giovedì 21 novembre 2013

Dalla contemplazione alla Nuova Evangelizzazione




Nella giornata pro orantibus. Dalla contemplazione all’avanguardia della nuova evangelizzazione

(José Rodríguez Carballo, Arcivescovo segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica) Trasmettere la fede, seminare la Parola, annunciare e testimoniare il Vangelo nel mondo attuale: ecco, in sintesi, l’essenza della nuova evangelizzazione, la cui urgenza tocca l’intera Chiesa e davanti alla quale non può restare indifferente la vita interamente contemplativa e claustrale. Nella giornata pro orantibus, dedicata a coloro che hanno fatto una scelta di vita interamente contemplativa e vivono nel “ritiro” del chiostro, credo sia utile e anche doveroso domandarci: come possono partecipare alla missione evangelizzatrice della Chiesa coloro che hanno fatto una scelta di vita caratterizzata, tra molti altri elementi, dall’accentuazione della differenza che si manifesta nel gesto di vivere “separati”, messi da parte solo per Dio? Porsi questa domanda è più che ovvio se si tiene presente che per molti la missione è legata alle opere e l’evangelizzazione a “strategie” di evangelizzazione. Se questi collegamenti fossero assoluti sarebbe difficile spiegare come uomini e donne interamente dedicati alla contemplazione nel chiostro possano inserirsi nel mandato missionario ed evangelizzatore conferito da Cristo a tutta la Chiesa. Proprio per evitare questi collegamenti assoluti tra opere/strategie ed evangelizzazione, il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, parlando di questa, ha ritenuto importante ricordarci che non è tanto questione di “strategie”, ma, soprattutto, una questione spirituale. 
In questo contesto va detto che la dimensione contemplativa, l’atto più alto e pieno dello spirito, che costituisce il coronamento dell’immensa piramide dell’attività umana e che porta a fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Dio, deve caratterizzare la missione evangelizzatrice della Chiesa. In questo modo la relazione tra vita interamente contemplativa ed evangelizzazione è più che evidente. 
Tentiamo, dunque, di rispondere, anche se brevemente, alla domanda formulata prima, e cioè: come può la vita claustrale contemplativa rispondere alla sua missione evangelizzatrice, rispettando la propria vocazione interamente contemplativa?
Nel tentativo di dare risposta a questa domanda, ritengo chiara una prima considerazione: se solo una Chiesa evangelizzata può diventare evangelizzatrice, allora anche solo una vita claustrale interamente contemplativa evangelizzata, può diventare evangelizzatrice. Ecco, allora, una prima e importante esigenza affinché i contemplativi claustrali diventino, anch’essi, partecipi della missione evangelizzatrice della Chiesa: lasciarsi evangelizzare da Cristo, accogliere il Vangelo per quello che è, una forma di vita, in modo tale da diventare “Vangelo vivente”, “esegesi vivente del Vangelo”. 
Anche per una forma di vita interamente contemplativa, anzi specialmente per tale forma di vita, è valido quanto afferma dell’apostolo Giovanni nella prima lettera: «Quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto, quello che le nostre mani hanno toccato… ora lo annunciamo a voi». Proprio perché i contemplativi “vedono” e “toccano” possono testimoniare e, quindi, annunciare.
Se, come spiega il Sinodo sulla nuova evangelizzazione nel messaggio al popolo di Dio «l’opera della nuova evangelizzazione consiste nel riproporre al cuore e alla mente, non poche volte distratti e confusi, degli uomini e delle donne del nostro tempo, anzitutto a noi stessi, la bellezza e la novità perenne dell’incontro con Cristo» e se «la Chiesa sente di doversi sedere accanto agli uomini e donne di questo tempo, per rendere presente il Signore nella loro vita», in modo che possano incontrare Colui «che solo può dare significato pieno all’esistenza» chi potrà rispondere meglio a questa vocazione/missione se non i contemplativi? Certo questa risposta sarà possibile a due condizioni: che essi per primi si lascino incontrare, sedurre e conquistare da Cristo, e che anch’essi siedano accanto «agli uomini e donne del nostro tempo», pur in modo diverso da come lo fanno gli altri consacrati. 
Il vero contemplativo è una persona “decentrata” da se stessa, per “centrarsi” in Lui e accoglierlo come il Tutto, «ricchezza a sufficienza» (san Francesco). Il vero contemplativo è colui/lei che «ha il cuore rivolto costantemente al Signore» (san Francesco). È tenendo conto di questa esigenza — «stare con il Signore» — che deve essere capita la clausura. 
D’altra parte le claustrali, optando per una vita “separata” e “nascosta”, — che non ha niente a che fare con una vita “isolata” e “assente” — si separano da tutti per unirsi a tutti, per camminare in modo “nascosto” (ma non per questo meno reale) con gli uomini e donne di oggi e per “sedersi” accanto a loro sulla sponda del pozzo, indicando a essi “l’acqua viva”, l’unica che può colmare la sete di Dio. Proprio perché le claustrali non vivono “assenti”, nulla che fa riferimento all’uomo può essergli estraneo, e particolarmente quanto fa riferimento all’umanità ferita e sofferente. 
Ecco perché la vita contemplativa e claustrale «ha anche una straordinaria efficacia apostolica e missionaria». Se qualcosa caratterizza la vita consacrata, e in modo particolare la vita interamente contemplativa, è il riconoscimento della presenza viva del Signore nella nostra vita e nella nostra storia, e se solo il discepolo/a contemplativo/a può trasmettere la Buona Notizia, allora la vita interamente contemplativa è, per sua propria natura, evangelizzatrice. Chi ha scelto una vita interamente contemplativa, vivendo in modo particolare la comunione con Cristo, ci mostra quello di cui veramente abbiamo bisogno per vivere una vita vera, autentica e piena. Inoltre dà una risposta di spiritualità alla nostra ricerca del sacro e alla nostalgia di Dio, mentre ci indica il cammino verso la trascendenza. Quali città costruite nella montagna e luci posti nel candelabro, quante si dedicano alla vita interamente contemplativa claustrale prefigurano visibilmente la mèta verso la quale cammina l’intera comunità ecclesiale.
L'Osservatore Romano