venerdì 8 maggio 2015

I templari e la Sindone

L'esposizione della Sindone a TorinoLa Sindone in tv, vince chi fa spettacolo
di Rino Cammilleri


La puntata di Porta a Porta dedicata alla Sindone, merita una riflessione perché da come è andata si può trarre qualche insegnamento. Il primo insegnamento è questo: su certi temi, in un talk-show, essere preparati non solo non serve a molto, ma può, anzi, essere controproducente. Infatti, in un salotto televisivo l’unico requisito che veramente serve è essere naturaliter dei polemisti. La puntata suddetta, quanto a ospiti, era fortemente sbilanciata, perché tutti gli invitati, e pure il conduttore, erano pro-Sindone, cioè convinti della sua autenticità. Per amor di spettacolo (show vuol dire questo) è stato invitato il solito Odifreddi, il quale è ormai condannato a fare l’ateo professionista, unico motivo per il quale viene invitato nei talk-show in cui si parla di religione. Cattolica, ovviamente, perché gli atei militanti ce l’hanno solo con questa. Tutti gli altri ospiti erano esperti di settore, a parte Saverio Gaeta che è un giornalista, ma ha sempre pronto l’instant-book che serve. 
Ora, secondo le regole della comunicazione televisiva, l’uno-contro-tutti orienta la simpatia delpubblico a casa sul combattente solitario. Odifreddi, forte di un’esperienza decennale in dibattiti tivù, lo sa e infatti si presenta in scanzonato maglione laddove tutti gli altri sono in giacca e cravatta. Odifreddi non è uno scienziato, ma uno scafato polemista. Gli altri, scienziati sul serio, hanno tirato fuori il loro dettagliato sapere, ma, abituati alle aule accademiche, sono risultati noiosi e impacciati, mentre il conduttore, scaduti i tempi della scaletta, era costretto a togliere loro la parola sul più bello. Un talk-show non è una lezione dotta. Non è nemmeno un’omelia, altrimenti conferma nell’ascoltatore l’idea che la Sindone sia solo una questione di fede, per cui c’è chi ci crede e chi no. Il responsabile della Sindone, un anziano sacerdote, ha finito per impaniarsi in quel che sapeva fare meglio. E Odifreddi, sorridendo, ne ha fatto –televisivamente parlando- un boccone. Il medievista Cardini, presente solo per poco, ha tentato una benintenzionata positio super partes (ma, in certi temi, la terzietà non paga). E ha finito per impelagarsi in un mezzo battibecco con l’accademico Giulio Fanti a proposito di monete giustinianee e Mandylion, perché il Fanti, ingegnere, invadeva il suo campo di storico. 
Nell’ambiente del talk-show non importa chi abbia ragione, ma solo chi è capace di –come si suol dire- bucare lo schermo. Ora, un’altra cosa da non fare, quando si è in tali situazioni, è portarsi dietro i propri libri e cercare di pomparli. Perché? Perché si viene distratti da questo assillo e si diventa preda di chi si concentra solo sulla polemica. Del resto, dato il luogo, il conduttore fa solo vedere di sguincio, all’inizio, la copertina dei libri degli ospiti. L’unico modo per far pubblicità al proprio libro è, in quel caso, “bucare lo schermo” con la propria persona. Gaeta, per esempio, ha rivelato –da suo libro- che uno dei laboratori americani che eseguirono l’analisi al Carbonio 14 sulla Sindone (e la dichiarò falso medievale) operò su un solo frammento, mentre ne aveva a disposizione due. A quel punto è stato facile per Odifreddi obiettare che, però, anche su un  solo frammento il C14 non può sbagliare. Data la famosa scaletta, Gaeta non ha avuto modo di replicare e spiegare bene perché quell’analisi americana era fraudolenta. 
Odifreddi, ben preparato sull’unica cosa che serve in tivù, ha fin da subito impostato la sua strategia su questo argomento: io non dico che sia un falso o meno, dico solo che non si sa come l’immagine sia stata ottenuta; infatti non lo sapete nemmeno voi. Ora, a nessuno è venuto in mente di concentrarsi sulle sole obiezioni di Odifreddi, senza perdere tempo a dimostrare come e qualmente la Sindone sia autentica. Per far questo, infatti, ci vogliono ore, e non i pochi secondi messi a disposizione dalla scaletta. Il polemista esperiente non sta sulla difensiva ma va all’attacco. Esempio: se è un falso medievale, la scienza del Terzo Millennio dimostra che deve essere stato un genio, e non un genio qualsiasi, ma un genio unico nella storia dell’umanità. Questo supergenio avrebbe confezionato un solo oggetto, la Sindone? Per poi sparire nel nulla senza lasciare traccia nella storia? Ma Leonardo e Michelangelo e Dante dimostrano che un genio non passa inosservato. Un genio, per quanto genio sia, vuole soldi e fama, e perciò deve venire allo scoperto. I tre geni su nominati lo dimostrano. 
Insomma, lo schema-dibattito esemplare è questo: non sono io a dover dimostrare che non è unfalso, sei tu a dover dimostrare che lo sia. Insegnamento finale: se non siete dei polemisti abbiate la forza di declinare gli inviti televisivi. Anche se, lo ammetto, la tentazione è forte. 

*

 

I templari e la sindone


templari e la sindone di Cristo è il titolo di un nuovo libro che Il Mulino pubblicherà prima dell'estate. L'autrice, addetto dell'Archivio Segreto Vaticano che ha studiato il processo contro il famoso ordine militare del medioevo, ha già pubblicato sul tema altri volumi - L'ultima battaglia dei Templari. Dal codice ombra d'obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia (Roma, Libreria Editrice Viella, 2001, pagine 337, euro 24, 79); Il Papato e il processo ai Templari. L'inedita assoluzione di Chinon alla luce della diplomatica pontificia (Roma, Libreria Editrice Viella, 2003, pagine 239, euro 20); I Templari(Bologna, Il Mulino, 2004, pagine 193, euro 12; nuova edizione, 2007); Notizie storiche sul processo ai Templari (in Processus contra Templarios, Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2007, pp. 103-249) - e anticipa in questo articolo i contenuti del suo ultimo studio. 
di Barbara Frale 
Nell'anno 1287 un giovane di buona famiglia del meridione francese, chiamato Arnaut Sabbatier, chiese e ottenne di entrare nell'ordine religioso e militare dei templari:  qualcosa che nella società del tempo costituiva un gran privilegio sotto molti punti di vista. Nato a Gerusalemme poco dopo la prima crociata, con la missione di difendere i cristiani di Terrasanta, quello del Tempio diventò ben presto l'ordine più potente e illustre del medioevo cristiano.
Durante la sua cerimonia d'ingresso, dopo aver preso i tre voti monastici di povertà, obbedienza e castità, il precettore condusse il giovane Arnaut in un luogo chiuso, accessibile ai soli frati del Tempio:  qui gli mostrò un lungo telo di lino che portava impressa la figura di un uomo e gli impose di adorarlo baciandogli per tre volte i piedi.
Questa testimonianza proviene dai documenti del processo ai templari ed è quasi sconosciuta agli storici poiché rappresenta una goccia nel mare per chi debba studiare le intricatissime vicende di quel grande complotto innescato nel 1307 dal re di Francia Filippo IV il Bello ai danni del Tempio, divenuto ormai quasi uno Stato autonomo all'interno del suo regno. Tuttavia quel documento possiede un valore di primo piano per chi sia interessato a indagare le dinamiche di un'altra storia:  quella che segue il trasferimento della sindone di Torino dalla corte degli imperatori bizantini - dove era rimasta fino all'anno 1204 - verso l'Europa, dove ricompare a metà del XIV secolo, nelle mani di una nobile famiglia francese.
Nel 1978 uno storico laureatosi a Oxford, Ian Wilson, aveva ricostruito le peripezie storiche della sindone mettendo in evidenza come il telo, considerato la più importante reliquia della passione di Cristo, fosse stato rubato dalla cappella degli imperatori bizantini durante il tremendo saccheggio consumato durante la quarta crociata nel 1204.
Wilson metteva a confronto tante testimonianze rilasciate dai frati del Tempio durante il processo e faceva notare che fra le accuse avanzate contro di loro dal re di Francia c'era quella di adorare segretamente un misterioso "idolo", un ritratto che raffigurava un uomo con la barba.
Grazie a una serie di indizi, l'autore suggeriva come il misterioso "idolo" venerato dai templari altro non fosse che la sindone di Torino, chiusa in una teca speciale fatta apposta per lasciar vedere solo l'immagine del volto, e venerata in assoluto segreto in quanto la sua stessa esistenza all'interno dell'ordine era un fatto molto compromettente:  l'oggetto era stato rubato durante un orribile saccheggio, sugli autori del quale Papa Innocenzo iii aveva lanciato la scomunica, e anche per il traffico delle reliquie era stata sancita la stessa pena dal concilio Lateranense IV nel 1215.
Che l'avessero presa direttamente oppure comprata da qualcun altro, dichiarando al mondo di possedere la sindone i templari rischiavano in ogni caso la scomunica. Secondo Wilson, gli "anni oscuri" durante i quali le fonti storiche non parlano della sindone corrispondono in realtà al periodo in cui la reliquia fu custodita in assoluto segreto dai templari. A suo tempo la tesi suscitò molti entusiasmi poiché permetteva di dare risposte coerenti a tanti punti non chiariti che ancora permanevano sulla storia della sindone e sul processo contro i templari, ma la comunità scientifica rimase insoddisfatta in quanto le prove documentarie addotte dallo studioso apparivano tutto sommato scarse.
A distanza di trent'anni ho provato ad aggiungere alla tesi di Wilson molti tasselli mancanti. In questo nuovo libro ho analizzato fonti inedite riguardanti i templari e la storia antica della sindone giungendo a una conclusione:  nel corso del Duecento, quando la società cristiana è turbata dalla proliferazione delle eresie che negano la reale umanità di Cristo, l'ordine del Tempio, a causa delle sue molte immunità, rischia di diventare una specie di porto franco per gli eretici di lignaggio cavalleresco che cercano d'intrufolarvisi per mettersi al riparo dalle autorità inquisitoriali.
Se questo fosse successo davvero, il Tempio si sarebbe trovato destrutturato nella sua identità religiosa. I capi dell'ordine frequentavano la corte bizantina per la quale avevano svolto varie mediazioni diplomatiche, conoscevano l'enorme sacrario imperiale di Costantinopoli dove per secoli gli imperatori avevano raccolto con cura minuziosa le più famose e antiche reliquie di Cristo, della Vergine e dei santi. Sapevano anche che i teologi bizantini avevano enfatizzato il potere delle reliquie di Cristo per contrastare la predicazione degli eretici, soprattutto delle sette di stampo docetista e gnostico secondo le quali Cristo era un essere di solo spirito e non aveva mai avuto un vero corpo umano, ma solo l'apparenza di un uomo.
Insomma, i templari si procurarono la sindone per scongiurare il rischio che il loro ordine subisse la stessa contaminazione ereticale che stava affliggendo gran parte della società cristiana al loro tempo:  era il miglior antidoto contro tutte le eresie. I catari e gli altri eretici affermavano che Cristo non aveva vero corpo  umano né vero sangue, che non aveva mai sofferto la Passione, non era mai morto, non era risorto; per questo non celebravano l'Eucarestia, considerata a loro giudizio un rito privo di senso non avendo Cristo mai avuto una vera carne.
Una volta aperta completamente, la sindone portava l'immagine impressionante di quel corpo massacrato proprio come era avvenuto a Gesù secondo i vangeli:  si vedeva tutto, la carne dei muscoli tesi nella rigidità che accompagna le prime ore dopo la morte, il volto gonfio sotto l'effetto delle percosse, la pelle strappata dagli aculei del flagello. E c'era tanto sangue, sangue dappertutto, quello che secondo l'evangelista Matteo era stato "versato per molti in remissione dei peccati" (Matteo, 26, 28). L'umanità di Cristo sopraffatta dalla violenza degli uomini, quell'umanità che i catari dicevano immaginaria, si poteva invece vedere, toccare, baciare.
Questo è qualcosa che per l'uomo del medioevo non aveva prezzo; qualcosa ben più potente dei sermoni dei predicatori e anche della repressione degli inquisitori. I Pontefici più accorti lo avevano capito, e così si comprendono iniziative come quella di Innocenzo iii che promosse il culto della Veronica o quella di Urbano iv che solennizzò il miracolo di Bolsena istituendo la festa del Corpus Domini.
I templari diedero allora vita a liturgie speciali di venerazione della sindone come l'uso di consacrare le cordicelle del loro abito mettendole a contatto con l'inestimabile reliquia, affinché il potere sacro di quell'oggetto li proteggesse sempre dai nemici del corpo e dello spirito; oppure la liturgia descritta dal templare Arnaut Sabbatier ricordata in apertura. E anche Carlo Borromeo, quando nel 1578 si recò pellegrino alla sindone viaggiando a piedi da Milano a Torino, la venerò praticando il bacio sulle ferite dei piedi proprio come usavano fare i dignitari del Tempio.
Questo libro - una ricostruzione di taglio storico-archeologico che non entra in questioni teologiche - rappresenta in realtà la prima parte di uno studio dedicato alla sindone che si completerà con un secondo volume in preparazione di stampa (La sindone di Gesù Nazareno, sempre per Il Mulino). Attraverso una lunga ricerca documentaria provo a rispondere a molti quesiti della storia ma anche a proporre ipotesi di studio che potrebbero aprire nuovi sentieri di ricerca:  come quella che riguarda le enigmatiche tracce di scrittura in greco, latino ed ebraico identificate da alcuni esperti francesi sul lino della sindone, parole tracciate in origine su un documento che entrò in contatto con il telo e vi lasciò una specie di impronta.


(©L'Osservatore Romano 5 aprile 2009)