domenica 17 maggio 2015

Cappella Papale per la Canonizzazione di 4 Beate. Omelia e Regina Coeli di Papa Francesco


Cappella Papale per la Canonizzazione di 4 Beate. Omelia di Papa Francesco: "Rimanere in Dio e nel suo amore, per annunciare con la parola e con la vita la risurrezione di Gesù, testimoniando l’unità fra di noi e la carità verso tutti"
Sala stampa della Santa Sede
[Text: Italiano, Français, English]
Alle ore 10 di oggi, VII Domenica di Pasqua, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Francesco celebra sul sagrato della Basilica Vaticana la Santa Messa con il rito di Canonizzazione delle Beate: Giovanna Emilia De Villeneuve (1811-1854), religiosa, Fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione di Castres; Maria Cristina dell’Immacolata Concezione (1856-1906), religiosa, Fondatrice delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato; Maria Alfonsina Danil Ghattas (1843-1927), religiosa, Fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme; Maria di Gesù Crocifisso (al secolo: Maria Baouardy), (1846-1878), Monaca Professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’Omelia che il Papa pronuncia nel corso del solenne rito di canonizzazione:

Gli Atti degli Apostoli ci hanno presentato la Chiesa nascente nel momento in cui elegge colui che Dio ha chiamato a prendere il posto di Giuda nel collegio degli Apostoli. Non si tratta di assumere una carica, ma un servizio. E infatti Mattia, sul quale cade la scelta, riceve una missione che Pietro definisce così: «Bisogna che […] uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione» - della risurrezione di Cristo (At 1,21-22). 
Con queste parole egli riassume cosa significa far parte dei Dodici: significa essere testimone della risurrezione di Gesù. Il fatto che dica “insieme a noi” fa capire che la missione di annunciare Cristo risorto non è un compito individuale: è da vivere in modo comunitario, con il collegio apostolico e con la comunità.
Gli Apostoli hanno fatto l’esperienza diretta e stupenda della Risurrezione; sono testimoni oculari di tale evento. Grazie alla loro autorevole testimonianza, in molti hanno creduto; e dalla fede nel Cristo risorto sono nate e nascono continuamente le comunità cristiane. Anche noi, oggi, fondiamo la nostra fede nel Signore risorto sulla testimonianza degli Apostoli giunta fino a noi mediante la missione della Chiesa. La nostra fede è legata saldamente allo loro testimonianza come ad una catena ininterrotta dispiegata nel corso dei secoli non solo dai successori degli Apostoli, ma da generazioni e generazioni di cristiani. A imitazione degli Apostoli, infatti, ogni discepolo di Cristo è chiamato a diventare testimone della sua risurrezione, soprattutto in quegli ambienti umani dove più forte è l’oblio di Dio e lo smarrimento dell’uomo.
Perché questo si realizzi, bisogna rimanere in Cristo risorto e nel suo amore, come ci ha ricordato la Prima Lettera di Giovanni: «Chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4,16). Gesù lo aveva ripetuto con insistenza ai suoi discepoli: «Rimanete in me … Rimanete nel mio amore» (Gv 15,4.9). Questo è il segreto dei santi: dimorare in Cristo, uniti a Lui come i tralci alla vite, per portare molto frutto (cfr Gv 15,1-8). E questo frutto non è altro che l’amore. Questo amore risplende nella testimonianza di suor Giovanna Emilia de Villeneuve, che ha consacrato la sua vita a Dio e ai poveri, ai malati, ai carcerati, agli sfruttati, diventando per essi e per tutti segno concreto dell’amore misericordioso del Signore.
La relazione con Gesù Risorto è l’“atmosfera” in cui vive il cristiano e nella quale trova la forza di restare fedele al Vangelo, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni. “Rimanere nell’amore”: questo ha fatto anche suor Maria Cristina Brando. Ella fu completamente conquistata dall’amore ardente per il Signore; e dalla preghiera, dall’incontro cuore a cuore con Gesù risorto, presente nell’Eucaristia, riceveva la forza per sopportare le sofferenze e donarsi come pane spezzato a tante persone lontane da Dio e affamate di amore autentico.
Un aspetto essenziale della testimonianza da rendere al Signore risorto è l’unità tra di noi, suoi discepoli, ad immagine di quella che sussiste tra Lui e il Padre. E’ risuonata anche oggi nel Vangelo la preghiera di Gesù nella vigilia della Passione: «Siano una sola cosa, come noi» (Gv 17,11). Da questo amore eterno tra il Padre e il Figlio, che si effonde in noi per mezzo dello Spirito Santo (cfr Rm 5,5), prendono forza la nostra missione e la nostra comunione fraterna; da esso scaturisce sempre nuovamente la gioia di seguire il Signore nella via della sua povertà, della sua verginità e della sua obbedienza; e quello stesso amore chiama a coltivare la preghiera contemplativa. Lo ha sperimentato in modo eminente suor Maria Baouardy che, umile e illetterata, seppe dare consigli e spiegazioni teologiche con estrema chiarezza, frutto del dialogo continuo con lo Spirito Santo. La docilità allo Spirito Santo l’ha resa anche strumento di incontro e di comunione con il mondo musulmano. Così pure suor Maria Alfonsina Danil Ghattas ha ben compreso che cosa significa irradiare l’amore di Dio nell’apostolato, diventando testimone di mitezza e di unità. Ella ci offre un chiaro esempio di quanto sia importante renderci gli uni responsabili degli altri, di vivere l’uno al servizio dell’altro.
Rimanere in Dio e nel suo amore, per annunciare con la parola e con la vita la risurrezione di Gesù, testimoniando l’unità fra di noi e la carità verso tutti. Questo hanno fatto le quattro Sante oggi proclamate. Il loro luminoso esempio interpella anche la nostra vita cristiana: come io sono testimone di Cristo risorto? E' una domanda che dobbiamo farci. Come rimango in Lui, come dimoro nel suo amore? Sono capace di “seminare” in famiglia, nell’ambiente di lavoro, nella mia comunità, il seme di quella unità che Lui ci ha donato partecipandola a noi dalla vita trinitaria?
Tornando a casa, portiamo con noi la gioia di quest’incontro con il Signore risorto; coltiviamo nel cuore l’impegno a dimorare nell’amore di Dio, rimanendo uniti a Lui e tra di noi, e seguendo le orme di queste quattro donne, modelli di santità, che la Chiesa ci invita ad imitare.

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Il Regina Caeli di Papa Francesco. L'invito a "pregare per il caro popolo del Burundi, che sta vivendo un momento delicato 

Cari fratelli e sorelle,
al termine di questa celebrazione, desidero salutare tutti voi che siete venuti a rendere omaggio alle nuove Sante, in modo particolare le Delegazioni ufficiali di Palestina, Francia, Italia, Israele e Giordania. Saluto con affetto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, come pure le figlie spirituali delle quattro Sante. Per loro intercessione, il Signore conceda un nuovo impulso missionario ai rispettivi Paesi di origine. Ispirandosi al loro esempio di misericordia, di carità e di riconciliazione, i cristiani di queste terre guardino con speranza al futuro, proseguendo nel cammino della solidarietà e della convivenza fraterna.
Estendo il mio saluto alle famiglie, ai gruppi parrocchiali, alle associazioni e alle scuole presenti, in particolare ai cresimandi dell’Arcidiocesi di Genova. Un pensiero speciale rivolgo ai fedeli della Repubblica Ceca, riuniti nel santuario di Svaty Kopećek, presso Olomuc, che oggi ricordano il ventennale della visita di san Giovanni Paolo II.
Ieri, a Venezia è stato proclamato Beato il sacerdote Luigi Caburlotto, parroco, educatore e fondatore delle Figlie di San Giuseppe. Rendiamo grazie a Dio per questo esemplare Pastore, che condusse un’intensa vita spirituale e apostolica, tutto dedito al bene delle anime.
Vorrei anche invitare a pregare per il caro popolo del Burundi, che sta vivendo un momento delicato: il Signore aiuti tutti a fuggire la violenza e ad agire responsabilmente per il bene del Paese.
Con amore filiale ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, Regina dei Santi e modello di tutti i cristiani. 

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Francese
Les Actes des Apôtres nous ont présenté l’Église naissante au miment où elle élit celui que Dieu a appelé à prendre la place de Juda dans le Collège des Apôtres. Il ne s’agit pas d’assumer une charge mais un service. En effet Matthias, sur qui le choix est tombé, reçoit une mission que Pierre définit ainsi : « Il faut que quelqu’un […] devienne, avec nous, témoin de sa résurrection » – de la résurrection du Christ (Ac 1, 21-22). Il résume par ces mots ce que signifie faire partie des Douze : cela signifie être témoin de la résurrection de Jésus. Le fait qu’il dise « avec nous » fait comprendre que la mission d’annoncer le Christ ressuscité n’est pas une tâche individuelle : elle est à vivre de manière communautaire, avec le collège apostolique et avec la communauté. Les Apôtres ont fait l’expérience directe et merveilleuse de la résurrection ; ils sont les témoins oculaires de cet événement. Grâce à leur témoignage autorisé beaucoup ont cru; et, de la foi au Christ ressuscité sont nées et naissent continuellement les communautés chrétiennes. Nous aussi, aujourd’hui, nous fondons notre foi au Seigneur ressuscité sur le témoignage des Apôtres, parvenu jusqu’à nous par la mission de l’Église. Notre foi est liée solidement à leur témoignage comme à une chaine ininterrompue déployée au cours des siècles, non seulement par les successeurs des Apôtres, mais par des générations et générations de chrétiens. A l’imitation des Apôtres, en effet, tout disciple du Christ est appelé à devenir témoin de sa résurrection, surtout dans les milieux humains où l’oubli de Dieu est plus fort ainsi que le désarroi de l’homme.
Pour que cela se réalise, il faut demeurer dans le Christ ressuscité et dans son amour, comme nous l’a rappelé la Première Lettre de Jean : « Qui demeure dans l’amour demeure en Dieu, et Dieu demeure en lui » (1Jn 4, 16). Jésus l’avait répété avec insistance à ses disciples : « Demeurez en moi…Demeurez dans mon amour » (Jn 15, 4.9). C’est le secret des saints : demeurer dans le Christ, unis à lui comme les sarments à la vigne, pour porter beaucoup de fruit (cf. Jn 15, 1-8). Et ce fruit n’est autre que l’amour. Cet amour resplendit dans le témoignage de soeur Jeanne Emilie de Villeneuve, qui a consacré sa vie à Dieu et aux pauvres, aux malades, aux prisonniers, aux exploités, devenant pour eux et pour tous signe concret de l’amour miséricordieux du Seigneur.
La relation avec Jésus ressuscité est l’ « atmosphère » dans laquelle vit le chrétien et dans laquelle il trouve la force de rester fidèle à l’Évangile, même au milieu des obstacles et des incompréhensions. « Demeurer dans l’amour » : soeur Maria Cristina Brando l’a fait également. Elle a été complètement conquise par l’amour brûlant pour le Seigneur ; et, de la prière, de la rencontre coeur à coeur avec Jésus ressuscité, présent dans l’Eucharistie, elle recevait la force de supporter les souffrances et de se donner comme pain rompu à beaucoup de personnes loin de Dieu et affamées d’amour authentique.
Un aspect essentiel du témoignage à rendre au Seigneur ressuscité est l’unité entre nous, ses disciples, à l’image de celle qui subsiste entre Lui et le Père. Et la prière de Jésus à la veille de sa passion résonne encore aujourd’hui dans l’Évangile : « Qu’ils soient un comme nous-mêmes » (Jn 17, 11). De cet amour éternel entre le Père et le Fils, qui se répand sur nous par l’Esprit Saint (cf. Rm 5, 5), notre mission et notre communion fraternelle prennent de la force ; de là jaillit toujours nouvelle la joie de suivre le Seigneur sur la voie de sa pauvreté, de sa virginité et de son obéissance ; et ce même amour appelle à cultiver la prière contemplative. Soeur Marie Baouardy l’a expérimentée de manière très élevée, qui humble et illettrée, a su donner des conseils et des explications théologiques avec une grande clarté, fruit du dialogue continuel avec le Saint Esprit. La docilité à l’Esprit l’a rendue aussi instrument de rencontre et de communion avec le monde musulman. De même aussi soeur Marie Alphonsine Danil Ghattas a bien compris ce que signifie irradier l’amour de Dieu dans l’apostolat, en devenant témoin de douceur et d’unité. Elle nous offre
un exemple clair de l’importance de nous rendre responsables les uns des autres, de vivre l’un au service de l’autre.
Demeurer en Dieu et en son amour, pour annoncer avec les paroles et avec la vie la résurrection de Jésus , en témoignant l’unité entre nous et l’amour envers tous. C’est ce qu’ont fait les quatre saintes proclamées aujourd’hui. Leur exemple lumineux interpelle aussi notre vie chrétienne : comment suis-je témoin du Christ ressuscité ? Comment est-ce que je demeure en lui, comment est-ce que je demeure en son amour ? Suis-je capable de « semer » en famille, dans le milieu de travail, dans ma communauté, la semence de cette unité qu’il nous a donnée, nous y faisant participer de la vie trinitaire.
Retournant à la maison, portons avec nous la joie de cette rencontre avec le Seigneur ressuscité ; cultivons dans le coeur l’engagement à demeurer dans l’amour de Dieu, restant unis à lui et entre nous, et suivant les traces de ces quatre femmes, modèles de sainteté, que l’Eglise nous invite à imiter.
Inglese
The Acts of the Apostles have set before us the early Church as she elects the man whom God called to take the place of Judas in the college of the Apostles. It is has to do not with a job, but with service. Indeed, Matthias, on whom the choice falls, receives a mission which Peter defines in these words: “One of these men... must become a witness with us to his resurrection”, the resurrection of Christ (Acts 1:21-23). In this way Peter sums up what it means to be part of the Twelve: it means to be a witness to Jesus’ resurrection. The fact that he says “with us” brings us to realize that the mission of proclaiming the risen Christ is not an individual undertaking: it is to be carried out in common, with the apostolic college and with the community. The Apostles had a direct and overwhelming experience of the resurrection; they were eyewitnesses to that event. Thanks to their authoritative testimony, many people came to believe; from faith in the risen Lord, Christian communities were born and are born continually. We too, today, base our faith in the risen Lord on the witness of the Apostles, which has come down to us through the mission of the Church. Our faith is firmly linked to their testimony, as to an unbroken chain which spans the centuries, made up not only by the successors of the Apostles, but also by succeeding generations of Christians. Like the Apostles, each one of Christ’s followers is called to become a witness to his resurrection, above all in those human settings where forgetfulness of God and human disorientation are most evident.
If this is to happen, we need to remain in the risen Christ and in his love, as the First Letter of Saint John has reminded us: “He who abides in love abides in God, and God abides in him” (1 Jn 4:16). Jesus had repeated insistently to his disciples: “Abide in me… Abide in my love” (Jn 15:4, 9). This is the secret of the saints: abiding in Christ, joined to him like branches to the vine, in order to bear much fruit (cf. Jn 15:1-8). And this fruit is none other than love. This love shines forth in the testimony of Sister Jeanne Émilie de Villeneuve, who consecrated her life to God and to the poor, the sick, the imprisoned and the exploited, becoming for them and for all a concrete sign of the Lord’s merciful love.
A relationship with the risen Jesus is the “atmosphere” in which Christians live, and in which they find the strength to remain faithful to the Gospel, even amid obstacles and misunderstandings. “Abiding in love”: this is what Sister Maria Cristina Brando also did. She was completely given over to ardent love for the Lord. From prayer and her intimate encounter with the risen Jesus present in the Eucharist, she received strength to endure suffering and to give herself, as bread which is broken, to many people who had wandered far from God and yet hungered for authentic love.
An essential aspect of witness to the risen Lord is unity among ourselves, his disciples, in the image of his own unity with the Father. Today too, in the Gospel, we heard Jesus’ prayer on the eve of his passion: “that they may be one, even as we are one” (Jn 17:11). From this eternal love between the Father and the Son, poured into our hearts through the Holy Spirit (cf. Rom 5:5), our mission and our fraternal communion draw strength; this love is the ever-flowing source of our joy in following the Lord along the path of his poverty, his virginity and his obedience; and this same love calls us to cultivate contemplative prayer. Sister Mariam Baouardy experienced this in an outstanding way. Poor and uneducated, she was able to counsel others and provide theological explanations with extreme clarity, the fruit of her constant converse with the Holy Spirit. Her docility to the Spirit also made her a means of encounter and fellowship with the Muslim world. So too, Sister Marie Alphonsine Danil Ghattas came to understand clearly what it means to radiate the love of God in the apostolate, and to be a witness to meekness and unity. She shows us the importance of becoming responsible for one another, of living lives of service one to another.
To abide in God and in his love, and thus to proclaim by our words and our lives the resurrection of Jesus, to live in unity with one another and with charity towards all. This is what the four women Saints canonized today did. Their luminous example challenges us in our lives as Christians. How do I bear witness to the risen Christ? How do I abide in him? How do I remain in his love? Am I capable of “sowing” in my family, in my workplace and in my community, the seed of that unity which he has bestowed on us by giving us a share in the life of the Trinity?
When we return home, let us take with us the joy of this encounter with the risen Lord. Let us cultivate in our hearts the commitment to abide in God’s love. Let us remain united to him and among ourselves, and follow in the footsteps of these four women, models of sanctity whom the Church invites us to imitate.

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Le quattro nuove sante.

Giovanna Emilia de Villenuve. Preghiera e carità
Sono le armi con cui Giovanna Emilia de Villenuve fronteggiò la terza epidemia di colera che colpì l’Europa nel diciannovesimo secolo. Fondatrice della congregazione delle suore dell’Immacolata Concezione di Castres, la religiosa fu l’ultima vittima del morbo nella città francese in cui aveva svolto il suo ministero.
Nata a Tolosa il 9 marzo 1811, fu battezzata l’11 marzo. Cresciuta in un ambiente di fede profonda, le furono trasmessi un forte senso del dovere e di responsabilità e una profonda apertura alle necessità degli altri.
La formazione datale dalla madre, l’attività del padre — che dirigeva il lavoro di una tenuta agricola — e la vicinanza di Hauterive a Castres, dove l’industria cominciava a svilupparsi causando miseria e gravi disagi alle famiglie: tutto concorse ad aprirle l’animo alla missione di venire in aiuto alle povertà materiali e spirituali.
Nel 1836, realizzò il desiderio di consacrazione totale a Dio e ai fratelli. Ambito di questa missione, all’inizio, fu la sua città. Pronunciando i voti di religione, specificò la scelta di impegnare tutte le proprie energie per la salvezza delle anime più povere. La fondamentale aspirazione di Émilie a lavorare per la salvezza dei più poveri e bisognosi si concretizzò il 22 luglio 1846, quando aprì a Castres il primo Rifugio. Mentre il progetto di fondazione in terre di missione divenne realtà nel dicembre 1847. Durante il capitolo generale, il 6 settembre 1853, chiese e ottenne, non senza difficoltà, di essere sostituita nella carica di superiora generale. Alla fine di agosto del 1854 l’epidemia di colera, che già serpeggiava in Francia, fece la sua prima apparizione a Castres. Il 27 settembre la fondatrice fu colpita dai primi sintomi del male che la portò alla morte il 2 ottobre seguente. Il rito della beatificazione è stato celebrato nella città francese il 5 luglio 2009.
Maria Cristina dell’Immacolata Concezione. Accanto al tabernacolo
Nel nome dell’Eucaristia al servizio dei più poveri, dell’educazione e dei più bisognosi. È il programma di vita di suor Maria Cristina dell’Immacolata Concezione, al secolo Adelaide Brando.
Nata a Napoli il 1° maggio 1856 da Giovanni Giuseppe Brando e Concetta Marrazzo, fu battezzata lo stesso giorno nella chiesa di San Liborio.
L’8 dicembre 1864 ricevette la prima comunione e il 25 dicembre 1868, all’età di dodici anni, fece voto di verginità perpetua. La sua aspirazione fu quella di vittima consacrata interamente al Signore, nonché di riparatrice. Sentì la vocazione alla vita consacrata ed espresse il desiderio di entrare tra le sacramentine del capoluogo campano. Nel 1856 vestì l'abito religioso e prese il nome di suor Maria Cristina dell’Immacolata Concezione.
La Brando vedeva in Gesù eucaristico la vittima perennemente sacrificata al Padre in riparazione ed espiazione, e sentiva che il suo posto era accanto al tabernacolo per offrirsi, con Gesù ostia, vittima di riparazione e di espiazione perenne. Di grande aiuto e conforto furono san Ludovico da Casoria e il servo di Dio Michelangelo Longo da Marigliano. Il 22 novembre 1884, su invito del preposito di Casoria, il canonico Domenico Maglione (fratello del cardinale Luigi, segretario di Stato di Pio XII), suor Maria Cristina si trasferì a Casoria con le consorelle, presso la proprietà Maglione, e poi nell’attuale casa madre in via G. D’Anna, dove costruì un meraviglioso tempio eucaristico in stile neo gotico. Il 16 agosto 1903 l’istituto prese il nome ufficiale di vittime espiatrici di Gesù Sacramentato. Finalità dell’opera fondata dalla Brando è: adorazione perpetua e promozione del culto divino; formazione delle giovani delle classi più umili; insegnamento catechistico e scolastico; assistenza dell’infanzia e varie altre opere assistenziali. La mattina del 20 gennaio 1906 morì dopo aver ricevuto i sacramenti. È stata beatificata da Giovanni Paolo II il 27 aprile 2003.
Maria Alfonsina Danil Ghattas. Una donna in Terra santa
La promozione della donna in Terra santa deve molto a suor Maria Alfonsina Danil Ghattas, che per ispirazione della Vergine fondò una congregazione religiosa per esercitare la carità e l’educazione della gioventù femminile.
Nata a Gerusalemme il 4 ottobre 1843 da una famiglia che le assicurò una buona formazione cristiana, fu battezzata il 19 novembre successivo e al fonte le venne imposto il nome di Soultaneh Maria. Nel settembre 1848 cominciò a frequentare la scuola delle suore di San Giuseppe dell’apparizione, che erano giunte a Gerusalemme qualche mese prima. Ricevette il sacramento della cresima il 18 luglio 1852. Maturata la vocazione alla vita consacrata, nel 1858 entrò come postulante nell’istituto delle suore di San Giuseppe dell’apparizione. Il 30 giugno 1860 fece la vestizione e prese in religione il nome di suor Maria Alfonsina; nel 1863 emise la professione. Venne quindi incaricata di insegnare catechismo nella scuola popolare di Gerusalemme, ove si distinse per lo zelo e il profitto con cui svolgeva l’ufficio. Promosse inoltre la confraternita dell’Immacolata Concezione — che poi avrebbe preso il nome di figlie di Maria — e, in seguito, quella delle madri cristiane. Nel 1865 venne trasferita a Betlemme sempre per svolgere il ministero di insegnante. Il 6 gennaio 1874 le apparve per la prima volta la Vergine Maria; a distanza di un anno esatto, ci fu una seconda apparizione e la Madonna la invitò a dar vita a una nuova famiglia religiosa, che avrebbe preso il nome di congregazione del Santo Rosario. Scriveva: «Da quando la mia diletta Madre mi ha beneficiato della sua visita, mi sono sentita distaccata da ogni sentimento terreno e da tutto ciò che è passeggero. Provo come una sete ardente di sopportare ogni difficoltà e ogni pena, qualunque siano. Le amarezze e le sofferenze mi diventano dolci, la solitudine la considero un paradiso e l’obbedienza è per me una delizia del mio cuore e dello mio spirito. Trovo facile eseguire gli ordini dei superiori con un amore indescrivibile. La Madre mia effonde su di me abbondanti virtù senza alcun mio merito e senza troppo sforzo nel praticarle». Si recò quindi dal patriarca di Gerusalemme, monsignor Vincenzo Bracco, e gli riferì le proprie esperienze mistiche; il presule la incoraggiò e la affidò alla direzione spirituale di don Antonio Belloni. Nel maggio 1876, poiché il sacerdote aveva dovuto allontanarsi, si rivolse, per la direzione spirituale, a padre Matteo Lesciki. Dopo qualche iniziale difficoltà, anche quest’ultimo cominciò a comprenderla e a valorizzarla. Nel frattempo, alcune fra le appartenenti alle figlie di Maria cominciarono a maturare il progetto di consacrarsi al Signore nella vita religiosa ed espressero tale intendimento al loro confessore, don Giuseppe Tannous. Pure suor Maria Alfonsina decise quindi di rivolgersi a questo sacerdote, il quale le ordinò di mettere per iscritto le proprie esperienze mistiche, anche in relazione alla congregazione che la Vergine Maria le aveva chiesto di fondare.
Nel luglio 1880 le giovani figlie di Maria, sotto la guida di don Tannous, iniziarono la vita comune e il 15 dicembre 1881 il patriarca di Gerusalemme impose l’abito al primo nucleo di suore della novella comunità, che, in conformità a quanto ispirato dalla Madonna, prese il nome di istituto delle suore del Santo Rosario. Il 12 settembre 1880 suor Maria Alfonsina ottenne da Papa Leone XIII la dispensa dal voto di obbedienza emesso nella congregazione delle suore di San Giuseppe. Tre anni dopo, il 7 ottobre 1883, entrò dunque a far parte della congregazione delle suore del Santo Rosario. L’8 dicembre dello stesso anno fece la vestizione e il 1° marzo 1884 iniziò il noviziato. Emise la professione il 7 marzo 1885 e il 25 luglio successivo venne mandata a Jaffa per svolgervi l’attività di insegnante. Il 1° novembre 1886, insieme alla sorella Hanneh, aprì una missione a Beit-Sahour e l’anno successivo partì con altre consorelle per avviare una casa anche a Salt, in Giordania. Il 2 novembre 1887 fu approvata la regola delle suore del Santo Rosario, le quali, due anni dopo, ottennero l’approvazione diocesana. Nel 1889 fu inviata a Nablus dove poté restare però solo alcuni mesi poiché, colpita da febbre gialla, dovette tornare nella casa madre, a Gerusalemme, per curarsi. Già religiosa, il 4 ottobre del 1890, vigilia della festa di Santa Maria del Rosario, fu ammessa nel terz’ordine domenicano nel convento dei predicatori a Gerusalemme. All’inizio del 1892 venne trasferita nella missione di Zababdeh, mentre dal 1893 al 1908 le venne affidato l’ufficio di superiora nella casa di Betlemme. Dal 1909 al 1917 fu ancora nella casa madre di Gerusalemme; poi venne incaricata di fondare un orfanotrofio ad Ain Karem. Nel marzo 1927 fu vittima di un improvviso aggravamento delle condizioni fisiche. E il 25 marzo 1927 fece ritorno alla casa del Padre. Il 22 novembre 2009 è stata beatificata a Nazareth.
Francesco Ricci, Postulatore
Maria di Gesù Crocifisso Baouardy. Il piccolo nulla
Di fronte alla figura di suor Maria di Gesù Crocifisso Baouardy (1846-1878) ritornano alla mente le parole di san Paolo: «Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre a nulla le cose che sono» (1 Corinzi, 1, 27-28). C’è un po’ di incoscienza in Maria (o Mariam, come veniva comunemente chiamata) quando parte per fondare il primo carmelo a Mangalore in India; il viaggio è una vera avventura, durante la quale muoiono tre carmelitane; però alla fine si apre il monastero. C’è incoscienza, agli occhi degli uomini, anche quando, qualche anno dopo, propone di fondare un carmelo a Betlemme: gli ostacoli sono tanti, ma, contro ogni aspettativa, vengono superati.
Eppure Mariam era fisicamente debole: si diceva che era di “piccola salute” (petite santé), a causa del lavoro iniziato fin dalla giovinezza, dell’aggressione subita a dodici anni e del fatto che era di costituzione fragile, al punto che pareva una ragazza anche quando era ormai adulta.
Non sapendo leggere, scelse nel carmelo di essere conversa. Infatti Maria di Gesù Crocifisso ha trovato nell’umiltà la sua via verso la santità: umile davanti a Dio e davanti agli uomini, cercando sempre e dappertutto l’ultimo posto, sia nelle famiglie dove ha lavorato sin dalla fanciullezza, sia nelle comunità religiose in cui visse. Amava definirsi con l’appellativo di “piccolo nulla”. Ripeteva spesso di non essere niente e rimaneva estasiata dal fatto che Dio onnipotente si fosse abbassato verso di lei che era un granello di polvere: «Io, piccola polvere».
Mariam ricorda che la santità si può raggiungere soltanto mediante l’umiltà. Ed è santa non a motivo delle sue eccezionali grazie, visioni, rivelazioni; neanche a causa delle sue penitenze, delle sue mortificazioni; ma solo perché si è fatta piccola per amore del Signore. Si può accostare in questo a santa Bernadetta, che, il giorno della professione, la superiora presenta al vescovo dicendo: «È buona a nulla» (elle est bonne à rien). Eppure è lei che Dio ha scelto. E la grazia di aver visto la Vergine Maria a Lourdes non le tolse la sua umiltà.
Anche Mariam è una di questi piccoli ai quali il Signore rivela i misteri più grandi. Ancora nel mondo, da giovane, sentì una voce che le disse: «Nell’inferno, ci sono tanti generi di virtù, ma non c’è l’umiltà. Nel cielo, ci sono tanti generi di peccati, ma non c’è l’orgoglio». Il Signore la colmò di grazie straordinarie, ma ella non ne era consapevole; anzi rimaneva convinta del suo nulla, e paradossalmente sapersi nulla era per lei motivo di profonda gioia.
Dopo un’infanzia terribile fatta di violenze e soprusi, tredicenne cominciò a lavorare come domestica preso varie famiglie in Egitto, Terra santa, Libano e Francia. All’età di diciannove anni chiese di essere accolta tra le suore di San Giuseppe di Marsiglia, felice di potersi dare al Signore, e con la stessa disposizione interiore fu ricevuta due anni dopo nel carmelo di Pau, sempre in Francia. La sua carità, amabile e concreta era per chiunque senza eccezione. In comunità, in quanto conversa, era sempre pronta a servire. Non rifiutava i lavori più duri: dalla lavanderia alla cucina. Durante la costruzione del carmelo di Betlemme, partecipava ai lavori, immersa nella sabbia e nella calce, attenta alle fatiche degli operai, che per questo la stimavano. Maria non si stanca di predicare la carità, negli atti e nelle parole. «Dov’è la carità, là c’è Dio. Se pensate a fare il bene per il vostro fratello, Dio penserà a voi. Se fate una buca sul cammino del vostro fratello, sarete voi a cadervi, ma se fate un cielo per il vostro fratello, il cielo sarà anche per voi».
Per questo il messaggio di Mariam è molto attuale, soprattutto tra le popolazioni del Medio oriente: lei “piccola araba” vissuta nel Paese che è oggi Israele, ricorda che la pace e la riconciliazione sono frutti della carità che viene da Dio.
Inoltre offre una testimonianza di gioia pura e profonda: lei, il «piccolo nulla di Gesù», che non sa contenere l’esultanza del cuore quando considera l’amore di cui Dio la ama. Maria è stata colpita dall’amore di Dio nel senso forte del termine, perché questo legame spirituale ha lasciato segni fisici nel suo corpo, ma sono le ferite che l’invasione del “divino” provoca nella persona umana, limitata e debole. Inoltre le difficoltà e le prove non le sono mancate durante la vita: orfana a neanche tre anni, aggredita e abbandonata moribonda a dodici anni, mandata via dalla prima famiglia religiosa dove era entrata, incompresa dalle sue stesse consorelle a Mangalore. E come non accennare al frequente combattimento spirituale nel quale affrontava il Male in persona, il demonio. Maria ha vissuto tutto ciò nella luce della croce, capendo che in questo mondo, e soprattutto nella vita religiosa, tutto passa per la croce, tutto trova il suo senso nel mistero della croce, ossia nel dono di sé senza misura, a immagine di Gesù Cristo.
Immersa nella notte spirituale, Mariam non perse la fiducia nel Signore: «Soffro, non so se sarei salvata. Tuttavia, nelle profondità del cuore qualcosa mi dice: Sì, vedrò il mio Dio, avrò un posto nel suo bel cielo, mi rallegrerò di lui». È stata beatificata da Giovanni Paolo II il 13 novembre 1983. (Jacques Dupont)
L'Osservatore Romano