martedì 9 giugno 2015

Interchurch Families


Famiglie "ecumeniche": una risorsa non un problema

di Thomas Knieps-Port le Roi *

I Lineamenta per l’Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2015 contengono nella seconda parte la seguente domanda: «La normativa attuale permette di dare risposte valide alle sfide poste dai matrimoni misti e da quelli interconfessionali? Occorre tenere conto di altri elementi?» (n. 39; Regno-doc. 15,2015,23).
La Relatio Synodi del Sinodo straordinario del 2014 faceva riferimento ai matrimoni misti in un solo passaggio, evidenziando brevemente i pericoli del relativismo e dell’indifferenza e la possibilità di promozione dello spirito ecumenico, caratteri che, si diceva, sono entrambi inerenti a tali unioni (cf. n. 7).
La Relatio riferiva anche che il tema dei matrimoni misti era ripetutamente affiorato negli interventi dei padri sinodali, ma lo menzionava solo alla fine della seconda sezione intitolata «Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali)». Forse è avvenuto inavvertitamente, ma come mai gli autori della Relatio hanno collocato i matrimoni misti nella categoria delle «famiglie ferite» che hanno particolare bisogno di cura pastorale?
Per tutti questi motivi la Rete internazionale delle famiglie interconfessionali (Interchurch Families International Network – IFIN) ha deciso di stendere una risposta ufficiale per il prossimo Sinodo per attirare l’attenzione dei vescovi sul contributo specifico che molti «matrimoni misti» impegnati offrono alla ricerca dell’unità tra le Chiese cristiane divise (la traduzione del documento su uno dei prossimi numeri di Regno-doc.ndr).
L’IFIN è una rete informale di famiglie interconfessionali a livello internazionale, che riunisce associazioni e gruppi di famiglie interconfessionali provenienti da diverse parti del mondo. Dopo il concilio Vaticano II, con il suo atteggiamento più positivo verso i matrimoni misti, a partire dagli anni Sessanta gruppi e associazioni nazionali e regionali hanno cominciato a formarsi in molti paesi europei (Francia, Italia, Svizzera, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Germania e Austria) e poi anche negli USA, in Canada, Australia e Nuova Zelanda.
La Rete, che nel frattempo è entrata in contatto anche con coppie e famiglie interconfessionali nei paesi in cui non esistono ancora gruppi, tra cui l’Africa, è stata costituita dopo un incontro mondiale che si è tenuto a Roma nel 2003. In quell’occasione i rappresentanti delle associazioni di 11 paesi e 3 continenti hanno adottato il documento intitolato Interchurch families and Christian unity. Il cosiddetto Documento di Roma è ancora il testo più completo, in forma sintetica, sull’auto-comprensione delle famiglie miste, il contributo che esse sentono di poter portare all’unità dei cristiani e il tipo di comprensione pastorale di cui hanno bisogno per esprimere il proprio potenziale (disponibile anche in italiano con il titolo Uniti nel battesimo e nel matrimonio in http://www.interchurchfamilies.org/rome-document/rome-document).
Una definizione problematica
La Risposta dell’IFIN al Sinodo del 2015 offre l’opportunità alle famiglie interconfessionali nel mondo di riflettere nuovamente sulla loro condizione specifica nella Chiesa e nei contesti culturali in cui vivono; sulle difficoltà e le gioie che sperimentano nella loro vita coniugale e familiare e che sono attraversate dai confini confessionali; su quali nuove sfide vedono per la loro vita coniugale e familiare e sulle concrete speranze riguardo a come il prossimo Sinodo e la Chiesa in generale dovrebbero affrontare le questioni relative alla loro situazione.
Una prima versione della Risposta è stata preparata da un piccolo gruppo di membri della rete che poi è stata fatta circolare tra le tante associazioni nazionali e i gruppi per critiche, commenti e suggerimenti. Dopo esplicita approvazione da parte della maggioranza delle associazioni e dei gruppi, la redazione finale è stata inviata alla Segreteria del Sinodo dei vescovi il 7 aprile scorso.
Dopo aver rilevato la mancanza di un’attenzione particolare alle famiglie interconfessionali nel documento sinodale (cf. n. 1), la Risposta si concentra sulla questione della terminologia (cf. n. 2). Come si poteva notare nei documenti preparatori e conclusivi del Sinodo dei vescovi, la Chiesa cattolica fa ancora riferimento ai matrimoni e alle famiglie in cui i coniugi provengano da due differenti tradizioni ecclesiali (spesso un cattolico romano sposato con un cristiano di un’altra denominazione) come a «matrimoni misti».
La tradizionale terminologia canonica aveva distinto i «matrimoni misti» dalle unioni in cui marito e moglie appartengono a religioni diverse (uno dei quali di solito è cattolico romano), usando nel secondo caso l’espressione «disparità di culto».
Gli attuali documenti sinodali hanno sostituito quella terminologia e usano al suo posto quella di «matrimoni interreligiosi». La Risposta suggerisce che anche per i matrimoni tra cristiani battezzati venga usata una terminologia più specifica. Per molto tempo le coppie cristiane non hanno apprezzato il fatto d’essere chiamate «coppie miste», espressione ambigua che si può applicare a diverse tipologie di mescolanza, compresi i matrimoni interrazziali e interreligiosi.
Quando queste coppie si sono riunite in gruppi o associazioni di auto-mutuo sostegno, hanno usato un’altra terminologia per identificarsi. Nelle regioni di lingua inglese si autodefiniscono «famiglie interconfessionali», ed espressioni simili sono entrate nell’uso comune in altre lingue. La Risposta chiede perciò di sostituire l’espressione «matrimoni misti» e di parlare d’ora in poi di «matrimonio interconfessionale» anche nei documenti ufficiali della Chiesa.
Questa terminologia farebbe giustizia anche per quel particolare sottoinsieme di coppie interdenominazionali che mantengono la propria appartenenza ecclesiale originaria ma s’impegnano anche a vivere, celebrare e partecipare nella Chiesa del proprio coniuge. È questo gruppo in particolare che è rappresentato dall’IFIN e che ha espresso le proprie preoccupazioni e desideri nella presente Risposta al Sinodo.
La vocazione e missione delle famiglie interconfessionali nella Chiesa e nel mondo contemporaneo è descritta nella parte principale della Risposta. Come tutte le famiglie cristiane, anche le famiglie interconfessionali hanno una vocazione specifica (n. 3): sono chiamate a rispecchiare l’amore riconciliante di Dio in Cristo, sul modello dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Nel loro patto matrimoniale formano un’unica Chiesa domestica, ma nel loro caso la loro Chiesa domestica fa riferimento a due comunioni ecclesiali ancora separate. Così le famiglie interconfessionali incarnano l’unità cristiana. Con la loro semplice esistenza le famiglie interconfessionali possono offrire un segno visibile di unità e con il loro coinvolgimento nella vita di due Chiese possono contribuire a portarle a unità.
Attenzione specifica
La missione delle famiglie interconfessionali è espressa nella sezione successiva (cf. n. 4). La prima testimonianza dei coniugi è reciproca. Mentre cresce il loro amore e la loro comprensione reciproca, vivono un’esperienza concreta della «gerarchia delle verità», dello «scambio di doni» e dell’«ecumenismo ricettivo». Essi condividono con i figli le ricchezze particolari di entrambe le loro comunità ecclesiali, sottolineando l’unità nella diversità. Essi radunano le loro famiglie allargate e le loro comunità locali nelle celebrazioni più importanti della famiglia, come ad esempio il battesimo, la prima comunione, la confermazione, matrimoni o funerali. Essi si assumono responsabilità ecumeniche locali, stimolando la preghiera comune, studiando insieme e condividendo il servizio alla comunità. Essi dimostrano a livello di famiglia le condizioni in cui la crescita nell’unità diventa possibile. In questo modo esemplificano e anticipano alcuni degli atteggiamenti e delle azioni di cui anche le Chiese hanno bisogno nel loro sforzo di crescita nell’unità.
Tuttavia, le famiglie interconfessionali hanno anche bisogno di una comprensione pastorale (cf. n. 5) se devono portare a compimento la propria vocazione e missione di essere segno e strumento di unità visibile nelle proprie Chiese. A volte il diritto ecclesiastico e gli atteggiamenti sembrano separare i coniugi, piuttosto che rafforzare l’unità tra loro. La Risposta evidenzia che ciò di cui essi hanno soprattutto bisogno è una saggia comprensione e cura pastorale mirante alla costruzione del loro matrimonio nel rispetto per l’unità e l’uguaglianza dei coniugi.
La Risposta poi affronta ambiti specifici della cura pastorale. Innanzitutto, il bisogno di unapreparazione al matrimonio e di un accompagnamento post-celebrazione adatto a coniugi di confessioni diverse (cf. n. 6). Il contributo e l’arricchimento che le stesse coppie interconfessionali possono dare nella preparazione al matrimonio dovrebbe essere preso in considerazione e bisognerebbe dare appoggio pastorale allo specifico lavoro svolto dai gruppi di famiglie interconfessionali.
Il «consenso» prima del matrimonio richiesto al coniuge cattolico è ancora fonte di problemi e sembra negare la responsabilità condivisa dei genitori riguardo all’educazione religiosa dei propri figli (cf. n. 7). Le famiglie interconfessionali chiedono se il «consenso prima del matrimonio», quale che sia la formula, sia realmente necessario; non potrebbe essere sufficiente ricordare ai cattolici le proprie responsabilità in quanto genitori, e accertarsi che essi desiderino seriamente condividere la propria fede con i figli, senza richiedere che ciò sia espresso in termini giuridici?
Inoltre, i genitori di confessioni diverse a volte devono affrontare decisioni difficili riguardo l’educazione religiosa dei propri figli (n. 8). Nella Risposta essi chiedono esplicitamente alla Chiesa rispetto e sostegno per le decisioni che i genitori prendono sul battesimo e sull’educazione dei propri figli, anche se queste decisioni a volte oltrepassano le norme ecclesiastiche ufficiali.
Condivisione dell’eucaristia
Alcune famiglie interconfessionali sperimentano un serio bisogno spirituale e un profondo desiderio di condivisione eucaristica regolare (n. 9). Le famiglie interconfessionali chiedono quindi che si dichiari esplicitamente che ai coniugi di confessioni diverse, che esprimono un reale bisogno e desiderio di condivisione eucaristica, possa essere permesso, fatti salvi i criteri di ammissione, di ricevere la comunione insieme al proprio coniuge cattolico, regolarmente, ogni volta in cui sono a messa insieme.
Le famiglie interconfessionali si sentono molto incoraggiate quando le proprie comunità ecclesiali non li considerano come dei problemi, ma come dei pionieri dell’unità tra i cristiani. Esse hanno bisogno di comprensione e sostegno pastorale che le renda capaci di offrire questa testimonianza al meglio delle loro possibilità (cf. n. 10).
Se saranno accolte come nucleo familiare unitario in entrambe le proprie comunità, il dono di comunione ecclesiale che offrono su piccola scala alle loro Chiese potrà essere percepito più chiaramente. Esse chiedono una comprensione pastorale che le accolga come nuclei familiari unitari riconoscendo allo stesso tempo che esse hanno impegni di lealtà verso un’altra comunità ecclesiale.
La speranza è che questa Risposta delle famiglie interconfessionali al Sinodo dei vescovi aiuti i vescovi a diventare consapevoli che le coppie e le famiglie che vivono la propria fede cristiana attraverso realtà ecclesiali divise non vanno trattate innanzitutto come casi problematici. Al contrario dovrebbero essere apprezzate per l’enorme potenziale che apportano alle rispettive comunità ecclesiali sia nel promuovere l’ecumenismo, sia nel rendere più visibile com’è la vita delle «Chiese domestiche».1



* Testo pubblicato sul n. 5/2015 de Il Regno-attualità, p. 305.

1 Il tema delle «famiglie interconfessionali come Chiese domestiche» sarà analizzato nel libro di prossima pubblicazione: T. Knieps-Port le Roi, R. Temmerman (a cura di), Being One at Home. Interchurch Families as Domestic Churches, LIT Verlag, Münster – Zürich 2015. Thomas Knieps, coordinatore dell’IFIN, insegna presso la Facoltà di Teologia e studi religiosi dell’Università cattolica di Lovanio.
Il Regno