mercoledì 13 novembre 2013

Un whisky per san Paolo



È morto a 78 anni il biblista domenicano Jerome Murphy-O’Connor

L’11 novembre a Gerusalemme è morto a 78 anni il biblista domenicano Jerome Murphy-O’Connor, uno dei massimi esperti mondiali di san Paolo. Il sito Terrasanta.net ne ha pubblicato un ricordo firmato dal biblista e sacerdote che conobbe padre O’Connor durante gli studi all’École biblique di Gerusalemme. Ne riportiamo alcuni stralci.
(Matteo Crimella) Whisky per san Paolo. «Ci si aspetterebbe di veder sorgere il santuario centrale della cristianità in un maestoso isolamento, mentre di fatto costruzioni anonime si abbarbicano ad esso come cirripedi. Si cerca una spaziosità luminosa, mentre esso è buio ed angusto.

Si cerca la pace e invece l’orecchio è assalito da una cacofonia di canti che si fanno guerra a vicenda. Si desidera la santità, ma ci si trova di fronte solo ad un geloso istinto di possesso: i sei gruppi che lo occupano — cattolici latini, greco-ortodossi, armeni, siriani, copti, etiopi — si guardano sospettosamente l’un l’altro, alla ricerca di ogni minima violazione dei propri diritti. In nessun altro luogo appare maggiormente la fragilità della natura umana: esso sintetizza la condizione umana».
Con queste parole quasi scolpite nel marmo, padre Jerome Murphy-O’Connor dà inizio alla presentazione del Santo Sepolcro, in quella Guida storico-archeologica della Terra Santa che l’ha reso famoso in tutto il mondo (la versione originale inglese, edita nel 1980 dalla prestigiosa Università di Oxford, è giunta, nel 2008, alla quinta edizione). In quelle parole si coglie il tipo umano che era Jerry.
Irlandese, nato a Dublino nel 1935 in una numerosa famiglia cattolica, si fece domenicano e, vista la sua eccezionale intelligenza, fu inviato prima a studiare a Friburgo in Svizzera, poi in Germania, infine all’École Biblique et Archéologique Française di Gerusalemme, dove per molti anni è stato uno dei docenti più illustri. Jerry non aveva un carattere facile. Tutti all’école conoscevano i suoi impeti d’ira che duravano un attimo e non lasciavano alcuna traccia nelle relazioni con i colleghi e con gli studenti: mezz’ora dopo quell’uomo alto, robusto e dai bianchi capelli era ancora la persona più affabile del mondo.
Negli ultimi anni la malattia lo aveva segnato: non camminava più, era tutto gonfio, necessitava dell’ossigeno. Ma Jerry non aveva perso la sua verve e soprattutto il suo humor irlandese. Nell’estate 2006, mentre si trovava negli Stati Uniti per una serie di conferenze su san Paolo, fu colpito da un grave malore. Si attendeva il peggio; invece pian piano l’infaticabile domenicano si riprese, tornò a Gerusalemme e continuò a lavorare.
Si avvicinava l’anno paolino e da più parti si chiedeva a lui, uno dei massimi esperti mondiali dell’apostolo delle genti, di scrivere una Biografia di Paolo per il grande pubblico: qualcosa di leggero, di leggibile, di appassionante. Anni addietro Jerry aveva dato alle stampe il suo opus magnum, la Vita di Paolo (tradotta in italiano da Paideia), un testo erudito per gli accademici. Ora gli si domandava qualcosa di diverso, che realizzò brillantemente: nell’anno paolino ogni volta che arrivava all’école una diversa traduzione di quel volume (in italiano, in polacco, in ungherese, in coreano e in molte altre lingue) si offriva a tutti un bicchierino di whisky. La dedica di quel volume è un capolavoro d’ironia: «A David e Catherine Manning che hanno chiesto questa Storia e a Declan ed Emer Meagher che hanno fatto in modo che sopravvivessi per scriverla». Sapeva che quell’incidente americano era stato grave e ringraziava chi gli aveva salvato la vita.
Un giorno dello scorso agosto ci disse scherzando che aveva smesso di lavorare. A noi sembrava impossibile, conoscendo la sua lena nello studio. Quell’annuncio era il segno della vicinanza di sorella morte: Jerry la sentiva vicino. Era un sabato. Il giorno seguente suor Agnela, una giovane suora polacca che si è presa cura di Jerry negli ultimi anni con una dedizione straordinaria, recitò con lui il rosario.
A pranzo Jerry chiamò un ex-alunno, ora professore di Nuovo Testamento in una poverissima università del Madagascar, anche lui a Gerusalemme per studiare: «Vieni nella mia stanza — gli disse — prendi pure i libri che t’interessano». Padre Lorenzo si trovò di fronte una splendida biblioteca biblica, una biblioteca da far invidia a chiunque: era il lascito testamentario del grande professore che, vicino alla morte, intendeva aiutare i poveri, come estremo viatico di un’esistenza consacrata allo studio della Parola.
L'Osservatore Romano