro questa grazia di Dio parla il cuore impenitente. La bestemmia contro lo Spirito, dunque, è il non volersi pentire (impoenitentia)".
Questa confusione però, carissimi, io credo che porti con sé un elemento di grande positività, e cioè ci sta mostrando con chiarezza lancinante tutti i limiti del puro ragionamento, il fatto cioè che queste controversie fondamentali non possano più risolversi sul piano dialettico del confronto razionale. Stiamo comprendendo che la ragione è uno strumento necessario ma insufficiente per dare un qualsiasi ordine al pensiero e alla vita, in quanto può essere messo al servizio della stessa menzogna. Tutti noi cioè possiamo benissimo utilizzare la nostra ragione anche con finezza per difendere i nostri errori più grossolani, e costruire così la via della nostra distruzione. D'altronde, come diceva Baudelaire, Satana non è uno dei migliori maestri di dialettica?...
Il problema della ricerca della verità e quindi della giustizia, di ciò che è giusto o ingiusto, non è cioè un problema della ragione, quanto piuttosto della mente, intesa come totalità del nostro essere, come mistero del nostro Io, e più precisamente dello stato in cui si trova la nostra mente. Una mente alienata e distorta, infatti, un Io dis-integrato e scisso, ragiona in modo distorto e trova sempre moltissime ragioni per giustificare i propri errori. Per cui se desideriamo per davvero cercare la verità e la salvezza, dobbiamo imparare innanzitutto e sempre di nuovo a rinnovare la nostra mente ottenebrata, a svuotare e a rovesciare il nostro vecchio Io, per farlo rigenerare e illuminare dalla luce che illumina ogni cosa, e cioè dalla luce di Dio, dal suo pensiero, dal suo Respiro beatificante, dal Cristo-Verità-Amore che è in noi.
Questa gravissima confusione mentale ci sta cioè spingendo verso una ricomprensione post-moderna, e cioè successiva al delirio razionalistico degli ultimi due secoli, del carattere iniziatico della vera conoscenza, e quindi anche dello sviluppo in noi di una coscienza retta in grado di giudicare/ragionare perfetta-mente, come ci chiede il Cristo: "perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?" (Lc 12,57).
Solo incamminandoci lungo il faticoso cammino della purificazione e della conversione (meta-noia) della nostra mente, del quotidiano riconoscimento di tutte le nostre strategie di mascheramento e di autoinganno, solo nella ricerca umile e sincera di quell'aiuto che viene dall'Alto, di quella luce che dà respiro e ristoro al nostro cuore malato, solo così possiamo uscire dalla confusione mentale e gustare la limpidezza di una verità che ci libera e ci salva.