mercoledì 13 novembre 2013

L’ultima parola.



Cronaca di una notizia Ansa che ha fatto storia. Quando Benedetto stupì il mondo

L’ultima parola. Pubblichiamo il primo capitolo del libro L’ultima parola. Gesti e parole di Benedetto XVI che hanno segnato la storia (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2013, pagine 160, euro 14) di Giovanna Chirri, la prima giornalista a cogliere e a diffondere la notizia della rinuncia al pontificato di Benedetto XVI. 
«Si sente che Giovanna è una giornalista di agenzia — scrive padre Federico Lombardi nella prefazione — attenta alla successione degli eventi, attenta ai particolari, ai segni che aiutano a leggere la continuità o lo sviluppo nuovo di una vicenda attraverso giorni, mesi, anni. Questo è richiesto dal suo servizio specifico e la mette al riparo dal cedere alla tentazione di interpretazioni magari brillanti od originali, ma episodiche o non sufficientemente appoggiate sui fatti».
«La personalità del Pontefice — continua Lombardi — viene bene delineata anche nella sua umanità, nella sua sensibilità, gentilezza e nella sua eminente umiltà. “Altro che Panzerkardinal!” dice giustamente l’autrice».
(Giovanna Chirri) Lunedì 11 febbraio 2013 è festivo in Vaticano per la ricorrenza dei Patti Lateranensi; la sala stampa fa orario ridotto, quindi alle 11 ha appena aperto. Abbiamo sul circuito di servizio interno, grazie al Centro televisivo vaticano, le immagini di un concistoro di cardinali con il Papa per la promulgazione dei decreti su alcuni santi. Per noi italiani significa un minimo di rilievo giornalistico: si aspetta la data della cerimonia per gli ottocento martiri di Otranto, uccisi dagli ottomani il 14 agosto 1480 per non aver abiurato il cristianesimo. Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, attacca un lungo discorso in latino, da ascoltare con un orecchio solo: mi sto addormentando. Poi tocca al Papa, che a un certo punto legge le formule per annoverare nel registro dei santi gli ottocento martiri: sento un duodecim e capisco che la data per la canonizzazione sarà il 12 maggio. Scrivo la notizia sulla canonizzazione degli ottocento e la invio al desk. 
A quel punto il concistoro dovrebbe essere finito, e il Papa dovrebbe andarsene; invece continua a parlare, sempre in latino. Ha un foglio in mano. La prima cosa che dice è che non ha convocato i cardinali solo per il concistoro: deve dare un annuncio «importante per la vita della Chiesa»; dice che sta diventando vecchio, ingravescente aetate. A queste parole mi sento come se una mano mi serrasse la gola e mi si gonfiasse un pallone dentro la testa: Ingravescentem aetatem è il documento con cui Paolo VI ha stabilito che i cardinali vadano in pensione a ottant’anni, è la formula del ritiro, sono le parole della Chiesa per le dimissioni.
Benedetto XVI continua a parlare nel suo latino comprensibile, lento e concentrato; spiega che serve un Papa più giovane per governare la barca di Pietro in un mondo veloce come il nostro. Annuncia anche la data della rinuncia e persino l’ora dell’inizio della sede vacante. Io ascolto ma è come se non sentissi; continuo a boccheggiare, le gambe mi tremano anche se sto seduta. Le rotelle del cervello ricominciano a funzionare quando Papa Ratzinger pronuncia la parola «conclave». Ho qualche istante di terrore puro: ho capito bene? Provo a verificare, faccio qualche telefonata. Nessuno risponde al telefono, credo che in quel momento in Vaticano abbiano tutti altro a cui pensare.
Intanto Benedetto XVI ha finito di parlare. Nel silenzio dell’aula, guardando i volti dei presenti sui quali non si muove neppure un muscolo della faccia o un pelo della barba, il decano del collegio, Angelo Sodano, dice in italiano che la notizia data dal Papa «ci coglie come un fulmine a ciel sereno». «Altro che non hai capito — hai capito eccome — il Papa si è dimesso». Scrivo la notizia, la invio al desk, telefono in redazione. «Qui è un casino — dico alla caporedattrice — il Papa si è dimesso», le spiego che lo ha detto personalmente e in pubblico, in latino, che ho cercato di avere conferme ma non si trova nessuno. Mentre ci parliamo concitatamente per preparare un flash, suona il telefono fisso in sala stampa: è il portavoce vaticano Federico Lombardi, che avendo trovato la mia chiamata gentilmente richiama. «Padre Federico — gli faccio — ma ho capito bene? Il Papa si è dimesso?». «Sì, sì, — mi risponde con una voce molto serena e fattuale — hai capito bene, va via il 28 febbraio». A quel punto per la fretta riattacco, temo senza neppure salutarlo, e dico alla collega: «Andiamo, trasmettiamo». Lei trasforma la B in flash, mette tutte le freccette possibili e trasmette. La notizia è sulla rete dell’Ansa e alcuni minuti dopo viene rilanciata dalle grandi agenzie, che citano noi come fonte. Delle riprese delle altre agenzie non mi rendo conto. Scoppio in singhiozzi, un po’ strano per me che non piango quasi mai: la decisione del Papa mi addolora e mi ha colto del tutto impreparata, in un periodo della mia vita neppure troppo sereno. Piango e scrivo: la frase di Sodano, il contesto in cui il Papa ha parlato, qualche nota sull’atmosfera nella sala del concistoro. Intanto si concludono le immagini, ci viene distribuito il testo letto dal Papa tradotto nelle varie lingue. Prima che inizi il briefing di padre Lombardi (la sala stampa sta cominciando a popolarsi come nelle grandi occasioni) faccio in tempo a scrivere un tweet per i miei circa 230 follower: «B16 si è dimesso, lascia il pontificato dal 28 febbraio». Che è un po’ impreciso, giacché un Papa non si dimette, bensì rinuncia al pontificato, ma dà il privilegio ai miei pochi e affezionati follower di avere la notizia tra i primi al mondo. Una notizia nata come le altre: vado in un posto, seguo un avvenimento e lo racconto. Ma quelle parole mi avevano investita: per la prima volta da secoli un Papa rinunciava al soglio di Pietro, non perché costretto, non perché usurpato, non perché cacciato, ma per libera scelta, «in coscienza e davanti a Dio» e lo faceva per il bene della Chiesa. Un unicum per la storia. Per la mia vita, un regalo inconsapevole dal Papa che di regali me ne aveva già fatti tanti.
L'Osservatore Romano