giovedì 21 novembre 2013

Il Papa e le monache



La visita del 4 ottobre alla basilica di Santa Chiara ad Assisi e l’incontro con le claustrali. Il nostro signor Papa

È stata una giornata memorabile quest’anno la solennità di san Francesco: un 4 ottobre che resterà indimenticabile per il mondo francescano e la nostra comunità di Sorelle povere di santa Chiara che vive accanto alle spoglie mortali della “pianticella” di Francesco, custodite nella basilica a lei dedicata. Questa visita ha avuto, per noi clarisse, un significato davvero grande, che va a toccare le radici più profonde della nostra vocazione nella Chiesa e per la Chiesa. In lui abbiamo incontrato il nostro «signor Papa» (Regola di santa Chiara, I, 3) a cui santa Chiara e le sue figlie, attraverso otto secoli di storia, hanno «promesso obbedienza e riverenza», vivendo, come ci chiede la nostra Regola, «suddite sempre e soggette ai piedi della santa Chiesa, salde nella fede cattolica» (ibidem, XII, 13). «Il nostro signor Papa»: espressione in cui risuona tutta la fede di Chiara, la sua confidenza filiale e l’amore appassionato a Cristo vivente nel suo corpo mistico. Ma, nel nome del successore di Pietro, ci sono venuti incontro anche il volto e la paternità di Francesco, il nostro serafico Padre, colui del quale Chiara si definisce appunto la «pianticella» (Regola di santa Chiara, I, 3), a cui ha sempre guardato come a «vero amante ed imitatore del Figlio di Dio» (Testamento di santa Chiara, 5).
Certamente uno dei momenti più significativi di questa visita è stata la discesa nella cripta della basilica per sostare presso l’urna che custodisce i resti mortali della nostra santa, alla quale il Papa ha offerto, con un gesto di semplice devozione, un piccolo mazzo di fiori. Un silenzio profondo ha avvolto questo incontro tra Papa Francesco e Chiara: incontro in cui è stato possibile assaporare tutta la bellezza della comunione dei santi, «comunione di vita tra coloro che appartengono a Cristo comunione che va oltre la vita terrena, oltre la morte e dura sempre». Lo abbiamo visto raccogliersi in un’intensa preghiera davanti al corpo di Chiara; inginocchiate accanto a lui, in quel luogo a noi tanto caro, lo abbiamo affidato, commosse, all’intercessione della nostra santa Madre. Non potevamo non “risentire”, in quell’istante, la voce di Chiara che invocava la bontà misericordiosa di Dio su di lui e su tutti noi: «Vi benedico in vita mia e dopo la mia morte, come posso e più di quanto posso con tutte le benedizioni con il quale il Padre delle misericordie benedisse e benedirà i suoi figli e le sue figlie spirituali in cielo e in terra» (Benedizione di santa Chiara, 11-12).
Il Papa ha potuto venerare e baciare il breviario usato da san Francesco negli ultimi anni della sua vita, affidando a noi clarisse un’intenzione che gli sta molto a cuore per la santità sacerdotale: «Pregate perché i sacerdoti amino la preghiera del breviario: è una preghiera tanto bella». Poi la gioia della comunione è traboccata nell’incontro di tutta la comunità col Santo Padre nella cappella del Crocifisso di san Damiano, dove lo sguardo del Papa si è incrociato con i grandi occhi di quel Cristo che, dall’alto della Croce, ha parlato a san Francesco. Era la prima volta che Papa Francesco parlava pubblicamente alle claustrali, per cui questo messaggio è stato rivelativo della sua comprensione e della sua stima nei confronti della vita integralmente contemplativa: «Quando una suora nella clausura consacra tutta la sua vita al Signore, accade una trasformazione che non si finisce di capire», ha esordito il Papa. Con semplicità ha saputo toccare quei tratti della nostra relazione con il Signore, con gli altri e con noi stesse, che fondano una vera esperienza spirituale e danno fecondità alla nostra consacrazione: la contemplazione di Gesù, centro di tutta la nostra vita, lo sguardo fisso sul realismo della sua umanità segnata dalle piaghe gloriose. «Questa è la vostra contemplazione: la realtà. La realtà di Gesù Cristo. Non idee astratte, non idee astratte, perché seccano la testa. La contemplazione delle piaghe di Gesù Cristo! E le ha portate in Cielo, e le ha! È la strada dell’umanità di Gesù Cristo: sempre con Gesù, Dio-uomo». Questo essere radicate nell’incarnazione ci porta a diventare esperte in umanità, a essere madri nella Chiesa attraverso la preghiera per tutti, l’ascolto, la comprensione dei bisogni umani, la capacità di perdono: «E la Chiesa vi vuole così: madri, madre, madre. Dare vita».
Il Papa, inoltre, ha insistito sulla cura attenta della vita comunitaria, come una vita di famiglia, dove ci si vuole bene e si superano le difficoltà con il perdono reciproco, dove i problemi ci sono, ma si risolvono mediante l’amore.
«Vi prego di pregare per me, per piacere, non lo dimenticate!», sono state le ultime parole del Santo Padre prima di darci la sua benedizione e salutare personalmente ogni sorella, con una disponibilità piena di affabilità. A sigillo di questo evento indimenticabile, desideriamo riaprire assieme a voi, come scrigno prezioso, il libro della nostra cronaca dove Papa Francesco ha lasciato questa dedica che ci sembra uno specifico mandato per noi contemplative nell’oggi della Chiesa e della storia: «Alle Suore di questo Monastero, con la mia benedizione e chiedendogli di pregare per me. Non dimenticate: contemplazione con Gesù, vita comunitaria unita, e gioia. Affettuosamente, Francesco 4-X-2013». (clarisse del protomonastero di santa chiara ad assisi)
L'Osservatore Romano

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Il Pontefice con le clarisse di Albano Laziale. Un padre che nutre e cura i suoi figli

Probabilmente, quella del 14 luglio scorso sarebbe stata per noi una domenica come tante altre se, nella tarda mattinata, non ci avesse raggiunto una telefonata inaspettata che ci comunicava l’imminente arrivo di Papa Francesco al monastero. Quello che sembrava essere un sogno all’improvviso si è fatto realtà.
Riemergono alla memoria del cuore le prime parole che ci ha rivolto: «Sono venuto qui, perché so che voi pregate per me!». Quando, a porte chiuse, siamo rimaste sole con lui ci ha detto: «Vi ringrazio tanto per tutto quello che voi fate per la Chiesa: la preghiera, la penitenza, il custodirvi l’una l’altra. Voi avete dato la vita al Signore. La vostra vita è bella! È bella la vostra vocazione alla vita contemplativa!». Nessuna parola potrà mai esprimere l’affetto profondo e la compassione nostra quando ha aggiunto: «Pregate per me!».
A nome di tutte, la nostra madre Maria Assunta, gli ha espresso la profonda vicinanza, assicurandogli la nostra preghiera intimamente unita all’offerta della nostra vita. Papa Francesco ha risposto: «Grazie! La Chiesa ha bisogno di questo, ha bisogno di martiri perché l’evangelizzazione si fa in ginocchio, inizia qui. Perciò la vostra missione nella Chiesa è tanto importante».
Il Santo Padre, prima di salutarci aveva detto: «Tornerò presto!», ma mai avremmo potuto immaginare che ritornasse dopo solo un mese, il 15 agosto, solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Questa volta, abbiamo avuto il grande dono di pregare insieme a lui nel nostro coro, il luogo per eccellenza che custodisce il nostro “stare” davanti a Dio: in umile raccoglimento, si è inginocchiato davanti al “sagrario” — così il Papa chiama il tabernacolo — assorto in profondo silenzio. Poi, nella sala, ci ha rivolto un pensiero su Maria. Riallacciandosi alla sua battuta «Da quel pomeriggio che Eva mangiò la mela nel paradiso, comandano le donne!» ha aggiunto: «Anche Maria comanda. E come comanda? E a chi? A suo Figlio. La cosa è chiara nelle nozze di Cana: Lei si è immischiata in un problema umano. Lei fa sentire al suo Figlio i nostri bisogni. E in questo la Chiesa ha sempre pensato che Maria fosse onnipotente nella supplica». Per illustrarlo meglio ha ricordato una leggenda popolare: «La Madonna in Cielo guarda la porta del Paradiso. Quando vengono i grandi peccatori, dice loro di aspettare un po’ lontano perché, se si avvicinassero, san Pietro non li farebbe entrare. E quando viene la notte, nel buio, nel silenzio, Lei va e li fa entrare».
Era chiaro che il Santo Padre ci parlava così di Maria per dirci qualcosa della nostra identità e missione nella Chiesa: nel silenzio, nel buio, nella notte, quando nessuno vede, nessuno sa, nessuno sente, attraverso la preghiera si svolge la nostra missione a favore di tutti i peccatori. Quanto Papa Francesco ci ha consegnato con la sua parola rimane custodito nel cuore di ogni sorella, perché è con il cuore che ci parlava: il suo volto era pieno di tenerezza, come quello di un padre amorevole che nutre e ha cura dei suoi figli. La sua affabilità era cordiale e il suo modo di stare tra noi molto naturale: di una spontaneità tale da far pensare che fosse stato qui da sempre.
Prima di andar via, sul nostro antico “Registro delle firme”, in data 15 agosto 2013, ha lasciato scritte alcune parole: «Per favore, custodite l’identità della vostra consacrazione, l’appartenenza al carisma fondazionale. E pregate per i peccatori, dei quali io sono il peggiore».
Abbiamo chiesto al Santo Padre quali sono i rischi che possono allontanarci da una risposta autentica e radicale nella sequela di Cristo e «una parola per noi oggi». E il Papa ci ha risposto: «Io credo che la vita religiosa diventi annacquata quando si perde l’identità. E identità significa “appartenenza”, appartenenza al carisma “fondazionale”. Il carisma “fondazionale” non è dato dalle cose congiunturali, che in questo tempo si possono fare e in un altro no. Che cosa dico ai religiosi e alle religiose? Appartenenza al carisma “fondazionale”, all’essenziale; e, se si cambia qualcosa, che cambino le cose accidentali, quello che è congiunturale, ma mai quello che è essenziale, mai! Questo dà identità! Voi avete chiaro qual è il carisma di santa Chiara e san Francesco. Nel discernimento delle scelte è il capitolo conventuale che ha l’assistenza dello Spirito e che aiuta a trovare la strada. Ma sempre con le radici nei fondatori. Se no, ci si allontana dal carisma proprio e allora si lascia la preghiera, si lascia questo, si lascia quello. È questa è la mondanità!». (Clarisse del monastero dell’immacolata concezione di Albano Laziale)
L'Osservatore Romano

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Perché Bergoglio ha scelto il ritiro sull’Aventino

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La sera del 21 novembre, nella festa della presentazione di Maria al tempio tradizionalmente associata alle monache di clausura, papa Francesco si recherà sull’Aventino in visita al monastero di Sant’Antonio delle monache camaldolesi.
Il papa vi reciterà i vespri e si fermerà poi con le monache per un colloquio.
Sul motivo per cui Jorge Mario Bergoglio ha scelto di visitare proprio questo monastero  una spiegazione è che egli ha una grande ammirazione per una religiosa che vi entrò proprio il 21 novembre, nel 1945, e lì visse da reclusa per quarant’anni, nutrendosi solo di pane e acqua e dormendo su una semplice cassapanca.
Si chiamava Nazarena Crozza e irradiò una intensa aura di santità. Su di lei sono usciti un paio di libri, uno anche in inglese. Tra i sui amici più stretti c’era il benedettino e cardinale Agostino Mayer. A papa Francesco le monache offriranno una raccolta delle lettere che ella scriveva al suo padre spirituale, dalle quali si evince la sua forte fede e la sua vita spesa per la Chiesa.
Ma ci sono due altri aspetti di questo monastero che affascinano Bergoglio.
Il primo è la fila costante di poveri, fino a ottanta, che tutti i giorni ricevono il pranzo servito dalle monache davanti al cancello d’ingresso di via Santa Sabina 64.
Il secondo è la “lectio divina” sul Vangelo della domenica, che da trent’anni le monache aprono ogni sabato alle 18 alle persone che vogliono prendervi parte, che sono ogni volta tra le sessanta e le ottanta.
A guidare la “lectio” sono padre Innocenzo Gargano, del vicino monastero camaldolese di San Gregorio al Celio, e la badessa Michela Porcellato, che di fatto è la madre generale di una quindicina di monasteri di monache camaldolesi sparsi in tutto il mondo. In Tanzania ve ne sono tre molto rigogliosi, fondati a partire dal 1968 dalle monache dell’Aventino, che contano oggi circa un centinaio di monache africane.
Un’ultima notazione. I monaci e le monache camaldolesi di Roma sono stati tra i più arditi nell’applicare in modo “creativo” la riforma liturgica conciliare, prima ancora che entrasse in opera ufficialmente. L’avvincente resoconto di quell’impresa è stato raccontato – con un felice dose di ironia – da padre Gargano in un libro del 2001 su “I camaldolesi nella spiritualità italiana del Novecento” e riprodotto in questo servizio di www.chiesa: