sabato 6 giugno 2015

Domenica del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo 2015, Anno B

Nella Solennità del Santissimo Sangue e Corpo di Cristo, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, nell’Ultima Cena, prende il pane e recita la benedizione, lo spezza e lo dà ai discepoli, dicendo:
«Prendete, questo è il mio corpo».
Il Vangelo di Luca, proclamato nella festa di oggi, racconta l’“istituzione dell’Eucaristia”. Nel contesto della celebrazione annuale della Pasqua, Cristo, come ogni capofamiglia ebreo, compie con i suoi Apostoli i riti che rendono presente e attuante la liberazione operata da Dio in favore del popolo d’Israele. Ma in questa cena davvero particolare, Gesù non si limita a far memoria liturgica del passato. Mangiare quel pane azzimo, per Israele significava far presente e diventare partecipi della schiavitù d’Egitto per esserne liberati. Ora Gesù dà a quel pane un significato nuovo: quel pane è il suo corpo consegnato alla morte per noi, mangiare di esso significa morire con Cristo, per partecipare alla sua vittoria sulla morte. Bere il vino della terra promessa non sarà più solo fare presente la fedeltà di Dio alle sue promesse di introdurre il popolo d’Israele nella terra, ma rendere presente la risurrezione del Signore dalla morte, il banchetto escatologico, la vita eterna. Ecco nei segni eucaristici reso presente e attuale per ogni tempo il mistero della Pasqua del Signore: la sua morte in croce e la sua risurrezione; l’offerta, il sacrificio del suo corpo, e il suo sangue sparso per amore, perché la morte non abbia più potere su di noi. Il Cielo, chiuso dal peccato, torna ad aprirsi, davanti all’uomo si apre la via della salvezza: oggi possiamo passare con Cristo da questo mondo al Padre, uniti a Lui nel suo corpo, dato a morte per noi, riceviamo nel suo sangue il sigillo della vita eterna. (Pasotti)


DOMENICA DOPO LA TRINITA' 
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
  
Anno B - Solennità 

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 80,17
Il Signore ha nutrito il suo popolo
con fior di frumento,
lo ha saziato di miele della roccia.

 
Colletta

Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell'Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, f
a' che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione. Tu sei Dio...


Oppure:

Signore, Dio vivente, guarda il tuo popolo radunato attorno a questo altare, per offrirti il sacrificio della nuova alleanza; purifica i nostri cuori, perché alla cena dell'Agnello possiamo pregustare la Pasqua eterna nella Gerusalemme del cielo. Per il nostro Signore...


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
  Es 24, 3-8
Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi.
Dal libro dell'Èsodo
In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!».
Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrifi­care giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.
Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».
Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».
 
Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 115
Alzerò il calice della salvezza  e invocherò il nome del Signore.
Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.

Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.

A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo. 


Seconda Lettura
  Eb 9, 11-15
Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza.
 

Dalla lettera degli Ebrei
Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d'uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.
Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo - il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio - purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?
Per questo egli è mediatore di un'alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità eterna che era stata promessa.

SEQUENZA

[ Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore
con inni e cantici.
 
    Lauda Sion Salvatorem,
    lauda ducem et pastorem,
    in hymnis et canticis.
 
Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno. 

    Quantum potes, tantum aude:
    quia major omni laude,
    nec laudare sufficis,

Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.
 
    laudis thema specialis,
    panis vivus et vitalis
    hodie proponitur.

Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.
 
   Quem in sacræ mensæ coenæ,
    turbæ fractrum duodenæ
    datum non ambigitur.

Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito. 

    Sit laus plena, sit sonora,
    sit jucunda, sit decora
    mentis jubilatio.

Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.

    Dies enim solemnis agitur,
    in qua mensæ prima recolitur
    Hujus institutio.

E il banchetto del nuovo Re,
nuova, Pasqua, nuova legge;
e l'antico è giunto a termine. 

    In hac mensa novi Regis,
    novum Pascha novæ legis,
       phase vetus terminat.

Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra:
luce, non più tenebra. 
   
    Vetustatem novitas,
    umbram fugat veritas,
    noctem lux eliminat.

Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo,
 
    Quod in coena Christus gessit,
    faciendum hoc expressit
    in sui memoriam.

Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza. 

    Docti sacris institutis,
    panem, vinum in salutis
    consecramus hostiam.

È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino. 

    Dogma datur christianis,
    Quod in carnem transit panis,
       Et vinum in sanguinem.

Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura. 

    Quod non capis, quod non vides,
    animosa firmat fides,
    Præter rerum ordinem.

È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero 

realtà sublimi.

      Sub diversis speciebus,
   signis tantum, et non rebus,
      latent res eximiæ.
 
Mangi carne, bevi sangue;
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.
 
    Caro cibus, sanguis potus:
    manet tamen Christus totus
       sub utraque specie.
 
Chi ne mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
 
    A sumente non concisus,
    non confractus, non divisus:
    integer accipitur.

Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato. 

    Sumit unus, sumunt mille:
    quantum isti, tantum ille:
    Nec sumptus consumitur.
 
Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
 
    Sumunt boni, sumunt mali:
    sorte tamen inæquali,
    
vitæ vel interitus.

Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l'esito! 

    Mors est malis, vita bonis:
    Vide paris sumptionis
    quam sit dispar exitus.

Quando spezzi il sacramento
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell'intero. 

    Fracto demum sacramento,
    ne vacille, sed memento
    tantum esse sub fragmento,

È diviso solo il segno
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito 

della sua persona. 
]

    Quantum tot tegitur.
    Nulla rei fit scissura:
    Signi tantum fit fractura,
    qua nec status, nec statura       
    signati minuitur.

Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev'essere gettato.

    Ecce Panis Angelorum,
    factus cibus viatorum:
    vere panis flliorum,
    non mittendus canibus.
 
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri. 

    In figuris præsignatur,
    cuni Isaac immolatur,
    Agnus Paschæ deputatur,
    datur manna patribus.

Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi. 

    Bone pastor, panis vere,
    Jesu, nostri miserere:
    Tu nos pasce, nos tuere,
    tu nos bona fac videre
    in terra viventium.

Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo 

nella gioia dei tuoi santi.

 
    Tu qui cuncta seis et vales,
    qui nos pascis hic mortales:
    Tuos ibi commensales,
    coheredes et sodales
    fac sanctorum civium.
      Amen. (Alleluia).
   
Canto al Vangelo
    Gv 6,51
Alleluia, alleluia.

Io sono il pane vivo disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. 

Alleluia.

   
   
Vangelo 
 Mc 14, 12-16. 22-26
Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue.
 

Dal vangelo secondo Marco
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: "Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

*

Non c’è Pasqua senza la fede!

Commento al Vangelo della Domenica del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo 2015, Anno B


Ecco la domanda che tutti, di fronte alla nostra vita, abbiamo nel cuore. Forse i più neanche lo sanno, seppellita com’è da altre ben più superficiali domande. Magari anche noi, ascoltando mille volte questo Vangelo e i suoi paralleli, l’abbiamo sfiorata sbadatamente. Ma quella che in questa Domenica del Corpus Domini la Chiesa pone a Gesù per bocca dei “suoi discepoli” è di una profondità impressionante: “Dove vuoi che andiamo a preparare perché “tu” possa mangiare la Pasqua?”.
La Chiesa dunque cerca sempre il luogo dove preparare la Pasqua “di” Gesù, perché senza di essa non può vivere, come affermavano i martiri di Bitinia. Nel 304 l’imperatore Diocleziano decretò che i cristiani non potevano tenere con sé la Bibbia, non potevano riunirsi la domenica per celebrare l’Eucaristia e nemmeno costruire dei luoghi per riunirsi. Ma la comunità di Abitene nell’attuale Tunisia, disobbedì e i suoi 49 fratelli furono scoperti in casa di Ottavio Felice mentre, di domenica, celebravano l’Eucaristia. Dopo essere stai arrestati comparirono davanti al Proconsole Anulino a Cartagine, e uno di loro di nome Emerito spiegò al Proconsole che non avevano obbedito all’Imperatore perché "Sine dominico non possumus", ovvero che senza riunirsi la domenica in comunità per celebrare l’Eucarestia non potevano vivere da figli di Dio nelle prove che erano chiamati ad affrontare durante la settimana. Ebbene questi fratelli così realisti e umili furono martirizzati dopo aver subito torture atroci.
Comprendiamo allora la profondità della domanda dei discepoli: senza un “luogo” dove celebrare il sacrificio redentore di Cristo e passare con Lui dalla morte alla vita, senza un luogo dove sperimentare il suo perdono e ricevere gratuitamente la sua vita, la Chiesa non può compiere la sua missione. Per questo è disposta a versare il sangue pur di custodire il luogo dove rinascere e crescere nella speranza, nella fede e nella carità, nello zelo e nel coraggio per annunciare il Vangelo.
C’è dunque ”una grande sala con i tappeti, già pronta” dove “preparare la Pasqua per noi”, per Lui e ciascuna comunità, dove Gesù come nuovo Mosè ha “eretto un altare ai piedi del monte con dodici stele per le dodici tribù di Israele”. Ecco perché non possiamo restarne senza! C’è la Croce, il suo altare, il letto d’amore dove ci unisce a Lui, ed è “già pronto” per noi.
C’è il “Didascalo”, il Maestro, che ci annuncia le parole dell’Alleanza con cui Dio si è legato a noi, e ce le insegna mostrandoci come siano immerse non più “nel sangue di capri e vitelli”, ma nel suo “sangue, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio” per “purificare la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente”.  Quella “sala” è dunque il luogo del perdono che cancella la malizia dal profondo del nostro cuore, perché ricolmo della vita di Cristo possiamo “servire” la volontà di Dio!
Per questo in quel luogo, “aspersi dal sangue” della “nuova ed eterna Alleanza” versato da “Gesù” suo “Mediatore”, noi che “siamo stati chiamati” nella sua Chiesa, possiamo “ricevere l’eredità eterna che ci è stata promessa”, la vita più forte della morte e del peccato.
Come non chiedere a Gesù “dov’è il luogo” dove Lui ci dona, compiuti nella sua Pasqua, “tutti i comandi” che Dio ha scritto nella sua Legge perché anche “noi possiamo eseguirli” nell’amore? Come non ascoltare oggi le sue parole per “entrare” anche noi “nel santuario” dove sperimentare le primizie della vita celeste, “attraverso la tenda più grande e perfetta non costruita da mano d’uomo”, attraverso cioè la sua carne?
Ascoltiamolo allora indicarci il cammino per giungere al luogo della sua Pasqua. Gesù non ci risponde dandoci un indirizzo, ma annuncia un fatto e invia due discepoli a viverlo: “andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: il Maestro dice; Dov’è la mia stanza perché vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Per conoscere il luogo la Chiesa e ciascuno di noi deve innanzi tutto obbedire a Gesù che invia “due discepoli”.
“Due”, come Adamo ed Eva, e per questo segno dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, “maschio e femmina”, e che nella diversità e nella complementarietà sono chiamati a diventare una cosa sola aperta alla fecondità; ma anche segno della frattura apertasi tra di loro in conseguenza del peccato con cui hanno disobbedito a Dio; “due discepoli”, come ogni matrimonio chiamato all’amore e così spesso ferito dalla concupiscenza e dall’egoismo; “due”, come gli apostoli inviati in missione a far presente sulla terra il potere del Vangelo che risana ogni divisione; “due”, come Pietro e Giovanni che corrono verso la tomba per vedere, credere e testimoniare la resurrezione di Gesù. “Due”, per significare che l’obbedienza alle parole di Gesù passa sempre per un “io” chiamato a trascendersi in un “tu”. “Due”, come Cristo e la sua Sposa, come ciascuno di noi e il nostro Sposo.
“Due”, per dire ciascuno di noi che siamo stati creati come persone aperte e destinate alla comunione, e non come dei lupi solitari gettati nel mondo; “due” per dire che per compiere la nostra vita nell’amore dobbiamo obbedire alla parola di Gesù che ci invia nella “città”, cioè nelle vie che definiscono le circostanze della nostra storia concreta dove “ci verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua”.
Ecco il segno! L’acqua della vita, il battesimo, e un uomo che ne attinge per noi, immagine dei pastori e dei catechisti che, nella Chiesa primitiva, guidavano i catecumeni nel cammino verso il sacramento della rigenerazione.
Fratelli, non c’è Pasqua senza la fede! Non si può celebrare la Pasqua di Cristo senza aver scoperto il luogo dove immergere il nostro uomo vecchio. E non si può scoprire senza un serio cammino di fede, una iniziazione cristiana che ci accompagni, anche se già battezzati a riscoprire il potere di Cristo risorto.
Non potremo celebrare in pienezza la Solennità del Corpus Domini senza aver obbedito al Signore e “seguito” quell’ “uomo che ci viene incontro”, i missionari che cercano ciascuno di noi per accompagnarci al “luogo” dove Gesù realizza il “culmine e la fonte” di ogni liturgia e della vita cristiana.
Coraggio allora, “andiamo” ed “entriamo in Città.
Il battesimo, il cammino della fede ci conduce al luogo dove si compie e nasce la nostra vita, il culmine e la fonte.