venerdì 15 maggio 2015

In mezzo a frotte di ragazzi scalmanati



A Venezia la beatificazione di don Luigi Caburlotto. 

(Roberta Balduit, Vice postulatrice) Ottant’anni trascorsi tutti nella città natale, Venezia, accompagnandone il difficile e doloroso trapasso da Repubblica libera a città soggetta a governi stranieri, in rivolta per la riconquista della libertà perduta, infine provincia periferica in quel regno d’Italia che l’aggregava senza particolari entusiasmi. Cristiano e cittadino per don Luigi Caburlotto (1817-1897) — che sabato 16 maggio, in rappresentanza di Papa Francesco, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei santi, beatifica in piazza San Marco a Venezia — sono state realtà inscindibili: nel consorzio sociale si vive infatti secondo i valori e i principi cui mente, cuore e anima aderiscono. Fin dall’infanzia, Luigi è segnato dalla fede cattolica accolta e vissuta in famiglia e nella parrocchia. Già a 17 anni lascia intravvedere la sua vocazione mentre parla di san Giuseppe Calasanzio, fondatore delle scuole cristiane, ispiratore e protettore della scuola dei venerabili fratelli Cavanis, che egli sta frequentando ormai da cinque anni. Il santo, racconta Luigi ai suoi condiscepoli, mentre per via si imbatteva in frotte di ragazzi scalmanati e senza alcuna disciplina, «lesse in essi vivamente impressa la sua vocazione» e avvertì nel cuore risuonare il salmo 9: «A te è affidato il povero, dell’orfano tu sarai il sostegno». È questa la sigla della vita di Luigi Caburlotto, fin da subito: passare accanto, passare in mezzo vedendo e avvertendo nel cuore una chiamata di Dio cui rispondere con sollecito amore, con tutte le energie di mente, di cuore, di relazione, di iniziativa, di dedizione spinta fino al totale sacrificio di sé. 
Alla scuola dei venerabili Antonangelo e Marcantonio Cavanis, suoi maestri per sei anni, e con la guida spirituale di don Andrea Salsi suo parroco e collaboratore dei Cavanis, assorbe il senso di unità tra fede e vita, riconoscendo nella loro dedizione educativa paterna, attenta, diuturna l’espandersi del loro amore di Dio. Da chierico si impegna a dare mete di santità alla sua vita radicandola nell’ardente amore per Dio e nell’impegno di evangelizzazione attraverso l’annuncio della parola e la cura educativa delle giovani generazioni. Da sacerdote avverte di essere scelto senza suo merito come lampada sul candelabro per la gloria di Dio, per confortare l’afflitto cuore del popolo annunciando la misericordia. 
Ha individuato e scelto il cuore della missione sacerdotale nell’essere ponte tra Dio e gli uomini, tra gli uomini e Dio, tra uomo e uomo. Si definirà più avanti un “punto mediano”, colui che ha il compito, e lo assume, di districare i nodi, di appianare le difficoltà, di riconoscere i fili comuni e riannodarli. 
Don Luigi era parroco da soli sei mesi, nella parrocchia di San Giacomo dall’Orio, che ben conosceva per i sei anni di ministero pastorale accanto al parroco da poco defunto. Erano stati anni in cui il vedere povertà, fatica, desolazione, aggravate dai rivolgimenti degli anni 1848-1849, avevano scavato nel suo cuore una sofferenza che egli divenendo parroco chiama “cordoglio”. È a quel momento che egli fa risalire la scintilla decisionale che farà nascere il 30 aprile 1850 una scuola popolare di carità nella parrocchia e contemporaneamente, sebbene ancora in germe, una famiglia religiosa: le figlie di San Giuseppe. Essa cresce da sé, dal volontariato delle prime tre collaboratrici, nelle quali matura il desiderio della consacrazione. Don Luigi, una volta ancora, legge nella richiesta di queste prime tre giovani, tutte catechiste della sua parrocchia, un appello di Dio. Lasciando la parrocchia don Luigi confesserà ai suoi parrocchiani di avere «un cuore che ama assai», uno sguardo che possiamo definire “cordiale”.
Dal 1856, e molto più dal 1869, fino alla fine dei suoi giorni, don Luigi si trova a lavorare con e in istituzioni pubbliche, nella direzione degli istituti Manin, femminile e maschile, e più tardi degli orfanotrofi cittadini. Gli fu chiaro fin da subito che la sua presenza nella direzione dell’istituto era ben delimitata dall’ente gestore e che, se voleva guadagnare quella autorevolezza che gli avrebbe permesso di incidere in modo determinante sull’indirizzo educativo, unica cosa che gli stava a cuore, doveva anzitutto lavorare a solo titolo di carità, rinunciando a ogni stipendio e rivendicando per sé la scelta del personale docente sul fronte della “moralità” e dell’orientamento di pensiero. 
Per don Luigi la vita di Gesù deve essere la nostra vita: di questo era così certo da ripeterlo in molti modi e a tutti. E questo è stato il suo luminoso segreto, il perno coagulante del suo esistere, la ragione propulsiva del suo pensare e operare. 
L'Osservatore Romano