lunedì 4 novembre 2013

S.O.S. adolescenza (2)

Pretty
Gli amori disperati delle bambine mascherate da Donne.
Dai conflitti a casa agli show in Rete. Chi sono le studentesse squillo dei Parioli: bambine-adulte, sicure di poter gestire il gioco.
QUESTA è una storia normale. Una storia di ragazzine spavalde, cresciute in famiglie normalmente complicate in un quartiere né bello né brutto, né alto né basso. «Due belle ragazze, sembrano molto più grandi della loro età. Imbronciate, aggressive. La più grande, durante l’interrogatorio, ha pianto solo quando le hanno detto che le avrebbero tolto il cellulare ». Ragazze andate a scuola nelle scuole pubbliche, buone scuole anni fa all’avanguardia didattica, e ancora oggi comunque scuole consigliabili e consigliate, di quelle in cui si fanno i mercatini e gli scambi internazionali, la preside è brava, gli psicologi a disposizione, in certe sezioni gli insegnanti bravissimi. Una storia di bambine diventate donne presto, come sempre più spesso succede: il seno esploso dentro le magliette in prima media, il trucco in classe, il telefonino sotto il banco, i compagni maschi, bambini di undici anni, spaventati e attratti da quelle ragazze di mezzo metro più alte di loro che hanno subito smesso di andare alle loro feste di compleanno perché hanno altro di meglio da fare il pomeriggio che stare coi bimbetti, hanno i ragazzi con la moto che le aspettano fuori. Se avete figli alle medie sapete di cosa stiamo parlando. Se avete figlie femmine lo sapete anche meglio. «Alla madre, quando le hanno comunicato che non sarebbe tornata a casa, sarebbe andata direttamente in comunità, la ragazza si è rivolta col tono di dare ordini: vai a prendermi i pantaloni e il giubbotto, almeno. La madre ha eseguito».
Dunque la storia delle “baby prostitute dei Parioli”, come è stata etichettata con la segreta ansia di renderla estrema e dunque estranea, bisogna raccontarla da capo cominciando da qui: dal dire quello che non è. Non è una storia dei Parioli, quartieri alti di Roma che è facile immaginare popolati da ragazzi annoiati, viziati, figli di genitori ricchi e distratti per quanto neanche questo sia sempre del tutto vero. No, ai Parioli c’era solo l’appartamento dove le due ragazzine incontravano i clienti: un posto preso in affitto da uno degli uomini, ora in galera, che organizzava per loro gli incontri.
Le due ragazze, oggi 15 la piccola e 16 compiuti da poco la grande,sono state bambine e sono cresciute nel quartiere Trieste, fra villa Torlonia via Salaria e via Nomentana,un triangolo soffocato dal traffico di auto e bus in corsia preferenziale, bar botteghe e studi medici di media fama e medio prezzo, vecchie scuole ospitate in edifici di mattoni rossi e bandiere italiche, media e piccola borghesia del commercio e degli uffici. Nelle scuole medie di quartiere dove le due bambine sono state in classe insieme, molti ragazzi della zona di piazza Bologna, un passo dalla Tangenziale est, molti arrivati in treno a Termini dai paesi della cintura. Qualcuno daiParioli,sì,certo,anche.Ambiente «molto misto», lo definisce uno dei prof. Molto misto.
È Il triangolo fra l’istituto Alfieri, il liceo Giulio Cesare, il Maria Ausiliatrice che è gestito dalle suore, sì, ma i professori sono laici e non costa tanto la retta, è abbordabile, una famiglia di impiegati se la può permettere. Ci mandano i figli che hanno ripetuto un anno, magari, per provare a farli recuperare. O anche solo perché siano seguiti con più rigore, i genitori pensano questo. Le due ragazzine, compagne di classe alle medie, sono state separate alle superiori: entrambe al liceo classico ma due scuole diverse. Una pubblica e una privata. I genitori della più grande,che aveva ripetuto un anno, hanno deciso di separarla dall’amica e di riservarle un ambiente “protetto”: «È stata una tragedia. Essere separata dalla sua amica è stato vissuto da lei come una violenza terribile. Ci sono state liti tremende a casa. Era già molto aggressiva, feroce col nuovo compagno della madre,è diventata totalmente ostile», racconta una persona che le vuole bene e l’ha seguita. Famiglia in ansia, in grande difficoltà con questa figlia sofferente chiusa e ribelle, vedremo tra poco quanto.
Quindi non sono i Parioli e loro due, hanno detto a chi le interrogava e le assisteva nell’interrogatorio, non vogliono essere chiamate né bambine né prostitute: non si sentono né l’una né l’altra. Gli psicologi forensi hanno scritto nelle loro relazioni, dopo i colloqui, più o meno così: «L’idea di sé di queste ragazze corrisponde ad un’età molto maggiore di quella anagrafica. Anche
l’aspetto – l’abbigliamento, gli accessori, i tatuaggi, il trucco – tradisce l’ansia di apparire adulte. In ogni caso non si percepiscono come vittime di violenza sessuale, hanno al contrario l’impressione di dominare la situazione. Sono loro che tengono in pugno le persone che incontrano e a cui chiedono denaro, pensano. Sono loro che decidono che cosa fare e con chi percepiscono gli uomini come deboli, ne parlano con disprezzo e sarcasmo, non attribuiscono al fatto di cedere il corpo in cambio di denaro nessun disvalore. Considerano anzi il fatto di suscitare desiderio una forma di potere». È un potere, suscitare
desiderio.
Una delle due, la piccola, dice al magnaccia che la rimprovera di non essere andata a un appuntamento: «Ma che ti credi che mi puoi dire tu cosa devo fare? Mettiamo che io ho altro da fare, che cazzo vuoi?». Poi, subito, posta su Facebook un messaggio all’amica: noi due insieme per sempre. Sorrisi, cuoricini, labbra che baciano l’autoscatto, appuntamento la sera al solito posto. Waiting dawn, aspettando l’alba. Collezionista di attimi. Società che “organizzano eventi”, si chiamano così.
I fatti, allora. Le due bambine sono compagne di classe, a periodi di banco. Fioriscono splendide. Entrambe non hanno il padre. La madre della più grande, quella che anni dopo farà seguire la figlia da uninvestigatore privato dopo averla denunciata ai servizi sociali per aggressione, dopo le denunce per furto, dopo aver cercato aiuto come poteva – la madre “buona” dicono i giornali – è impiegata in un ufficio. Ha un nuovo compagno, che non è il padre di sua figlia: medico di bel nome, grandi ospedali. Chissà come vanno le cose a casa. La madre della più piccola, una bambina di spettacolare bellezza,ha un barnella zona bassa del quartiere che naviga in pessime acque, molti problemi di soldi, un figlio minore ammalato. Le due bambine si coalizzano. Vivono in grande conflitto con le loro famiglie, l’adolescenza è alle porte. Le femmine fanno banda contro i maschi, alle elementari. Sono gli anni, quelli, in cui in una scuola di zona un gruppo di bambine di otto nove anni forma una banda per accedere alla quale bisogna superare alcune prove di iniziazione: una di queste consiste nell’inserirsi una matita, una penna, un oggetto nei genitali. Alcuni genitori capiscono,
denunciano,diventa un caso, intervengono gli psicologi, la bambina considerata capo banda fa da capro espiatorio, viene portata via dalla scuola. Fine della questione. Si passa alle medie, attigue al liceo. Scoppia un altro scandalo, tenuto legittimamente riservatissimo. Alcune quattordici-quindicenni organizzano a ricreazione un torneo che si svolge nei bagni della scuola. Le ragazzine stanno nel bagno, offrono una prestazione di sesso orale ai maschi che per iscriversi al torneo devono pagare cinque euro. La gara è a chi conclude più rapporti, a chi fa scemare la fila più presto. La fila è lunga, ogni aspirante paga cinque euro. Si paga comunque, il rischio da correre è che arrivi il tuo turno o non arrivi. Il
certamenè pubblico, la vincitrice accolta da applausi. Comunque le gareggianti portano a casa cinquanta euro, anche di più, ad ogni prova. Si fanno soldi, così. Soldi che a casa non ci sono o non ti danno, soldi per pagare la ricarica del cellullare e per pagarsi la birra e presto qualcos’altro, la sera. Di nuovo qualche genitore denuncia, di nuovo intervengono gli psicologi. Da una relazione del tempo: «Sgomenta l’assenza di pudicizia, di senso della riservatezza e dell’intimità. Il commercio del corpo considerato la norma, nessuna censura corre tra i coetanei, solo la presa d’atto di un’abilità».
Gli adulti non trovano il varco, non capiscono cosa stia succedendo ai loro figli. Le più abili tra le figlie diventano celebri nella scuola, e fuori. Spesso le performances sono filmate coi telefonini, e condivise. Chi è più fragile soccombe, a volte tragicamente. Chi è più forte avanza.
Tutti sono su Facebook. La vita di relazione virtuale è reale. Le due ragazzine decidono insieme di farsi dei tatuaggi senza dirlo ai genitori, vita reale, li esibiscono nei profili, la cosa più importante, virtuale e reale insieme, per loro. Si mettono in vetrina. Una si fa scrivere sul fianco una scritta in latino, del resto ormai lo studiano. L’altra si fa disegnare un drago che parla di amore disperato. I maschi della classe, tredici-quattordicenni, chiedono amicizia, tollerati come bambini. Entrano a visitare il profilo giovani universitari conosciuti il sabato sera alle feste di zona, una importante università privata è dietro l’angolo, gli studenti vengono da fuori Roma, hanno amici più grandi, più soldi, diversi orizzonti. La violenza, a casa, è la norma. La grande detesta sua madre, sopporta malissimo il nuovo compagno di lei. La piccola soffre la mancanza di soldi, non c’è mai un euro per uscire la sera. Dalla relazione psicologica: «L’aggressività, la violenza, il sesso diventano esperienze più virtuali che reali. L’adolescenza chiama al compito della sessualità. Attraverso la sessualità, si può esercitare un potere, persino un dominio. Il corpo diventa uno strumento neutro, un utensile da utilizzare per accedere a ciò che si desidera». Le ricariche. Il corpo un utensile. Le ragazzine imparano che puoi dare baci e qualcosa di più, puoi dare quello che ti chiedono e che non ti costa concedere, in apparenza, in cambio di ricariche al cellulare,
indispensabili per postare i tuoi filmati su Fb. «Mangi all’Hitlon sei ricco, pagami la ricarica almeno, stronzo», si legge nelle intercettazioni. Si filmano di continuo, si fotografano ogni minuto. Vivono sul profilo, dalla vita reale traggono linfa per alimentarlo. Si tatuano insieme, odiano le famiglie insieme, si fotografano atteggiate a donne, insieme. Trovano su Internet, il posto dove passano i giorni chiuse in camera a casa, un luogo: si chiama Bakeca incontri. Dice che devi essere maggiorenne per mettere la tua offerta di sesso online ma non c’è nessun filtro nessun controllo reale. Entrano. Si offrono. Ottengono, certo, immediato successo. Uomini di età le cercano. Loro si scambiano messaggi che dicono «fico, è facile». Qualcuno furbo, criminale, le intercetta. Vede dietro i seni prorompenti, le labbra color rubino, vede nelle calze di pizzo nero dentro le scarpe da tennis due ragazzine. I tatuaggi,le promesse di dannazione e reciproco amore per sempre.
Arrivano i maschi adulti. Mirko Ieni, autista che lavora per quell’università privata del quartiere, uno che nel suo profilo Facebook ha un catalogo di “amiche” studentesse, aspiranti pr, animatrici di eventi. Le aggancia, ma loro sono convinte di agganciare lui. «Va bene vengo, ma l’albergo non mi piace», scrive la piccola. Lui mette a disposizione una stanza in una casa ai Parioli. «A quel panzone chiediamogli duecento piotte», scrive una delle ragazze. I clienti sono uomini adulti, cinquantenni che si fanno chiamare papi, commercialisti, professionisti. «Mi ha detto che sono troppo piccola», dice lei una volta. «Mi ha fatto un film quello stronzo», racconta un’altra volta all’amica, comincia la spirale dei ricatti. «Vai tu che io oggi non posso non mi fanno uscire». «Queste due mi fanno guadagnare 600 euro al giorno», esulta Mirko l’autista. I suoi amici su Fb,gli amici di Mirko, gli dicono bravo. «Chi cazzo ti credi di essere, io faccio come mi pare»,lo mette a posto,crede, la ragazzina che intanto porta a casa ogni giorno tre, quattrocento euro. E li dà alla madre che non ha soldi,il barnon va più e il fratello malato ha bisogno di cure. Dicono le cronache che la madre “cattiva” sfruttava la figlia, la faceva prostituire. Dice la madre, ora a Regina Coeli, che lei non sapeva come la figlia guadagnasse quei soldi che erano comunque benedetti. Non voleva saperlo. Forse spacciava, aveva pensato. Che sarà mai. Non certo che si facesse pagare dagli uomini, questo no: comunque non ha domandato. Le indagini sono in corso, le responsabilità degli adulti tutte da accertare. Tutte già scritte, ma nulla di questo si può per ora con certezza ancora dire. Di certo c’è un elenco lungo così, nei tabulati delle due adolescenti, di “cliente 1 Adriano” “cliente 2 Federico”.Dicerto ci sono uomini spregiudicati e criminali, consapevoli, che hanno approfittato della fragilità mascherata da onnipotenza di due quindicenni, e chissà se solo di loro due. Diciamo i nomi. Riccardo Sbarra, commercialista, cliente. Nunzio Pizzacalla, militare, sfruttatore. Mario detto Michael di Quattro,commerciante, ricattatore. Mirko Ieni, autista e organizzatore di eventi, quello di «guadagno 600 euro al giorno», nel giro della prostituzione si direbbe un pappone, quello che mette i locali e organizza il traffico. Salvo che le ragazzine, quelle che la cronaca chiama baby prostitute, lo sbertucciavano: ma chi ti credi di essere, pensi di essere tu il padrone? Le padrone siamo noi, sei un poveraccio.
L’inchiesta è incorso. Nei tabulati dei cellulari delle ragazze c’è un elenco lungo così di clienti. Tremano, i pedofili che hanno pagato le quindicenni. Commercianti, professionisti, consulenti d’immagine. Avranno di certo famiglia, i clienti delle due quindicenni: avranno mogli e figli. Sulla pagina Fb d Mirko Ieni c’è un rosario di solidarietà, «non so cosa sia successo e non ci credo, sei er mejo». I profili delle due ragazze, invece, si sono congelati una settimana fa. Quando la grande ha pianto, in tribunale, per il fatto che le toglievano il telefono: la sua identità. La piccola ora è coi nonni, le grande in una comunità. Hanno tolto loro i cellulari,sì. Di questo e solo per questo si sono disperate.
Una delle due madri è in galera accusata di aver sfruttato la figlia, o nel migliore dei casi di non aver indagato da dove venivano i pacchi di soldi che vedeva arrivare e la incitava a continuare a procacciare. L’altra delle due madri tace, assistita da avvocati avveduti e comunque asserragliata nel dolore di non aver saputo, nonostante le denunce, varcare la soglia della porta chiusa di una ragazzina ostile, violenta, incazzata nera, una bambina mascherata da donna nemica di sua madre. Una dark lady dominatrice, quindicenne tatuata in scarpe da ginnastica. Innamorata dei “Diluvio”, il gruppo musicale da cui rubava le citazioni nei suoi post, “lasciali fare, lasciali dire”. Baci scarlatti. Amori disperati. Spade tatuate, serpenti. Non si possono “tenere due piedi in una Jordan” e chissà cosa avrà voluto dire tua figlia, cosa avrà voluto dirti quando si è fotografata le scarpe e ti ha lasciata nella tua casa del quartiere Trieste, senza una parola, ti ha lasciata così.
Da La Repubblica del 04/11/2013.

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Il disagio dei ragazzi ai tempi della rete

Dacia Maraini - Corriere della Sera del 4 novembre 2013


Il Premio Goliarda Sapienza è dedicato ai minorenni condannati a pene di detenzione. Un ennesimo premio, si dirà, a che serve? E invecesembra incredibile - così come il cinema e il teatro praticato dai reclusi hanno funzionato portando una ventata di aria fresca nelle carceri, l`invito a scrivere racconti ha coagulato attorno al premio molte energie giovanili. Messi di fronte alla scrittura, i ragazzi hanno cominciato a riflettere, a farsi domande che non si erano mai poste, a crearsi un piccolo mondo di immaginazione che precede di poco una idea di doveri e di diritti. Ecco l`importanza riconoscibile della lettura e della scrittura. La parola chiama pensieri, i pensieri chiamano affetti, memorie e un bisogno di logica. La logica chiama, vuole, esige un sistema, anche piccolo di valori. Da qui l`importanza di iniziative creative dentro i luoghi di detenzione e prigionia.


SENZA AFFETTI E SOLIDARIETÀ LE RADICI DEL DISAGIO GIOVANILE 


I ragazzi non trovano risposte in famiglia e si chiudono nella Rete  


In occasione del premio si è svolto a Roma, per volere di una donna tenace e coraggiosa, Antonella Ferrera, un convegno nella sede del Burcardo, messo a disposizione dalla Siae. Tema: «Il disagio giovanile». Argomento amplissimo alla cui, anche minima, discussione quattro ore sono sembrate pochi minuti. Ma pure è stato importante cercare di sviscerarlo. E alcune novità sono venute fuori. Per esempio il cambiamento delle «motivazioni a delinquere» usando la terminologia legale.


«I reati dei minori», ha chiarito subito Caterina Chinnici, capodipartimento Giustizia minorile, «non derivano solo da disagio economico o sociale ma da un disagio di relazione». E a tutti è sembrato un punto focale. E infatti molto probabile che la differenza fra una visione dickensiana della illegalità giovanile e quella, diciamo camusiana, stia proprio nello spostamento delle ragioni che portano a prevaricare e malversare. Il delinquente ottocentesco affondava le sue radici nel degrado sociale, quello di oggi ha allungato le radici e ha trovato qualcosa di più profondo e inaspettato: l`inaffettività, coltivata da un immaginario comune che circola sempre più rapido e disperante, con il contributo della tecnologia. Uno strumento apparentemente democratico e alla portata di tutti, ma anche devastante per la sua incapacità di regolarsi.


«Spesso la psicanalisi ha favorito l`assoluzione personale, attribuendo la colpa all`esterno. C`è sempre qualcun altro, fuori di noi, che ci porta sulla mala strada: il padre, la madre, la società, il denaro, il potere , la politica». Detto da uno psicanalista, Raf- faele Bracalenti, non è male. Quello che si sta perdendo, continua il presidente psicanalitico per le ricerche sociali, è il senso della responsabilità personale. Soprattutto quando si sommano le irresponsabilità creando il branco, la gang. «I ragazzi di via Paal, tanto per fare un esempio, si mettevano insieme per stornare le leggi della piccola società provinciale, ma fra di loro c`era un valore a cui credevano: la solidarietà». Nelle bande di oggi non c`è né amicizia né solidarietà, ma solo il potere di chi sta sopra su chi sta sotto e ubbidisce. I padri hanno perso la capacità di stabilire norme, ma non sanno nemmeno piu darle a se stessi. Insomma il rifiuto delle regole porta allo sfascio?


La risposta sembra proprio questa: troppe regole e stabilite in anticipo dall`alto, strangolano l`individuo; ma la mancanza di regole stabilite, anziché condurre trionfalmente alla libertà, trascina all`arbitrio e alla dittatura del più forte sul più debole. «Secondo Freud le masse sono per loro natura irresponsabili e tendono all`autodistruzione. Una guida non è solo auspicabile, ma necessaria».


C`è una colpevolezza della stampa in tutto questo? E qui vengono le dolenti note che riguardano la rappresentazione che noi stessi ci diamo. Lo specchio in cui ci riflettiamo risulta sempre più deformato e deformante. La stampa e la televisione, ma soprattutto la televisione, con il corollario dei fumetti, dei videogiochi, tende a eroicizzare i violenti. Le narrazioni sono sempre dalla parte del vincente, anche se apparentemente lo si condanna. Le storie dei delitti sono per lo più raccontate, con indulgenza spettacolare, dalla parte degli assassini. Le vittime vengono dimenticate facilmente. O vengono enfiate come voluminosi fantasmi enigmatici, incapaci di suscitare sentimenti di solidarietà.


Marco Polillo, presidente della Confindustria cultura Italia non è molto d`accordo. La televisione e i videogiochi sono intrattenimenti, non insegnamenti. E la famiglia che deve `formare l`individuo. Purtroppo la famiglia è frammentata, disgregata. La rissa ha prevalso. sul ragionamento. Abbiamo anche la presenza pubblica di cattivi maestri che non aiuta a crescere. I ragazzi, non trovando risposte in famiglia, tendono a chiudersi nel loro piccolo e grande mondo della rete. «Ormai tutto è social network. I genitori si sentono in colpa perche non sanno crescerli e finiscono per accontentarli in tutto. Oppure promettono grandi punizioni, che poi vengono smentite subito dopo». «Oggi gli esempi virtuosi che ci vengono presentati in tv sono i cuochi e i grandi sarti. Eppure la nostra cultura è il miglior biglietto da visita del mondo. Ma noi, volendoci male, chiudiamo, cancelliamo, distruggiamo le nostre piu grandi ricchezze». E ricorda che nel nostro Paese il 54% delle persone non legge neanche un libro l`anno. E secondo l`Ocse è l`ultimo Paese capace di intendere la matematica e capace di esprimersi nella propria lingua.


Anche Alberto Contri, presidente della Pubblicità Progresso, se la prende con il nucleo familiare. «L`imprinting avviene in famiglia. E lì che si forma il carattere, la disposizione ad affrontare il mondo. Ma con le madri che lavorano fuori casa, il tempo che diventa sempre più corto e stretto, i ragazzi perdono la capacità di concentrazione. La deficienza del linguaggio esprime e rivela una deficienza della struttura del pensiero». E allora, che fare? La risposta è una bella metafora: «Per navigare su una barca bisogna avere una conoscenza del mare e del legno su cui ci si trova. Per navigare su internet non c`è bisogno di nessuna preparazione e questo porta a cadere in preda ai marosi».


Ma la stampa quotidiana ha delle responsabilità? «Direi proprio di sì», risponde Marida Lombardo Pijola, giornalista del Messaggero, «troppo spesso si raccontano con tono falsamente indignato storie truculente, insistendo sull`aspetto piu spettacolare e morboso». E questo crea abitudine alla mistificazione. La sessualità poi viene presentata sempre di più come prestazione e non come incontro e piacere. Preda e predatore sono faccia a faccia e sembra che tra i due non possa crearsi altro rapporto. «I giornali troppo spesso portano l`esempio di giovanissimi che vendendo il proprio corpo hanno ottenuto denaro, successo, potere, le cose più ambite, date come fondamentali per districarsi in questo mondo». Il branco sostituisce l`adulto e si divide in vincenti e perdenti. Il successo si misura sul consumo e sul dominio dell`altro. «Le femmine nell`immaginario collettivo sono destinate, quasi per natura, allo stupro. I maschi sono tenuti sotto la pressione tremenda della sfida a chi si mostra più duro, pìu insensibile, piu crudele». Insomma sembrerebbe che il maschilismo cacciato dalla porta, stia rientrando dalla finestra.


«Eppure cambiare si può», asserisce Serenella Pesarin, direttore generale del Dipartimento giustizia giovanile, che si alza in piedi per dichiaralo con energia. Le sue piccole mani di donna generosa e determinata si sollevano a cacciare via un senso di disperazione e di sfiducia che si sta creando nella sala. «Ogni società ha le sue crisi. Ma vanno superate. Si può farlo. Basta volerlo». E spiega come dalle ultime ricerche sia risultato che la legge della recidiva stia cambiando. La preoccupazione per il rilascio dei ragazzi, nonostante la riluttanza a tenerli chiusi dentro carceri inadeguate e troppo affollate, era basata proprio sul principio della recidiva: vedrete quanti torneranno, piu violenti di prima. E invece no: «Da noi, nel circuito criminale mino rile, la recidiva è molto bassa, piu bassa che in tutti gli altri Paesi europei. Da noi Caino può diventare Abele. Ma bisogna crederci e infondere in loro la fiducia nel cambiamento. Pur- troppo il villaggio globale è poco solidale. C`è una grande povertà pedagogica. Forse perché non ci si crede. Fatto sta che molti ragazzi, rinchiusi, tentano il suicidio».


Alla fine, quando si parla con questi ragazzi, gli addetti debbono constatare che si tratta sempre dì una carenza di relazione. «Qualcuno ancora interpreta ir malessere come mancanza di beni. Ma non è così. Sono le relazioni che mancano. Bisognerebbe recuperare lo spirito del `68. Non per abbattere l`autorità, di cui abbiamo bisogno, ma l`autoritarismo. La scuola dovrebbe essere un luogo in cui si impara la pratica delle relazioni, ma purtroppo ne siamo lontani». La pratica delle relazioni, per esperienza, porta a una maggiore attenzione verso la meritocrazia. «Noi ci crediamo. E facciamo quello che possiamo. I ragazzi hanno capacità straordinarie di ripresa e di metamorfosi». Insomma: meno celle di detenzione, meno metodi arcaici di penalizzazione e più fiducia nella rieducazione, nella trasformazione. Largo uso della cultura come strumento di conoscenza di sé e del mondo. La crudeltà della pena non aiuta né chi la applica né chi la subisce. Sono la fiducia, il buon esempio, lo stimolo alla creatività, al lavoro, all`analisi e al giudizio a fare la differenza. Speriamo che qualcuno se ne renda conto. 


La scheda L`autrice Dacia Maraini, è nata a Fiesole (Firenze) 76 anni fa. La biografia Scrittrice, saggista e sceneggiatrice, Maraini ha scritto romanzi, racconti per bambini e poesie. Ha collaborato anche alla sceneggiatura di «Il fiore delle Mille e una notte» di Pasolini il concorso Il «Premio Goliarda Sapienza» è dedicato ai minorenni condannati al carcere e organizzato dall`associazione «inVerso» Il convegno In contemporanea al premio si è svolto un convegno sulle radici del disagio giovanile e della delinquenza dei minori. Nelle bande non c`è amicizia, ma solo il potere di chi sta sopra su chi sta sotto e ubbidisce 913 Il tema Anche all`origine dei reati commessi da minori spesso c`è l`assenza di relazioni,